CAP. 16

LE RAGIONI DEL CARDINALE… E QUELLE DEL SEGRETARIO DI STATO

 

16.1 Parallelismo fra la Chiesa preconciliare del Cinquecento e quella postconciliare del Novecento 

Nel capitolo precedente abbiamo detto che l’era di pace sarebbe stata preceduta da una prova cruenta che avrebbe toccato a fondo la Cristianità punendola per la sua Apostasia.
Potrebbe sembrare una osservazione da ‘profeti di sventura’, ma quella delle prove temporali alle quali il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe sottoponeva il popolo ‘eletto’ a causa del suo abbandono è stata non solo una costante dell’Antico Testamento, ma ha segnato in maniera del tutto drammatica anche il Nuovo.
E’ ben dai costumi mondani, dalla corruzione e simonìa della Chiesa del Cinquecento che essa ebbe poi a subire il suo primo grande crollo di tipo ‘apocalittico’ che diede origine allo scisma protestante con tutte le conseguenze religiose e politiche che alla chiesa e ai Papi sono derivate nei secoli successivi.
Basta prendere in mano un libro di storia per constatare lo stato di degrado raggiunto dalla Chiesa fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.
Il ricordo della dinastia papale catalana dei vari Borgia è ormai nella memoria collettiva di chiunque.
Privi di scrupoli, ottennero pontificati con astute manovre politiche, fecero ricorso frequente alla corruzione, diedero vita a figli illegittimi e altro ancora.
Poi venne Giovanni de’ Medici (figlio di Lorenzo de’ Medici).
Fatto cardinale a 13 anni e poi Papa a 38 anni con il nome di Leone X (dal 1513 al 1521), fu abile politico ma sfrenato mecenate. Il lusso della sua corte e la vendita delle Indulgenze ebbero come conseguenza non solo la reazione di Martin Lutero che sfociò nel Protestantesimo ma anche le guerre di religione e infine le divisioni politiche dell’Europa che – nel clima illuministico nato in ambiente protestante – avrebbero portato alla rivoluzione francese, alle varie guerre europee ed alle ideologie positiviste, materialiste, atee e laiciste avverse al Papato ed al Cattolicesimo.
Il successivo Papa Adriano VI (dal 1522 al 1523), uomo austero e di rigidi costumi, trovò nella Roma rinascimentale un ambiente antitetico al suo modo di pensare, tanto da diventare oggetto di scherno da parte di cortigiani e letterati.
Si impegnò per attuare una severa riforma della Chiesa, circondandosi di uomini stimati e capaci, e tentò invano di contrastare il dilagare del protestantesimo in Germania. Nel 1522, alla dieta di Norimberga, invitò gli Stati Generali dell’Impero a osservare il concordato di Worms.
Ma è proprio a proposito della Dieta di Norimberga e di Adriano VI, ultimo papa straniero prima di Giovanni Paolo II, che il nostro Socci1 fa un parallelo fra quanto accaduto nel Cinquecento e quanto successo a livello mondiale nel Novecento dopo il mancato ascolto da parte dei Papi delle richieste della Madonna a Fatima.
Socci racconta che era scoppiata la ‘bomba’ dello scisma ‘protestante’ e Papa Adriano VI, rivolgendosi ai delegati della Dieta imperiale, riunita a Norimberga, disse (i grassetti sono i miei):

«Noi riconosciamo liberamente che Dio ha permesso questa persecuzione della Chiesa a causa dei peccati degli uomini e particolarmente dei sacerdoti e dei prelati. La mano di Dio, infatti, non si è ritirata, egli potrebbe salvarci, ma il peccato ci separa da Lui e gli impedisce di ascoltarci. Tutta la Sacra Scrittura ci insegna che gli errori del popolo hanno la loro sorgente negli errori del Clero… Sappiamo che, da molti anni, anche nella Santa Sede sono stati commessi molti abomini: traffico di cose sacre, trasgressione dei comandamenti in tale misura che tutto si è trasformato in scandalo. Non ci si può meravigliare cha la malattia sia scesa dalla testa alle membra, dai papi ai prelati. Noi tutti, prelati ed ecclesiastici, ci siamo sviati dalla via della giustizia. Da molto tempo più nessuno fa il bene. Per questo tutti noi dobbiamo onorare Dio e umiliarci di fronte a Lui. Ciascuno di noi deve esaminarsi molto più severamente di quanto non lo sarà da Dio nel giorno della sua ira. Noi ci consideriamo tanto più impegnati a farlo perché il mondo intero ha sete di riforma».

