4. LA NASCITA DI GESU’ 

 

4.1 La riconciliazione fra Maria e Giuseppe, il viaggio a Betlemme per il censimento ed il ricovero notturno in una stalla.

Proprio giorni di passione, per entrambi i novelli sposi, quelli del rientro da Gerusalemme a Nazareth.
Noi non sapremo però mai cosa abbia pensato, realmente, Giuseppe.
Sappiamo invece solo – come narra Matteo - che a Nazareth un Angelo finalmente gli parlò, facendogli  un discorso molto chiaro su quella maternità divina che l’Angelo attribuì alla potenza dello Spirito Santo.1
E lui credette all’Angelo, per giunta all’Angelo di un sogno…!
Non so se io - in una situazione del genere e col carattere diffidente e razionalista che mi ritrovo, un poco come Zaccaria nel Tempio quando l’Arcangelo Gabriele gli aveva annunciato la prossima maternità di Elisabetta - avrei creduto ad un Angelo. Ma ad un sogno certamente mai.
Dopo il sogno e la rivelazione notturna dell’Angelo, Giuseppe - che era evidentemente di tutt’altra pasta rispetto a me - si reca da Maria ad implorare perdono per aver pensato male, ed i loro rapporti - che sembravano irrimediabilmente incrinati - si ricompongono come per miracolo.
Maria e Giuseppe cominciano a quel punto a vivere sotto lo stesso tetto come fratello e sorella, legati entrambi al loro voto di castità.
Era tempo di pace entro i confini dell’Impero romano, e fu conseguentemente possibile all’Imperatore emanare un editto con il quale veniva stabilito un censimento di tutte le popolazioni.
Bisognava andarsi a ‘registrare’ nella  città di origine della propria famiglia: nel caso di Giuseppe e Maria, a Betlemme, vicino a Gerusalemme.
Erano passati altri mesi da quel loro drammatico viaggio di ritorno a Nazareth e Maria era ormai più che tondetta perché i giorni della nascita di Gesù stavano per compiersi e certo non era quello il momento più adatto ad un viaggio di oltre cento chilometri, a dorso di somarello.
Ma quelle dovevano essere donne d’altri tempi. Giuseppe - ligio agli ordini dell’Autorità che volevano il censimento ma lontano mille miglia dal pensare che sotto l’ombra del Signore avrebbe potuto viaggiare tranquillo - non sa, con Maria incinta, che pesci pigliare, se partire o non partire.
E’ invece Maria stessa che, risoluta come tutte le vere donne, decide per il sì, sapendo dalle Scritture che il Messia avrebbe dovuto nascere a  Betlemme e che quindi quel viaggio era stato previsto ab-initio da Dio Padre e che nulla di male avrebbe potuto loro succedere.
E partono.
La Valtorta descrive il viaggio e racconta che – proprio a causa del grande movimento per il censimento – non si trovavano più asinelli (il mezzo di locomozione rapida più usato a quei tempi) e Giuseppe e Maria si erano dovuti accontentare di uno solo, democraticamente diviso in due: cioè Maria incinta, con armi e…bagagli, sul ciuco,  e Giuseppe, a terra, conducendolo prudentemente per la briglia.
Anche allora c’erano le locande e quindi vi fecero ‘tappa’ per delle soste notturne.
Ma quando arrivano nei dintorni di Betlemme, che era vicina a Gerusalemme, incontrano un pastore con il suo gregge.
Giuseppe gli chiede un poco di latte caldo per Maria ed il pastore, vedendola incinta, stanca morta ed intirizzita, si affretta a mungere una pecora.
Il pastore fa però loro sapere che nella locanda del paese vi è il ‘tutto esaurito’ per via dei pellegrini giunti per il censimento e consiglia loro di provare eventualmente a trovare un rifugio provvisorio per la notte in una delle stalle addossate ad un crinale di collina non molto lontano.
Alla locanda confermano a Giuseppe il ‘tutto esaurito’.
Giuseppe era un artigiano, e anche di quelli bravi, e certo aveva dei soldi con sé visto che si era messo in viaggio per il censimento.
Quella notte lui e Maria dovettero però accontentarsi di una stalla, facendo di necessità virtù.
I tempi del parto erano prossimi, è vero, ma Giuseppe e Maria non pensavano che Gesù ‘anticipasse’ la sua nascita a quella notte stessa o, forse,  speravano che ‘ritardasse’ ancora di qualche giorno.
Potevano mai pensare che un Figlio di Dio avrebbe voluto nascere in una stalla?
Invece sì, Gesù decide di nascere proprio quella notte, e proprio in quella stalla, o meglio in una specie di locale diroccato, semiscavato nella collina, al cui interno vi è già un bue che volta la testa muggendo appena li vede entrare, un rozzo sedile, due pietre in un angolo presso una feritoia che – annerita com’è – si vede fare da canna fumaria ad un focolare rudimentale. Pavimento in terra battuta, molto fieno in una greppia.
