6. Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio…

 

 6.1 Alcuni episodi salienti della vita di Maria.

Abbiamo in questi ultimi capitoli visto Maria SS. da un punto di vista spirituale, ma consideriamone adesso anche la sua vita di donna e di madre, così come appare – questo va sempre sottinteso anche quando non lo dico – dall’Opera della mistica Valtorta che io nei miei commenti prendo sempre come punto di riferimento anche quando a raccontare sono io.
Vi avevo narrato quel primo incontro di Maria e Giuseppe al Tempio.
Lei era più o meno una quindicenne e nel Tempio - dove si insegnavano anche le arti della vita domestica, come il filare e il cucire - lei era stata allevata soprattutto alla scuola delle ‘Scritture’.
L’insegnamento delle Scritture era normale per i giovani in Israele di quei tempi che, al dodicesimo anno,  dovevano affrontare l’esame di ‘maturità’ e venivano riconosciuti come adulti, cioè civilmente responsabili, dopo aver superato alcune prove di conoscenza ‘teologica.’
Naturalmente Maria, è quasi superfluo dirlo, si era applicata allo studio con particolare impegno e profitto grazie alla sua intelligenza, volontà ed alla ardente passione di poter servire un giorno quel Messia che tutti in Israele attendevano da un momento all’altro.
Tutti lo attendevano perché circa sei secoli prima Daniele1 – giovinetto deportato alla corte di Babilonia – aveva profetizzato che il popolo di Israele, allora in cattività, sarebbe stato presto liberato e che l’atteso Messia sarebbe giunto settanta settimane (di anni) dopo il decreto con cui il popolo deportato sarebbe stato autorizzato a tornare in patria ed a ricostruire il Tempio distrutto.2
Scribi e sacerdoti avevano sondato per secoli quella profezia, chiara quanto al numero di anni ma oscura quanto ad altri riferimenti che parlavano della uccisione di un Unto che sarebbe stato senza colpa mentre la città ed il santuario sarebbero stati distrutti da un ‘principe’, cioè da un Re o un condottiero, che sarebbe venuto successivamente.
Impossibile, secoli prima, pensare alla uccisione di Gesù Cristo, l’Unto - non solo senza ‘Colpa’ d’origine ma anche ‘innocente’ delle accuse che gli sarebbero state mosse per condannarlo - vittima di espiazione per la salvezza degli uomini, impossibile immaginarsi anche la futura distruzione del Tempio e di Gerusalemme per ordine di un Imperatore romano.
Gli scribi e i dottori della Legge dell’epoca di Gesù avevano fatto i loro calcoli – che si basavano sul calendario degli anni lunari – e avevano concluso che, più o meno, pur con i margini di incertezza che quella profezia velata lasciava, il periodo in cui il Messia si sarebbe manifestato nella storia fosse quello dell’epoca che essi stavano vivendo.
L’attesa era dunque spasmodica perché erano in gioco la libertà di Israele, in quel momento soggetta a Roma, ed il futuro glorioso Regno di Israele sul resto del mondo, Roma compresa.
Israele aveva infatti compiuto l’errore di interpretare le varie profezie dei secoli precedenti in maniera ‘materiale’, per cui i Capi mai più avrebbero pensato che il Liberatore che si attendevano, il ‘Re dei re’ che avrebbe ‘governato’ il mondo, potesse essere riferito ad un Regno spirituale – eterno rispetto alla caducità di quelli umani – ed alla liberazione dal peccato e dalla schiavitù di Satana, Principe di questo mondo.
Maria viveva in questo clima ma – illuminata potentemente dallo Spirito Santo – avvertiva tale avvento in materia spirituale ed il suo sogno ardente era quello di poter vivere il momento di quella venuta ed anzi di poter essere ‘serva’ del Santo dei santi.
Qualche tempo dopo quel primo incontro al Tempio, Giuseppe torna a prendere Maria e la conduce – promessa sposa - a Nazareth nella casetta dei suoi genitori che, rimasta in abbandono per parecchi anni dopo la loro morte, Giuseppe aveva in qualche modo rimesso a posto.
L’uso ebraico prevedeva prima del matrimonio un fidanzamento, anche di un anno, che avrebbe permesso ai due promessi sposi di conoscersi meglio, pur continuando ovviamente a vivere nel frattempo separati.
E’ durante questo periodo, forse all’inizio, che Maria si vede comparire davanti l’Angelo, o meglio l’Arcangelo dell’Annunciazione, Gabriele.
E’ un episodio ben raccontato nel vangelo di Luca, che doveva aver raccolto al riguardo le confidenze personali della Madonna.
L’Arcangelo le annunzia il concepimento di un bimbo, il Figlio di Dio il cui Regno non avrebbe avuto mai fine.
Maria si meraviglia, era vergine, non aveva mai avuto rapporti con uomini né tanto meno li avrebbe avuti con Giuseppe con il quale aveva fatto quel reciproco voto di castità.
L’idea di un figlio la turbava quanto l’aveva turbata quell’idea del sacerdote del Tempio che le aveva detto che si sarebbe dovuta ‘maritare’.
L’angelo le risponde allora che il suo non sarà un umano concepimento, ma un concepimento spirituale – grazie alla potenza del pensiero di Dio – per cui tutto quanto avverrà sarà opera dello Spirito Santo.
Per farle capire quanto nulla fosse impossibile a Dio, l’Arcangelo le svela che l’anziana cugina Elisabetta, notoriamente sterile, era già al sesto mese di attesa di un bimbo.
Maria si affida al Signore, accetta la sua volontà, l’Angelo scompare e…il concepimento avviene.
Ad incarnarsi non è lo Spirito Santo ma il Verbo, grazie all’azione dello Spirito Santo.
Per darvi una idea espressa in termini antropologici dei distinti ‘ruoli’ delle Tre Persone della Trinità vi dirò che il Padre è Pensiero Potente, il Figlio è Verbo, cioè Parola che ‘traduce in azione’ il Pensiero del Padre come le nostre parole traducono il nostro pensiero, lo Spirito Santo  è quella sorta di Energia Intelligente che le cose le ‘realizza’.3
L’angelo aveva però anche detto a Maria che nulla era impossibile a Dio, anche un concepimento senza concorso d’uomo.
Oggi si fa la fecondazione di un ovulo femminile ‘in vitro’, Dio non  aveva bisogno del ‘vitro’: gli bastava il Pensiero.
Maria, che considerava Elisabetta come una sua seconda mamma, decide di partire poco dopo per Ebron, cittadina vicino a Gerusalemme, per andare ad aiutarla nei mesi faticosi prima del parto.
Si trattiene nella casa di Elisabetta e Zaccaria per tre mesi abbondanti, fino a dopo la nascita di Giovanni Battista, sbrigando le faccende domestiche, preparando da mangiare, lavando, sostenendo in tutto l’anziana cugina.
Quando però Giuseppe, torna a prenderla cominciano i primi ‘dolori’, non solo per Maria ma soprattutto per Giuseppe.
Egli si avvede infatti che la sua angelica promessa sposa ha un addome un po’ troppo pronunciato che lascia intuire l’inizio di una bella…gravidanza.
Cosa avreste pensato voi uomini - al suo posto - della vostra fidanzata?
Vi si sarebbe gelato il cuore. Avreste pensato che la ‘santarellina’ - che aveva fatto tanto la ‘difficile’ con quella storia del ‘voto di castità’ - durante quei tre mesi lontano da casa si era data invece alla pazza gioia.
Il ritorno a Nazareth con Maria incinta sarebbe stato il massimo della gogna.
Nella migliore delle ipotesi tutti avrebbero pensato che il ‘nazareo’ Giuseppe, tanto votato prima alla ‘castità’, aveva voluto recuperare il tempo perduto ‘dandosi da fare’ ben prima del matrimonio.
Oggi è quasi normale, ma allora era proprio un disonore, per la donna.
Chi invece non avesse messo in dubbio la sua onorabilità, avrebbe trovato da ridire su quella di Maria durante quel lunghissimo soggiorno ad Ebron, lontana dagli occhi e…dal cuore di Giuseppe.
Al di là di tutto – anche se ‘marito’ solo di facciata – Giuseppe si sentì tradito.
Perdonate la brutalità ed il cinismo con la quale vi dico queste cose, ma vi ho detto che io vengo dal mondo, scrivo cose spirituali ma con l’ottica di uno che conosce il mondo, e soprattutto le scrivo per voi…persone anche voi ‘di mondo’ che certamente – se non aveste saputo che quella giovane Maria sarebbe stata in futuro la ‘Madonna’ – avreste magari pensato le stesse cose.
Dunque il dramma psicologico di Giuseppe  – ancorché nella mistica e prudente opera valtortiana non venga certo presentato in quest’ottica…’laica’– non dovette essere molto lontano da quanto io vi ho detto.
Maria era una ragazza intelligente e sensibile, aveva capito che Giuseppe - rivedendola dopo quei tre mesi - aveva intuito la sua situazione, pur facendo finta di non essersi accorto di niente, ma lei non poteva rivelargli alcunché di quel concepimento divino.
Era un segreto del Re e Lei doveva lasciare al Re il compito di decidere in quale modo rivelare la verità e restituirle l’onore.
Uno che non riusciva ad accettare l’idea del ‘parto verginale’ di Maria era Voltaire, ma di costui e del parto di Maria, come della situazione di Giuseppe, ho già scritto altrove a sufficienza.4
