46. IL  PERCHE’ DELLA FESTA DI ‘CRISTO RE’
           
          È una festività particolare quella in cui  Azaria tiene questa lezione alla mistica: la Festa di Cristo Re, ed è da questa  che egli prende spunto per la sua ‘catechesi’.1
            Gesù – inizia l’Angelo - è Dio-Verbo, Figlio  di Dio quanto alla sua divinità ma è anche figlio di Maria quanto alla sua umanità.
            Nel momento in cui il Verbo si è incarnato, Egli ha  assunto la natura umana divenendo anche vero Uomo e come tale ebbe – come tutti  gli uomini – una volontà libera nonché sentimenti, sensi e 'passioni'  umane.2
            Il Verbo–Gesù aveva ricevuto e si era assunto  l’incarico di portare a termine una missione importantissima: salvare l’Umanità che era tutta  piombata nel peccato.
            Egli avrebbe dovuto portare a buon fine questa missione agendo  non solo come Dio ma come Uomo, perché la sua Santità, già  perfetta in quanto Dio, fosse tale anche in quanto Uomo.
            Gesù avrebbe dovuto infatti immolarsi ed essere  Vittima perfetta, ma non lo sarebbe stato se Dio avesse limitato la  libertà dell’uomo, ne avesse attutito i sensi, lo avesse preservato  dalle tentazioni del Demonio, da quelle del mondo e della propria ‘carne’  fisica, morale e spirituale.
            In tale caso la Santità dell’Uomo-Dio non sarebbe stata  perfetta ed Egli - in quanto Uomo - non  sarebbe stato una vera vittima senza macchia meritevole di ottenere dal Padre il  riscatto dell’Umanità e la corona di Re, corona che doveva guadagnarsi anche  come Uomo.
            Il suo Sacrificio, quale forma più alta dell’Amore, fu  dunque l’elemento determinante che gli fece guadagnare e meritare lo scettro di Re dei Re e Signore dei Signori, di essere insomma Cristo Re.
            E’ dunque il proprio sacrificio, ad imitazione di  Gesù, quello che anche all’uomo fa meritare la gloria il Cielo.
            Il Peccato originale aveva infatti sconvolto l’Ordine nel  Paradiso terrestre e solo un Dio poteva ristabilirlo.
            L’Ordine consisteva nel fatto che l’uomo, creato ad immagine  e somiglianza di Dio, potesse andare in  Paradiso godendovi della eterna visione beatifica di Dio.
            Lo spirito immortale creato da Dio e concesso all’uomo ormai  decaduto a causa del Peccato originale e delle sue conseguenze, non avrebbe  dovuto – nei colpevoli - ‘perdersi’ all’Inferno oppure – negli uomini giusti –  rimanere in un Limbo perpetuo, lontano dal Paradiso e dal Padre. I giusti avrebbero dovuto avere un premio, quello del Paradiso dove tuttavia  non avrebbero potuto entrare con l’anima impura lesa dalla Colpa di origine.
            Da qui – dice sempre Azaria - la necessità di  annullare questa Colpa e ristabilire  l’Ordine sublimandolo grazie al Sacrificio di un Dio-Uomo e alla sua Dottrina accolta dagli uomini di buona volontà che avrebbero accettato di divenire  in certo qual modo suoi imitatori nelle opere e nelle virtù. 
            Se i due Progenitori non avessero commesso la Colpa, non sarebbe stata  necessaria l’Incarnazione di un Dio ed il Suo Sacrificio per redimerli, e gli  uomini – per salvarsi – non avrebbero dovuto imitare in qualche misura nel  ‘sacrificio’ e nell’amore il Martire divino.
            La ‘corona’ guadagnata con personale sofferenza dagli uomini  che, dopo il Peccato originale, si sono comportati da giusti, non ha niente a  che vedere con quella ‘facile’ che avrebbero avuto i figli dell’uomo se invece non  vi fosse stato il Peccato originale.
