58. LA CONCUPISCENZA DEI DONI SPIRITUALI, LA ‘PIENEZZA’ DELLA ‘PAROLA’ E LA SUA … MOLTIPLICAZIONE

 

Il tema della lezione odierna dell’Angelo Azaria è dedicato alla ‘concupiscenza spirituale’.1
Egli trae lo spunto da un brano di un’epistola di San Paolo2 e precisa che da questa emerge – fra l’altro – la necessità di rispettare il 10° Comandamento: ‘Non desiderare la roba d’altri’.
Vi chiederete a questo punto cosa c’entri il 10° Comandamento con la ‘concupiscenza spirituale’, ma per capirlo sarà necessario ora seguire passo passo la concatenazione dei ragionamenti di Azaria dove, come in una catena di Rosario, il primo ‘grano’ si lega all’ultimo.
Si tratta di una lezione come al solito dedicata a tutti ma in modo particolare – come dice San Paolo – a quegli strumenti che possiedono doni particolari ma – non paghi di quanto già hanno – vorrebbero possedere anche doni differenti che hanno altri strumenti.
Questa voglia, questa ambizione, è frutto di disordine spirituale e, fra coloro che sono dotati di carismi – spiega l’Angelo Azaria – si tratta di una concupiscenza più diffusa di quanto si creda per cui, trattandosi di una concupiscenza, vale a dire un desiderio smodato, che riguarda i doni soprannaturali, essa assume una forza ed una costanza quali non vi sono nemmeno quando uno desideri o voglia rubare cose materiali.
Al fondo, la concupiscenza dei doni spirituali nasconde il desiderio di essere simili a Dio, di raggiungere un livello di doni che renda lo strumento quasi ‘dio’: insomma, lo stesso peccato di orgoglio e di superbia di Lucifero.
E’ vero che Gesù, il Maestro, aveva dato all’uomo il comando di ‘essere perfetti come il Padre suo’3 per cui non è colpevole volergli essere più simili possibile, ma deve trattarsi di un desiderio di amore, sorto nella giustizia e nell’umiltà, non il desiderio orgoglioso di essere simili a Dio per spirito di potenza.
Siamo in tal caso – continua Azaria – di fronte ad un vero e proprio disordine spirituale per cui - prescindendo dagli atei che negano e odiano Dio, dai razionalisti che lo sminuiscono, dagli eretici che lo mutilano o lo deformano - vi sono anche categorie di cattolici che si credono perfetti e ferventi, ed a modo loro lo sono anche, che cadono nel peccato di concupiscenza spirituale, in una visione deformata della religione. Gente che non lascia passare giorno senza andare in chiesa, rispettando festività e digiuni, ma poi fa ciò in maniera ossessiva trascurando la famiglia, provocando screzi con mariti o mogli, trascurando anche i figli, per non dire gli infermi di casa, dimenticando che nei loro confronti il primo comandamento è quella della carità.
Il loro è un disordine perché frutto di egoismo quando non anche di una forma di esteriorità spirituale mostrata più o meno consciamente per farsi belli di fronte agli altri e riceverne lodi. Dio vede però l’intimo dei cuori e il vero movente delle loro azioni.
Dio ha fissato degli obblighi per il culto, ma lo ha fatto in maniera equilibrata perché venga esercitato al tempo e nel modo giusto.
Guai se per una esagerata volontà di culto uno dovesse provocare ire e gravi dissidi famigliari, dei quali se ne assumerebbe la responsabilità.
Si tratta, in questo caso, di cattolici che ‘umanizzano’ la spiritualità della religione, alterandone la natura e la bellezza.
In questo disordine religioso rientrano anche gli strumenti concupiscenti dei doni altrui, strumenti che appunto – e qui siamo al 10° Comandamento che viene violato – ‘desiderano la roba d’altri’, come traspare dalla epistola di San Paolo.
E’ a costoro che parla infatti l’apostolo, non solo per riportare sulla retta via quelli che sono già malati, ma anche coloro che – peccando in avarizia e superbia - potrebbero cadere malati e morire spiritualmente.
Ognuno dunque – come dice San Paolo – faccia ciò che Dio gli ha dato da fare, e lo faccia con gioia. Nessuno strumento invidi ad esempio ad un altro il dono della ‘profezia’ e, pur di apparire ‘voce’, finisca per ascoltare non la voce del Signore ma quelle dell’Inferno, sempre pronte ad approfittare dell’orgoglio per portare l’uomo a perdizione.
Per altro verso, chi è investito della missione di ‘voce’ non diventi superbo né neghi agli altri la conoscenza dei ‘tesori’ di Dio, insegnando invece e ‘dando’ con prudenza e umiltà e comunque sempre con rispetto verso le gerarchie della Chiesa.
Le ‘voci’, innanzitutto, dovranno insegnare con il loro esempio, e quindi con la ‘parola’ che deve essere data nel momento e nel luogo opportuno e così come esse l’hanno a loro volta ricevuta.
Dare sempre l’essenza spirituale di quanto ricevuto, sapendo che il dare la ‘parola’ è come lo ‘spezzare i pani e i pesci’ come fatto da Gesù nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.4
Non bisogna darla in maniera indiscriminata, a chiunque, ma sempre tenendo conto di chi si ha di fronte e delle circostanze.
La parola deve essere data in maniera naturale, quasi fosse un’acqua che traspira dalle profondità del terreno, sino a raggiungere le radici delle ‘piante’ vicine che ne ‘bevono’ la sostanza senza neanche accorgersi da cosa derivi quel benessere che placa l’uno, illumina l’altro o guida un terzo.
Gli strumenti – continua Azaria – ricordino, quando sono avversati, di benedire sempre coloro che li perseguitano perché – come già detto in precedenza – sono proprio costoro quelli che, mettendo a prova la loro pazienza e carità – sono i ‘benefattori’ che consentono la gloria ed il trionfo eterno dello strumento stesso.
I nemici, infatti, non sono ‘nemici’, ma solo poveri ‘folli’ che non sanno essi per primi né ciò che fanno né di chi – in quel momento – essi sono, anche involontariamente, ‘strumenti’.
Azaria conclude ritornando quindi al tema con cui ha iniziato la lezione: essere spogli di ogni concupiscenza spirituale non aspirando a doni più alti od a doni ulteriori, ma rimanendo contenti dei più umili e della missione che Dio ha ritenuto di affidare loro, e soprattutto ringraziandolo mostrandogli sempre di saperli utilizzare per sua gloria e per aiuto del prossimo.