Tornati dunque a Nazaret, ognuno nella propria casa, i rapporti fra Giuseppe e Maria rimasero molto freddi per qualche tempo e, quando Giuseppe cominciava già a pensare seriamente a rinunciare al matrimonio, dovendo magari scegliere fra una sorta di libello di ripudio o - per non umiliarla ufficialmente – semplicemente ‘lasciarla’, ecco che un angelo gli appare in sogno per dirgli la verità su quel concepimento, sulla onestà e verginità di Maria e su quel Figlio divino che sarebbe stato nientemeno che il futuro Messia.
Quel sogno era talmente vivido, talmente reale e forte che Giuseppe si dovette certamente svegliare di soprassalto, come vi ho raccontato che succedeva a me in occasione di certi sogni del mio ‘Subconscio creativo’, tanto ‘realisti’ da farmi credere persino a quel sogno di Papa Wojtila che mi ha indotto a mettermi a scrivere questo volumetto.
Giuseppe non avrebbe creduto a delle parole di autodifesa di Maria - perché sarebbero comunque state ‘parole di Maria’ e per di più razionalmente incredibili rispetto al mistero di un Dio che feconda una danna e si incarna come uomo - ma  – ecco la Sapienza di Dio –  crede invece alla ‘verità’ del ‘suo’ sogno di un realismo assoluto.
Giuseppe era un pio, un nazareo, una specie di ‘religioso’ in abiti civili, egli sapeva bene quante volte Dio si fosse rivelato in sogno ai profeti, quindi credeva a questi sogni, specie se a parlare erano degli angeli.
Si precipita da Lei, le dice del sogno, implora perdono per averla offesa pensando di lei il peggio che si potesse pensare e…ne ottiene il perdono.
Se Maria era già al terzo mese compiuto di gravidanza  a Ebron, e se poi erano ancora passati dei giorni prima di questo chiarimento con Giuseppe a Nazaret, penso che lo sposalizio ufficiale dovesse essere stato fatto subito dopo perché altrimenti – nonostante i lunghi abiti che vestivano le donne ebraiche dell’epoca - quella gravidanza prematura sarebbe stata evidente a tutti.
Nessun maligno paesano però se ne accorgerà e riuscirà a calcolare i mesi trascorsi dal matrimonio alla nascita del figlio perché nel frattempo Roma aveva emanato l’editto per il censimento e la famiglia aveva dovuto partire per andare a farsi registrare nel paese d’origine della loro stirpe a Betlemme.
Questa era una cittadina vicina a Gerusalemme, la quale era distante circa 150 chilometri da Nazareth.
Vi era dunque una settimana di cammino e anche più, con una donna incinta su un somarello, fermandosi frequentemente per soste di riposo e per dormire in locande lungo la strada.
Il bambino – chissà se saranno state le fatiche dello strapazzo - nascerà la notte stessa del loro arrivo, in una sorta di grotta-stalla, poiché la locanda del villaggio era strapiena di pellegrini venuti per partecipare alle festività delle Encenie nella vicina Gerusalemme.
Anche l’argomento della nascita di Gesù l’ho già trattato a fondo, e qui mi spiace solo di non avere il tempo di raccontarvi e soprattutto commentarvi la visione valtortiana dalla quale si è finalmente intuito come fece Maria non solo a rimanere vergine prima del parto, perché ciò dipese dal concepimento spirituale, ma soprattutto – come afferma la Tradizione dei Padri della Chiesa e la Dottrina cristiana - a rimanerlo dopo, con buona pace di Voltaire.5
E’ il giorno 25 del mese ebraico di casleu (corrispondente al nostro mese di novembre/dicembre)  e la festa – oltre che delle Encenie - era anche detta Festa delle Luci, della Purificazione o Dedicazione del Tempio.
Quella nascita in una grotta non fu dunque dovuta ad uno stato di estrema indigenza della famiglia, perché anzi Giuseppe viveva dignitosamente del suo lavoro e si sarebbe potuto permettere un albergo.
Le circostanze vollero invece che non ci fossero posti migliori e Dio nella sua Sapienza seppe servirsi anche delle circostanze per dare a tutti l’insegnamento che il Verbo di Dio si era fatto uomo non solo annichilendosi – Lui Dio – in una misera natura umana, ma venendo alla luce anche nelle condizioni ambientali peggiori per far sapere agli uomini come neanche queste miserie dei più umili gli fossero state sconosciute e quanto ai più umili Egli sarebbe stato vicino. Beati gli ultimi perché saranno i primi.
Chissà quante volte vi sarete chiesti come mai Gesù fosse nato duemila anni fa e non, ad esempio, mille anni dopo o mille anni prima.
Oppure – come mi aveva chiesto una volta provocatoriamente mio fratello – perché avesse voluto nascere in Israele e non piuttosto, ad esempio, in Nepal.
La prima è una domanda giusta.
In primo luogo nacque allora perché il mondo dell’epoca – nella visione di Dio che vede tutto da fuori del Tempo – sarebbe stato tanto in pace che Roma proprio per questo, con i confini sicuri, poté indire un censimento in tutto l’Impero.
Il Re della Pace non poteva infatti accettare di venire se non quando nel cuore degli uomini vi fosse stata pace.
In secondo luogo perché in quelle circostanze di Editto – e quindi di un evento come la nascita del Redentore – tutto il popolo di Israele sparso in ogni nazione di quella che veniva chiamata Diaspora – sarebbe confluito in Israele, rappresentandovi così in figura tutta l’Umanità.
In terzo luogo perché Roma dominava ormai il mondo militarmente e culturalmente e, quando i primi cristiani fossero stati costretti a fuggire da Israele a causa delle prime persecuzioni ebraiche nei loro confronti, si sarebbero stabiliti a Roma, capitale dell’impero, convertita la quale sarebbe stato molto più facile alla Dottrina cristiana diffondersi fino all’estrema periferia dell’Impero stesso, come poi in effetti avvenne dopo la conversione dell’Imperatore Costantino, nei primi decenni del terzo secolo d.C..
Dio potrebbe certo imporre agli uomini la sua Dottrina con un miracolo strepitoso, ma Egli è Dio di Libertà e preferisce invece servirsi della collaborazione degli uomini e con i tempi degli uomini, perché li vuole certo salvi ma con la loro libera volontà.
La seconda domanda sul perché Gesù si incarnò in Israele e non altrove, è una domanda legittima per chi la fa in buona fede ma lo è un poco meno per coloro che in realtà la fanno con lo spirito di ‘contestare’ la ‘scelta’ del Dio cristiano a favore di un popolo, quasi per accusarlo di parzialità per aver voluto privilegiare un popolo a detrimento degli altri.
La storia, letta in chiave cristiana, ci dimostra che non si trattò di un privilegio visto che – come predetto da Gesù nei Vangeli – a causa dell’aver respinto il figlio di Dio Gerusalemme avrebbe conosciuto la propria distruzione.
Dio aveva però fatto quella promessa ad Abramo di una Nuova Terra e di una ‘numerosa discendenza’, da interpretare in senso spirituale, perché voleva premiare un giusto ed un popolo che – in un’epoca assolutamente pagana – lo adorava in spirito e come Spirito, cioè in Verità.
Fu dunque grazie alla ‘giustizia’ dei patriarchi - cioè al loro rispetto per la legge dei ‘dieci comandi’, vale a dire la ‘legge naturale’ che Dio aveva inciso nel cuore di tutti gli uomini ma che i patriarchi rispettavano e facevano rispettare – che Dio decise di ‘privilegiare’ quel popolo.
Qualche tempo dopo la nascita di Gesù avviene l’episodio evangelico della visita dei tre ‘magi’.
Questi – seguendo la famosa ‘stella’, venendo ognuno da luoghi d’origine diversi – si erano incontrati ed avevano proseguito insieme per Gerusalemme chiedendo ad Erode, che li aveva accolti con il loro seguito, dove fosse rintracciabile il Messia che essi sapevano essere nato.
Neanche Erode lo sapeva ma lo sapevano invece Scribi e dottori della Legge che – meravigliati per la notizia – dicono che i profeti avevano a suo tempo parlato di Betlemme.
Erode temeva che quel piccolo Messia, che certo sarebbe stato seguito dal popolo, avrebbe finito per spodestarlo ed allora invita i magi ad andare a Betlemme e poi fargli sapere chi e dove fosse, fingendo di volere anch’egli andare poi a rendergli onore.
Quelli vanno, lo trovano, lo adorano ma poi – in sogno – vengono avvisati di non dir niente a Erode e ritornarsene indietro per altre strade.
Quando Erode capisce…è ormai troppo tardi, e qualche mese dopo deciderà di ordinare la strage degli ‘innocenti’ di Betlemme, dai due anni in giù, tanto per non lasciarne fuori nessuno.
Giuseppe tuttavia - avvisato in anticipo sempre in sogno – salta giù dal letto, carica nottetempo moglie, figlio e attrezzi da lavoro su tre asinelli comprati con l’oro dei magi e parte all’alba per l’Egitto, terra di rifugio.
L’Egitto era un paese ospitale dove risiedevano già molti ebrei presso i quali la famiglia avrebbe potuto trovare i primi appoggi.
Qualche anno dopo, morto Erode ‘il Grande’, l’Angelo – ancora una volta in sogno – avvisa Giuseppe di rientrare in patria. La famiglia torna dunque a Nazareth dove si ristabilisce definitivamente e dove Giuseppe riprende la sua attività di falegname.
I parenti, dopo quella fuga da Betlemme, nulla avevano più saputo di loro e potete immaginare con quale gioia essi li avessero accolti.
Maria e Giuseppe continuarono tuttavia a mantenere il segreto sulla reale natura di Gesù, a maggior ragione dopo aver saputo al loro ritorno della strage degli innocenti avvenuta cinque anni prima a Betlemme.

