10. A GERUSALEMME: COLLOQUIO NOTTURNO
CON NICODEMO 

 

10.1 Gesù: ‘Per entrare nel Regno dei Cieli bisogna rinascere in acqua e spirito...’.

Dopo lo sgradevole episodio di Nazareth Gesù continua la sua evangelizzazione itinerante che - ad un certo punto - lo riporta nuovamente a Gerusalemme.
Questa era la capitale della fede ebraica, la sede del Tempio, e gli israeliti della Palestina vi tornavano continuamente, quasi ogni anno, come pure - nei limiti del possibile a causa delle maggiori distanze - quelli provenienti dai lontani paesi della diaspora.
La città santa era dunque un centro ideale per la predicazione e per la diffusione della dottrina di Gesù che – grazie al clamore dei miracoli – cominciava a far breccia anche nelle classi più elevate, ad esempio nel fariseo Nicodemo1, quel ‘Capo dei Giudei’ che alla fine ritroveremo convertito sotto la croce (insieme a Giuseppe d’Arimatea  che presterà addirittura il suo sepolcro) e che ora nel Vangelo di Giovanni vediamo invece a colloquio con Gesù per interrogarlo appunto sulla sua dottrina.

Gv 3, 1-21:
Or, fra i farisei vi era un tale, chiamato Nicodemo, capo dei Giudei.
Egli andò da Gesù di notte e gli disse: ‘Rabbi, noi sappiamo che tu sei venuto da Dio come Maestro, perché nessuno può compiere i prodigi che tu fai, se Dio non è con lui’.
Gesù gli rispose: ‘In verità, in verità ti dico: nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo’.
Nicodemo gli domandò: ‘Come può un uomo rinascere quand’è vecchio? ’Può forse rientrare nel seno della madre e nascere?’
Gesù rispose: ‘In verità, in verità ti dico: chi non nasce per acqua e Spirito non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è generato dalla carne, è carne; e quel che nasce dallo spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: ‘Dovete nascere di nuovo’. Il vento spira dove vuole: ne senti la voce ma non sai né donde venga, né dove vada; così è di chiunque è nato dallo Spirito’.
‘Ma come è possibile tutto questo?’, domandò Nicodemo.
Gesù gli rispose: ‘Tu sei maestro in Israele e non lo sai? In verità, in verità ti dico: noi parliamo di quello che conosciamo e attestiamo quanto abbiamo visto; ma voi non accettate la nostra testimonianza. Se non credete quando io vi parlo di cose terrene, come crederete quando vi parlerò di cose celesti? Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.
Come Mosè innalzò nel deserto il serpente, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo, affinchè chiunque crede in lui, abbia la vita eterna. Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha sacrificato il suo Figlio unigenito, affinchè ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio suo nel mondo perché condanni il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio. Questa è la condanna: che la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce, perché le loro opere erano cattive. Infatti, chi fa il male, odia la luce e non si appressa alla luce, per paura che le sue opere vengano condannate. Chi invece opera la verità, si avvicina alla luce, affinchè appaia che le opere sue sono fatte secondo Dio’.

Bello, questo brano. Potente! C’è tutto ‘Giovanni’, e soprattutto c’è tutta la dottrina e la missione di Gesù.
Bisogna solo enucleare i vari concetti - che qui sono esposti dall’evangelista in maniera ‘sintetica’ ma che Gesù doveva aver spiegato per bene e con bello stile oratorio a Nicodemo - e svilupparli.
Nicodemo era dunque un fariseo colto, ammirava Gesù, se ne sentiva attratto, era anche un giusto, ma occupava una posizione politico-sociale elevata e temeva il giudizio dei suoi pari, pertanto – come succede anche a molti di noi – temeva di compromettersi.
Era il tempo della Pasqua con tanta gente che girava per Gerusalemme e così, per dar meno nell’occhio, anzi per non farsi proprio vedere, egli va a trovare Gesù di notte per interrogarlo sui grandi misteri di Dio e dell’uomo rispetto a Dio.
In questo dialogo sono riportate solo alcune frasi spezzate, anzi solo alcuni dei concetti più significativi, che – così come sono messi – non sarebbero pienamente esplicativi se non alla luce di una conoscenza globale della dottrina di Gesù quale emerge dal resto del Vangelo di Giovanni e degli altri evangelisti.
Poiché qui non siamo di fronte al fluire di un ‘discorso’ riportato integralmente ma ad un insieme sintetico di concetti che Gesù aveva espresso, si comprende come il brano possa sembrare a prima vista di non agevole comprensione.
Vedrò di semplificarlo ed ampliarlo un po’ alla buona, da ‘uomo della strada’ appunto, aggiungendo magari quello che manca ma che è facilmente intuibile .

