5. Ecco il ‘mistero glorioso’ più grande: quello del dolore.

 

5.1 Non capivo il legame fra Redenzione e Sofferenza, finché non capii quello fra Peccato ed Espiazione.

Una cosa - fra le tante - l’avrete certamente capita, e che cioè qui si parla sempre di dolore.
Quando muovevo i primi passi sulla strada delle mie letture valtortiane e, specie nei ‘Quaderni’ dove a parlare non è il Gesù evangelico di 2000 anni fa ma quello moderno che parla sovente con rimprovero all’uomo di oggi, colpevole di non avere corrisposto al suo Sacrificio di Redenzione, io rimanevo molto scosso dal rilievo che veniva dato al tema del dolore, dolore inteso come mezzo di espiazione.
All’inizio io faticavo a comprendere persino il perché della presenza stessa del dolore, o per lo meno a ritenerlo inconciliabile con la presenza di un Dio che mi era stato insegnato essere ‘buono’.
Poi – sul perché del dolore – vi ho già detto che ho finito per scriverci sopra un libro, il secondo, con il quale giunsi finalmente a comprenderne le cause, tutte indipendenti dalla volontà di Dio, nel senso che il dolore è stato portato sulla terra dall’Odio di Satana e da allora è stato sempre egregiamente supportato dagli egoismi degli uomini, oltre che dalla natura umana ormai fisicamente decaduta che porta alle malattie ed alla morte.
Faticavo però a capire perché - per salvare gli uomini  - Dio avesse dovuto  incarnarsi e, come Uomo-Dio, soffrire.
Quella ‘croce’ mi faceva paura, mi faceva paura quel vivere il sentimento della sofferenza in forma masochistica.
Non capivo il legame fra Redenzione e Sofferenza, finché non capii quello fra Peccato ed Espiazione.
Il concetto potremmo riassumerlo così.
L’Uomo – con i Primi Due – aveva avuto doni immensi da Dio, e fra questi una intelligenza superiore, l’immortalità fisica, il diritto ad una vita prima nel Paradiso terrestre e poi ad una vita eterna nel Paradiso celeste, senza dimenticare la possibilità che aveva di intrecciare colloqui spirituali con Dio stesso, nei ‘silenzi della sera’, cioè nella pace dell’Anima.
L’uomo aveva però tradito Dio e ne aveva subito le conseguenze.
Ma se i Primi Due avevano mancato in un ramo dell’Amore, quello verso Dio, i successivi – a cominciare da Caino – mancarono anche nell’altro ramo, quello dell’amore verso il prossimo.
Da allora per l’uomo cominciò una discesa continua in cui le onde concentriche del Male si allargavano sempre di più sospinte da una Umanità sempre più corrotta.
Ci volle un diluvio, per distruggere e poter ricominciare.
L’Umanità era però ormai decaduta, le ferite del Peccato originale rimanevano, e dopo poco tempo – la storia è fatta di cicli e ricicli – l’uomo ricominciò a sbagliare.
L’uomo – con le sole proprie forze – non avrebbe mai più potuto ritornare, in spirito, nel Regno dei Cieli.
Con il passare dei secoli aveva persino perso la consapevolezza della propria origine spirituale.
Il Peccato, non tanto e non solo quello ‘originante’, come vi avevo spiegato, ma quello ‘originale’ dovuto alla conseguenze nei discendenti dell’errore personale dei primi due, pesava come un macigno ed impediva all’uomo di rialzarsi da terra e rivolgere lo sguardo al Cielo.
Ma se il Peccato è mancanza di amore e se in Cielo entrano solo quelli che imparano ad amare, come avrebbe mai potuto l’Umanità – fatta di uomini che vivevano e morivano: i cattivi all’Inferno e i relativamente buoni nel Limbo – aspirare un giorno a quel Regno dei Cieli che l’errore dei Progenitori aveva loro precluso?
Ci voleva un perdono!
Un perdono gratuito? Troppo ‘ingiusto’ per un Dio che è anche Giustizia.
Troppo comodo cavarsela anche con dei sacrifici animali, dove ad espiare sono quelle povere bestie che non hanno nessuna colpa.