            Sono infatti i sacrifici - che l’uomo decaduto, menomato nel  fisico e nello spirito, deve affrontare per combattere contro le pulsioni del  proprio ‘io’, del ‘mondo’ e di Satana – quelli gli fanno meritare il Cielo con  relativa Corona di Gloria.
            Quanta riconoscenza – sospira Azaria - dovremmo dimostrare a  Dio-Padre per averci fatto fratelli – nel martirio come nella Gloria – del Suo  Verbo, di Gesù Uomo-Dio, dove il Dio che era in Lui aveva umiliato la  pienezza della sua divinità in una Carne d’Uomo...!
            Il Verbo-Gesù chiede dunque ai suoi ‘prediletti’, e cioè i peccatori per salvare  i quali Egli si è incarnato per redimerli con sofferenza di Croce,  di voler condividere con Lui il suo Regno,  unendosi a Lui nella loro pur relativa sofferenza, per lavorare con Lui alla  diffusione del suo Regno – nel cuore degli uomini – fino agli estremi confini  della Terra.
            La vita del vero cristiano è una milizia perpetua ed  eroica, un combattimento continuo contro il proprio ‘io’ degenerato, contro il  ‘mondo’ e contro Satana, ad imitazione di Gesù.
            Quale dovrà allora essere il comportamento del  cristiano?
            Vivere nella prudenza, senza perdere tempo perché non  sappiamo quanto ce ne resta, senza dimenticare che anche gli uomini migliori  hanno sempre qualcosa di cui rendere conto a Dio.
            Utilizzare ogni momento utile per riparare ai propri errori,  riflettere bene prima di assecondare stimoli o impulsi interiori che potrebbero  anche essere suscitati dal Demonio che è capace anche di farceli  apparire come ‘buoni’.
            Il Demonio talvolta può servirsi di ispirazioni e di  doni veramente divini per farceli sprezzare, esagerare o non volerli  riconoscere come tali.
            La mancanza di prudenza ha fatto cadere molte anime elette  già predilette da Dio.
            Per gli strumenti in particolare serve dunque prudenza nel  pensiero, nell’azione, nell’uso del dono. Prudenza tanto più necessaria  quanto più i doni sono sublimi, e prudenza ancora stando bene attenti a  non lasciarsi avvolgere da fumi di superbia o smanie di esagerazione.
            Ascoltare poi - nel silenzio - le reazioni della propria  coscienza alle ‘voci’ che essa ode, sapendo che ciò che viene da Dio  pervade sempre di Pace e fortezza, mentre le ‘voci’ che vengono dal Nemico  turbano e favoriscono il cedimento alla parte più bassa di noi stessi.
            Per imparare a cogliere e percepire la volontà di Dio  è necessario condurre una vita ‘raccolta’ e non ‘svagata’.
            Serve inoltre prudenza nel linguaggio che non deve essere  licenzioso, né vuoto, né aggressivo nei confronti di coloro che  ci sono ‘fratelli’.
            Prudenza, infine, per non voler prevaricare e imporsi sugli  altri non dimenticando che – come ci ha insegnato con l’esempio Gesù –  sono ‘maggiori’ degli altri coloro che sanno essere ‘minori’.
           
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          Potremmo ora provare  a riflettere insieme sulla perfezione che il primo uomo appena creato da Dio  dovette avere nel Paradiso terrestre prima che fosse compiuto il Peccato originale.
            Una immagine dell’uomo  che – come appare dal contesto complessivo di tutti questi insegnamenti di  Azaria che abbiamo finora letto – mal si concilia con quella che ce ne danno gli  atei o comunque gli evoluzionisti che ce lo presentano come il discendente di  una lunga catena partita da una cellula originaria nata da sé e per  caso, avente alla fine - come anello intermedio fondante dell’uomo - una  scimmia o un pitecantropo, o un ominide, al quale – i più benevoli nei  confronti dell’esistenza di Dio-Creatore– concedono che Egli gli possa magari  aver infuso quella che noi chiamiamo anima.
