CAP. 10

DIO VIDE CHE LA LUCE ERA UNA COSA BUONA E SEPARO’ LA LUCE DALLE TENEBRE

 

 10.1 Energia allo stato latente, di quiete, non materializzata.

Segretario: Abbiamo fatto un passo avanti nel cercare di comprendere un poco meglio il concetto di luce, grazie a Crombette ma soprattutto alle indicazioni della Voce.
Non si trattava di una luce ‘fisica’ in senso proprio, cioè prodotta da una sorgente luminosa, anche se non si può escludere che avesse come ‘attributo’ anche quello di una sorta di ‘luminosità’.
Era una ‘luce’ che operava misteriose trasformazioni nell’universo.
Non abbiamo però affrontato il problema del concetto alternativo a quello della luce, e cioè quello delle ‘tenebre’.
Se la ‘luce’ non era dunque il prodotto di una fonte luminosa, cosa saranno state mai quelle che vengono in Genesi chiamate ‘tenebre’?

Crombette: La parte dell'energia preesistente che non fu messa da Dio in rota­zione sferoidale ha dovuto restare in un certo stato di indifferenza, di non agglomerazione e, di conseguenza, di non riscaldamento: essa restò tenebrosa. Il nome stesso di tenebre: Schèkè o Chaki = i, lo lascia chiaramente intendere se tradotto con il copto:

i

Questa situazione della parte dell'energia non materializzata sarebbe, pertan­to, quella dell'etere che, teoricamente, deve realizzare la condizione di un fluido perfetto, cioè di una mobilità assoluta, senza alcuno sfregamento per­ché senza nessuna attrazione, di un'indifferenza perfetta che lascia libero gioco ai corpi che vi si spostano.

Segretario: Se ho ben compreso la spiegazione, mi sembra di capire che una parte di energia venne messa da Dio ‘in movimento’, trasformandosi in ‘materia’ visibile e concreta mentre la restante energia restò in condizioni di quiescenza, rimanendo perciò ‘tenebrosa’, cioè invisibile.
Essa sarebbe costituita da quello che chiamiamo ‘etere’.
Al momento del Big-bang – 15 miliardi di anni fa – Dio avrebbe usato  una parte di questa energia e l’avrebbe trasformata in materia, lasciando la restante energia inerte.
Si parla molto dell’etere. C’è chi lo nega, sostenendo che lo spazio è vuoto, c’è invece chi dice che debba essere un qualcosa di ‘necessario’, dal punto di vista della fisica.
Plaisant sosteneva – quando abbiamo parlato degli esperimenti di Michelson e di quell’articolo apparso sulla rivista francese ‘La natura’ – che nello spazio non c’è il vuoto, come sostenevano i fautori della teoria della relatività einsteiniana, bensì l’etere.
L’etere! Una ‘sostanza’ impalpabile, non visibile, nella quale la materia ‘flotterebbe’ come in un liquido privo di resistenza.  Giusto?

Crombette: Potrebbe esser considerato che questo stato di instabilità era all'origine quel­lo di tutta l'energia di cui è costituito l'universo, e che è procedendo a dei prelevamenti su questa energia di attesa che Dio ne avrebbe messo una parte in rotazione: la parte materiale.
La scienza presagisce ora che "l'etere è nel­lo stesso tempo il substrato della materia1". W. Thomson, Wickert e Larmor, pensano che la materia non è che dell'etere in movimento vorticoso.
Non essendo il volume totale dell'energia modificato dai prelevamenti di materia operati su di essa, questa materia non avrebbe da farsi posto nell'etere e potrebbe muovervisi senza resistenza a condizione che le sia impresso un movimento di spostamento, giacché da se stessa, essendo stabile per il fatto della sua costituzione, non potrebbe spostarsi al di fuori di una agglo­merazione, peraltro provocata.
Qualsiasi movimento iniziale della materia nello spazio, come degli astri su se stessi, ogni loro cambiamento di direzio­ne e di velocità, suppone dunque necessariamente un intervento del Creato­re.
Mosè ci dà ancora il dettaglio che Dio assemblò le stelle in mansioni. Quando dunque i primi astronomi hanno raggruppato le stelle in figure alle quali diedero dei nomi, anche se questi raggruppamenti furono più o meno fantasiosi, essi erano tuttavia in una certa logica. Anche Giobbe dice, se­condo la Volgata (cap. XXXVIII, vv 6 e 7): "(Dimmi) su cosa le basi (della terra) sono state fissate o chi ha posto la sua pietra angolare quando gli astri del mattino mi lodavano tutti insieme e tutti i figli di Dio erano trasportati di gioia?"
In realtà, il testo ebraico corrispondente è (Giobbe XXXVIII, 6-7):