Gesù-Verbo dunque  – nelle visioni della Valtorta – non nacque in una stalla perché la sua famiglia fosse tanto povera da non potersi permettere economicamente una locanda, quanto invece per circostanze pratiche ma con lo scopo ultimo di fare tuttavia capire all’Umanità come Egli – che pur era Dio-Incarnato - per primo avesse accettato una nascita povera e fra i rigori invernali per fare comprendere a noi tutti il valore dell’umiltà.
Giuseppe entra nella stalla, fa posto anche al ciuchino - stanco come un somarello ma dotato di buon appetito di fronte a quel fieno –  e ramazza con delle ramaglie il suolo.
Quindi preleva una bella bracciata di fieno dalla greppia e lo sistema nell’angolo più asciutto e riparato, vicino al bue che se ne sta là tranquillo e forse contento per la compagnia, per farne un giaciglio per Maria.
Un secchio mal ridotto, che forse sarà stato utilizzato dai proprietari per abbeverare il bue, serve per prendere l’acqua nel rio vicino mentre con dei rami secchi raccolti lungo l’argine Giuseppe fa delle fascine con le quali accende dentro un bel fuoco, dopo aver chiuso l’entrata con una coperta stesa a mo’ di tenda per ripararsi dall’aria fredda della notte.
Insomma il presepe è pronto, mentre Maria - che se ne stava buona-buona seduta sullo sgabello sorridendo ogni volta che Giuseppe la guardava - finalmente si può accomodare sul morbido fieno con le spalle appoggiate ad un pezzo di tronco d’albero.
Giuseppe – sempre nella visione valtortiana - mette mano alla bisaccia: pane e formaggio, perché quel giorno il ‘convento’ di più non passa, annaffiando il tutto con acqua fresca di sorgente.
E’ dunque arrivato il momento fatidico della nascità di Gesù.
Nella stalla Giuseppe veglia e, ogni tanto - preso dalla stanchezza del viaggio - si appisola. Maria invece – del tutto assorta – prega: lei, con il pensiero ed i sentimenti, era sempre unita a Dio.
Giuseppe si sforza di non dormire.
Ad un certo punto, mentre un raggio di luna penetra attraverso una apertura del soffitto ed illumina Maria, lei alza il volto e – come rapita da una interiore visione spirituale - sorride trasfigurata mentre intorno a lei – quasi emanasse dalla sua persona – si diffonde un alone di luce sempre più forte.
Vede e scrive M.Valtorta: 2
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«…La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella della luna, pare che Ella attiri in sé quella che le può venire dal Cielo. Ormai è Lei la Depositaria della Luce. Quella che deve dare questa Luce al mondo. E questa beatifica, incontenibile, immisurabile, eterna, divina Luce che sta per esser data, si annuncia con un'alba, una diana, un coro di atomi di luce che crescono, crescono come una marea, che salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si stendono come un velo...
La volta, piena di crepe, di ragnatele, di macerie sporgenti che stanno in bilico per un miracolo di statica, nera, fumosa, repellente, pare la volta di una sala regale.  Ogni pietrone è un blocco di argento, ogni crepa un guizzo di opale, ogni ragnatela un preziosissimo baldacchino contesto di argento e diamanti. 
Un grosso ramarro, in letargo fra due macigni, pare un monile di smeraldo dimenticato là da una regina; e un grappolo di pipistrelli in letargo, una preziosa lumiera d'onice.  Il fieno che pende dalla più alta mangiatoia non è più erba, sono fili e fili di argento puro che tremolano nell'aria con la grazia di una chioma disciolta.
La sottoposta mangiatoia è, nel suo legno scuro, un blocco d'argento brunito. Le pareti sono coperte di un broccato in cui il candore della seta scompare sotto il ricamo perlaceo del rilievo, e il suolo... che è ora il suolo? E' un cristallo acceso da una luce bianca. Le sporgenze paiono rose di luce gettate per omaggio al suolo; e le buche, coppe preziose da cui debbano salire aromi e profumi.
E la luce cresce sempre più. E' insostenibile all'occhio. In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia. 
Un piccolo Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell'incavo di un cuore di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e mostrando la linguetta tremolante contro il roseo palato; che muove la testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre guarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi... là dove un giorno sarà la Ferita.  Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato…»