‘Rabbi, noi sappiamo che tu sei venuto da Dio come Maestro, perché nessuno può compiere i prodigi che tu fai se Dio non è con lui…’

Ecco, già in questa affermazione vi è la spiegazione della visita di Nicodemo.
Gesù compiva miracoli straordinari e diceva il giusto, ammaestrava santamente.
Quando un ispirato – come poteva apparire Gesù - parlava, ciò - secondo l’opinione corrente - poteva ‘venire’ o da Dio o da Satana. Ma erano le sue ‘opere’ quelle che avrebbero fatto capire quale ‘padre’ avesse avuto. E le parole e le opere di Gesù – questo Nicodemo lo capiva bene – non potevano provenire che da Dio.
Gesù veniva da Dio per ammaestrare gli uomini e il miracolo soprannaturale serviva – oltre che a fare del bene – a qualificare Gesù come ‘inviato di Dio’, se non ancora come ‘figlio di Dio’.
Nicodemo – che era un giusto desideroso di ben fare - deve quindi aver chiesto a Gesù informazioni sul regno di Dio e sul come raggiungerlo.
Ma Gesù gli risponde: ‘Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo’.
Allora – come oggi - erano in voga, negli ambienti colti influenzati dalla cultura ellenistica, le filosofie che oggi chiameremmo ‘orientali’, insomma quelle sulla reincarnazione, anche perché questa è una dottrina che ora come allora fa molto comodo, è tremendamente 'rassicurante' perché ci consente di non cambiare mai in meglio, tanto c’è sempre un’altra vita per farlo, e di vita in vita si migliora comunque sempre di più per poi ritrovarsi in Cielo senza neanche aver capito come ci si è arrivati.
Quindi Nicodemo fraintende, pensa che la frase di Gesù sul dover rinascere di nuovo sia appunto una conferma della teoria della reincarnazione e allora – incuriosito – chiede come si possa mai, materialmente, realizzare una cosa del genere: ‘Come può un uomo rinascere quando è vecchio? Può forse rientrare nel seno della madre e rinascere?’
In effetti le teorie sulla reincarnazione - oggi un poco rivedute, corrette e riadattate al Cristianesimo per renderle più accettabili all’uomo contemporaneo secondo la dottrina di Allan Kardek, padre dello spiritismo moderno (diciannovesimo secolo) - prevedono che l’anima del trapassato, dopo una sosta nell’aldilà, possa fare una valutazione retrospettiva della propria vita precedente e decidere di reincarnarsi nell’embrione di un nascituro a propria scelta, dimenticando poi la propria vita precedente e ricominciando da capo, finchè – di vita in vita – non avrà conseguito un perfezionamento morale e spirituale raggiunto il quale non sarà più necessario reincarnarsi. Il Paradiso e la felicità eterna vengono prospettati come un traguardo in un certo senso ‘obbligato’.
Bello, no? Si rivive a lungo e…soprattutto non costa fatica il salvarsi.
Questa dottrina – Allan Kardec aveva scritto a metà ottocento parecchi volumi frutto della trascrizione di quanto andavano dicendo misteriose ‘entità’ spirituali che si manifestavano attraverso la bocca dei ‘medium’ nel corso di sedute spiritiche – mi aveva ‘affascinato’ a lungo su di un piano ‘filosofico’, e solo dopo, meditandoci sopra, mi ero reso conto che era troppo bella e…troppo poco faticosa per esser vera. 
Soprattutto non mi convinceva l’identità di queste entità spirituali che si manifestavano attraverso i ‘medium’ anche perché agli ‘esperti’ è noto che Dio – almeno di norma – non consente alle anime di cielo (Purgatorio e Paradiso) di manifestarsi  in queste sedute spiritiche e quindi quelle manifestazioni delle quali il Kardec era regista e scenografo non potevano essere che di origine spirituale …negativa, e quindi demoniaca.