Socci commenta che il suo pontificato durò solo due anni e che gli eventi successivi confermarono la sua diagnosi. Roma venne devastata nel 1527 da ventimila mercenari di Carlo V: saccheggi, assassini, incendi, distruzioni.
Scoppiarono le guerre di religione mentre lo scisma luterano ed altri scismi inflissero al Cristianesimo la più grave ferita della sua storia mettendo metà della Cristianità contro Roma fino ancora al giorno d’oggi.
Socci sembra dunque fare un parallelismo – quanto alle conseguenze sul piano storico e religioso – fra quei fatti storici del Cinquecento, che precedettero il Concilio di Trento che dette nuovo impulso spirituale alla Chiesa cattolica, e quelli storici del Novecento successivi a Fatima.
Il suo parallelismo potrebbe non essere infondato benché a mio avviso - dopo il Concilio Vaticano II dei primi anni sessanta - l’Apostasia, cioè l’abbandono della Fede autentica in tanti membri della Chiesa e fra gli stessi cristiani, fa pensare ad un futuro ancora peggiore che non si è ancora realizzato.
I movimenti eretici protestanti derivati dallo scandalo di quella Chiesa del Cinquecento sono infatti meno gravi della situazione di Apostasia scaturita nella Chiesa universale degli ultimi quaranta anni.
L’eresia è un errore, ma è un errore di chi pur mantiene in linea di massima una Fede.
L’Apostasia è invece la perdita completa della Fede, e le conseguenze per la Chiesa e la Cristianità potrebbero dunque essere molto più gravi e tali veramente da giustificare le ‘tribolazioni’ e l’epoca dell’Anticristo.

 

16.2 Gandhi: «Chi pensa che la religione non debba aver nulla a che fare con la politica non ha capito nulla né della religione né della politica»

Vorrei tanto parlarvi ancora dell’Apocalisse ma avendone già scritto vari anni fa un libro sia pur di taglio diverso2, finirei per ripetermi e andare inoltre fuori tema.
Questo mio lavoro – che all’inizio speravo francamente di dimensioni più contenute – si proponeva solo lo scopo di fornire una facile chiave di lettura al Libro dell’Apocalisse, così poco conosciuto, ma soprattutto alla tematica dell’Anticristo.
Sia ben chiaro che sarebbe presuntuoso ed incauto da parte mia pretendere di saper interpretare umanamente con certezza la realtà simbolica di quest’opera profetica, per non parlare poi dei tempi di avveramento.
Dietro allo stesso simbolo si potrebbe infatti nascondere più di un significato  - come in molte profezie dell’Antico Testamento -  perché quella di Dio è Pienezza della Parola e noi uomini non ne possiamo comprendere che quella parte che Egli di volta in volta ritiene opportuno farci comprendere.3
Sono molti i libri scritti su questo tema. Si deve pensare che l’argomento deve essere considerato veramente attuale se esso oggi è trattato in film fantascientifici che adombrano lo scontro anticristiano di Armagheddon fra forze del Bene e forze del Male, in libri a sfondo politico, in romanzi  di vario genere, opere che però ben poco hanno a vedere con la vera Apocalisse.
Anche quando l’argomento è trattato da dei religiosi si ha l’impressione che talvolta certe tematiche vengano prese prudentemente alla larga – non solo perché un religioso, vincolato alla disciplina e alle superiori gerarchie, non potrebbe sbilanciarsi troppo – ma perché certi approfondimenti potrebbero risultare imbarazzanti: lo si è visto ad esempio con le resistenze, ritardo e reticenze nella divulgazione del terzo segreto di Fatima.
Nel clima razionalistico oggi imperante dove fior di teologi -  i cui libri sono adottati come testi in importanti università cristiane – considerano simbolica e non storica la Resurrezione di quel Gesù di cui San Paolo diceva che senza di essa vana sarebbe la nostra fede, mi sembra francamente difficile  che molti teologi riescano a trattare a dovere un argomento quale quello dell’Apocalisse che da quegli stessi teologi verrebbe certamente considerato non un’opera profetica di visioni ma solo l’opera apologetica di un visionario: San Giovanni!
Avevo già detto che a seguito delle celebri apparizioni della Madonna a La Salette, una parte delle sue rivelazioni ai due giovinetti Melania e Stefanino destò all’epoca perplessità e ‘scandalo’, oltre che imbarazzo, perché Ella aveva loro adombrato un Anticristo futuro che sarebbe sorto all’interno della Chiesa di Roma la quale avrebbe perso la fede.
Peraltro sono in molti a ritenere che le rivelazioni di Fatima del 1917 siano una continuazione di quelle di La Salette del 1846 e che quelle della Madonna a Medjugorie nel 1981 - con i famosi dieci segreti dati ai veggenti perché vengano da essi rivelati al momento giusto (e anche questo lascia supporre che i tempi non siano ormai tanto lontani) - siano a loro volta un completamento delle rivelazioni di Fatima.
Quale sarà dunque il destino della Chiesa e della comunità dei credenti?
Mi cade sotto l’occhio un articolo scritto da Ernesto Galli della Loggia4, pubblicato dal ‘Corriere della sera’.5
E’ dedicato al recente avvicendamento al vertice della Conferenza Episcopale Italiana dove il Cardinale Camillo Ruini, Presidente,  ‘lascia’ l’incarico per raggiunti limiti di età.
Leggiamolo insieme, sapendo che come al solito le sottolineature in grassetto sono le mie:

‘LE RAGIONI DEL CARDINALE)
(Gli anni della Cei di Camillo Ruini)

«Meglio criticati che irrilevanti»: rimarrà di sicuro racchiuso in queste parole il senso profondo della presidenza della Cei tenuta per 15 anni dal cardinale Camillo Ruini. Parole che hanno innanzitutto la consapevolezza di rappresentare un’identità – quella cristiano-cattolica – posta dai tempi nella condizione di una difficile identità di frontiera; e poi, ancora, l’impegno a proporre in modo reciso, senza la vaghezza di tanta prosa o oratoria clericali, un punto di vista forte sul Paese e sul mondo; e che hanno voluto dire infine non esitare a differenziarsi dall’opinione dominante sia tra i laici sia tra quegli intellettuali cattolici accreditati solo perché immancabilmente pronti a seguire nella sostanza i dettami dei primi.
E’ accaduto così che la Chiesa di Roma abbia acquistato di nuovo, sulla scena pubblica italiana, un rilievo di cui nessuno più la riteneva capace.
Incontrandosi con la politica e spesso rischiando inevitabilmente di mischiarsi con essa, come tanti critici hanno rimproverato a Ruini?
Certamente sì! Ma quale altro è mai stato, da sempre, il destino della Cristianità, nata al mondo dovendosela vedere con quell’amalgama supremo di statualità e di politica che fu l’impero dei Cesari?
E cos’altro facevano se non altro politica  (ma «anche»: non cercavano certo un posto di ministro o qualche prebenda) Ambrogio quando metteva sotto accusa Teodosio, o Agostino quando cercava di attutire la reazione pagana spiegando l’inevitabilità della caduta di Roma sotto l’impero di Alarico, o Caterina quando richiamava il Papa da Avignone?
«Chi pensa che la religione non debba aver nulla a che fare con la politica non ha capito nulla né della religione né della politica», ha detto una volta Gandhi: e sapeva quel che diceva.
Ma solo il più radicale pregiudizio può condurre a negare che dietro l’impegno di Camillo Ruini ci sia stata, sì, una preoccupazione di ordine politico, ma ben oltre, e soprattutto ben al di sopra, una sollecitazione religiosa e specialmente di ordine culturale, naturalmente declinata secondo la prospettiva cattolica.
Ruini giunse alla presidenza della Cei nel 1993, nel momento della fine della DC ma, ben più importante, nel momento in cui, crollato il muro di Berlino, la sinistra italiana e lo schieramento progressista stavano dando l’addio al marxismo e al suo mito classista per convertirsi repentinamente ad un individualismo libertario sempre più volto a modelli di vita fruitori e a orizzonti ideologici dominati dalla ragione strumentale dello scientismo.
Egli capì che rispetto alla conciliazione con la modernità ideologico-politica avviata dal Vaticano II si apriva così una pagina del tutto nuova, perché del tutto nuova era la inedita e incipiente modernità della obliterazione e della manipolazione della natura.
Capì, ancora, che questo dato significava il passaggio a un universo non più anticristiano, come era stato per tanta parte l’8-900, ma radicalmente post-cristiano: minacciosissimo non solo per la Chiesa  ma per l’intera dimensione umanitaria della tradizione culturale occidentale. La quale, come nei secoli più bui, forse ancora una volta alla Chiesa di Roma  sarebbe tornata a guardare.
E proprio questo è ciò che sta accadendo, mentre Camillo Ruini lascia la sua carica, consapevole di aver combattuto «la buona battaglia».