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Il bue di fronte a quel bagliore muggisce e l’asinello raglia, anche Giuseppe – che pregava con gli occhi chiusi completamente assorto e con le mani a copertura del viso - intravvede fra le dita il bagliore della luce, le apre, alza il viso mentre sente Maria che lo chiama.
Si volta, vede Maria e il bambino nella Luce e rimane come fulminato.
Vorrebbe inginocchiarsi ma Maria lo chiama dolcemente, si alza, si avvicina incontro a lui e, davanti ad un Giuseppe caduto in ginocchio, alzando le braccia al cielo, Maria offre solennemente il bambino a Dio Padre.

 

4.2 La nascita di Gesù… raccontata anche da Gesù stesso. 

Per la Dottrina cristiana la Vergine rimase tale prima, durante e dopo il parto.
Il prima del parto e il dopo il parto ora lo possiamo comprendere alla luce del voto fatto da entrambi gli sposi con l’offerta della loro castità coniugale a Dio, amandosi come Angeli, per accelerare la venuta del Messia.
Ma il ‘durante’? Nei testi da me letti non mi è mai capitato di trovare una spiegazione sul ‘durante’. Né tantomeno di sentirlo spiegato da sacerdoti, forse perché imbarazzante per noi ‘moderni’, razionalisti e anche… cinici.
Se un figlio deve nascere – e Gesù-uomo era un essere umano in tutto e per tutto – non può che nascere nel modo che tutti sappiamo, no? Quale ‘verginità’ allora, quanto al ‘durante’?
Vale quindi la pena di attirare l’attenzione su un punto della visione della mistica, dove si dice:

«… E la luce cresce sempre più.  E' insostenibile all'occhio.  In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia…». 

Dalla visione – non so se lo avete notato - emerge un fatto straordinario ma che tutto sommato non lo è poi tanto per chi – da cristiano credente – creda nella Resurrezione di Gesù.
Narrano i Vangeli che Gesù, la sera del giorno della Resurrezione, apparve all’improvviso davanti agli apostoli sbucando e materializzandosi dal nulla nel Cenacolo, ‘a porte chiuse’.3
Grazie alla sua natura divina compì dunque nel Cenacolo un ‘miracolo’ inspiegabile alla luce delle leggi della fisica che noi conosciamo, come un miracolo fu pure quello della Trasfigurazione sul monte Tabor, per non  parlare della sua Ascensione al Cielo.
Il Verbo-Gesù compì dunque nella notte della sua nascita un miracolo simile a quello del Cenacolo attraversando le ‘pareti’ del grembo di Maria e ‘materializzandosi’ all’esterno fra le sue braccia.
In Genesi - nel momento della condanna del serpente e dei due progenitori - Dio aveva detto ad Eva: ‘Moltiplicherò le doglie delle tue gravidanze… partorirai i figli nel dolore…’.4
Mentre Eva - creata immacolata in un mondo perfetto - aveva peccato contro Dio, Maria si era invece mantenuta immacolata in un mondo di peccato.
Era dunque giusto che Maria - anche come Madre del Figlio di Dio - rimanesse indenne dalle doglie dolorose ed umilianti del parto, come non sarebbe stato confacente alla dignità di un Dio nascere secondo le modalità dell’Umanità decaduta.

