6. IL RITROVAMENTO DI GESU’ DODICENNE FRA I
DOTTORI DEL TEMPIO:
LA PRIMA PROFEZIA MESSIANICA

 

6.1 Rientro a Nazareth o fuga in Egitto? Un’altra discordanza evangelica. La permanenza della Sacra Famiglia in Egitto ed il rientro a Nazareth dopo la morte di Erode il Grande.

Matteo racconta dunque che dopo la partenza dei Magi da Betlemme un angelo avverte in sogno Giuseppe di alzarsi, prendere il Bambino e sua Madre, e fuggire in Egitto, come dire che non c’era da perder neanche un attimo di tempo.1
Matteo continua e dice che Giuseppe ‘si alzò e, di notte, preso il Bambino e sua Madre, si ritirò in Egitto…’.
Non se se lo abbiate notato, ma l’Angelo non dice a Giuseppe di prendere suo figlio e sua moglie e di fuggire, ma di prendere il Bambino e sua Madre.
Gesù non era infatti figlio di Giuseppe ma - per discendenza di carne - era solo figlio della Madre, cioè di Maria.
A riguardo di questa precipitosa partenza, mi sembra di aver però trovato qui un’altra discordanza evangelica…
Luca – dopo aver narrato l’episodio della cerimonia della Purificazione – aveva concluso infatti testualmente così: 2

Quando ebbero compiuto tutto quello che riguardava la legge del Signore, ritornarono in Galilea, nella loro città di Nazareth.
Intanto il fanciullo cresceva, si sviluppava, riempiendosi di saggezza, e la grazia di Dio era su di Lui.

Quindi, secondo il racconto di Luca, dopo la cerimonia della Purificazione - alcune decine di giorni dalla nascita di Gesù - la Sacra Famiglia se ne torna a Nazareth e l’evangelista ce la ripresenta a Gerusalemme dodici anni dopo al compimento del dodicesimo anno di Gesù.
Matteo racconta invece che c’è stato l’arrivo dei Magi e che dopo la loro partenza la Sacra Famiglia parte precipitosamente non per Nazareth ma per l’Egitto.
Intanto diciamo che sarebbe sbagliato giudicare l’attendibilità dei Vangeli limitandoci a considerare ‘buoni’ solo gli episodi che sono citati e riferiti identicamente anche dagli altri evangelisti.
Ogni evangelista, infatti, racconta le cose dal proprio angolo visuale e inserisce quegli elementi che sono in quel momento a sua conoscenza  o più significativi.
Quale delle due versioni è allora quella giusta?
Non è nemmeno tanto verosimile che – dopo un sogno come quello di cui parla Matteo con l’Angelo che ingiunge letteralmente a Giuseppe di alzarsi nottetempo e di fuggire subito in Egitto – Giuseppe e Maria fossero andati in Egitto passando prima da Nazareth.
Dando un’occhiata ad una carta geografica di Israele, possiamo notare che - per la famigliola che si trovava a Betlemme - Nazareth era agli antipodi rispetto all’Egitto.

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Infatti Betlemme, che è a pochi chilometri da Gerusalemme, è più o meno a metà strada fra Nazareth, verso nord, e il confine egiziano del territorio di Israele, verso sud.
Dovendo fuggire nottetempo da Betlemme a sud verso l’Egitto – come racconta Matteo - non avrebbe avuto senso andare a Nord, con le soldataglie di Erode alle calcagna, per poi rimanersene ad aspettarle a Nazareth come se niente fosse.
Oltretutto Nazareth era situata ben 120 chilometri a nord rispetto a Betlemme, verso l’odierno Libano.
Perché tornare a Nazareth? Per salutare i parenti? Ma quello non era un viaggio di piacere, un viaggio turistico, era una fuga drammatica pena la morte. Andare a Nazareth avrebbe significato farsi 120 chilometri all’andata, salutare i parenti, farsi altri 120 chilometri al ritorno, a dorso d’asino, su strade molto pattugliate.
Insomma – contando il fatto che c’era un bambino in fasce da portare ed una donna fragile, e inoltre che se fossero andati a Nazareth a ‘sistemare’ le loro faccende famigliari prima di andarsene all’estero, altri due o tre giorni li avrebbero persi - i giorni perduti fra andata e ritorno, sarebbero stati almeno sette o otto, senza contare i giorni ulteriori di viaggio per raggiungere l’Egitto.
In tutti quei giorni Erode avrebbe avuto il tempo di stendere una maglia impenetrabile di soldati per intercettare e raggiungere quel piccolo Messia in fuga che metteva in pericolo il suo trono.
Nessun ritorno a Nazareth, dunque. Giuseppe deve avere obbedito all’Angelo ‘alla lettera’: saltare giù dal letto, fare fagotto e partire alla svelta direttamente verso l’Egitto.