i

ossia in testo continuo: ‘Comprendi tu in virtù di che cosa il globo terrestre gira regolarmente sospeso sulle sue estremità; il caldo e il freddo si span­dono successivamente, e la pioggia; di quale natura sono le forze che rego­lano la caduta del filo a piombo [il filo conduttore], che governano il cam­biamento delle stagioni, che producono le tempeste, che hanno elevato il collare d'argento degli astri in diverse mansioni?2  Queste cose, prodotte saggiamente dalla Parola, hanno fatto l'ammirazione dei rampolli (angeli) emessi dalla parola di Ehélohidjm che vi hanno applaudito largamente’.
Questo testo differisce sensibilmente da quello della Volgata che è eviden­temente inesatto: la terra non è fissata su delle basi e, essendo sferica, non ha una pietra angolare: non è una casa.  Il vero senso è ben più ricco: Giob­be sa che la terra è un globo, che è sospesa nello spazio e che gira sui suoi poli.  Molti secoli prima di Newton egli si chiede quali sono le leggi di ca­duta dei pesi e quale è la natura della gravitazione che manifesta la direzione del filo a piombo.  Egli va ben oltre, e pone la questione delle forze che hanno innalzato non solo gli astri del mattino (giacché al mattino gli astri svani­scono e non si percepisce più che per poco Venere), ma il collare d'argento degli a­stri nelle loro diverse mansioni.  Giobbe non crede, come i popoli dell'antichità pagana, che la Via Lattea è fatta del latte uscito dal seno di una dea, ma sa che, malgrado la sua apparenza continua che la fa assomigliare ad un collare d'argento, essa è formata delle stesse stelle che si distinguono nei suoi dintorni, e che queste stelle sono raggruppate in figureOra, è appunto quello che comincia solo ora a intravedere l'astronomia moderna.
Nordmann3: Quando si esaminano o si fotografano, con lenti via via più potenti, le diverse zone della volta celeste, si nota che le stelle non vi sono ugualmente luminose. In certe regioni, co­me nelle costellazioni della Giraffa o del Serpentario, le stelle sono relati­vamente rare; lo sono molto meno in Orione o nell'Orsa Maggiore. Per queste due ultime costellazioni, si è costatato che le principali stelle che le formano non sono raggruppate solo per i casi della prospettiva, così come in quasi tutto il resto del cielo, ma che sono in realtà legate tra loro fisica­mente.  Così le stelle dell'Orsa Maggiore hanno delle velocità e dei movi­menti quasi concorrenti, il che non potrebbe essere dovuto al caso e prova che queste stelle formano, secondo l'espressione consacrata, un sistema stellare fisico.  Con la lente si constata facilmente l'esistenza di altri gruppi di stelle fisicamente legate tra loro; tra questi, le curiose Pleiadi, visibili a occhio nudo nell'emisfero boreale, sono uno dei più conosciuti. Continuan­do nella stessa ricerca, si trovano finalmente questi piccoli gruppi compatti di stelle, queste piccole nuvole stellari che sono chiamate, a causa della lo­ro forma, ammassi globulari".
Crombette: Il versetto 7 di Giobbe termina con la constatazione che queste cose hanno suscitato l'ammirazione dei figli emessi dalla Parola di Ehélohidjm, che vi hanno applaudito largamente.  Questi figli della Parola di Ehélohidjm che esistevano già prima della creazione della Via Lattea non potevano essere gli uomini, i quali furono gli ultimi esseri creati da Dio; erano dunque gli angeli, gli spiriti celesti.  E la loro creazione ci mette in presenza di un terzo modo dell'energia.  Oltre all'energia in rotazione, la materia, Dio aveva pre­levato, senza dubbio sull'energia di attesa, l'etere, un'energia organizzata in forze spirituali che Egli ha dotato di attività propria andante dal semplice movimento di crescita alla libertà di azione, e che possiamo riassumere in una parola: le forme.  É questo tipo di energia che fa sì che, malgrado la po­tenza attrattiva della massa terrestre, i pianeti escano dal sole e si elevino ciascuno all'altezza propria alla sua specie; che fa che l'uomo non strisci sul ventre appiattito dalla gravitazione, ma stia in piedi nella sua statura norma­le; e, più ancora, spiega perché egli può tenere il filo a piombo sospeso mal­grado l'attrazione del globo; che permette a questo misero abitante del pia­neta di trasportare istantaneamente il suo pensiero negli spazi immensi; che fa infine che gli angeli, ministri di Dio, possano manifestare immediatamen­te la loro azione a qualsiasi distanza. Queste forze spirituali, che la scienza astronomica ignora, pongono nel mondo dei problemi trascendenti rimasti praticamente non abbordati dagli scienziati che già non vedono molto chiaro nella materia. W. Thomson l'ha riconosciuto dicendo: "C'è un mistero an­cor più grande (dell'elettromagnetismo). Un atto di libera volontà è un mistero ben più profondo di tutto ciò che si è mai potuto immaginare o sognare nel­la dinamica dell'etere". Ma Giobbe sapeva che gli angeli assistevano alla creazione delle stelle e che, davanti alle innumerevoli armonie che Dio ave­va realizzato, fecero esplodere la loro ammirazione.
John Herschel4: Con quale scopo, con quale scopo dobbiamo supporre che le stelle siano state create, e che dei corpi così magnifici siano stati dispersi nell'immensità dello spazio? Non certo per rischiarare le no­stre notti, obiettivo che potrebbe ottenere meglio una luna anche mille volte inferiore alla nostra, né per brillare come uno spettacolo vuoto di senso e di realtà, e farci smarrire in vane congetture. Questi astri sono, è vero, utili all'uomo come dei punti permanenti ai quali egli può tutto rapportare con esattezza; ma bisognerebbe aver tratto ben poco frutto dallo studio dell'astronomia per poter supporre che l'uomo sia il solo oggetto delle cure del suo Creatore, e per non vedere, nel vasto e stupefacente apparato che ci circonda, delle dimore destinate ad altre razze di esseri viventi".