Nei Vangeli i vari racconti si snodano tra una festa religiosa e l’altra, tanto che a volte se ne perde il conto, come quello del numero delle ‘Pasque’ dei tre anni di vita pubblica di Gesù.
La Pasqua ebraica cadeva nel plenilunio di nisan, fra marzo e aprile, seguita un mese dopo dalla ‘Pasqua supplementare’ per quelli che non avevano potuto celebrare la prima.
Quindi, cinquanta giorni dopo la Pasqua, vi era la Pentecoste.
Poi in autunno, alla fine dei raccolti, vi era la Festa dei Tabernacoli, detta anche Festa delle capanne.
Infine il 25 di casleu, e cioè a novembre/dicembre, le Encenie, detta anche Festa della Purificazione o della Dedicazione del Tempio. Ma, come se non fossero bastati tre nomi, quest’ultima ricorrenza veniva chiamata anche Festa delle Luci.
Ma a proposito proprio della Festa delle Luci e della nascita di Gesù…, in un’altra5 delle visioni di Maria Valtorta è un Gesù trentunenne quello che, alla fine del primo anno della sua missione pubblica, racconta di quella notte in cui  Egli –Verbo Incarnato – si rivedeva infante in quella stalla.
Vale la pena fare un 'flash' in avanti nel tempo e parlarne.
Gesù e gli apostoli avevano predicato per molti mesi ed erano giunti appunto alla fine dell’anno ebraico, che corrispondeva al mese di casleu (come già detto sopra: il periodo dei nostri novembre/dicembre), quello in cui cadeva la Festa delle Luci.
Il gruppo apostolico - anche per i rigori invernali che rendevano più difficile e malagevole lo spostarsi a piedi -  si apprestava a chiudere la propria attività per un certo tempo.
Ognuno sarebbe rientrato fra breve in famiglia per quello che oggi chiameremmo un periodo di ‘ferie’.
Ma prima si ritrovano tutti a Betania, nella casa di Lazzaro, ammiratore di Gesù. Lazzaro, che conosceva Gesù di fama, non era all’inizio un vero e proprio discepolo ma era già protettore e munifico benefattore del Gruppo apostolico. Egli aveva conosciuto Gesù attraverso Simone lo Zelote che possedeva una casa a Betania vicino alla proprietà di Lazzaro.
Lazzaro era fratello di Marta e Maria, e questa Maria altro non è che Maria ‘Maddalena’ o Maria ‘di Magdala’, così anche chiamata perché possedeva una villa a Magdala in prossimità del Lago di Tiberiade, a quell’epoca famosa e lussuosa località di villeggiatura per benestanti ebrei, commercianti greci e romani, nonché alti funzionari di Roma.
Marta era una santa donna ma Maria Maddalena, giovane e bellissima, era una dissoluta: era lo scandalo della famiglia, la spina nel cuore di Lazzaro.
Lazzaro e Marta avevano implorato Gesù di ‘miracolare’ Maria, cioè di portarla alla conversione, e Gesù aveva accettato dicendo che lo avrebbe fatto a suo tempo.
La parabola della ‘pecorella smarrita’ – che Gesù avrebbe raccontato un anno dopo, avendo notato la Maddalena nascosta in mezzo alla folla per ascoltare non vista i suoi discorsi – Gesù la inventò su due piedi tutta per lei.
La parabola era commovente, Lei intuì nel suo cuore che Gesù l’aveva detta per lei, ne fu sconvolta e questo fu l’episodio determinante della sua conversione, poiché lei ormai da qualche tempo – ascoltando di tanto in tanto Gesù con aria di noncuranza – aveva cominciato segretamente a macerarsi l’anima in un rimorso sempre più cocente.
Questa parabola – non nel resoconto scheletrico dei vangeli – ma nella travolgente e dolcissima eloquenza di Gesù nell’Opera di Maria Valtorta - è una delle più poetiche, vibranti e commoventi.6
Lazzaro era ricchissimo, praticamente ‘padrone’ della cittadina di Betania i cui abitanti lavoravano in buona parte nelle sue terre, riconoscenti nei confronti di un padrone buono e generoso. Aveva anche un palazzo a Gerusalemme, varie proprietà agricole nei dintorni, in Palestina e fuori Palestina.
