Allegato  I

LE ESPERIENZE DI MICHELSON SULLA VELOCITA' DELLA LUCE.

Dominique  TASSOT – Rivista Science & Foi n. 3 - 1987

Questo articolo tende a presentare due esperienze fondamentali effettuate dal fisico Michelson per verificare la natura ondulatoria della luce. Sarebbe a dire?  Un sasso buttato nell'acqua provoca un movimento della superficie sotto forma di increspamenti concentrici che si allontanano dal loro centro ad una velocità costante. Quando due sassi sono buttati assieme, i loro due sistemi di increspature si sommano senza distruggersi e provocano delle "interferenze": due creste che crescono si rinforzano; due cavità di onde discendenti si abbassano ancora di più; una cresta e una cavità si annullano. Lo stesso succede quando si proiettano due raggi di luce usciti da sorgenti vicine: si osservano delle bande rettilinee (frange di interferenza), caratteristica che fa apparire la massima e la minima luminosità.  La teoria e il calcolo delle interferenze luminose erano stati fatti da Fresnel all'inizio del 19E secolo, per analogia con le onde degli altri mezzi vibranti. L'onda è una vibrazione dell'acqua, il suono una vibrazione dell'aria. Si chiama "etere" il mezzo nel quale si propagano le onde luminose ed elettromagnetiche.

Sulla riva l'onda si arresta; una doppia parete vuota d'aria o piena d'acqua arresta il suono; la luce proveniente dalle stelle prova dunque che lo spazio è riempito di etere o, piuttosto, che l'etere è la realizzazione fisica del concetto geometrico di spazio. Il movimento assoluto si intende dunque dal movimento dei corpi in rapporto a questo etere (nel quale Newton vedeva a giusto titolo l'agente della gravitazione: non l'azione a distanza senza un mezzo che trasmetta questa azione).

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In seguito a numerose misure di grande precisione che gli valsero, nel 1907, di essere il primo americano a ricevere il premio Nobel, MICHELSON cerca di mettere in evidenza il movimento della Terra nello spazio. Si supponeva in effetti, da Copernico, che la Terra fosse animata da un movimento annuale di rotazione intorno al Sole.  Doveva risultarne una velocità v in rapporto all'etere, di 30 Km/sec, 10.000 volte più piccola della velocità della luce in rapporto all'etere c.

Così, per un osservatore legato alla Terra (dunque animato di una velocità v in rapporto all'etere) il raggio di luce A che si propaga nello stesso senso della Terra, sembra passare alla velocità relativa c-v; inversamente il raggio B, venendo incontro all'osservatore, sembra passare alla velocità c+v.

Di fronte alla difficoltà di misurare direttamente questa velocità, Michelson ebbe l'idea di un apparecchio nel quale far interferire il raggio A e il raggio B.  Per l'analisi delle frange di interferenza si potrebbe, pensava, misurare la differenza 2v tra queste due velocità apparenti. L'esperienza consisteva così nel mettere in evidenza la "composizione" (addizione o sottrazione) della velocità assoluta della luce nell'etere colla velocità assoluta dell'osservatore. Questa composizione ha luogo per le onde e per il suono: il canotto che avanza così veloce che l'onda sembra restare immobile sulla cresta o nella cavità, non sente più arrivare l'aereo che ha passato il muro del suono: esso va più veloce dell'onda (c - v < 0).

Che ne è della luce?

 

1 - L' ESPERIMENTO  DI  MICHELSON  &  MORLEY  (1887)

Ipotesi di MICHELSON:

- La Terra si sposta a v = 30 km/sec. attorno al Sole nello spazio etereo.
- La luce è una vibrazione che si propaga nell'etere a c = 300.000 km/sec.