 

6.2  I primi ‘dolori’ di Maria

Inutile raccontarvi tutti gli innumerevoli episodi che hanno caratterizzato la vita di Maria, innanzitutto perché c’è già l’opera valtortiana che lo fa molto meglio e poi perché ci porterebbero fuori dagli scopi che ci siamo prefissi con questo libretto.
Il suo primo dolore (se non vogliamo considerare come tale lo strazio per il dolore di Giuseppe quando questi la seppe incinta)  fu quando – andati Lei e Giuseppe al Tempio di Gerusalemme per la Presentazione del loro primogernito – il vecchio Simeone, ispirato dallo Spirito Santo che fin da allora aveva deciso di preparare gradualmente la sua giovane Corredentrice affinché si disponesse psicologicamente al compito che l’attendeva – le profetizzò che quello sarebbe stato il Messia, che sarebbe stato elemento di contraddizione fra gli uomini – che infatti si sarebbero divisi di fronte alla sua predicazione - e che ciò li avrebbe obbligati a svelare i ‘segreti’ del loro cuore e cioè la loro vera natura interiore di amici o nemici di Dio, e infine che una ‘spada’ le avrebbe trapassato l’anima.
Vi avevo detto che Maria aveva studiato bene le profezie, e l’uomo dei dolori predetto da Isaia le era ben presente nella mente senza che qualcun altro glielo dovesse ancora ricordare.
Se fino a quel momento il ricordo di quelle tristi profezie poteva essere stato rimosso, la profezia di Simeone glielo confermerà in pieno, colpendo il suo cuore di madre nell’amore verso il figlio.
Il suo secondo dolore fu quella precipitosa fuga in Egitto di cui vi ho già parlato, con il terrore di essere presi dai soldati di Erode e di veder ucciso il loro Gesù. L’Egitto era in direzione opposta a Nazareth e non ebbero nemmeno il tempo di informare i parenti, che anzi avrebbero messo in pericolo facendogli conoscere la loro destinazione.
Non considero come vero dolore l’aver perduto Gesù dodicenne a Gerusalemme, salvo ritrovarlo – dopo aver temuto per la sua vita e sentito la tremenda responsabilità di non aver saputo ‘accudire’ il Figlio di Dio - mentre ‘istruiva’ i dottori del Tempio che non riuscivano a capacitarsi di come un fanciullo così giovane potesse possedere così tanta sapienza.6
Un terzo dolore fu la morte di Giuseppe.
Giuseppe – che era ben più anziano di Maria, avendo una quindicina d’anni in più – circa trenta anni dopo il loro matrimonio, ed essendo  quindi sulla sessantina,  morirà da santo fra le braccia di Gesù in un ultimo colloquio struggente.
Il ‘piccolo Giovanni’ vede Gesù che sta lavorando nella stanza della falegnameria adiacente alla casa, sta piallando delle tavole, indossa una tunica corta, maniche rimboccate, grembiule sul davanti.
Maria irrompe nella stanza e corre verso di lui, vestita di azzurro, con una tunica stretta in vita da un cordone. Chiama affannosamente il figlio, lo chiama, Giuseppe sta male…
Entrano nella stanza di Giuseppe che è steso su un giaciglio, respiro affannoso, appoggiato a vari cuscini. Le mani sono già livide, una lacrima gli spunta da un occhio e scorre sulla guancia. Gesù gli si accomoda vicino, lo solleva un poco e cerca di confortarlo. Maria piange in silenzio con lacrimoni che le rotolano lungo le guance. Giuseppe si rianima, guarda Gesù, vorrebbe parlargli, non gli riesce, gli dà la mano, Gesù gliela bacia e, curvandosi sul morente, comincia a recitargli dei bellissimi salmi, i salmi del Giusto che muore nell’attesa fiduciosa di essere accolto fra le braccia del Padre.
Gesù ogni tanto interrompe il salmo e gli parla. E lui capisce.
Gesù lo ringrazia per quanto egli ha fatto per lui e per Maria, e gli dice che il Padre aveva posto sia Gesù infante che Maria sotto la sua protezione perché sapeva fin dall’inizio che egli sarebbe stato un giusto. Lo invita ad andare in pace. Il Signore aveva predisposto le cose in modo che alla sua vedova non venisse a mancare l’aiuto. Lo invita ad andarsene sereno. Glielo assicura Lui, Figlio di Dio. Lo invita ad entrare nel Limbo dei Patriarchi precedendolo e portando loro la notizia che la Salvezza è nel mondo e che il Regno dei Cieli presto sarà loro aperto.
Giuseppe capisce ma intanto la morte è sempre più imminente. Maria lo accarezza, Gesù se lo stringe a sé e poi - quando lui si accascia e muore – lo adagia dolcemente sul letto ed abbraccia sua Madre, straziata, in un gesto di conforto.

Ecco come Gesù commenta poi quell’episodio:7

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42. La morte di Giuseppe.
Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.