Concludendo, l’errore nei Vangeli o - se vogliamo, la svista narrativa - è di Luca.
Luca ‘salta’  a piè pari l’episodio dell’Egitto - che forse non era neanche a sua conoscenza - o semplicemente lo salta perché ne aveva già parlato Matteo nel suo Vangelo, così come Giovanni, nel suo Vangelo successivo, ometterà moltissimi episodi che avevano già raccontato gli altri tre evangelisti sinottici.
Luca dice solo che Gesù avrebbe passato il resto della sua vita a Nazareth fino all’episodio narrato da lui stesso: il ‘ritrovamento’ di Gesù dodicenne al Tempio fra i dottori, episodio che invece Matteo da parte sua non racconta.
Nulla ci dicono i Vangeli sulla vita e durata del  soggiorno in Egitto, mentre è invece la Valtorta, il ‘piccolo Giovanni’, a parlarcene attraverso le sue visioni.3
Un deserto, una piramide, una casetta ad un solo piano, molto modesta e intonacata a calce. Due porte affiancate, ciascuna delle quali immette in un piccolo ambiente. Un poco di terreno sabbioso intorno, recintato da canne  coperte da dei rampicanti, un gelsomino in fiore, un cespuglio di rose, dove vi è un piccolo orto. Una pianta ad alto fusto che fa ombra alla casa e al terreno, una capretta legata alla pianta che mangia le foglie di alcuni rami che le sono stati gettati davanti. Su una stuoia, per terra, un Gesù bambino di circa due anni. Molto bello, gioca con dei pezzetti di legno intagliati che certo gli avrà fatto Giuseppe. Capelli dorati, riccioli, pelle chiara e rosea, occhietti azzurri, vivi e splendenti, come li avrà anche da adulto.
Ha una camiciola bianca lunga, una tunica, i piedini scalzi, mentre egli gioca anche con i suoi sandaletti che sono lì vicino. Poco più in là Maria,  all’ombra della pianta, lavora ad un telaio e tiene d’occhio il bambino.
Scena molto serena.
Poi a sera arriva Giuseppe, con gli attrezzi da falegname sulle spalle, segno che anche in Egitto si guadagnava da vivere facendo il falegname.
Giuseppe entra in una delle due stanze della casetta. Funge da laboratorio, cucina, stanza da pranzo, con una tavolo e una lucerna, sgabelli, un focolare acceso, il telaio che nel frattempo Maria ha portato in casa.
Ambiente povero ma ordinatissimo.
Si siedono tutti a tavola per la cena, non senza aver prima pregato secondo l’uso ebraico. Tralascio molti altri particolari.
 L’angelo appare però in seguito ancora una volta in sogno a Giuseppe e gli dice di ritornare a Nazareth poiché Erode il Grande era morto.
La Valtorta rivede in una visione successiva Gesù a Nazareth, un bambino dall’apparente età di cinque anni. 4
A Nazareth c’è una prima lezione di Giuseppe al piccolo Gesù nel laboratorio di casa: una lezione sull’uso degli attrezzi da lavoro.
Si vedono attrezzi vari costruiti da Giuseppe in formato ridotto, adatti ad un bimbo di quell’età: un piccolo martello, una sega, dei piccoli cacciavite, una piccola pialla, il tutto su di un piccolo bancone a misura di… bambino.
Prima operazione: come imparare a segare un pezzo di legno senza segarsi le… dita.
Poi l’uso della pialla per raddrizzare il taglio fatto storto…
In un’altra visione la mistica vede nell’orto-giardino un Gesù più grandicello che gioca con altri due bambini della stessa età: sono Giacomo e Giuda, cuginetti di Gesù in quanto figli di Alfeo di Nazareth, sposo di Maria Cleofa e fratello di Giuseppe.
I due bambini sono gli stessi che diventeranno apostoli.
E’ una scena divertente.
Prima giocano ai mercanti, poi si stancano e cambiano gioco. Decidono di fare l’esodo dall’Egitto. Uno dei due cuginetti (Giacomo) propone a Gesù di fare Mosé, lui farà Aronne e suo fratello Giuda farà Maria, la sorella di Aronne.
Giuda (che da adulto nei Vangeli è chiamato il Taddeo) protesta perché lui è un maschio e non vuol fare la femmina, ma Giacomo gli dice che fa lo stesso e anzi lui – Giuda -  ballerà davanti al vitello d’oro, che nel caso specifico viene simboleggiato da un alveare su un lato del giardino
Giuda si impunta:
«Io non ballo. Sono un uomo e non voglio essere una donna. Sono un fedele  e non voglio ballare davanti all’idolo».
Interviene Gesù a far da paciere:
«Non facciamo questo punto. Facciamo l’altro: quando Giosué viene eletto successore di Mosé. Così non c’è quel brutto peccato di idolatria e Giuda è contento di essere uomo e mio successore. Non è vero che sei contento?».
«Sì, Gesù. Ma allora tu devi morire, perché Mosé muore, dopo. Io non voglio che tu muoia, Tu che mi vuoi sempre tanto bene».
«Tutti si muore… Ma Io prima di morire benedirò Israele, e siccome qui non ci siete che voi, benedirò in voi tutto Israele…».