Non parliamo neppure di ‘sacrifici umani’ che peraltro Dio non chiedeva come faceva invece il Dio ‘pagano’ – satanica ispirazione - di certe religioni barbare.
Ho un fratello che è sulla via della conversione, è un generoso, legge i miei libri, vorrebbe ‘fare’, ma poi – anche lui – è spaventato dall’ottica del ‘dolore’ anche se nessuno, come neppure a me, glielo ha chiesto.
I miei sono libri di commento e in qualche caso di sviluppo di concetti che emergono ‘in nuce’ dall’Opera della grande mistica.
Voi avrete notato come siano frequenti le mie ‘citazioni’, e ciò non perché mi ‘appoggi’ a lei – come mi rimprovera mio fratello – ma perché mi sembra essenziale che il pensiero perfetto del ‘suo’ Gesù venga riportato in misura fedele e completa.
Il mio ruolo è come quello dei ‘portatori d’acqua’ per i grandi campioni del ciclismo: io pedalo e porto la ‘borraccia’ e quando è il momento giusto il Campione – che è Gesù – parte allo sprint e…taglia Trionfatore il Traguardo.
E’ Lui che vince sempre, ed è giusto perché è Lui il Vero Campione, ma io sono contento lo stesso come se avessi vinto io, anche se ho solo portato una ‘borraccia’.
Ora mio fratello, che ha un sacro terrore della Valtorta e del suo misticismo, mi dice che i miei libri se li legge, rilegge e medita, ma solo fino al punto in cui spunta il brano della Valtorta, perché lì lui salta a quello successivo, ovviamente…mio.
Mi cascano le braccia perché mi sembra che lui si perda il meglio e renda persino vana la mia fatica di ‘borracciaro’.
Mi telefona spesso per dirmi che è d’accordo su certi brani, per chiedermi chiarimenti su altri, o per dirmi che non è d’accordo con ‘quella Valtorta là…’.
Anzi, quando qualche mio libro lo mette in crisi di coscienza mi chiede come mai – anziché scrivere sempre su queste cose della ‘Valtorta’, donna che infilo in tutte le salse per ogni dove – io non cambi genere letterario e scriva romanzi, gialli o quant’altro voglia, anche in tema di politica, visto che – secondo lui, che è mio fratello, è generoso e mi vuol bene – io scriverei magnificamente.
In questi momenti è inutile ragionare. Gli dico allora che va bene, che finirò per farlo, che me ne andrò in crociera da qualche parte a divertirmi senza pensare al ‘dolore’, che farò una accurata selezione dei migliori ristoranti della Guida Michelin, e lui allora non mi crede ma è lo stesso contento perché non si sa mai…
Devo solo aspettare che la ‘crisi’ gli passi, insieme ai suoi complessi inconsci di colpa che il Gesù della mistica Valtorta ha provocato a suo tempo a me prima ancora che a lui.
Ebbene fu mio fratello che una volta – sempre a proposito del ‘Dio buono’ di noi cristiani – mi chiese ‘Ma che Dio è mai quello che chiede ad un Abramo di accoltellare e sacrificare suo figlio Isacco? Un Moloc anche lui’?
E’ però una domanda che mi sono sentito fare in un altro paio di occasioni da altre persone e pertanto - prima che, parlando di ‘sacrifici’, ve la facciate ora anche voi - vi rispondo subito.
Si tratta di quella che viene chiamata ‘La Prova d’Abramo’, la ‘Prova’ di massima fedeltà e di amore che Dio può chiedere a qualcuno che è padre, o madre.
Dio non sottopone mai i suoi ‘figli’ a ‘prove’ che Egli sa che essi non sarebbero capaci di superare o che potrebbero indurli in disperazione al punto di perdersi.
Le prove a cui Dio ci pone di fronte non sono insuperabili come lo sono quelle opposteci da Satana al fine di farci cadere.
Gli ostacoli di Dio sono superabili, e se ogni volta Egli alza di più il segno dell’asticella è per abituarci a saltare sempre più in alto, anzi a farci volare.