5 febbraio 1944, ore 13,30.
….
  Dice Gesù:
« A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imitare Maria nella sua vedovanza: unirsi a Gesù.
Quelli che pensano che Maria non abbia sofferto per le pene del cuore, sono in errore.
Mia Madre ha sofferto. Sappiatelo. Santamente, perché tutto in Lei era santo, ma acutamente.
Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e non di carne, sono parimenti in errore.
Maria amava intensamente il suo Giuseppe, al quale aveva dedicato sei lustri di vita fedele. Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore.
Ora Ella si sentiva sola come tralcio di vite al quale viene segato l'albero a cui si reggeva. La sua casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a vicenda. Ora veniva a mancare il muro maestro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia, segnacolo del prossimo abbandono del suo amato Gesù.
La volontà dell'Eterno, che l'aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono della sua Creatura.
Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi " Sì ".
" Sì, Signore, si faccia di me secondo la tua parola ". E, per aver forza in quell'ora, si stringe a Me.
Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita.
Nel Tempio chiamata alle nozze, a Nazaret chiamata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della vedovanza, a Nazaret nel supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire.
Imparate, voi che piangete. E imparate voi che morite.
Imparate voi, che vivete per morire. Cercate di meritare le parole che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate, voi che morite, a meritare d'aver Gesù vicino, a vostro conforto. E, se anche non l'avete meritato, osate ugualmente di chiamarmi vicino. lo verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il cuore pieno di perdono e d'amore, le labbra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento.
La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie braccia. Credetelo. Non posso abolire la morte, ma la rendo soave a chi muore fidando in Me.
Il Cristo l'ha detto per tutti voi, sulla sua Croce: " Signore, confido a Te lo spirito mio ".
L'ha detto pensando, nella sua, alle vostre agonie, ai vostri terrori, ai vostri errori, ai vostri timori, ai vostri desideri di perdono. L'ha detto col cuore spaccato di strazio, prima che per la lanciata, e strazio spirituale più che fisico, perché le agonie di coloro che muoiono pensando a Lui fossero addolcite dal Signore e lo spirito passasse dalla morte alla Vita, dal dolore al gaudio, in eterno.

Questa, piccolo Giovanni, la lezione di oggi. Sii buona e non temere. La mia pace rifluirà in te sempre, attraverso la parola e attraverso la contemplazione.
Vieni. Fa' conto d'essere Giuseppe, che ha per guanciale il petto di Gesù ed ha per infermiera Maria. Riposa fra noi come un bambino nella cuna ».

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Un quarto dolore di Maria – come accennato sopra dal Gesù che commenta l’episodio di Giuseppe per il suo ‘piccolo Giovanni’ - fu il sentirsi dire dal Figlio, qualche tempo dopo la morte di Giuseppe, che egli l’avrebbe lasciata per iniziare la propria missione.
Fu doppio dolore: quello dovuto al distacco dal suo Gesù dopo trent’anni trascorsi insieme e quello dovuto alla consapevolezza che quella missione si sarebbe conclusa con la sua morte.
Dal momento dell’inizio della missione di Gesù - con le continue persecuzioni ed umiliazioni che Egli subiva per la sua predicazione ad opera di scribi, dottori della legge, sacerdoti e farisei, notizie che le giungevano portate da conoscenti anche quando Gesù era lontano  - le ansie e le paure di Maria non si contavano più.
Lei non sapeva con precisione che Gesù avrebbe ‘resistito’ tre anni, ma sapeva come si sarebbe conclusa la storia e che ogni giorno di quel suo periodo di predicazione poteva essere quello della sua morte.
Gli unici momenti di serenità erano quelli in cui Gesù saltuariamente ritornava per brevi periodi a casa o vi si tratteneva durante le festività invernali delle Encenie, quando il maltempo ed il freddo rende difficoltosa la predicazione con quei continui viaggi a piedi del gruppo apostolico.
Più però passano i giorni e più si avvicina l’ora finale, più Maria procede nel suo personale Calvario, cammino che troverà il suo culmine, anche per lei, nel Venerdi di Passione.
Ecco come vede il ‘piccolo Giovanni, quel doppio dolore del distacco e dell’inizio della predicazione pubblica di Gesù:8

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Primo anno della vita pubblica di Gesù.

44. L'addio alla Madre e partenza da Nazareth.
Il pianto e la preghiera della Corredentrice.

9 febbraio 1944, ore 9,30.
(iniziata durante la S. Comunione)