Non vi dico il resto, divertente, finché Gesù – nel seguito del gioco in cui interpreta il ruolo di Mosè – dall’alto di un monticello del giardino - benedice Israele, vale a dire i due cuginetti prostrati, poi si sdraia, chiude gli occhi e … muore.
Profetico, direi. Il Verbo che è in lui – a futura memoria – prefigura forse con un gioco innocente quanto Gesù farà poi dalla Croce del Calvario quando morirà dopo aver detto: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno…’.
Maria, che arriva in quel momento, lo vede steso a terra immobile e spaventata gli grida di alzarsi, perché – lo rimprovera - ‘… lei non lo vuole vedere morto’
La ricostruzione dei bambini dell’episodio di Mosé è stata comunque perfetta e poi se ne comprende il perché: come maestra di religione tutti e tre hanno Maria, la quale aveva studiato nel Tempio e come già detto conosceva a menadito le scritture e i salmi che i ragazzi recitavano.
I due cuginetti, inseparabili compagni di giochi ed istruiti scolasticamente da Maria, alcuni decenni dopo diventeranno anche compagni di Gesù durante la sua evangelizzazione e lo seguiranno nella morte con il loro martirio.

 

6.2 Gesù: 'Attendetemi nella mia ora.  Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola…'.  

Passano dunque gli anni e Luca racconta5 che Giuseppe e Maria erano soliti andare ogni anno a Gerusalemme, per la Festa di Pasqua.6
Il che significava - come già detto - farsi circa 120 chilometri a dorso d’asino all’andata e altrettanti fino al ritorno a Nazareth.
Questo per Giuseppe significava - poiché fra feste pasquali e viaggio di andata e ritorno sarebbero stati necessari almeno una decina di giorni – lasciare la propria attività di falegname non per prendersi delle ‘ferie’, come faremmo noi oggi, ma per fare un pellegrinaggio che – anche per Maria e per Gesù – sarebbe stato molto disagevole e faticoso.
In questo episodio evangelico, però, il ‘bimbo’ era cresciuto. Era già un ragazzo, anzi un adulto, anche se solo dodicenne, perché quella era l’età in cui in Israele un giovane veniva dichiarato – con una apposita cerimonia nell’immancabile Tempio - maggiorenne per la legge, dopo aver superato un esame di…religione, fatto questo che per Gesù non avrebbe comunque dovuto costituire una preoccupazione.
Il Dio che era in Lui – ne abbiamo già accennato - non si rivelava che a sprazzi, in attesa della rivelazione ‘pubblica’ a trent’anni, all’inizio cioè della ‘missione’ al Giordano quando lo Spirito del Signore sarebbe apparso a Giovanni Battista sul capo di Gesù sotto forma di colomba ed una Voce avrebbe tuonato dal cielo indicando che quello era il suo Figlio prediletto.
Ma quando il Dio che era ‘nascosto’ in lui si ‘rivelava’, quasi la carne umana stentasse a contenere la divinità compressa, agli occhi della gente Gesù poteva assomigliare a uno di quei bambini ‘prodigio’, quelli di cui ogni tanto si sente ad esempio dire che a sette anni risolvono complessi problemi di alta matematica o compongono brani di musica eccelsa: un genio infantile, insomma, che però – al di fuori del suo ambito ‘geniale’ – si comporta, gioca e scherza come tutti gli altri ragazzi della sua età.
E Gesù – da giovanetto  – credo dovesse essere tenuto prudentemente d’occhio dai suoi ‘genitori’ perché questi umanamente temevano che il Dio che era in lui avrebbe potuto far balenare magari troppo quei lampi di luce che avrebbero dato adito a interrogativi ed attirato l’attenzione delle Autorità e di Satana prima che giungesse il tempo della maturità di Gesù, come uomo pronto alla missione.
Attenzione di Satana che, come vedremo, sarebbe scattata infatti subito dopo la manifestazione della Voce di Dio al guado del Giordano (dove Giovanni Battista avrebbe ‘battezzato’ Gesù), concretizzandosi nelle famose ‘tentazioni’ sataniche nel deserto.
Tornando a quel viaggio a Gerusalemme, dunque, dovevano essere tutti in comitiva, perché – essendo quelli dei viaggi di pellegrinaggio  -  gli israeliti erano soliti partire in gruppi numerosi dai paesi d’origine.
Probabilmente facevano parte della ‘comitiva’, oltre che gli amici paesani, anche i parenti, come quell’Alfeo, il già citato fratello di Giuseppe, sua moglie Maria d’Alfeo, con i loro figlioli Giacomo e Giuda.
I cugini, nel Vangelo, vengono chiamati - alla moda ebraica - ‘fratelli’.
Il pellegrinaggio per gruppi, che poi si univano sulla strada a quelli di altri paesi, ingrossandosi e componendo una vera e propria ‘carovaniera’, era anche dettato da ragioni di sicurezza.
Si viaggiava insieme per difendersi meglio dai briganti che - nonostante a quell’epoca Roma tenesse ben sgombre almeno le strade consolari non badando tanto al sottile e ai garantismi nel comminare la pena di morte - rappresentavano sempre un pericolo sulle strade meno battute e con viandanti isolati.
Al ritorno, finite le feste pasquali, i ‘gruppi’ si ricomponevano e file lunghissime di gente si snodavano per le strade, assottigliandosi e frammentandosi sempre più man mano che ogni gruppo deviava dalla via principale prendendo la strada secondaria che avrebbe condotto al proprio villaggio.