Credo comunque che Gesù debba aver sorriso alla domanda di Nicodemo, e bonariamente gli rispose: ‘In verità, in verità ti dico: chi non nasce per acqua e Spirito non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è generato dalla carne è carne: quel che nasce dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto che dovete rinascere di nuovo’.
Gesù ha fatto qui conoscere a Nicodemo (ma in realtà gliela deve aver spiegata meglio di quanto qui non racconti Giovanni) una grande verità: la carne è carne, e lo spirito è spirito.
Voi direte che non vi sembra poi una grande verità: ma il fatto è che in cielo – subito dopo la morte - non ci va la carne ma lo spirito, che è immortale e che è la vera essenza dell’uomo.
E lo spirito, cioè la nostra anima-spirituale, nasce dallo Spirito e quindi è giusto che ritorni in Cielo presso lo Spirito.
Ma – poiché uno spirito impuro non si può unire ad uno Spirito puro, come un solido non si può mescolare ad un gas -  può tornare allo Spirito solo uno spirito purificato dai danni prodotti da una ‘carne’ (carne intesa in senso materiale, morale e spirituale) viziata dal Peccato originale e da tutti gli altri peccati che sono mancanze verso la Legge dell’Amore e che – diversamente dal Peccato originale - sono imputabili alla nostra libera volontà.
Ecco perché, innanzitutto, serve il Battesimo in acqua e Spirito: perchè il battesimo in acqua e soprattutto in Spirito Santo è quello che libera l’uomo dal Peccato originale e lo rende degno – perché purificato – di riaccedere al Paradiso, se ‘in grazia’, subito dopo la morte del corpo.
Quindi – come spiega Gesù - è necessario ‘rinascere di nuovo’, cioè in prima istanza essere battezzati ed in seconda purificarsi continuamente: abbandonare cioè l’abito mentale dell’uomo vecchio ed assumere – anche se con sacrificio – quello dell’uomo nuovo, dell’uomo giusto che tende alla perfezione.
Vi sono taluni che sono ‘giusti’ per loro bontà naturale: insomma, ci sono nati. Questo è un dono che Dio dà loro perché essi possano migliorare ancora più e con il loro esempio ‘santificare’ gli altri: cioè esser d’esempio agli altri.
Guai a sprecare questo ‘talento’: ce ne verrebbe chiesto conto.
Vi sono poi tutti gli altri che giusti non sono, ma si sforzano di diventarlo: potrebbe essere il nostro caso.
Ed è questo continuo sforzo che, al di là dei conflitti che essi devono vivere al proprio interno, li ‘purifica’ e li fa - per bontà del Signore che è misericordioso e chiude un occhio sui difetti aprendoli tutti e due sui loro sforzi di buona volontà - degni di entrare in Cielo, magari dopo un po’ di Purgatorio che completa l’opera di purificazione iniziata in vita ma che essi non avevano potuto, o non avevan saputo o non erano riusciti, a condurre a termine.
Gesù continua la sua spiegazione a Nicodemo e – sempre parlando dello Spirito Santo – dice che lo Spirito è come il vento che spira dove vuole e viene da dove vuole. Noi lo sentiamo, ma non sappiamo donde Egli venga né dove Egli vada.
Bisogna dunque saper cogliere il vento dello Spirito. Chi nasce dallo Spirito deve saper cogliere questo vento da qualunque parte provenga e saper orientare nel modo giusto le sue ‘vele’, cioè la sua disposizione interiore, per cercar di raggiungere il traguardo della perfezione spirituale o comunque di una maggior spiritualità.
Il concetto è che il Vento dello Spirito soffia su tutti, ma non tutti lo sanno o lo vogliono ascoltare o cogliere.
Ma per coglierlo basta predisporsi in maniera avveduta, come fanno il pescatore od il velista, che riescono ad orientare opportunamente le vele  e risalire verso il porto prefisso anche quando il vento spiri contrario.