La lezione di Azaria è terminata, ma a questo punto segue un ‘dettato di Gesù che - con riferimento a questa particolare ed ulteriore ‘lettura’ data da Azaria al 10° Comandamento in merito al ‘non desiderare la roba d’altri’, comandamento che è sempre Parola di Dio – fa capire come la Parola del Signore possa avere tante diverse profondità di interpretazione.
Così come Egli – dice Gesù con riferimento al celebre racconto evangelico – era stato capace, partendo da pochi pani e pesci, di distribuirne a volontà a migliaia di persone, così la Parola di Dio – che è Pane di Vita – ha molte sfaccettature atte a nutrire tantissima gente.
E’ da duemila anni – dice Gesù – che i pochi brani dei Vangeli sfamano un numero incalcolabile di uomini, ed ora , in questi tempi così difficili per l’Umanità, Dio – attraverso l’Opera e le visioni valtortiane – moltiplica a dismisura queste Parole che vengono date alla mistica affinché gli uomini vengano saziati da questi ‘pani e pesci’ tanto da farne avanzare ancora.
Tutto ciò – conclude Gesù – è dovuto allo Spirito Santo del quale Egli aveva detto che sarebbe venuto ad ammaestrare in ogni verità insegnando il vero spirito di ogni parola, perché non è la parola in sé che dà la Vita ma lo spirito che ne è l’essenza.