            Azaria insiste molto  sul dono fatto da Dio all’uomo: l’anima, anzi - per maggior precisione - lo spirito.
            A questo riguardo  non possiamo non rilevare la contraddizione per cui molti sacerdoti e teologi -  ‘moderni’, o ‘modernisti’ che siano – accettino l’idea che l’uomo possa avere addirittura  un’anima immortale creata da Dio dal nulla e poi rifiutino l’idea che  Dio non sia capace di creare dal nulla un uomo, come dice la Genesi,  per di più mortale.
            Non è un  fatto di fede, ma di semplice logica e raziocinio.
            Poi c’è anche  quell’altra osservazione di Azaria secondo il quale è la ‘sofferenza’ -  costituita dal combattimento quotidiano contro il proprio ‘io’, contro le  ‘opportunità’ e tentazioni che ci vengono dal 'mondo', vale a dire  dall’ambiente sociale, nonché quelle che vengono da Satana – quella che  fa meritare all’uomo decaduto, ma di buona volontà, la corona di gloria  in Cielo, addirittura una ‘gloria’ che gli uomini non avrebbero avuto se i  Primi Due non avessero compiuto il Peccato originale. Possibile che un Dio  buono voglia da noi la sofferenza, se è veramente buono?
            Cosa potremmo  rispondere a queste obbiezioni che ci siamo proposte facendo – noi – gli  ‘Avvocati del Diavolo’?
            L'uomo non discende dalla scimmia perchè Dio lo creò,  animale perfetto reso Figlio di Dio dalla infusione del suo Spirito, l'Alito di  Dio, alito non solo di vita animale, concesso a tutti gli animali, ma alito  dello Spirito che ci fa simili a Dio.3
            Noi ragioniamo, pensiamo, sentiamo con il cuore, in tutto simili a Dio  se non nei limiti imposti dal nostro essere stati "creati", e in  quanto tali non perfetti della Perfezione che solo di Dio può essere.
            Ma la perfezione, quella relativa, quella umana - per capirci -  comunque l'abbiamo avuta  e fu solo la nostra  Superbia (unita alla Avidità ed alla Sensualità, cioè alla  triplice concupiscenza dalla quale è poi derivata la più completa  e raffinata depravazione morale dell'uomo, nonchè la degradazione  fisica) a provocare la nostra rovina.
            Superbia: mancanza di amore. E con il disamore venimmo ripagati. Con il  castigo, che fu semplicemente la privazione delle grazie divine.
            Il Peccato (fatto del tutto spirituale perchè concernente lo  stato della "mente" e la "volontà", cioè lo  spirito)  ha agito sullo spirito stesso come un virus micidiale, che ne  intaccò ‘cellula’ dopo cellula, rendendolo morto alla Grazia.
            E con la morte dello spirito, considerato il rapporto di unità  psicosomatica di cui l'uomo è fatto, venne la degenerazione progressiva  e poi la morte anche del corpo. 
            Da qui il dolore: quello derivante da fattori materiali concernenti la  salute fisica e quello attinente i fattori spirituali connessi alla mente, alla  volontà caparbia di far male facendo soffrire e finendo per soffrire in  una reazione a catena inarrestabile che cesserà soltanto con la fine  dell'uomo.
            Perchè tale fu il virus iniettatoci da Satana, e tale è  il virus che noi uomini coltiviamo dentro noi stessi crogiolandoci dei suoi  effetti letali che invece tanto piacevoli ci paiono.
            Quindi, con il Peccato, voluto scientemente, coscientemente, venne il  Castigo.
            Fu l'Era del Castigo, castigo  non voluto da Dio ma che l'uomo ottenne  - per la "Giustizia" di Dio - procurandoselo da sè.