Anche politicamente Lazzaro era una ‘personalità’ in Israele, perché - oltre che considerato per le sue ricchezze e stimato dagli ebrei per la sua onestà - era apprezzato ed era influente presso le Autorità romane per via di importanti servigi che  suo padre molti anni prima aveva reso a Roma.
Nella Festa delle Luci, numerose fiaccole - accese all’interno della sua casa di campagna - riverberavano i loro riflessi anche fuori nel giardino, dove Gesù passeggiava nella penombra  assorto nei suoi pensieri.
Chissà a cosa pensava…, forse al fatto che quel giorno, lì a Betania, ricorreva l’anniversario di una analoga Festa delle Luci di trentuno anni prima, quando lui, a Betlemme, era nato.
L’apostolo Simone, detto lo Zelote, lo raggiunge per avvisarlo che il padrone di casa ha chiesto di Lui, perché tutto è pronto in tavola.
I due, Lazzaro e Gesù, non si conoscono ancora del tutto bene e Lazzaro vorrebbe conoscerlo meglio. Lo stuzzica e gli dice che certi ‘amici’ di Gesù gli hanno appena raccontato che Lui, Gesù, ebbe a nascere in un periodo analogo di una lontana Encenie mentre tutta Betlemme ardeva di fiaccole.
Gesù aveva due nature: umana e divina.
Egli – in quanto Dio - era Onnisciente, e tutto capiva e vedeva, quando per le esigenze della sua missione di Redentore si manifestava in lui la sua natura divina.
Nelle condizioni di ‘normalità’, nel vivere comune, era invece la sua natura umana quella che si manifestava, senza Onniscienza, salvo il dono in misura perfetta della ‘introspezione dei cuori’, vale a dire la capacità di saper leggere pienamente nel ‘cuore’ delle persone.
Questo dono gli era però conferito non dall’essere Egli il Verbo incarnato ma dall’essere nato privo di Macchia di origine, come lo era stato Adamo prima del Peccato, e quindi con i doni di scienza, intelletto ecc. conferiti da Dio ai due Progenitori nella pienezza della loro Grazia.
Gesù mostra qui dunque di non sapere chi siano questi amici e lo chiede a Lazzaro perché – dice Gesù - lì non ha altri amici al di fuori dei discepoli, che sono presenti insieme ad altri suoi cari amici di Betania. Ha però per amici anche i pastori di quella lontana notte di Betlemme. Sono forse venuti lì anche essi?
Si fanno a quel punto avanti proprio i pastori che – dopo l’inizio della attività pubblica di Gesù manifestatosi quale Messia – lo hanno rivisto adulto dopo tanti anni e si sono fatti suoi discepoli.
Gesù rimane stupito nel vederli, esclamando allora di avere capito perché, con una scusa, tutti avessero fatto in modo di farlo uscire fuori in giardino: per chiamarlo dopo e fargli una sorpresa!
Si siedono tutti a tavola ed è inevitabile che ad un certo punto i pastori - all’inizio imbarazzati in un ambiente tanto elegante, per di più di fronte a Lazzaro e soprattutto di fronte a Gesù – prendono coraggio e cominciano a raccontare la loro versione di quella notte di Betlemme, quando alcuni di loro erano ancora molto giovani e taluno anche bambino.
Quella notte i pastori, dopo aver incontrato qualche ora prima Giuseppe e Maria che chiedevano informazioni sull’alloggio, si erano poi avvicinati in silenzio alla stalla-grotta e – sbirciando da un lato della coperta che Giuseppe aveva messo a chiusura dell’ingresso a protezione dal vento e dal freddo - essi avevano veduto per la prima volta Gesù neonato.
A questo punto Pietro protesta, dicendo che non è giusto che gli altri ‘sappiano’ mentre gli apostoli – a parte il giovane Giovanni che gli apostoli sanno essere il detentore di tanti segreti di Gesù, ma che Pietro dice che se ne sta ben zitto – non sanno niente, per di più dopo un anno di viaggi di evangelizzazione fatti insieme.