Segretario: Mi sembra dunque che John Herschel, che non ammette che l’uomo sia il solo oggetto delle cure del Creatore, la pensi in un certo senso come Laplace il quale non riusciva ad immaginare che la terra potesse essere al centro dell’universo a meno di non supporre su di essa un qualche speciale disegno divino per lui improponibile, quel disegno cioè che poi ci aveva illustrato Jean-Marie de la Croix parlando della Terra Cristocentrica.
Secondo Herschel – e rispettiamo il suo punto di vista – le stelle sono state create piuttosto per altri esseri viventi e non per l’uomo.
Evidentemente Herschel ha una visione pessimistica del genere umano e potrebbe non aver tutti i torti se pensassimo, come lui, all’uomo di adesso, miseramente caduto in un vortice di decadimento intellettuale e morale,  anziché pensare a quale eccezionale livello di perfezione intellettuale e spirituale  doveva aver avuto l’uomo prima del Peccato originale -.

Crombette: E certo Sir John Herschel si sbaglia sulle intenzioni del Creatore nel formare le stelle. Mosè ci ha detto che Dio ne traeva la luce attenuata dei primi tempi, e Giobbe ci dice che, se l'uomo ancora non c'era, vi erano, non degli esseri viventi sulle stelle in fuoco, ma puri spiriti che a miriadi negli spazi intersi­derali ne erano gli spettatori, e univano alle armonie luminose degli astri i loro concerti di lodi al Creatore; il che non esclude affatto che le stelle ab­biano altri rapporti con l'umanità.