 

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Cosa dire di questi insegnamenti, vere gemme di perfezione spirituale?
Mia moglie - che sta leggendo un recente libro di Vittorio Messori scritto con Andrea Tornielli5 - mi ha detto stamattina che Messori ha scritto: … Si dice – credo non a torto – che ciò che ogni autore ha da dire sta in trecento pagine, quelle della sua opera di esordio. Tutto ciò che scriverà in seguito non sarà che commento, variazione sul tema, approfondimento, spesso ripetizione…’.
Sono rimasto un poco pensieroso a riflettere, perché - negli ultimi dieci anni - ho scritto una ventina di libri e tanti articoli stampa.
Messori aveva iniziato la sua carriera di successo con ‘Ipotesi su Gesù’: 312 pagine e milioni di copie vendute, io invece - e più modestamente – avevo iniziato con il mio ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’: ‘milioni’ non di copie ma di …parole… forse sprecate.
Ma – anche se il mio primo libro l’ho dovuto far stare non in trecento ma in quattrocentoventisei pagine, perché sono evidentemente prolisso – certo devo convenire con quanto scrive Messori perché tutti i miei libri successivi dal mio primo di esordio all’ultimo, che è questo che state leggendo, sono ‘un commento, una variazione al tema , un approfondimento e – mi perdonino i miei lettori – spesso una ripetizione…’.
Mi consola il fatto che anche il Gesù valtortiano – in un passo dei suoi dialoghi e visioni con la mistica trasfusi in una quindicina di volumi - le diceva che era purtroppo costretto a ripetersi spesso non perché Egli fosse prolisso ma perché noi uomini siamo di ‘dura cervice’.
La Parola, essendo divina, è sempre ‘pienezza’ di significati, non dimentichiamolo mai.
Ma a proposito di ripetizioni – riferendomi a queste diverse sfaccettature della Parola di cui parla più sopra il Gesù Valtortiano - e ancor più a proposito della ‘moltiplicazione dei pani e dei pesci’, mi viene in mente quanto avevo scritto in un mio precedente libro6 in cui commentavo uno dei due celebri episodi e miracoli evangelici della moltiplicazione dei pani.
La mistica aveva avuto la visione del miracolo7 e alla fine della descrizione, stupenda come al solito, Gesù le parla con un commento tutto per lei, dicendo:

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28 maggio 1944, ore 2 antimeridiane della Pentecoste
Dice Gesù:
«Ecco un'altra cosa che darà noia ai dottori difficili.  L'applicazione che Io faccio a questa visione evangelica.  Non ti faccio meditare sulla mia potenza e bontà.  Non sulla fede e ubbidienza dei discepoli. Nulla di questo. Ti voglio far vedere l'analogia dell'episodio con l'opera dello Spirito Santo.
Vedi: Io do la mia parola. Do tutto quanto potete capire e perciò assimilare per farne cibo all'anima. Ma voi siete tanto resi tardi dalla fatica e dall'inedia che non potete assimilare tutto il nutrimento che è nella mia parola. Ve ne occorrerebbe molta, molta, molta.  Ma non sapete riceverne molta. Siete tanto poveri di forze spirituali! Vi fa peso senza darvi sangue e forza. Ed ecco che allora lo Spirito opera il miracolo per voi. Il miracolo spirituale della moltiplicazione della Parola. Ve ne illumina, e perciò la moltiplica, tutti i più riposti significati, di modo che voi, senza gravarvi di un peso che vi schiaccerebbe senza corroborarvi, ve ne nutrite e non cadete più affranti lungo il deserto della vita.
Sette pani e pochi pesci!
Ho predicato tre anni e, come dice il mio diletto Giovanni, ‘se si dovessero scrivere tutte le parole ed i miracoli che ho detto e compiuto per dare a voi un cibo abbondante, capace di portarvi senza debolezze sino al Regno, non basterebbe la Terra a contenere i volumi’. Ma se anche ciò fosse stato fatto, non avreste potuto leggere tale mole di libri. Non leggete neppure, come dovreste, il poco che di Me è stato scritto. L'unica cosa che dovreste conoscere, come conoscete le parole più necessarie sin dalla più tenera età.
E allora l'Amore viene e moltiplica. Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha "pietà di voi che morite di fame" e, con un miracolo che si ripete da secoli, raddoppia, decuplica, centuplica i significati, le luci, il nutrimento di ogni mia parola. Ecco così un tesoro senza fondo di celeste cibo. Esso vi è offerto dalla Carità. Attingetene senza paura. Più il vostro amore attingerà in esso e più esso, frutto dell'Amore, aumenterà la sua onda.
Dio non conosce limiti nelle sue ricchezze e nelle sue possibilità. Voi siete relativi. Egli no. E’ infinito. In tutte le sue opere. Anche in questa di potervi dare in ogni ora, in ogni evento, quelle luci che vi abbisognano in quel dato istante. E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete, consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola.
Oh! che realmente se lo Spirito vi illustra: "Va' in pace e non voler peccare ", questa frase è premio per chi non ha peccato, incoraggiamento all'ancora debole che non vuole peccare, perdono al colpevole che si pente, rimprovero temperato di misericordia a colui che non ha che una larva di pentimento. E non è che una frase. Delle più semplici. Ma quante non sono nel mio Vangelo!  Quante che, come bocci di fiore che dopo un'acquata e un sole d'aprile si aprono fitti sul ramo dove prima ve ne era sol uno fiorito e lo coprono tutto, con gioia di chi li mira, si schiudono in noi col loro spirituale profumo per attirarci al Cielo.
  Riposa, ora.  La pace dell'Amore sia con te».