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Ernesto Galli della Loggia sembra qui avvertire con chiarezza l’avvenuto passaggio da un mondo anticristiano ad uno addirittura peggiore, quello ‘post-cristiano’ che definisce ‘minacciosissimo non solo per la Chiesa ma per l’intera dimensione umanitaria della tradizione culturale occidentale’.
Egli – nella parte conclusiva - pare comunque vagheggiare un mondo della cultura occidentale che nella generale caduta dei valori tornerà ancora una volta a guardare alla Chiesa di Roma come nei secoli più bui.
Può darsi che Galli della Loggia sia ‘profetico’ – termine che a dire il vero è oggi un poco abusato – e che in futuro succeda così, con l’attuazione piena in terra del Regno di Dio dell’Apocalisse.
Non mi sfugge però, dando un’occhiata ora alle pagine interne del medesimo giornale, un altro articolo del vaticanista Luigi Accattoli che commenta a tutta pagina l’avvicendamento del Cardinal Ruini sostituito dall’Arcivescovo Angelo Bagnasco, presentato come successore molto apprezzato e gradito sia dal Cardinal Ruini che da Papa Benedetto XVI.
Dal contesto – prudente come tutti gli articoli dei vaticanisti che ‘vorrebbero dire’ ma ‘non possono’ e tuttavia non vogliono rinunciare a far capire certe cose almeno fra le righe – pare di comprendere che la sostituzione di un personaggio ‘pesante’ come il Cardinal Ruini con quella di un vescovo (carica di grado inferiore anche se di tutto rispetto sul piano umano, intellettuale e pastorale) rappresenti una vittoria del Segreteria di Stato la quale in tal modo potrebbe esercitare sulla importante Conferenza Episcopale Italiana un controllo ‘politico’ più stretto.
Controllo operativamente reso più agevole dal fatto che il futuro Presidente CEI svolgerebbe il suo compito solo ‘part-time’ dovendo contestualmente mantenere – così si legge – la residenza e tutti gli impegni nella propria Diocesi di Genova limitando la sua presenza fisica a Roma ad un giorno alla settimana.
Di fatto – in relazione al ruolo che dovrebbe assumere in futuro la CEI - parrebbe essere in atto uno scontro fra i cosiddetti progressisti e tradizionalisti, dove al di là delle etichette, sempre superficiali, si intravede uno scontro fra tradizione e modernità, per non dire modernismo.
La partita – con risvolti anche politici - si giocherebbe innanzitutto all’interno della Chiesa, dove su temi importanti (come difesa dell’istituto famigliare del matrimonio, convivenze di fatto, coppie gay che aspirano al ‘matrimonio’ e alle adozioni, interruzioni di maternità, eutanasia e diritto alla vita, bio-genetica ed altro ancora) taluni alti dignitari hanno visioni differenti ed hanno anzi preso apertamente posizione sulla stampa contro le linee guida della ‘precedente’ CEI e dello stesso Papa Benedetto XVI.
Perché è importante quanto succede in Italia, dal punto di vista del Cattolicesimo?
Roma ne è la sede, e l’Italia è la nazione che ‘ospita’ il Vaticano.
Se la Chiesa – quella tradizionalmente ‘autentica’ - perde la sua battaglia a Roma e in Italia, essa la perderà nel mondo intero, perché è poco verosimile pensare che gli altri Episcopati già in difficoltà e in crisi di identità nelle altre nazioni anche più ostili riescano là dove lo stesso Vaticano, in casa ‘propria’, con tutte le sue risorse e personalità quali quella dello stesso Papa, dovesse fallire.
Se io fossi uno stratega ‘nemico’ è proprio a Roma, mirando al cuore, che deciderei dunque di condurre la battaglia di Armagheddon contro la Chiesa.

‘Seguirà la rotta di Ruini ma con meno poteri. Così cambiano gli equilibri’.
Ruolo più incisivo per la Segreteria di Stato 

Così recita infatti il titolo dell’articolo in questione, la cui sintesi - sia pur non chiaramente espressa - parrebbe quasi essere quella di una pietra tombale messa con arte ‘diplomatica’ degna di una ‘Segreteria di Stato’ sull’epoca battagliera del Cardinale Camillo Ruini, faro ‘romano’, in difesa dei più autentici valori cristiani, anche per molte Conferenze episcopali del resto della Cristianità nelle acque burrascose di questi tempi così tenebrosi.


1 Antonio Socci: ‘Il quarto segreto di Fatima’ – pag. 222/223 – Rizzoli, 2006

2 G.Landolina: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ (ovvero La rivelazione del Dio nascosto – Apocalisse e Nuovi Tempi) – Vol. II – Ed. Segno 2001, esaurita – Vedi Edizione on line riveduta e corretta dell’autore nel suo sito internet
https://www.ilcatecumeno.net , scaricabile gratuitamente

3 G.Landolina: opera sopra citata, Cap. 7: ‘Bibbia: doppia lettura, parallelismi, figure’

4 nato a Roma nel 1942, laureato in scienze politiche con tesi in storia moderna, ha ricoperto varie cattedre universitarie, autore di numerosi articoli, saggi e libri, editorialista, professore ordinario di ruolo per il settore scientifico-disciplinare M-STO/04 Storia contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, della quale è anche Preside

5 Editoriale di prima pagina sul ‘Corriere della Sera’ dell’8 marzo 2007.