 

10.2 Ancora qualche riflessione sulla centralità della terra rispetto all’universo e sulla esistenza e la funzione dell’etere nello spazio.

Segretario: Visto però che abbiamo ancora una volta parlato di etere, vorrei tornare con qualche ulteriore chiarimento su questo tema che è strettamente connesso a quell’altro tema che – nonostante le spiegazioni ed i calcoli di Crombette – ci ha lasciato ancora a dir poco perplessi: quello della terra che gira intorno al sole e del sole che gira a sua volta intorno alla terra, situata in prossimità dell’asse universale, che sarebbe il centro di gravitazione dell’universo intorno al quale l’universo stesso ruota.
Ricorderete che si era parlato dell’esperimento di Michelson nel 1887.
Questo scienziato, primo premio Nobel americano, aveva compiuto insieme a Morley quel primo esperimento.
Egli non si era proposto di dimostrare che la terra non si muoveva intorno al sole, ma voleva solo dimostrare l’esistenza dell’etere, quel fluido perfetto che non crea ostacolo, in mezzo al quale la Terra avrebbe dovuto muoversi…

Yves Nourissat5: Lo scopo consisteva nel provare l’esistenza dell’etere, mezzo di propagazione delle onde luminose ed elettromagnetiche. Si supponeva che la terra gravitasse intorno al sole, secondo le tesi di Copernico, ad una velocità di 30km/sec nello spazio. Se si ammetteva la presenza dell’etere nello spazio, si doveva mettere in evidenza il movimento della terra osservando una modifica delle frange di un interferometro. Il principio di questo interferometro consisteva nell’emettere due raggi luminosi usciti dalla stessa sorgente e percorrenti cammini perpendicolari di uguale lunghezza e tali che uno di essi fosse parallelo alla direzione del movimento supposto della terra. I due raggi erano riflessi da specchi in modo da convergere in un punto. Uno dei raggi, influenzato dal movimento della terra, doveva avere un tempo di percorso differente da quello del raggio perpendicolare; esso arrivava dunque sfasato al punto di convergenza. L’osservazione delle frange di interferenza permetteva di calcolare la velocità del ‘vento di etere’ incontrato dalla terra sulla sua orbita supposta.6
Di fatto, l’esperimento non mostrò alcuna differenza significativa dei tempi di percorso dei due raggi: non si osservarono le frange di interferenza che avrebbero dovuto misurare la velocità supposta di 30km/sec. della terra nell’etere.
Numerose spiegazioni furono avanzate per spiegare questo risultato. Esse furono tutte ricusate per delle ragioni strettamente scientifiche, salvo una sola.
Questa consisteva nel considerare la terra fissa in rapporto all’etere.
Questa spiegazione molto semplice, benché fosse inattaccabile scientificamente, fu respinta per ragioni filosofiche.
Nella sua opera “La relativitè pour tous’ (Relativity for the layman) James A. Coleman, Presidente del Dipartimento di fisica dell’American International College di Springfield, nel Massachussets, scrive: ‘tale idea non fu presa sul serio, perché significava che la nostra terra occupava effettivamente una posizione privilegiata nell’universo, mentre tutti gli altri corpi celesti le facevano l’omaggio di gravitarle attorno’.
Qualche anno più tardi, nel 1905, Einstein proponeva un’altra spiegazione di questo significato paradossale, cioè la sua teoria della relatività ristretta.
Egli postulò che la velocità della luce non poteva, nell’esperimento, comporsi con la velocità di un corpo fisico come la terra.
Egli dichiarava per di più che l’etere non esisteva.
La teoria di Einstein fu adottata dalla maggioranza degli studiosi e l’esperimento di Michelson cessò di fare problema.