Dispositivo:

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Una sorgente luminosa S invia un fascio luminoso nella direzione SM che è quella del movimento supposto della Terra.Lo specchio semiriflettente M divide il fascio in 2 semifasci:
- il primo è riflesso verso lo specchio M1 da dove viene rivirato verso M, che attraversa per colpire la lente LN.
- il secondo attraversa M verso M2: esso si riflette in M2, poi in M, al fine di guadagnare la lente LN ove raggiunge il primo fascio e crea con esso delle frange di interferenza.  I tempi di percorso t1 e t2 dei due fasci M-M1-M, e M-M2-M, non sono all'inizio uguali a causa dello spostamento della Terra. Ne risulta un leggero ritardo che dovrà avere:

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Vediamo apparire per la prima volta nella storia delle scienze, l'espressione   i, ben conosciuta dai fisici.

RISULTATO  SPERIMENTALE.

Il dispositivo è montato su un bagno di mercurio; facendo girare il tutto di 90E, si fa agire il movimento supposto della Terra sul primo fascio e si inversano i tempi di percorso:

t1 diventa t2 e t2 diventa t1.

MICHELSON avrebbe dovuto, da una posizione all'altra, osservare un netto spostamento delle frange di interferenza, ma egli non lo constata.  Dovette dunque ammettere che t1 = t2, dunque v = 0.

Questa soluzione viene a negare la traslazione della Terra attorno al Sole, e così ad ammettere il geocentrismo: se la velocità della Terra v in rapporto all'etere è nulla (o troppo debole per poter essere rivelata dall'interferometro di MICHELSON MORLEY), allora la Terra è quasi immobile nell'universo e i movimenti degli astri quali sono osservati in coordinate geocentriche, sono dei movimenti assoluti (orbita mensile della Luna, orbita annuale del Sole, processione degli equinozi per le stelle "fisse").

Questa soluzione semplice fu rifiutata per delle ragioni filosofiche: l'opinione sapiente dell'epoca si rifiutava di concepire l'intervento di un Essere intelligente che, a dispetto del "caso", avrebbe disposto la nostra Terra in un luogo privilegiato dell'universo; non si voleva tornare sull'idea di Creazione.

Si tenta subito di mettere l'esperimento in difetto. Esso era stato perfezionato da Michelson e Morley, dal 1881 al 1887; fu ripetuto da Morley e Miller nel 1904 e nel 1905; poi solo da Miller nel 1921. Piccard, un belga, lo ripeté a 2500 m. di altezza nel 1926. Fu poi ripreso all'università di Nizza, al laser, nel 1977. Il risultato fu sempre confermato: la velocità assoluta dell'osservatore terrestre non può essere che molto più piccola di 30 km/sec. Si cercano quindi altre interpretazioni.

Nel 1892 Fitzgerald, un irlandese, immagina che il braccio trasversale M-M1 dell'interferometro, si dilati sotto l'effetto della velocità v, ciò renderebbe uguali i tempi di percorso. Poi, nel 1904, Lorentz, un olandese, propose, al contrario, una contrazione del braccio longitudinale M-M2, sempre nella proporzione "ad hoc":  i  ben inteso...

Infine, nel 1905, Einstein propose di ammettere che la velocità della luce, c, non è influenzata dalla velocità propria dell'osservatore v. In questa ipotesi i 2 bracci dell'interferometro in movimento restano di uguale lunghezza e sono percorsi dalla luce con uguale velocità c. L'uguaglianza dei tempi di percorso la si deduce subito.

L'opinione sapiente accetta poco a poco questo postulato; bisogna dunque abbandonare l'idea di un mezzo reale, supporto delle onde luminose (l'etere), per giustificare questa strana costante della velocità della luce, quale che sia la velocità propria dell'osservatore. Da ciò una doppia difficoltà:

- la luce, pensata come un'onda, si propagherebbe senza un mezzo vibrante, essa diviene come un'onda senz'acqua, o un suono senza aria, pura entità matematica per i calcoli dei fisici, mentre i fenomeni luminosi sono ben reali: effetto fotoelettrico, fotosintesi della clorofilla, ecc.

- la luce, pensata come un "corpuscolo" (il fotone) non obbedisce alle leggi della meccanica dei corpi. Così la velocità di un aereo da caccia si aggiunge alla velocità della palla del mitragliatore all'uscita dal cannone (ma si sa d'altronde che la velocità della luce è indipendente dalla velocità della fonte).  Orbene, il raggio della luce che attraversa un vetro è rallentato dal vetro che è più rifrangente dell'aria, ma esso riprende tosto la sua velocità dall'altra parte del vetro (da dove gli viene l'energia necessaria per questa accelerazione?).