Gli altri apostoli si associano alle ‘proteste’ di Pietro e – a cominciare da Bartolomeo, che ricorda sorridendo a Gesù di averGli detto una volta che ‘da Nazareth non poteva venire niente di buono’ – gli chiedono di parlar loro di quell’importante avvenimento della sua vita.
Gesù accondiscende, accettando di parlare di quella notte e anche di ciò che i pastori non sanno.
Narra dunque Gesù che – avvicinatosi il tempo che Dio aveva considerato giusto per donare all’Umanità la Redenzione (e cioè la possibilità di aprire i Cieli agli uomini di buona volontà)  - Dio si preparò la sua ‘vergine’. Il Verbo divino, infatti, facendosi Carne, non avrebbe potuto abitare in un corpo in cui Satana - attraverso il Peccato originale e le sue conseguenze - avesse messo il proprio ‘sigillo’.
Dio operò dunque perché Maria, nel seno materno di Anna, fosse preservata dalla ‘Macchia’.
 L’anima di Maria – deduco io – venne opportunamente preservata in anticipo, come fosse stata in qualche misterioso modo ‘immunizzata’ dalla ‘malattia’, ed a quel punto venne infusa da Dio nell’embrione concepito dai suoi genitori.
Maria – dice Gesù - fu dunque ‘Vergine’ prima del concepimento, tale rimase nel seno della madre Anna, vergine fu nei primi passi, vergine quando confermò questo desiderio davanti al Gran Sacerdote e vergine anche dopo quando Giuseppe, scelto come marito da Dio, accettò volentieri di rispettare quel suo desiderio di castità che a dire il vero apparteneva anche a Giuseppe. Vergine insomma sempre.
Pietro, uomo fatto, sposato e smaliziato, ascolta con attenzione - rimuginando fra sé su quella maternità di Maria senza che Giuseppe l’avesse fisicamente sfiorata – e chiede allora a Gesù come avesse reagito Giuseppe a Nazareth nel saperla incinta.
Gesù risponde che Dio aveva fatto capire a Maria di tenere il segreto di quel concepimento spirituale.
Giuseppe, pertanto, non si rese conto del fatto se non quando – tre mesi dopo la partenza di Maria da Nazareth  - egli arrivò a Gerusalemme da Zaccaria per riprendersi la sposa.
Pietro, stupito, chiede ancora come avesse reagito a quella scoperta, perché se al suo posto ci fosse stato lui…
 Gesù gli spiega che Giuseppe era in realtà quello che oggi chiameremmo un santo, perché Dio sapeva chi scegliere e a chi affidare i suoi doni, ma che - dopo quella dura prova - in Giuseppe subentrò la gioia
Pietro rimugina ancora fra sé le parole di Gesù ma poi non ne può più e a mezza bocca esclama: «Se ero io…, non succedeva, perché prima avrei…, Oh! Signore, come è stato bene che non fossi io! L’avrei spezzata come uno stelo senza darle il tempo di parlare. E dopo, se assassino non fossi stato, avrei avuto paura di Lei… La paura di tutto Israele, da secoli, per il Tabernacolo…».
Pietro, evidentemente, non era ancora santo come Giuseppe. Era un uomo vigoroso ed impetuoso con una forte attitudine al comando, generoso e… anche ‘manesco’, come avrebbe dimostrato due anni dopo, nella notte del Getsemani sul monte degli Ulivi, staccando con un fendente di spada un orecchio ad uno dei soldati dei sacerdoti del Tempio che erano venuti a catturare il suo Maestro.
Egli diventerà santo dopo, macerato dal pentimento e dal rimorso per aver tre volte rinnegato Gesù la notte della cattura e soprattutto dopo la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli nel Cenacolo.
Anche i pastori intervengono con i loro ricordi, rammentando il loro dolore dopo che seppero della fuga notturna da Betlemme della Sacra Famiglia senza più essere riusciti ad avere alcuna notizia per tutti gli anni successivi.