Nicodemo, nella penombra di una stanza illuminata da una lanterna, riflette in silenzio, ma non può però poi trattenersi da una esclamazione: ‘Ma com’è possibile, tutto questo?'.
Ecco, esplode il dubbio dell’uomo razionale che crede solo a quello che riesce a vedere con i propri occhi anzi a toccare con mano.
Esplode il dubbio dell’uomo che è ‘carne’, che ha dentro di sé lo spirito, ma non lo vede, e allora pensa di essere solo carne.
‘Come è possibile tutto ciò?’
E allora Gesù gli risponde che ognuno parla per ciò che sa e che conosce per esperienza.
Ora Egli – continua Gesù riferendosi a Sé – dice le cose che sa e che conosce per esperienza perché Egli è il Figlio di Dio.
Ma se gli altri non credono a Lui che dà questa testimonianza, a Lui che pur parla autorevolmente ed in carne ed ossa, come potranno mai essi pretendere di credere alle realtà spirituali che non possono né vedere né toccare?
Solo il Figlio di Dio può infatti parlare a ragion veduta di queste cose, perché nessun uomo, tranne appunto il Figlio dell’Uomo, è mai asceso al Cielo o ritornato dal Cielo per raccontare e spiegare certe cose.
Nicodemo ascolta, lui, giusto e colto, colto e diffidente, e Gesù continua spiegandogli un grande mistero, quello dell’amore di Dio per l’uomo, e gli dice: ‘Come Mosè innalzò nel deserto il serpente, così è innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque creda in lui abbia la vita eterna’.
Gesù prende a prestito l’episodio biblico degli ebrei che nel deserto vennero morsicati dai serpenti ma che Dio salvò da morte sicura dicendo a Mosè  di innalzare su un’asta un serpente di bronzo che – guardato con fede – li avrebbe sanati.
Il serpente innalzato che risana è simbolo di Gesù che, ricoperto dal veleno del peccato fino a diventare egli stesso ‘Peccatore’ per le colpe degli uomini che Egli si era addossato, sarebbe stato ‘innalzato’ su una croce  come un essere ignominioso ma che – guardato con fede – avrebbe avuto il potere di guarire spiritualmente gli uomini, riscattandoli anche, grazie al suo sacrificio, dalla colpa originale.
E questo perché – continua Gesù nella sua spiegazione – ‘Dio ha tanto amato il mondo che ha sacrificato il suo Figlio Unigenito, affinché chiunque creda in lui non perisca, ma abbia la vita eterna’.
Gesù prosegue spiegando che Dio non ha mandato suo Figlio in terra per condannare l’Umanità peccatrice, ma per salvarla.
Come? Con la sua Parola, con l’insegnamento della sua dottrina che spiega le cose del Cielo ed insegna agli spiriti umani come raggiungerlo.
E chi crede in Gesù – il che significa accettare e volerne mettere in pratica i precetti – si salva, mentre chi li rifiuta perché non li condivide in quanto non confacenti al proprio modo d’essere,  è come se si condannasse da sé, perché in Cielo – a contatto con Dio – non si può entrare se non si è puri o se non ci si è purificati spiritualizzandosi.
E proprio in questo consiste la condanna degli uomini di cattiva volontà.
Dio nel momento del giudizio particolare, nel momento in cui l’Anima si presenterà al suo cospetto, li ‘illuminerà’ della sua Luce ed essi stessi si renderanno allora conto – indipendentemente dall’esser o non esser stati della religione giusta – non solo di non aver voluto seguire la loro religione ma di non aver  voluto seguire nemmeno i dettami della legge naturale che Dio, per maggior sicurezza, aveva impresso nel cuore di tutti gli uomini.
E la condanna, alla fine, risulterà una sorta di ‘autocondanna’.
Dio non farà altro che aprire di fronte all’occhio spirituale dell’uomo i capitoli della sua vita, fargli vedere quanto Egli li ha amati, quante opportunità Egli ha loro offerto e quante essi ne abbiano rifiutate, per poter rimanere Tenebra e crogiolarsi nel Buio.