Vedo l'interno della casa dì Nazareth. Vedo una stanza, pare un tinello dove la Famiglia prenda i pasti e sosti nelle ore di riposo.
E' una stanzetta molto piccina e con una semplice tavola rettangolare contro una specie di cassapanca, addossata ad una parete. Questo è il sedile di un lato.
Contro le altre pareti vi è un telaio e uno sgabello, e due altri sgabelli e una scansia con sopra dei lumi ad olio e altri oggetti. Una porta è aperta sull'orticello.
Deve essere verso sera, perché non c'è altro che un ricordo di sole sulla cima di un alto albero, che appena verzica con le prime foglie.
Alla tavola è seduto Gesù. Mangia e Maria lo serve andando e venendo da una porticina, che suppongo conduca al posto dove è il focolare, del quale si vede il bagliore dalla porta socchiusa.
Gesù dice due o tre volte a Maria di sedere... e dì mangiare Essa pure. Ma Lei non vuole, scuote il capo sorridendo mestamente e porta, dopo le verdure lessate, che mi pare abbiano il ruolo di minestra, dei pesci arrostiti e poi un formaggio piuttosto molle, come un pecorino fresco, di forma appallottolata come una dì quelle pietre che si vedono nei torrenti, e delle ulive piccole e scure.
Il pane, in piccole forme tonde (larghe quanto un piatto comune) e poco alto, è già sulla tavola. E' piuttosto scuro, come non fosse privato del cruschello. Gesù ha davanti un'anfora con dell'acqua e una coppa. Mangia in silenzio, guardando la Mamma con doloroso amore.
Maria, lo si vede visibilmente, è in pena. Va, viene, per darsi un contegno. Accende, e vi è ancora luce sufficiente, una lucerna e la mette presso a Gesù, e nell'allungare il braccio carezza la testa del Figlio furtivamente, riapre una bisaccia, che mi pare di quelle stoffe tessute a mano di lana vergine e perciò impermeabìle, color nocciola, vi fruga dentro, esce nell'orticello e va in fondo ad esso, in una specie di ripostiglio, ne esce con delle mele piuttosto vizze, certo conservate dall'estate, e le mette nella bisaccia, poi prende un pane e una formaggella    e unisce anche questa, per quanto Gesù non voglia, dicendo che basta ciò che ha.
Poi Maria si accosta alla tavola di nuovo, dal lato più stretto, alla sinistra di Gesù, e lo guarda mangiare.
Se lo guarda con struggimento, con adorazione, con il volto ancor più pallido del solito e che la pena rende come invecchiato, con gli occhi più grandi per un'ombra che li segna, indizio di lacrime già versate.
Sembrano anche più chiari del solito, come lavati dal pianto che è già nell'occhio, pronto a cadere. Due occhi dolorosi e stanchi.
Gesù, che mangia adagio e palesemente contro voglia, tanto per fare contenta la Madre, e che è pensieroso più del solito, alza il capo e la guarda.
Incontra uno sguardo pieno di lacrime e curva il capo per lasciarla libera, limitandosi a prenderle la manina sottile che Ella tiene appoggiata all'orlo del tavolo. Gliela prende con la sinistra e se la porta alla guancia, vi appoggia sopra la guancia e ve la strofina un momento per sentire la carezza di quella povera manina che trema, e poi la bacia sul dorso con tanto amore e rispetto.
Vedo Maria che si porta la mano libera, la sinistra, alla bocca, come per soffocare un singhiozzo, e poi si asciuga con le dita un lacrimone che è traboccato dal ciglio e riga la guancia.
Gesù riprende a mangiare e Maria esce svelta svelta nell'orticello, dove è ormai poca luce, e scompare. Gesù appoggia il gomito sinistro sul tavolo, e sulla mano appoggia la fronte e si immerge nei suoi pensieri, smettendo di mangiare.
Poi ascolta e si alza. Esce anche Lui nell'orto e, dopo essersi guardato intorno, si dirige verso destra, rispetto al lato della casa, ed entra, per una spaccatura, in una parete rocciosa, dentro a quello che riconosco per il laboratorio del falegname, questa volta tutto ordinato, senza assi, senza trucioli, senza fuoco acceso. Vi è il bancone e gli utensili, tutti al loro posto, e basta.
Curva sul bancone, Maria piange. Sembra una bambina.
Ha il capo sul braccio sinistro ripiegato e piange senza rumore, ma con molto dolore. Gesù entra piano e le si accosta così leggermente che Ella capisce che è lì solo quando il Figlio le posa la mano sulla testa china, chiamandola:«Mamma!» con voce di amoroso rimprovero.
Maria alza la testa e guarda Gesù fra un velo di pianto e si appoggia a Lui, con le due mani congiunte, contro al suo braccio destro. Gesù le asciuga il volto con un lembo della sua larga manica e poi l'abbraccia, tirandosela sul cuore e baciandola sulla fronte.
Gesù è maestoso, sembra più virile del solito, e Maria sembra più bambina, fuorché nel volto che il dolore segna.
« Vieni, Mamma » le dice Gesù e, tenendola stretta a Sé col braccio destro, si incammina tornando nell'orto, dove si siede su un banco contro il muro della casa. L'orto è silenzioso e ormai oscuro. Vi è solo un bel chiaro di luna e la luce che esce dal tinello. La notte è serena.
Gesù parla a Maria. Non intendo in principio le parole appena mormorate, alle quali Maria assente col capo. Poi odo: « E fatti venire le parenti. Non rimanere sola. Sarò più tranquillo, Madre, e tu sai se ho bisogno d'esser tranquillo per compiere la mia missione. Il mio amore non ti mancherà. Io verrò sovente e ti farò avvertire quando sarò in Galilea e non potrò venire a casa. Tu verrai da Me, allora.
Mamma, quest'ora doveva venire. Si è iniziata qui, quando l'Angelo ti apparve; ora scocca e noi dobbiamo viverla, non è vero, Mamma?
Dopo verrà la pace della prova superata e la gioia. Prima bisogna valicare questo deserto come gli antichi Padri per entrare nella Terra Promessa. Ma il Signore Iddio ci aiuterà come aiutò loro. E ci darà il suo aiuto come manna spirituale per nutrire il nostro spirito nello sforzo della prova. Diciamo insieme al Padre nostro... ».
E Gesù si alza e Maria con Lui e alzano il volto al cielo. Due ostie vive che lucono nell'oscurità.
Gesù dice lentamente, ma con voce chiara e scandendo le parole, la preghiera dominicale.
Appoggia molto sulle frasi: « adveniat Regnum tuum, fiat voluntas tua» distanziando molto queste due frasi dalle altre. Prega con le braccia aperte, non proprio a croce, ma come stanno i sacerdoti quando si volgono a dire: «Dominus vobiscum». Maria tiene le mani congiunte.
Poi tornano in casa e Gesù, che non ho mai visto bere vino, versa in una coppa, da un'anfora presa sulla scansia, un poco di vino bianco e la porta sulla tavola, prende per mano Maria e la obbliga a sedersi vicino a Lui e a bere di quel vino, in cui intinge una fettina di pane che le fa mangiare.
L'insistenza è tale che Maria cede. Gesù beve il rimanente vino.
E poi si stringe la Mamma al fianco e se la tiene così, contro la persona, dalla parte del cuore. Né Gesù né Maria stanno sdraiati, ma seduti come noi. Non parlano più. Attendono. Maria carezza la mano destra di Gesù e le sue ginocchia. Gesù carezza Maria sul braccio e sul capo.
Poi Gesù si alza e Maria con Lui e si abbracciano e si baciano amorosamente più e più volte. Sembra che sempre si vogliano lasciare, ma Maria torna a stringere a sé la sua Creatura. E' la Madonna, ma è una mamma infine, una mamma che si deve staccare dal suo figlio e che sa dove conduce quel distacco.
Non mi si venga più a dire che Maria non ha sofferto. Prima lo credevo poco, ora più affatto.
Gesù prende il mantello (blu scuro) e se lo drappeggia sulle spalle e sul capo a cappuccio. Poi si passa a tracolla la bisaccia, di modo che non gli ostacoli il cammino. Maria lo aiuta e mai finisce di accomodargli la veste e il manto e il cappuccio, e intanto lo carezza ancora.
Gesù va verso l'uscio dopo avere tracciato un gesto di benedizione nella stanza. Maria lo segue e sull'uscio ormai aperto si baciano ancora.
La via è silenziosa e solitaria, bianca di luna. Gesù si incammina. Si volta ancora per due volte a guardare la Mamma, che è rimasta appoggiata allo stipite, più bianca della luna e tutta lucente di pianto silenzioso. Gesù si allontana sempre più per la viuzza bianca. Maria piange sempre contro la porta. Poi Gesù scompare ad una svolta della via.
E' cominciato il suo cammino di Evangelizzatore, che terminerà al Golgota.
Maria entra piangendo e chiude la porta.
Anche per Lei è cominciato il cammino che la porterà al Golgota. E per noi...

Dice Gesù:
« Questo è il quarto dolore di Maria Madre di Dio. Il primo, la presentazione al Tempio; il secondo, la fuga in Egitto; il terzo, la morte di Giuseppe; il quarto, il mio distacco da Lei.
Conoscendo il desiderio del Padre, ti ho detto ieri sera che affretterò la descrizione dei " nostri " dolori perché siano resi noti. Ma, come vedi, già ne erano stati illustrati di quelli di mia Madre. Ho spiegato prima la fuga che la presentazione, perché vi era bisogno di farlo in quel giorno. lo so. E tu comprendi e dirai il perché al Padre. A voce.
E' mio disegno alternare le tue contemplazioni, e le mie conseguenti spiegazioni, coi dettati veri e propri, per sollevare te e il tuo spirito dandoti la beatitudine del vedere, e anche  perché così è palese la differenza stilistica fra il tuo comporre ed il mio.
Inoltre, davanti a tanti libri che parlano di Me e che, tocca e ritocca, muta e infronzola, sono divenuti irreali, lo ho desiderio di dare a chi in Me crede una visione riportata alla verità del mio tempo mortale.
Non ne esco diminuito, ma anzi reso più grande nella mia umiltà, che si fa pane a voi per ínsegnarvi ad essere umili e simili a Me, che fui uomo come voi e che portai nella mia veste d'uomo la perfezione di un Dio.
Dovevo essere Modello vostro, e i modelli devono essere sempre perfetti.
Non terrò nelle contemplazioni una linea cronologica corrispondente a quella dei Vangeli. Prenderò i punti che troverò più utili in quel giorno per te o per altri, seguendo una mia linea di insegnamento e di bontà.
L'insegnamento che viene dalla contemplazione del Mio distacco va specialmente ai genitori e ai figli, che la volontà di Dio chiama alla rinuncia reciproca per un più alto amore. In secondo luogo va a tutti coloro che si trovano di fronte ad una rinuncia penosa.
Quante ne trovate nella vita! Esse sono spine sulla terra e trafiggenti il cuore, lo so. Ma a chi le accoglie con rassegnazione - badate, non dico: " a chi le desidera e le accoglie con gioia " (ciò è già perfezione); dico: " con rassegnazione " - si mutano in eterne rose. Ma pochi le accolgono con rassegnazione. Come asinelli restii, recalcitrate al volere del Padre e vi impuntate, se pur non cercate colpire con spirituali calci e morsi, ossia con ribellione e bestemmie al buon Dio.
E non dite: " Ma io non avevo che questo bene e Dio me l'ha tolto. Ma io non avevo che questo affetto e Dio me l'ha strappato ".
Anche Maria, donna gentile, amorosa alla perfezione, perché nella Tutta Grazia anche le forme affettive e sensitive erano perfette, non aveva che un bene e un amore sulla terra: il Figlio suo. Non le rimaneva che Quello. I genitori morti da tempo, Giuseppe morto da qualche anno. Non c'ero che lo per amarla e farle sentire che non era sola. I parenti, per cagione di Me, di cui non sapevano l'origine divina, le erano un poco ostili, come verso una mamma che non sa imporsi al figlio che esce dal comune buon senso, che rifiuta le nozze proposte, le quali potrebbero dare lustro alla famiglia, e aiuto anche.
I parenti, voce del senso comune, del senso umano – voi lo chiamate buon senso, ma non è che senso umano, ossia egoismo - avrebbero voluto queste pratiche svolte nella mia vita.
In fondo c'era sempre la paura di dovere un giorno passare delle noie per causa mia, che già osavo mettere fuori delle idee troppo idealiste, secondo loro, le quali potevano urtare la sinagoga.
La storia ebraica era piena di insegnamenti sulla sorte dei profeti.
Non era una facile missione quella del profeta, e dava sovente morte allo stesso e noie al parentado.
In fondo c'era sempre il pensiero di dovere, un giorno, occuparsi di mia Madre.
Perciò il vedere che Ella non mi ostacolava in nulla e pareva in continua adorazione davanti al Figlio, li urtava. Questo urto sarebbe poi cresciuto nei tre anni di ministero, sino a culminare nei rimproveri aperti quando mi raggiungevano in mezzo alle folle e si vergognavano della mia, secondo loro, mania di urtare le caste potenti. Rimprovero a Me e a Lei, povera Mamma!
Eppure Maria, che sapeva l'umore dei parenti - non tutti furono come Giacomo e Giuda e Simone, né come la loro madre Maria di Cleofà - e che prevedeva l'umore futuro, Maria, che sapeva la sua sorte durante quei tre anni e quella che l'attendeva alla fine degli stessi e la sorte mia, non recalcitrò come voi fate. Pianse.
E chi non avrebbe pianto davanti ad una separazione da un figlio che l'amava come lo l'amavo, davanti alla prospettiva dei lunghi giorni, vuoti della mia presenza, nella casa solitaria, davanti al futuro del Figlio destinato a dare di cozzo contro il malanimo di chi era colpevole e che si vendicava d'esser colpevole offendendo l'Incolpevole sino ad ucciderlo?

Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio, e doveva piangere per tutte le mamme che non sanno fare, del loro dolore di madri, una corona di gloria eterna.

Quante madri nel mondo, a cui la morte svelle dalle braccia una creatura!
Quante madri a cui un soprannaturale volere strappa dal fianco un figlio! Per tutte le sue figlie, come Madre dei cristiani, per tutte le sue sorelle, nel dolore di madre orbata, ha pianto Maria. E per tutti i figli che, nati da donna, sono destinati a divenire apostoli di Dio o martiri per amore di Dio, per fedeltà a Dio, o per ferocia umana.
Il Mio Sangue e il pianto di mia Madre sono la mistura che fortifica questi segnati a eroica sorte, quella che annulla in loro le imperfezioni, o anche le colpe commesse dalla loro debolezza, dando, oltre al martirio, comunque subìto, la pace di Dio e, se sofferto per Dio, la gloria del Cielo.
Le trovano i missionari come fiamma che scalda nelle regioni dove la neve impera, le trovano come rugiada là dove il sole arde. Sono spremute dalla carità di Maria e sono sgorgate da un cuore di giglio. Hanno perciò, della carità verginale sposata all'Amore, il fuoco, e della verginale purezza la profumata frescura, simile a quella dell'acqua raccolta nel calice di un giglio dopo una notte rugiadosa.
Le trovano i consacrati in quel deserto che è la vita monastica bene intesa: deserto, perché non vive che l'unione con Dio, e ogni altro affetto cade divenendo unicamente carità soprannaturale: per i parenti, gli amici, i superiori, gli inferiori.
Le trovano i consacrati a Dio nel mondo, nel mondo che non li capisce e non li ama, deserto anche per questi, in cui essi vivono come fossero soli, tanto sono incompresi e derisi per amor mio.
Le trovano le mie care " vittime ", perché Maria è la prima delle vittime per amore di Gesù, ed alle sue seguaci Ella dà, con mano di Madre e di Medico, le sue lacrime che ristorano e inebbriano a più alto sacrificio.
Santo pianto della Madre mia!
Maria prega. Non si rifiuta di pregare perché Dio le dà un dolore.
Ricordatelo. Prega insieme a Gesù. Prega il Padre.
Nostro e vostro.
Il primo " Pater noster " è stato pronunciato nell'orto di Nazareth per consolare la pena di Maria, per offrire le " nostre " volontà all'Eterno nel momento che si iniziava per queste volontà il periodo di sempre crescente rinunzia, culminante a quella della vita per Me e della morte di un Figlio per Maria.
E, per quanto noi non avessimo nulla da farci perdonare dal Padre, pure per umiltà noi, i Senza Colpa, abbiamo chiesto il perdono del Padre per andare perdonati, assolti anche di un sospiro, incontro alla nostra missione degnamente. Per insegnarvi che più si è in grazia di Dio e più la missione è benedetta e fruttuosa. Per insegnarvi il rispetto a Dio e l'umiltà.
Davanti a Dio Padre anche le nostre due perfezioni di Uomo e di Donna si sono sentite nulla e hanno chiesto perdono. Come hanno chiesto il "pane quotidiano ".
Quale era il nostro pane? Oh! non quello impastato dalle pure mani di Maria e cotto nel piccolo forno, per il quale tante volte avevo formato fastelli e fascine.
Anche quello necessario finché si è sulla terra. Ma il " nostro " pane quotidiano era quello di fare giorno per giorno la nostra parte di missione. Che Dio ce la desse ogni giorno, perché fare la missione che Dio dà è la gioia del " nostro " giorno, non è vero, piccolo Giovanni? Non lo dici anche tu che ti par vuoto il giorno, ti pare non stato, se la bontà del Signore ti lascia un giorno senza la tua missione di dolore?
Maria prega insieme a Gesù. E' Gesù che vi giustifica, figli. Sono Io che rendo accettevoli e fruttuose le vostre preghiere presso il Padre. lo l'ho detto: " Tutto quello che chiederete al Padre in mio nome, Egli ve lo concederà ", e la Chiesa avvalora le sue orazioni dicendo: "Per Gesù Cristo Signor nostro ".
Quando pregate, unitevi sempre, sempre, sempre a Me. lo pregherò a voce alta per voi, coprendo la vostra voce di uomini con la mia di Uomo-Dio. Io metterò sulle mie mani trafitte la vostra preghiera e l'eleverò al Padre. Diverrà ostia di pregio infinito. La mia voce fusa con la vostra salirà come bacio filiale al Padre, e la porpora delle mie ferite farà prezioso il vostro pregare. Siate in Me se volete avere il Padre in voi, con voi, per voi.
Hai finito la narrazione dicendo: " E per noi ... ... e volevi dire: " per noi che siamo così ingrati verso questi Due che hanno montato il Calvario per noi ".
Hai fatto bene a mettere quelle parole. Mettile ogni volta che ti farò vedere un nostro dolore. Sia come la campana che suona e che chiama a meditare e a pentirsi.

Basta, ora. Riposa. La pace sia con te ».

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6.3 La Donna più bella del mondo…, l’archetipo della creazione degli uomini.