Dio infatti – da fuori del Tempo - conosce in anticipo il futuro ed il nostro comportamento. Egli sa già in anticipo che noi saremo in grado di superare la prova, e ce ne renderà poi merito al centuplo dopo che avremo in tutta libertà superato il nostro test.
Talvolta poi non ci sottopone nemmeno alla attuazione completa di quanto richiestoci ‘per prova’, accontentandosi invece di vedere il nostro comportamento, cioè l’intenzione di volerla superare.
E’ ciò che successe con Abramo, al quale Dio fece  però fermare da un Angelo il braccio armato già teso sulla testa del figlio Isacco.
Prova superata, dunque, che meritò così ad Abramo la ‘discendenza innumerevole’ che il Padre gli aveva promesso non solo per il futuro popolo di Israele ma - Redentore e Redenzione  compresi - discendenza spirituale per tutta l’Umanità.
Isacco come Gesù, Abramo come Dio Padre.
Ma a parti invertite, perché Dio Padre – nel suo amore per l’uomo - non evitò la morte al Figlio, né evitò a Sé stesso la morte del Figlio.
E perché Gesù fin dall’inizio seppe che avrebbe dovuto morire effettivamente sulla Croce, come lo seppe sua Madre che lo vide morire sapendo per prescienza che nessuno avrebbe fermato la Mano del Padre.
Dio lasciò fare, affinché il dolore e quindi l’espiazione fossero più completi, perché in gioco c’era il destino di tutta l’Umanità.
Ritornando però al concetto iniziale, e cioé che per ottenere il perdono dell’Umanità era necessaria l’espiazione, in questo caso la Vittima offerta a Dio avrebbe dovuto essere adeguata al dono immenso che gli veniva chiesto in cambio.
Ma quale ‘vittima’ avrebbe mai potuto compensare la mole tremenda di peccati atroci commessi dall’Umanità nel corso di millenni e millenni, passati e futuri? Il solito olocausto di animali? Un olocausto addirittura umano? No. Lo avrebbe potuto fare solo il Sacrificio di un Dio, il Verbo, che si facesse Uomo e – patendo oltre ogni misura fisica, morale e spirituale – offrisse al Padre la propria sofferenza e la propria vita in riscatto della Vita eterna in Paradiso restituita al resto dell’Umanità.
Come avrebbe potuto – l’Uomo-Dio - riparare una tale mancanza di amore degli altri uomini verso Dio?
Con altro atto di amore che – per essere divino, e cioè infinito – potesse controbilanciare le sterminate mancanze d’amore dell’Umanità.
Ma come si dimostra ‘amore’ se non accettando la sofferenza per amore?
Come si può espiare e riscattare se non soffrendo?
Ecco la Redenzione, ecco anche la Corredenzione.
Ero dunque immerso in questi lugubri pensieri un giorno in cui, leggendo l’Opera, avevo meditato anche su una serie di commenti nei ‘Quaderni’ in cui la Madonna aveva spiegato alla mistica il significato profondo dei vari misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi.1
Li avevo letti tutti, ma non riuscivo a trovare da nessuna parte il commento della Madonna al primo mistero glorioso, che parla della Resurrezione di Gesù: è quello che nel racconto delle visioni valtortiane mi entusiasma di più.
Questo deve essere lo spirito del ‘bambino’ che è sempre presente dentro di noi e che – come quando guardavamo certi film western all’americana di una volta – ci fa gridare: ‘”Arrivano i nostri…’!
Volevo dunque – dopo aver letto i misteri dolorosi – tirarmi un po’ su il morale e quindi avevo sfogliato e risfogliato a lungo le pagine, avanti e indietro, pensando che il brano di commento di Maria che non trovavo, relativo alla Resurrezione, dovesse magari essere in qualche altro punto dell’Opera, composta da vari libri.
Non riuscivo però a trovarne traccia, finché -  esausto di spaginare - non rinunciai.
E fu allora che mi arrivò dalla ‘Luce’ del mio ‘Subconscio creativo’ - ‘a tradimento’ - questo strano commento al ‘primo mistero glorioso’, ben diverso da quello che mi sarei aspettato:

Luce:
A commento del primo mistero glorioso.
Gesù è nato. E' nella sua grotta al freddo e al gelo. Così narra la tradizione. Ma quanto soffrire, quante pene...
Niente fu quella sofferenza fisica calata su un infante che non poteva comprendere, con solo un impercettibile barlume di coscienza umana.
Le pene e le sofferenze sono venute dopo, man mano che egli, mio figlio, aumentava in scienza e sapienza, come dicono i miei "testimoni" nel loro "Vangelo".
Buona Novella. Certo. Ma mai "buona novella" doveva essere così male accolta. Con il freddo e il gelo ci fu pure l'amore dei pastori, degli umili...ma poi, ma poi quando dai Magi si seppe chi doveva essere nato..., quale tragedia !
Fu quella la prima persecuzione, la prima strage degli innocenti.
Perché il Male odia l'innocenza delle anime, simbolo dell'innocenza di Dio, e soprattutto del Figlio di Dio che aveva assunto umana carne.
E quanta sofferenza in questo annichilimento!
'Mistero doloroso' doveva essere, non fosse stato per l'amore di Dio che ha voluto trasformare il dolore in gloria.
Il resto della vita, prima di quella pubblica, non conta perché - a parte gli affanni della fuga, l'ansia del ritorno - fu solo vita di ristrettezze peraltro serena perché vissuta in Dio e con Dio fra noi.
Ma dopo ...nei tre anni e fino al patibolo... non gloria ma disamore!
Tutto della vita di mio Figlio è stato non all'insegna della gloria ma del dolore.
Nacque in una stalla, morì su un palo di croce: crocifisso come farfalla, con le sue ali aperte in segno di amore e di abbraccio filiale...
Ecco il mistero glorioso più grande: quello del dolore.
Dolore soltanto attraverso il quale - per amore - si poteva, Dio poteva, riscattare il genere umano.
Tu non sei anima vittima ma devi almeno capire la generosità delle altre anime che vittime si danno, mostrando un coraggio, anzi una abnegazione che tu umanamente non hai.
Così ti sentirai più sollevato pensando al fatto che il Signore, per la tua debolezza, non ti chiede di più.
Ma quello che devi fare, quello che "puoi" fare, fallo bene.
Anche questo, in un certo senso, è amore di vittima.
Non olocausto,  non "vittima", ma "amore" di vittima sì perché sempre chi ama Dio e obbedisce ai suoi comandi soffre su questa terra ed è vittima del mondo che non comprende e spesso odia.
Dolore e amore.
Questo è il "ritornello" che il Padre vuole che noi cantiamo con gioia, questa è la musica suonata dal Figlio mio, armonia celeste da troppi non compresa, questo è l'esempio che - con la sua nascita, la sua vita, la sua morte - egli, Fratello, ha voluto dare ai suoi Figli dei quali era contemporaneamente Padre.
Fratello, Figli, Padre: è l'altro triangolo dell'Amore Trinitario, dove Egli - Figlio del Padre, Padre del Figlio - è Fratello degli altri figli del Padre.
Questa è la ragione della comunione dei santi.
Questo è il circolo chiuso dell'Amore, "chiuso" perché nulla si crea e nulla si distrugge in eterno, in un principio che non ha fine con una fine che non ha principio.
Prova dunque a pensare al 'primo mistero glorioso' come al primo mistero doloroso sapendo che però è stato il primo mistero d'amore di mio figlio, che è vostro Fratello e Padre nell'unità con lo Spirito Santo, mio divinissimo Sposo.