Segretario: Riecco qui di nuovo Einstein. Siamo alle solite: la storia è piena delle nefaste conseguenze del ‘principio di autorità’.
Quando un personaggio che gode di considerazione e consenso generale afferma una certa cosa, anche stravagante o comunque non provata, il resto del ‘gregge’ – proprio perché questa è una persona che gode di prestigio e di considerazione, insomma d’autorità – finisce per allinearsi e seguire quella sua opinione, almeno finché non venga un altro ‘capobranco’ a scalzarla.
É stato così nel campo delle ideologie politiche, seguite queste ultime da masse imponenti che anche quando non ci hanno capito granché hanno spesso concluso: ‘Se lo ha detto ‘lui’, allora … va bene anche per me!’.
Succede però anche con le cosiddette ‘élites’ della filosofia, della cultura, nel campo della medicina, della botanica, della geologia, etc., con i vari caposcuola, ed a questa logica non sono sfuggiti nemmeno i teologi successivi a S. Agostino e allo stesso S. Tomaso d’Aquino, su alcune questioni non di secondaria importanza.
Non si tratta infatti di un problema di ‘massa’ o di ‘èlites’, ma di una sorta di ‘legge’ della nostra psicologia umana, un fenomeno che anche certi specialisti della cosiddetta antropologia umana – disciplina non strettamente scientifica che tuttavia studia i comportamenti e quella che per essi è la nostra naturale ‘animalità’ – dovrebbero ben conoscere…
Il ‘principio di autorità’ vale dunque anche nel campo delle discipline scientifiche, che – per il fatto di dichiararsi ‘scientifiche’ – dovrebbero essere scienze esatte per definizione ma che in realtà non sempre lo sono, basandosi non di rado su teorie o su calcoli matematici che sono astratti e non trovano possibilità di conferma sperimentale nella realtà fenomenica.
Anziché cominciare dall’esperimento per arrivare poi alla sua ‘teorizzazione’, si comincia della teoria senza poterla poi ‘dimostrare’ con l’esperimento.
Mi sembra di capire – dal racconto che Yves Nourissat fa dell’esperimento di Michelson – che ci troviamo qui di fronte all’esempio ‘classico’ che ha caratterizzato alcune grandi scoperte scientifiche, e cioè quello di uno scienziato che si propone di cercare una cosa e ne scopre accidentalmente un’altra: se siete curiosi sappiate che viene chiamato ‘serendipia’.
 Nel caso specifico, Michelson voleva infatti dimostrare attraverso la variazione delle onde luminose che l’etere esisteva, in quanto egli supponeva che la terra si spostasse nello spazio intorno al sole alla velocità supposta di ben 30km/sec, una velocità fantastica, e che tale spostamento rispetto all’etere sarebbe stato agevolemente rivelato dallo strumento.
Invece ha scoperto che lo strumento – sia pur progettualmente perfetto – non indicava alcuno spostamento.
Gli altri scienziati – anziché dedurne che non vi era registrato alcun spostamento per la semplice ed ovvia ragione che la Terra non girava intorno al sole (e ciò per i motivi scientifici già spiegati da Crombette, poi esemplificati con la ‘Ruota del cane’ delle Fiandre) – piuttosto che dare torto a Galileo e ragione alla ‘Chiesa inquisitrice’ hanno preferito, come Einstein, pensare che l’etere non esistesse e che fosse questa la ragione per cui l’interferometro non poteva dare alcun segnale di spostamento della Terra rispetto all’etere: la Terra – per costoro – avrebbe dovuto quindi tranquillamente continuare a girare intorno al sole alla velocità pazzesca di trenta chilometri al secondo anche se gli strumenti indicavano che non si spostava.
In definitiva,  le conclusioni del pensiero scientifico dominante rispetto ai risultati prodotti dal Premio Nobel Michelson  mi sembrano piuttosto frutto della cecità ideologica che non vuole ammettere nemmeno l’evidenza.
Quando non si vuole credere una cosa, si mettono inconsciamente in moto dei meccanismi psicologici interni che negano le cose che viste con obiettività sarebbero chiarissime, come quel tal marito tradito che non vuole prendere coscienza di una realtà per lui traumatizzante e si ostina quindi a vedere in sua moglie un modello sempre imperituro delle sue passate virtù.
Per non essere accusato dalle femministe di truce maschilismo aggiungerò che la cosa è ‘vicendevole’, vale cioè anche per le ‘mogli’.
Ma a proposito di Michelson volevo dirvi che…