Era un caravanserraglio di cammelli, cavalli, asini e asinelli, carri e carretti, in mezzo ad un vociare confuso di richiami ed inviti a sbrigarsi, in mezzo a parenti e compaesani che si danno di voce ed a ragazzi per i quali quel viaggio avventuroso si ammantava di mistero e di interesse e che tutto facevano fuorchè starsene con i loro genitori, magari…in fondo alla carovana.
Ecco perché Maria e Giuseppe  si accorgono solo alla fine della giornata che Gesù manca all’appello.
E’ l’ora dell’imbrunire, la carovana si ferma, si sistemano i bivacchi, si accendono i fuochi, è l’ora di mangiare e… Gesù? Dov’è Gesù?
Dov’è Gesù?!
Nessuno lo sa e, a ben pensarci, nessuno l’ha visto, neanche gli amici.
Erano ormai ad una giornata di cammino da Gerusalemme, verso Nord, diciamo una trentina di chilometri, ed era notte. Che fare?
Maria e Giuseppe – torce alla mano - decidono di rientrare a Gerusalemme a passo veloce, fatto che gli avrà consentito di arrivare all’alba.
Essi sapevano bene che nel caso di Gesù potevano entrare in ballo forze spirituali negative come era successo in occasione dell’eccidio ordinato da Erode il quale – convinto ‘umanamente’ di difendere così il suo trono da quell’ipotetico Messia dei Magi -  aveva assecondato una suggestione satanica e aveva ordinato la soppressione, ancorchè sapesse che il Messia doveva essere nato solo da pochi mesi,  di tutti i bambini di Betlemme e dintorni dai due anni di età in giù, tanto per non sbagliare.
Gesù godeva certamente di una protezione ‘angelica’ che creava intorno a lui una ‘barriera’ che confondeva le idee a Satana ma era sempre necessario usare prudenza.
Come già accennato sopra, Satana arriverà ad individuare il famoso ‘Messia’ – che anch’Egli attendeva come gli israeliti, ma non per acclamarlo – solo dopo il Battesimo del Giordano e soprattutto nel deserto quando si accorgerà di non essere riuscito a farlo ‘cadere’ in tentazione, come aveva già fatto con i Primi Due Progenitori.
Se il sanguinario Erode il Grande era ormai morto da parecchi anni, vi era pur sempre Erode Antipa, cioè il figlio, che quando si trattava di ‘tagliar teste’ non scherzava nemmeno lui, come farà poi con Giovanni Battista. E gli erodiani erano un vero e proprio partito politico al potere, rappresentato nel Sinedrio e alleato dei romani, i quali ultimi neppure loro volevano perdere il controllo della regione e sentir parlare di un Messia o di un Re dei re
Ecco il perché dell’affanno di Maria e Giuseppe nel constatare la mancanza di Gesù: non solo responsabilità di genitori, ma responsabilità di tutori umani rispetto al Figlio di Dio che essi avevano avuto in consegna.
Ecco anche perché quel senso di liberazione e di ‘aggressività amorosa’ di Maria, quando – avendo trovato fra i dottori del Tempio l’enfant prodige – prorompe affannata in quel grido-rimprovero: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo?!’
Gesù, in uno di quei suoi sprazzi di Luce che si rivelavano appunto quando il Dio che era in Lui riteneva opportuno in qualche modo rivelarsi,  stava infatti dialogando con i sapienti del Tempio.
E dialogava  veramente ‘da Dio’ se, come racconta Luca, questi grandi dottori si stupivano per la sua intelligenza, per i suoi discorsi e le sue risposte che certamente dovevano riguardare le cose di Dio.
E quel ‘Figlio’ risponde allora ai due genitori: ‘Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre?’.
La visione valtortiana di questo episodio è di potente bellezza, oltre che di estremo interesse.7
Lì al Tempio era iniziata una disputa teologica fra ‘dottori’.
Un gruppo era guidato da Gamaliele, il famoso rabbi che era stato anche maestro di San Paolo, e da un altro rabbi vecchio e quasi cieco che lo appoggiava: Hillel.
Il secondo gruppo era guidato da un certo Sciammai, astioso e intransigente.
Gamaliele sosteneva che in base alla profezia delle ‘settanta settimane’ di Daniele – di cui abbiamo già parlato – il Messia doveva essere già nato.
Sciammai sosteneva il contrario, perché la schiavitù da cui avrebbe dovuto essere liberato Israele era addirittura aumentata e la Pace, che il Principe messianico avrebbe dovuto portare con sé, era ben lontana dall’esserci, particolarmente in Gerusalemme, oppressa dai romani, né tantomeno si vedeva il preannunciato ‘Precursore’.
E’ qui che Gesù interviene, interloquendo con Sciammai e dando ragione a Gamaliele.
La schiavitù di cui parla il Profeta – proclama il Gesù dodicenne con aspetto fiero, con voce limpida e occhi sfavillanti – non è quella dei romani a cui Sciammai allude, ma quella del Male che separa l’uomo da Dio e la regalità del Messia non sarà di tipo umano.
L’uomo verrà liberato dal Messia che sarà però un Condottiero spirituale, Principe della Pace perché stipulerà una alleanza fra terra e Cielo, imprimendo la Paternità celeste nello spirito degli uomini con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore.
‘Pace agli uomini di buona volontà’, ma Israele tuttavia non avrà la Pace perché non avrà buona volontà. Il popolo misconoscerà il Cristo perché lo spera ‘re di umana potenza’.
Il popolo di Israele non lo amerà perché il Cristo, l’Unto, predicherà ciò che a quel popolo non piace.
Il Cristo non debellerà nemici militari ma i ‘nemici dell’anima’ che piegano il cuore dell’uomo a ‘possesso infernale’.
«Israele – dice il giovane Gesù valtortiano – per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto al Re di dolore di cui parla Isaia…».