            E' vero quanto abbiamo appreso: Dio è ‘Dio di Libertà,  perchè senza Libertà non vi sarebbe responsabilità e senza responsabilità nè merito nè demerito. E senza meriti come potremmo meritare il  Paradiso celeste?
            Ecco perchè Dio ci propone la ‘croce’. 
            Perchè è soltanto attraverso questa che scatta il riscatto che  appaga la Giustizia,  perchè è solo appagando la Giustizia che  Dio - che è Giustizia ma è anche Amore - può ridarci la sua figliolanza e la sua  compartecipazione, la riammissione nella sua eredità eterna.
  La    Croce, non è croce, ma premio!
            Solo giudicando con ottica umana essa può apparire una tortura.
            Ma non ci sforziamo forse – arrivati a questo punto della lettura - di  ragionare con lo spirito? Non ci sforziamo forse di credere nello spirito? E  allora, solo per coerenza, non dobbiamo dubitare che sia quella la strada di  giustizia che Dio ha indicato perchè l'Amore possa ricominciare ad  operare creandoci con nuova fecondità figli non di Satana, come ora, ma  Figli di Dio.
            E' la Croce  quella che purifica dalle perversioni dell'uomo-demone. E' la Croce quella che tutto lava.
            E  Gesù – come abbiamo  prima appreso da Azaria quando parlava del perché Cristo è Re - ce lo ha mostrato con il suo esempio...
            Ma noi non siamo dei ‘cristi’ e Dio comprende i nostri limiti, anche se  ‘cristi’ ci vorrebbe.
            Dio non pretende, anche se spesso lo chiede, che noi si voglia la croce,  ma ci chiede - questo sì - almeno di accettare quelle che la vita ci  può portare.
            Ci chiede un diverso modo di vivere la normale sofferenza.
            Siccome, oltre che Dio di Giustizia e di Amore, Egli è anche Dio  di Misericordia, ed ha misericordia della nostra debolezza, si accontenta di  poco, cioè di una nostra attitudine mentale diversa. 
            Solo di una attitudine mentale diversa!
            In cambio la prospettiva del Premio se sapremo a quel punto praticare  la sua Parola.
            Ecco, con la venuta di suo Figlio, Amore incarnatosi e fatto Uomo, è finita l'Era del Castigo (un’era  lunga ed avvilente che ha fatto del primo uomo un bruto, perchè morto  spiritualmente, e quindi senz'anima viva, e quindi animale ) ed è cominciata l'Era del Perdono. 
            Ma il perdono, anche se viene concesso, bisogna pur sempre guadagnarlo  per meritarlo. E allora l'uomo, conosciuto il perfezionamento della Legge  Mosaica dei dieci Comandamenti attraverso l'insegnamento di Gesù, ha la  possibilità - con il rispetto dei Comandamenti e sopratutto anche dei  perfezionamenti apportati da Lui - di riguadagnarsi, in spirito, il posto  perduto per poi completare la conquista con la propria carne glorificata quando Gesù tornerà a giudicare  le genti, quando finirà l’Avventura dell'uomo-animale e inizierà  la storia senza fine dell'essere spirituale, spirituale in Dio, per Dio, con  Dio, per l' Eternità.
          
          
            
              1 M.V.:  ‘Libro di Azaria’ – Cap. 37 – 27 ottobre 1946 – Centro Editoriale Valtortiano
             
            
              2 N.d.A.: Il termine 'passioni' umane va correttamente inteso. Non cioé  passioni negative come le nostre, ma da considerare come moti dell'animo  positivi, perché Egli - nella sua natura umana - era nato privo di  Macchia d’Origine e quindi Uomo perfetto come il Primo Adamo, privo dei  ‘fomiti’ che all’uomo comune derivano per discendenza riproduttiva  per le conseguenze del Peccato originale dei  primi due Progenitori
             
            
              3 G.L.: 'Alla ricerca del Paradiso perduto' - Cap. 26 - Ed. Segno, 1997 - Vedi  anche sito internet dell'autore