La sola ragione d'essere di questi paradossi, come delle acrobazie mentali incorporate nelle teoria della relatività (contrazione delle lunghezze, allungamento dei tempi con la velocità, ecc.) risiede nell'esperienza di Michelson-Morley: inattaccabile nella sua realizzazione, "bisognava" a tutti i costi interpretarla senza rinunciare all'eliocentrismo.


2 - L' ESPERIENZA  DI  MICHELSON  &  GALE (1924)

IPOTESI  DI  MICHELSON.

- La Terra gira su se stessa in 24 ore; il che le dà una velocità massima all'equatore (0,463 Km/sec), nulla ai poli, e pari a 0,344 Km/sec alla latitudine di Chicago.
-  La luce è una vibrazione che si propaga a 300.000 Km/sec nell'etere.

DISPOSITIVO:

i

La luce uscita dalla sorgente S viene divisa in due fasci dallo specchio semiriflettente A:

- Un primo fascio percorre questo immenso interferometro rettangolare nel senso delle lancette dell'orologio ADEFA, per finire nella lente LN dopo avere attraversato A.
- Un secondo fascio segue lo stesso percorso di 1874 metri di lunghezza nel senso inverso AFEDA e viene ad interferire col primo nella lente LN.

I due percorsi hanno dunque rigorosamente la stessa lunghezza, uguale al perimetro del rettangolo ADEF. Ma il braccio DE situato a nord, ed il braccio AF, più vicino all'equatore, non sono trascinati alla stessa velocità dalla rotazione della Terra attorno all'asse polare. Se Þ è la latitudine di Chicago, ne risulta uno scarto tra i due tempi di percorso uguale a:  i.

RISULTATO  SPERIMENTALE.

Di fatto, si osserva uno spostamento delle frange di interferenza di 0,230 - 0,005 frange (su 269 misure) per uno spostamento teorico di 0,236. L'accordo con la realtà era dunque molto soddisfacente e confermava:
- che la velocità dell'osservatore si compone effettivamente con la velocità della luce,
- che, in rapporto all'etere, la rotazione della Terra attorno all'asse dei poli era ben di un giro al giorno, come dimostrato da Foucault nella celebre esperienza del Pantheon nel 1851.

Questa esperienza era stata concepita da Michelson nel 1904, ma dovette attendere il 1924 per ottenere i crediti (15000 $ dell'epoca) e gli aiuti di ogni sorta necessari per costruire questo interferometro gigante (cfr. Astrofisical Journal, aprile 1925). Nel frattempo, nel 1921, Einstein si era visto attribuire il premio Nobel, non, come si potrebbe pensare, per la sua teoria della relatività (la giuria pare avere titubato davanti alla rottura che questa aveva rispetto al senso comune), ma per la sua interpretazione dell'effetto fotoelettrico dei fotoni.  Al contrario, il premio Nobel attribuito a Michelson nel 1907, riguardava i lavori di cui noi ci occupiamo. Nel 1924, Michelson è dunque uno studioso le cui esperienze ottiche fanno autorità tra i suoi pari e la cui celebrità non deve niente ai quotidiani New-Yorkesi. Questa esperienza condotta con Gale, fu lungamente pensata prima di essere realizzata; il suo risultato consiste in una misura che si accorda (al 2,6% circa) con il calcolo teorico basato sull'etere.  Si tratta dunque di una esperienza indiscutibile (e indiscussa) il cui merito è doppio:

1 - Essa conferma, e questo è l'obiettivo dichiarato nel rendiconto del 1924, la realtà di un etere immobile in cui la luce è una vibrazione che si propaga alla velocità assoluta c. Così, misurando la velocità apparente (c " v) di un fascio luminoso, l'osservatore può dedurre la sua velocità propria in rapporto all'etere (v, che è anche la sua velocità assoluta nello spazio fisico reale), anche se essa non supera 0,344 Km/sec.