All’inizio della vita pubblica Gesù si era stabilito a Cafarnao ma – nelle visioni della nostra mistica – vedremo ancora Maria insieme a Gesù alle nozze di Cana.
La mistica la vede arrivare alla casa del matrimonio con un’altra donna.
Sulle prime non la riconosce, le due donne indossavano infatti lunghe vesti ed un manto che faceva anche da velo. Una era più anziana , sui cinquant’anni, l’altra più giovane sui trentacinque.
Ovviamente la più anziana è Maria – penseremmo noi, perché dopo l’inizio della missione di Gesù era sui quarantasette.
E invece no, Maria era la… trentacinquenne.
Nonostante i suoi quarantasette anni era infatti molto bella, snella, con un portamento pieno dignità per quanto tutta gentile e umile. Volto pallido, occhi azzurri e capelli biondi che si intravvedevano sotto il velo sulla fronte.9
Nell’opera valtortiana c’è un punto in cui si parla di questa grande bellezza sia di Gesù che di Maria, bellezza di tratti dovuta non solo a quelli genetici presi da Maria dai suoi ascendenti, e quindi ereditati da Gesù-Uomo per parte di Maria di cui era figlio di carne, ma anche al fatto di non avere entrambi tare dovute al peccato originale, fatto che li rendeva perfetti.
L’immaginarli belli non è dunque una questione di ‘psicologia’ o di pietismo popolare, ma una reale realtà.
Adesso vi spiego una cosa che ho appreso dagli insegnamenti del Gesù valtortiano che vi lascerà di stucco.
I primi due Progenitori erano perfetti sia sul piano spirituale che fisico.
Il fisico esprimeva esteriormente la loro perfezione interiore, cioè la perfezione della loro anima.
L’anima è il complesso psichico dell’uomo, ma fra anima e corpo vi è una stretta correlazione per cui i problemi ‘psichici’ finiscono spesso per riflettersi sul corpo, cioè per ‘somatizzarsi’, come dicono i medici.
Ebbene il Peccato originale, che fu un peccato dell’anima, cioè della Psiche, provocò la lacerazione del rapporto con Dio, la perdita dei doni spirituali, il ribaltamento dei valori, con l’io egoistico e carnale che prendeva il sopravvento sull’io spirituale, ed il tutto provocò un disordine anche nel corpo, un sovvertimento del metabolismo, una alterazione dei geni, sempre più pronunciata quanto più i discendenti dei Due progenitori continuarono a peccare non solo contro Dio ma contro tutti gli altri uomini.
Non ne risentì solo la salute fisica, influenzata dal disordine dell’anima, ma anche la stessa bellezza di lineamenti dovuta alla alterazione dei cromosomi originari.
Insieme ai belli cominciarono a nascere i meno belli, e poi i brutti del tutto – senza alcun riferimento alla bellezza interiore della loro anima, ovviamente – perché un brutto può essere di nobilissimo spirito mentre un bello può essere moralmente il peggio.
Belli e brutti nascono oggi dal gioco casuale della miscelazione dei cromosomi dei due sessi che si incrociano fra di loro, ma i ‘brutti’ – parlando solo dal punto di vista fisico -  sono quelli che, per loro casuale sfortuna, hanno ereditato dai loro antenati  la parte peggiori dei caratteri alterati.
L’anima interiore dell’uomo influisce sull’aspetto fisico esteriore, a cominciare da quello del volto e degli occhi.
Chissà quante volte vi sarà capitato di scoprirlo, guardando qualcuno negli occhi o studiandone i tratti del volto.
Maria e Gesù avevano dunque non solo avuto la fortuna di discendere da genitori – per parte di Maria - già di per sé geneticamente ‘belli’, ma di essere anche esteriormente ed interiormente ‘belli’, in quanto esenti dalle tare del Peccato originale, oltre a possedere per questa ragione anche in pienezza i doni dello Spirito Santo, come i Due Progenitori prima del Peccato.
Ecco, a questo proposito, una spiegazione della mia ‘Luce’10 che io avevo già ricordato parlando in un mio libro di Cesare Lombroso, il famoso esperto di antropologia criminale, che, essendo un evoluzionista e non credendo ovviamente all’anima né alla Creazione dell’uomo da parte di Dio, pensava che i caratteri morali e certi caratteri estetico-facciali di alcuni ‘delinquenti abituali’ dipendessero dal riemergere casuale, nel tempo, degli istinti ‘bestiali’ e dei caratteri somatici delle scimmie… che secondo l’evoluzionista erano sue antenate:

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Luce:
Dio fece l'uomo dominatore su tutto  quanto era sulla terra, l'uomo, questo smemorato : smemorato dalla malattia provocata dal Peccato Originale.

Già ti dissi che l'uomo è una unità psico-somatica, per usare un termine che vi piace e che voi utilizzate per indicare in realtà che l'uomo è carne fatta anche di psiche e che Io intendo per dire invece che l'uomo è Psiche, psiche, cioè anima, non fatta ma rivestita di carne.
L'uomo, dicevamo, è una unità psicosomatica. E quando il corpo viene danneggiato ne può essere danneggiata, a seconda dei casi, la psiche. Ma per la stessa legge, inversa, quando viene danneggiata la psiche ne viene danneggiato anche il corpo.
Ed il peccato di origine - ti dissi - quale virus terribile danneggiò la psiche, cioè l'anima, privandola della Grazia e,  subito dopo, il corpo - dopo la psiche - ne venne compromesso.
Seguimi nel ragionamento, vieni con Me.
E' un po’ quello che succede nelle vostre malattie, in certi vostri incidenti umani. Danneggiate ad esempio il cervello ( che è uno 'strumento' della Psiche, dell'Anima - ricordalo sempre -  e non un 'produttore' di psiche ), danneggiate dunque lo strumento e perdete la memoria di voi stessi, di chi siete, dell'identità vostra, da dove venite, dove andate.
Tu, nei tuoi affetti, hai toccato con mano questa tragica esperienza.
Ma poi il medico vi aiuta, vi rieduca, vi insegna a riacquistare la memoria di voi stessi, vi 'riabilita' il corpo e con esso la mente.
Dunque - dicevo - il medico vi riabilita...
Ma quale è il Medico perfetto se non il Padre vostro ?
Ed Io all'uomo malato - contagiato nella Psiche dal virus estesosi, sempre per contagio, al corpo in forza dell'unità psicosomatica, poiché ti ho già spiegato che la Psiche, ripeto: l'Anima, permea ogni atomo del corpo - ho dato la 'medicina'.
Ho fatto innanzitutto sentire la voce dei Profeti miei per fare nuovamente sapere all'uomo, caduto e imbarbarito, la sua figliolanza.
L'evoluzione, ti dissi, fu 'discendente'. Ciò rientra nel mio 'ordine' che non ama 'rotture' istantanee. La Creazione non fu 'istantanea', anche perché per me il 'tempo' non esiste. L'evoluzione 'ascendente' dell'universo fu 'ordinata', cioè 'progressiva', 'graduale'. E così l'involuzione dell'uomo, che è anch'essa una forma negativa di evoluzione.
Adamo ed Eva (ed i loro discendenti) persero subito la Grazia, per la disobbedienza, e con la Grazia le sue virtù, ma - a parte Caino - non erano ancora capaci di fare veramente il Male, non si erano ancora perfezionati nel Male.
La loro Psiche, cioè la loro Anima, era stata 'danneggiata' ma il virus, come spesso  succede in tante vostre malattie, prima 'incubò', poi si estese gradatamente, sempre di più, compromettendo sempre di più l'anima ed il corpo.
Per questo i primi uomini, come leggi nella Bibbia, vissero così a lungo.
E' verità, non favola.  E la ragione è quella che ti ho spiegato. Le funzioni corporee decaddero progressivamente, col tempo. La Morte arrivò, ma ritardata nel tempo rispetto ad ora. 
Ma man a mano che il male contagioso si estendeva, mano a mano che il primo uomo ed i successivi si specializzavano nel Male, si specializzavano spiritualmente, cioè psichicamente, intellettualmente, anche il corpo decadeva e la vita si accorciava, il corpo si indeboliva e le malattie di conseguenza aumentavano.
Non selezione della specie, la robustezza dei primi uomini: ché voi tutto interpretate in termini di 'specie', cioè di animalità, ed in termini di 'selezione', cioè di evoluzione naturale, considerandovi voi per primi degli animali mentre vi dite padroni dell'universo.
Poi ho inviato il Figlio, lui stesso 'Medicina', che si è dato a voi in carne, sangue e Spirito per riscattare non la salute del vostro corpo ma quella dell'Anima affinché in Grazia (quella che deriva dalla applicazione pratica, dico pratica, della sua dottrina) essa potesse - con la ferita 'cicatrizzata': cioè con i 'fomiti' rimasti e fonte di pulsioni - sperare, grazie alla buona volontà, di tornare al Cielo, da Me.
Ma per tornare a me, l'uomo attuale, come il Primo, deve tornare ad essere dominatore dei suoi tre stati: quello spirituale, quello morale, quello animale, cioè della carne.
Come l'uomo malato e poi 'riabilitato' non sempre recupera la piena efficienza originaria se danneggiato gravemente (come voi foste dal Peccato d'Origine), così voi ora non potete ottenere, neanche con la Grazia, il pieno recupero.
E allora dovete 'dominare', nel senso che allora dovete 'conquistare' quel dominio che una volta vi fu dato gratuito, dovete conquistarlo con la vostra fatica: con la buona volontà, che è fatica.
E sempre conquista imperfetta sarà ma -  perché frutto di sforzo, di buona volontà - sarà più gradita a Me di quella di Adamo che nessuna fatica fece, che anzi rinunciò alla buona volontà, per cui mentre lui ebbe il privilegio, calpestato, di essere figlio di Dio, voi avrete il privilegio, conquistato, di essere figli miei, ma nella Gloria, quella che non avrebbe avuto Adamo avendo ricevuto in dono gratuito, quella che invece meritano i veri figli miei che si conquistano il Padre ed il suo Regno con il martirio di sé stessi, con il martirio del proprio 'io'.
Ma non ti preoccupare. Non ti preoccupi il 'martirio'. Non ti chiedo di fare l'eroe, ché troppo sarebbe. Ti chiedo solo di 'martirizzarti', questo lo chiedo a tutti, quel tanto che basta nei limiti molto limitati della vostra buona volontà.
Voi, malati siete, e Io -  buon Padre - mi accontento di questo in attesa di guarirvi del tutto quando -  stanchi di una vita ma con la retta coscienza di aver fatto tutto il possibile, il 'vostro' possibile -  vi presenterete a Me per il Giudizio: non giudizio di Giudice per voi ma abbraccio del Padre che vi è padre, del Figlio che vi è fratello, dell'Amore che vi ama.             
                               