 

10.2 Conclusione del primo anno di vita pubblica di Gesù.

A Gerusalemme, dopo l’episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio, Gesù – animato dal suo ardore – si era però messo contro la classe sacerdotale.
Cominciava già da allora a tirar aria di burrasca e avere contatti con Gesù non era ‘salubre’, come si è del resto capito dalla richiesta di colloquio notturno di Nicodemo.
Gesù – che voleva tutto il tempo necessario per svolgere la sua missione di predicazione e non finire anzitempo in croce – lascia allora per prudenza Gerusalemme e se ne va in altri territori della Giudea dove Egli si dà a predicare e i suoi discepoli a battezzare in una casa colonica isolata messagli a disposizione da Lazzaro.2
Ma là in Ennon3 anche Giovanni Battista – il ‘testimone’ di Gesù - stava battezzando, e i suoi discepoli – forse un po’ invidiosetti perché Gesù cominciava a fare sempre più proseliti – corrono a riferirgli che Gesù, senza alcuna riconoscenza per la testimonianza che gli aveva dato tempo prima lo stesso Giovanni Battista al Giordano, si comportava da ‘concorrente’ perché ora si permetteva di fargli le ‘scarpe’… battezzando come lui.4
Credo che Giovanni Battista dovesse aver alzato pazientemente gli occhi al cielo…, nel dare quella risposta che l’evangelista Giovanni riferisce nel suo Vangelo.
Il Battista riconferma dunque l’origine divina di Gesù e, con riferimento alla sua predicazione travolgente, egli spiega che essa è tale perché in lui è Dio stesso che parla e non vi è dunque nessuno che possa parlar meglio delle cose del Cielo se non chi dal Cielo viene e può quindi parlare con cognizione di causa.
E’ la riconferma indiretta – poiché Giovanni Battista era uno spirito ‘profetico’ - di quanto Gesù aveva già detto nel colloquio con Nicodemo dove alla sua esclamazione: ‘Ma come è possibile tutto questo?’ Gesù aveva risposto Noi parliamo di quello che conosciamo e attestiamo quanto abbiamo visto, ma voi non accettate la nostra testimonianza…’.
In quel ‘noi’ di Gesù non c’è un plurale ‘majestatis’ ma l’intera Trinità che è presente in Gesù, Verbo, sì, ma sempre Unito alle altre due Persone: Padre e Spirito Santo.
Anche il Battista – come aveva detto Gesù a Nicodemo – conclude però sconsolato dicendo che tuttavia nessuno vuole accettare la ‘testimonianza’ di Gesù.
In queste parole sta tutto il dramma dell’Umanità che preferisce perdersi, ma anche quello di un Dio Onnipotente che – rispettoso fino all’eccesso della libertà degli uomini - non li converte con potenza di miracolo, perché ciò sarebbe ‘violenza’.
Siamo giunti così alla fine del primo anno di vita pubblica di Gesù, in quello che è il mese ebraico di Casleu (corrispondente al nostro novembre/dicembre).
Il giorno 25 di Casleu veniva celebrata la Festa delle Encenie, detta anche della Purificazione o della Dedicazione del Tempio, o delle Luci, festa istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. per ricordare la Purificazione del Tempio e l’erezione del nuovo altare degli olocausti.
Era quello l’anniversario della nascita di Gesù,5 il giorno in cui Egli – come abbiamo già raccontato - era venuto a Gerusalemme con tutti gli apostoli, ospite nella splendida magione di Lazzaro, per festeggiare insieme la solenne ricorrenza della Festa ed aveva narrato ai presenti alcuni particolari sconosciuti connessi alla sua nascita.
I sacerdoti del Tempio riescono però poco dopo a rintracciare Gesù anche nella sperduta località in cui si era rifugiato a predicare e mandano degli emissari a minacciarlo, diffidandolo dal continuarvi la predicazione.
Così come in precedenza aveva già lasciato Gerusalemme, così anche questa volta per prudenza e per non far precipitare anzitempo la situazione, Gesù decide di lasciare con tutti i dodici apostoli la zona.6
Il gruppo si dirige verso i monti nei dintorni di Emmaus, risalendo poi in direzione di Arimatea e puntando infine sulla Samaria.
Quest’ultima regione era in conflitto religioso e politico con la Giudea e - per il gruppo apostolico perseguitato - la Samaria poteva essere dunque considerata come un paese-rifugio, una sorta di ‘Stato’ estero, zona politicamente ‘franca’.
A questo punto termina il primo anno dall’inizio della vita pubblica di Gesù, quello in cui Egli si è prodigato come Maestro ed inizia il secondo anno dove lo vedremo invece all’opera più come il Salvatore, mentre nel terzo anno sarà il Redentore.


1 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. II, Cap. 116 - C.E.V.

2 Gv 3, 22-24

3 M.V.: Opera citata, Vol. II, Capp. 118,119, 127 - C.E.V.

4 Gv 3, 25-36

5 Fatto peraltro confermato recentemente anche dagli studi di un rabbino basati sulla ricostruzione dei turni di Zaccaria (della classe di Abia, etc. etc.), presso il Tempio.

6 Per ragioni di sintesi narrativa non possiamo qui narrare le circostanze in cui Gesù ebbe a chiamare a sè tutti i dodici apostoli. Sono di grande interesse ma per queste ci permettiamo rinviare alla lettura dell'Opera valtortiana già citata.