Persino il sacerdote Zaccaria – dicono i pastori – aveva detto di non sapere dove fossero fuggiti.
Gesù spiega loro che il segreto sulla piena manifestazione  del Messia avrebbe dovuto essere mantenuto per prudenza fino al giorno opportuno.
E anche quando – morto Erode il Grande – essi tornarono dall’Egitto, evitarono sempre per prudenza di far tappa sia ad Ebron che a Betlemme ma andarono a Nazareth in Galilea, costeggiando il mare. Questa prudenza estrema sulla identità del Messia – continua Gesù - spiega anche l’affanno di Maria dopo il suo smarrimento a Gerusalemme, dodicenne, e nel momento in cui finalmente ella lo ritrovò fra i dottori del Tempio.
Gesù conclude rammentando di essere il Perfetto, in quanto Figlio del Padre, e di essersi perciò sempre regolato con perfezione per conservare al Padre il Salvatore. E così Egli ha fatto fino all’anno prima, quando – all’inizio della sua Missione – Egli aveva deciso che poteva e doveva ormai rivelarsi al mondo.
Alla domanda se non avesse mai più visto Giovanni Battista da allora, Gesù risponde che il ‘suo’ Giovanni lo vide solo al Giordano, al momento in cui volle da lui il Battesimo.
In realtà nell’Opera della nostra mistica il racconto di Gesù ed i dialoghi dei presenti sono molto più ampi di quanto abbia qui sintetizzato io con parole mie, limitatandomi all’essenziale. Pietro vorrebbe potersi ricordare tutto. Ma – e questa è una frase di cui lascio a voi comprendere la portata – gli risponde tranquillizzandolo Matteo, dicendogli: «Sta’ buono, Simone. Domani mi faccio ripetere tutto dai pastori. Con pace. Nel frutteto. Una, due, tre volte se occorre. Io ho buona memoria, esercitata al mio banco, e ricorderò per tutti. Quando vorrai ti saprò ripetere tutto. Non tenevo neppure le note a Cafarnao, eppure…».
Avete capito, ora, perché il Vangelo di Matteo è molto più dettagliato in tanti punti, come ad esempio nel ‘Discorso della montagna’, del Vangelo di Marco?
Marco non solo non era stato apostolo e quindi nemmeno testimone oculare dei fatti ma aveva dovuto scriverli sulla base della suddetta ‘relativa’ memoria di Pietro…
Matteo fu il primo – si apprende dall’Opera valtortiana – a scrivere il suo Vangelo, anche se dopo una quindicina di anni dall’Ascensione di Gesù.
Egli era tuttavia molto intelligente e - da buon ‘pubblicano’ - quando ancora se ne stava seduto al suo banco di Cafarnao dove incassava le gabelle, aveva imparato ad esercitare la memoria, al punto da non aver neanche più bisogno di consultare le ‘note’, cioé i registri contabili. Egli sapeva tutto a mente fino all’ultimo 'soldo': chi doveva pagare e quanto dovesse pagare!7

 


1 Mt 1, 18-21

2 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 29 - Centro Editoriale Valtortiano.
Inoltre dell’autore “I Vangeli di Matteo, Marco Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 5 – Ed. Segno 2001 (Vedi anche sito internet autore: Sez. Opere

3 Gv 20, 19

4 Gn 3, 16

5 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I – Cap. 136 – C.E.V.
    G.L.: ‘I Vangeli di Matteo…’, Vol. II, Cap. 6 – Vedi sito internet citato

6 M.V. ‘L’Evangelo…’, Vol. IV, Cap. 233 – C.E.V.
  G.L.: “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. I, Cap. 10 – Ed.    Segno – Vedi anche sito internet dell’autore, Sez. Opere

7 Nota: in merito alle datazioni, alla storicità ed ai differenti stili dei quattro Vangeli, vedere  dell’autore “ I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni’, Vol. I, Cap. 1: I Vangeli mito o storia? -  Ed. Segno, 2001.
Oppure vedi il sito internet dell’autore.