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 Ma vi fu anche un’altra ragione a motivazione della bellezza non solo interiore ma anche esteriore di Maria, una bellezza – si faccia bene attenzione – che non induceva a pensieri carnali ma che emanava al contrario una intensa spiritualità che incuteva soggezione e rispetto.
E la ragione consistette nell’archetipo al quale accenna il sottotitolo di questo libro e lo stesso testo del Retrocopertina, cioè nell’essere Lei stata il ‘modello’ ideale, perfetto, al quale Dio si ispirò nella sua mente ancor prima della Creazione.
Mentre meditavo uno dei tanti brani valtortiani  mi aveva spiegato infatti la mia ‘Luce’:11

Luce:
Maria Santissima fu presente nel Pensiero del Padre prima della Creazione, perché Lei fu il modello al quale Dio si ispirò per la creazione dell'uomo.
In funzione di questo modello Dio creò l'universo.
Dall'universo - secondo i tempi di Dio, che è fuori del tempo - venne gradualmente la terra, quindi il mondo vegetale, animale, l'uomo. E con l'uomo venne Maria SS., la Splendida, la Gemma più bella del Creato, l'Ostrica Santa degna di accogliere nelle sue valve il Frutto divino: il divino Figlio di Dio.
Solo la perfezione del Creato, solo una creatura perfetta poteva essere degna di accogliere, nutrire in sé, allevare ed educare  l'Uomo-Dio, solo una creatura perfetta poteva essere lasciata ad essere Madre della Chiesa e dell'Umanità.
Non c'è antitesi fra il culto di Maria  SS. ed il culto di Cristo-Dio, perché Maria-creata senza macchia in funzione della Redenzione - ha reso possibile con la sua libera volontà la Redenzione, perché Maria è la figlia perfetta di Dio - che ha sempre amato perfettamente - perché Ella fu sposa dello Spirito Santo, perché Ella fu madre del Cristo.
Figlia, Madre, Sposa, in Lei tutto si ricapitola e il Tutto si ricapitola in Lei. Per questo amare Lei è quasi come amare Dio, per questo amare Lei attira la benevolenza di Dio, perché Dio a Lei: l'Amata, la Perfetta, la Dolcissima, nulla può negare.
E se ti dissi un giorno che Dio è Amore, ma anche Giustizia, di Maria ti posso dire che è solo Amore. E quando tu l'ami, questa Perla preziosa, quando tu le chiedi amore e passi attraverso il suo Cuore, e Lei ti offre al Signore, il Signore non resiste alla triplice offerta e richiesta della Sposa, della Madre e della Figlia.
Essa schiaccerà il capo al Serpente - è detto nella Genesi - ed è per questo che il Serpente, livido, furioso, sibilante, si divincola e cerca di insidiarne il 'tallone', di minarne il culto, perché il Serpente 'sa' che il culto di Maria - per quello che ti ho spiegato - è l'arma più potente per la salvezza dell'anima dell'uomo.
Quando la guerra si fa dura, anche fra gli uomini, questi inventano e ricorrono alle armi più potenti. Ora che la guerra spirituale fatta da Satana all'uomo ha raggiunto uno dei suoi vertici massimi Io ho tirato fuori l'Arma segreta, quella che avevo riposto in previsione di questi tempi affinché, ora come allora, la nuova Eva continui a tenere il Serpente sotto il proprio 'tallone'.
Ama Maria, e troverai Me... sul suo Cuore!

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Stavo congetturando su questo concetto non tanto facile da assimilare, dubbioso di avere capito bene, quando la mia ‘Luce’ mi chiarì ancora:

Luce:
Maria fu ‘l’archetipo’ di tutte le creature: la creatura perfetta, degna di ospitare un Dio. La Creazione fu fatta per Lei perché tutti gli uomini decaduti trovassero in Lei la perfezione, perché da questa Perfezione sarebbe nato il Redentore, il Dio Redentore, che avrebbe riscattato l’Umanità e costituito – grazie al suo Sacrificio – il popolo dei Figli di Dio a Gloria ed Onore del Padre suo.

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Comprenderete adesso finalmente il perché del titolo che ho voluto dare a questo volumetto: ‘La Donna più bella del mondo’…, titolo che potrebbe apparire ‘leggero’, ma che trova in queste spiegazioni di ora una sua ben più profonda giustificazione.

Riepiloghiamo ora le tappe principali della vita di Maria.
A tre anni viene affidata al Tempio, a quindici conosce Giuseppe, a sedici si sposa e poi darà alla luce Gesù, a quarantacinque circa le muore Giuseppe, intorno ai 47 anni viene lasciata da Gesù per l’inizio della missione pubblica, tre anni dopo – a cinquanta – Gesù le muore.
Lei verrà assunta in Cielo verso i sessanta, sessantenne ma sempre bella come se per lei il tempo – dolori a parte – fosse trascorso senza lasciare segni.
Ma di quest’ultimo aspetto ne riparleremo.


1 Libro di Daniele: Dn 9,20-27  

2 G.L.:‘I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Capp. 10 e 11 - Ed. Segno, 2001

3 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 51 – Ed. Segno, 1997

4 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. 1, Cap. 5 – Ed. Segno 2001

5 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 5 – Ed. Segno

6 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luce e del ‘piccolo’ Giovanni’ – Vol. I, Cap. 10 – Ed. Segno

7 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 42 – Centro Ed. Valtortiano

8 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 44 – Centro Ed. Valtortiano

9 G.L. ‘Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni – Vol. I, Cap. 3 – Ed. Segno, 2000

10 G.L.: “I Vangeli di Matteo…’ – Vol. II, Cap. 5: ‘L’evoluzione discendente  e…l’uomo delinquente di Cesare Lombroso’ – Ed. Segno, 2002

11 G.L. “I Vangeli di Matteo…’ – Vol. IV, Cap. 20.2 – Ed. Segno 2004