2 - Ritornando sull'esperienza del 1887, alla luce di quella del 1924, si può decidere in favore dell'interpretazione geocentrista. Se in effetti un dispositivo ottico ha potuto mettere in evidenza una rotazione di 0,344 Km/sec, la cui realtà d'altronde noi abbiamo confermato (pendolo di Foucault, appiattimento della Terra ai poli, equilibrio dei satelliti geostazionari tra una forza centrifuga reale e la gravità terrestre), e se un dispositivo della stessa natura e di una precisione appropriata non perviene a scoprire un movimento supposto 100 volte più rapido (30 Km/sec), è perché questo movimento supposto non esiste!

Questa è la conclusione alla quale sono pervenuti Gustave Plaisant ("LA TERRA NON GIRA" - Lilla 1934), e Maurice Ollivier ("FISICA MODERNA E REALTA'" ed. Du Cèdre, 1962), poi Guy Berthault ("GALILEO AVEVA TORTO", Ceshe, 1980) e Yves Nourissat ("L'ETERE" - Ceshe 1986), quattro politecnici che l'opinione comune, risolutamente ostile al geocentrismo, non ha dissuaso dal portare avanti il ragionamento fino al suo termine.  Questa è anche la tesi cui sono pervenute alcune centinaia di scienziati anglosassoni, universitari e ingegneri, riuniti attorno a Walter van der Kamp nella Tychonian  Society (14813 Harris Road - Pitt Meadows, B.C. Canada). Questa fu la convinzione di F. Crombette, che ha conosciuto le opere di Plaisant e Ollivier1.

In effetti le esperienze del tipo Michelson & Morley sono state sufficientemente numerose, ripetute a sufficienza da fisici diversi muniti di propri dispositivi, perché la realtà di un movimento di 30 Km/sec attorno al Sole possa essere esclusa. Resta la possibilità di un movimento di ampiezza più debole, ai limiti della sensibilità degli strumenti, che Miller stima a 8 Km/sec e che Piccard ha ridotto a 1 Km al massimo. Crombette dà una media di 1,27 m/sec, dicendo che la Terra gira solamente attorno ad un asse di rotazione che tocca costantemente la sua circonferenza. Questa velocità minima non ha potuto essere costatata da Michelson e Morley, essendo il limite di precisione inferiore a 30 m/sec. Questo piccolo movimento attorno all'asse dell'universo spiegherebbe d'altronde la parallasse delle stelle, senza contraddire il luogo centrale della Terra nello spazio etereo.


CONCLUSIONI.

L'esperienza di Michelson e Morley nel 1887, pose il seguente dilemma:

- o l'etere esiste, e allora la Terra resta quasi immobile in mezzo ad astri e pianeti,
- oppure l'etere non esiste, e la luce deve possedere questa proprietà paradossale che la sua velocità apparente resti la stessa per un osservatore immobile e per uno in movimento.

Fino al 1920 il mondo scientifico non disponeva di alcun dato nuovo che permettesse di decidere. Nel 1921 il premio Nobel fu attribuito ad Einstein e l'opinione si mise poco a poco a basculare in favore della teoria della relatività, non in ragione di prove intrinseche che essa avrebbe comportato, ma per paura delle implicazioni filosofiche che sarebbero scaturite dalla confessione del geocentrismo.

Nel 1924 la prova attesa fu alfine realizzata: un'esperienza quantitativa di grande precisione conferma la realtà dell'etere, supporto vibrante della luce, e perciò il geocentrismo. Questa esperienza fu passata sotto silenzio nei trattati di fisica.  Oggigiorno il dilemma non è più dunque scientifico, ma filosofico; bisogna ormai accettare di ritornare sulle concezioni false che il pregiudizio eliocentrista, ammesso senza prove dall'opinione sapiente del 17E secolo, ha introdotto nei nostri spiriti.

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1 Cfr. Galileo aveva torto o ragione? di F. Crombette, CESHE n° 42.33 e 42.34