I presenti ascoltano allibiti:

Sciammai e i suoi accoliti:«Questo nazareno è Satana!  ».
Hillele i suoi: « No. Questo fanciullo è Profeta di Dio.  Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza trasfonderà quanto sa al tuo sapere, e Tu sarai Maestro del popolo di Dio ».
Gesù:«In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele.  Ma la mia ora non è venuta.  A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà la mia ora
Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa. 
Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo. 
Attendetemi nella mia ora.  Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola.  
Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale Io dico: " Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà.  Consumala, perché di compierla lo ardo " ».

E così la Valtorta vede concludersi la visione, con un Gesù dodicenne dal volto infiammato di ardore spirituale e alzato al cielo, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti.


1 Mt, 2, 13-14

2 Lc 2, 39-40

3 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’- Vol. I, Capp. 35 e 36 – C.E.V.

4 M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. I, Capp. 37, 38

5 Lc 2, 41-52

6 G.L. ‘I Vangeli di Matteo…’ – Vol. I, Cap. 10 – Ed. Segno – vedi anche sito internet
  M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. I, Cap. 41 – C.E.V.

7 M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. I – Cap. 41 – C.E.V.
    G.L.: ‘I Vangeli di Matteo…’ – Vol. I, Cap. 10 – Ed. Segno – vedi sito internet