Yves Nourissat7: Il secondo esperimento fu ugualmente realizzato da Michelson, aiutato da Henry G. Gale, nel 1924.
Il suo scopo era di misurare ‘l’effetto della rotazione della terra sulla velocità della luce’.
Esso mirava a mettere in evidenza il movimento giornaliero della terra intorno al suo asse la cui velocità tangenziale raggiunge 463 m/sec all’equatore.
Come per l’esperimento del 1887, si utilizzò un interferometro per osservare lo sfasamento delle onde luminose  provocato dal movimento della terra.
Benché il movimento da mettere in evidenza fosse, alla latitudine di Chicago, quasi 100 volte più piccolo che nel primo esperimento, il risultato, fu questa volta un pieno successo: esso confermava con precisione la velocità del movimento giornaliero della terra in rapporto all’etere, e la sua composizione con la velocità della luce. Il cammino percorso dai due raggi era esattamente lo stesso, le frange di interferenza osservate rendevano manifesta l’influenza della rotazione della terra sulla velocità apparente della luce.
Misurando con un procedimento ottico la rotazione giornaliera della terra, l’esperimento del 1924 provava non solo che la velocità della terra e la velocità della luce si compongono, ma anche che l’etere esiste bello e buono.
La validità scientifica dell’esperimento del 1887 era così confermata: se il movimento supposto di gravitazione attorno al sole della terra non aveva potuto essere messo in evidenza, è perché non esisteva.
Questo secondo esperimento è rimasto poco conosciuto, forse perché non se ne misurarono allora tutte le implicazioni. Siccome la teoria di Einstein era stata largamente accettata nel mondo scientifico, un esperimento che suggeriva che uno dei postulati della relatività ristretta era falso non poteva essere preso sul serio; ma esso provava anche che la velocità della terra attorno al suo asse era conforme al calcolo teorico, e per gli sperimentatori interessati, questo risultato sembrava sufficiente.
Affermare dunque che la terra non si sposta, non è il frutto di speculazioni astratte, ma il risultato di un fatto, osservabile sperimentalmente.
La conoscenza di questo fatto non si è diffusa perché esso conferma l’esattezza dell’insegnamento della Chiesa concernente la posizione unica della terra al centro dell’Universo, e ci insegna che, malgrado più di 250 anni di credenza contraria, la Chiesa aveva ragione a condannare la tesi eliocentrica di Galileo…

Segretario: Mi sembra che – dal punto di vista scientifico – con queste autorevoli considerazioni conclusive di Yves Nourissat possiamo chiudere il discorso sulla esistenza dell’etere e sulla centralità della terra.
Sono convinto che gli scienziati anticreazionisti, evoluzionisti compresi, impiegheranno ancora qualche decennio ma alla fine – sotto la spinta ‘offensiva’ degli scienziati ‘creazionisti’ – essi saranno costretti ad adeguarsi, non solo per l’azione dei ‘creazionisti’ che diventerà sempre più tambureggiante, ma anche per l’evidenza, non più soffocabile, della realtà.


1 Temps, espace, relativitè, Metz, pag. 24, Beauchesne, Parigi, 1928

2 = Costellazioni o gruppi stellari

3 Nordmann, dell’Osservatorio di Parigi: Le royaume des cieux, pagg.141,142, Hachette, Parigi, 1929

4 Treatise on astronomy, ch. XIII, paragrafo 592, citato da Flammarion

5 Yves Nourissat in ‘L’etere, agente universale delle forze della natura’:
http://crombette.altervista.org/

6 Una spiegazione più dettagliata di questo fondamentale esperimento è data nell’Annesso III di ‘L’etere, agente universale delle forze della natura’ - CESHE 47.03 - vedi sito internet http://crombette.altervista.org/

7 Yves Nourissat: ‘L’etere, agente universale delle forze della natura’ 47.03:
http://crombette.altervista.org/