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Pertanto, ripensandoci e tanto per consolarmi dei ‘milioni’ di copie di libri che non ho venduto (ma che tuttavia - esaurite le copie editoriali - sono tutti disponibili liberamente ai lettori nel mio sito internet), mi viene un ‘dubbio’ che mi pongo con autoironia: ‘E se la mia – anziché prolissità o ripetizione – fosse stata una sorta di ‘moltiplicazione della parola...?’.
Ai posteri l’ardua sentenza!


1 M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 49 – 19 gennaio 1947 – Centro Editoriale Valtortiano

2 La Sacra Bibbia, Ed. Paoline, Alba, 1968:
Romani, 12, 3-16: ‘Per la grazia che mi è stata data, io dico ad ognuno di voi di non stimarsi più di quanto si deve, ma di ispirarsi a sentimenti di giusta moderazione, ciascuno secondo la misura della fede che Dio gli ha dispensato. Come, infatti, abbiamo in un sol corpo più membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione; così  noi, benché in molti, formiamo un solo corpo in Cristo e siamo membra scambievoli gli uni degli altri. Or, avendo dei doni differenti, secondo la grazia che ci è stata data: se si tratta del dono di profezia, si usi secondo la regola della fede; se del dono di ministero, si eserciti secondo le esigenze del ministero; chi ha il dono di insegnare, insegni; chi quello di esortare, esorti; chi dona, dia con liberalità; chi presiede, sia premuroso; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia
La Carità sia senza finzione; odiate il male, aderite fermamente al bene. Amatevi cordialmente con amor fraterno; nell’onore, prevenitevi a vicenda. Nello zelo non siate pigri, ma servite il Signore con fervore di spirito. Gioite nella speranza, siate pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Prendete parte alle necessità dei santi; praticate l’ospitalità. Benedite chi vi perseguita; benedite e non vogliate maledire; piangete con chi piange. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri. Non aspirate alle grandezze, ma lasciatevi attrarre da ciò che è umile. Non vogliate essere saggi agli occhi vostri.

3 Mt 5, 43-48  // 1a  Pietro 1, 13-16

4 Gv 6, 1-13

5 Vittorio Messori con Andrea Tornielli: “Perché credo – Una vita per rendere ragione della Fede” – Ed. Piemme, 2008) – Pag. 281

6 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. I, Cap. 13 – Ed. Segno, 2000 – vedi anche sito internet dell’autore

7 Mt 15, 29-39 e Mc 8, 1-10
M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV, Cap. 353: ‘La seconda moltiplicazione dei pani e la moltiplicazione della Parola’