 

5.2 C’era però stata una frase che mi aveva lasciato un dubbio, perché mi pareva una contraddizione…

Non so se lo avrete notato, ma qui la ‘Luce’ conclude accennando al ‘suo divinissimo Sposo’.
Avete capito chi è? L’avete dunque capita la ‘lezione’ e la garbata ma severa tirata d’orecchi che mi ha dato la nostra ‘Corredentrice’?
Ecco perché vi ho detto che con la Madonna ho un ‘rapporto’ difficile.
Lei non solo con lo Spirito Santo ma anche con il Dolore ci andava a nozze.
Rileggiamo ancora una volta…:

«Tu non sei anima vittima ma devi almeno capire la generosità delle altre anime che vittime si danno, mostrando un coraggio, anzi una abnegazione che tu umanamente non hai.
Così ti sentirai più sollevato pensando al fatto che il Signore, per la tua debolezza, non ti chiede di più.
Ma quello che devi fare, quello che "puoi" fare, fallo bene ».

Ecco perché io avevo paura del ‘dolore’. A forza di meditare sulla Valtorta, anima vittima, e a furia di leggere tutti quegli inviti ad offrire il dolore per salvare gli altri avevo finito per dirmi, inconsciamente: ‘Qui va a finire che prima o poi – questi - me lo chiedono anche a me! Alla larga!…’. Sta a vedere che ha ragione mio fratello… e che, quando anch’io arrivo al brano della Valtorta, o alla mia ‘Luce’, sarà meglio che lo salti anch’io…!’.
Vi ho detto all’inizio di questo libro che il ‘Subconscio’ è il nostro io interiore e di fronte a quello non c’è difesa: ti legge tutto dentro prima che il tuo ‘io esteriore’ se ne renda ancora conto.
Se ‘lui’ si accorge di qualcosa che non va, ‘tu’ sei fregato, e ti redarguisce.
Scartato fortunatamente il dolore perché a sentire il Gesù valtortiano pare che quello sia un dono di predilezione, un privilegio che il Padre concede solo agli eletti fra gli eletti, non mi rimaneva dunque che cercare di fare bene quello che posso fare.
A dire il vero non so se lo faccio bene, ma è per questo che sono sette anni che non faccio altro che scrivere libri nella speranza di migliorarmi un poco.
Il risultato non sarà pari alle aspettative, d’accordo, ma io ci metto almeno la ‘buona volontà’.
Non è una forma di ‘dolore’ anche questa, tutto sommato?

C’era stata però una frase che mi aveva lasciato un dubbio, perché mi pareva una contraddizione…ed aveva fatto subito scattare i miei meccanismi di sospetto, difesa e…prevenzione.
Il Gesù valtortiano, nel capitolo precedente, aveva detto che la vita di Maria era stata tutta una sofferenza.
La mia ‘Luce’, poco sopra, mi sembrava che invece ‘minimizzasse’ i dolori di Maria, perché diceva al contrario:

Il resto della vita, prima di quella pubblica, non conta perché - a parte gli affanni della fuga, l'ansia del ritorno - fu solo vita di ristrettezze peraltro serena perché vissuta in Dio e con Dio fra noi.

Allora la vita della famiglia di Nazareth e della Madonna in particolare, prima dei trent’anni di Gesù dopo i quali Egli iniziò la predicazione pubblica, fu una vita di tribolazioni o una vita serena?
La risposta la ebbi qualche tempo dopo, perché la mia ‘Luce’ – non di rado – lascia tempo al tempo, prima di rispondermi, perché magari aspetta il momento giusto.2
La Valtorta era solita meditare la 'Passione' di Gesù rileggendo la narrazione di visioni e dettati da lei precedentemente avuti.
La Madonna che le parla le dice però ad un certo punto che nel ripercorrere le varie 'tappe' della Passione fra il Venerdì e il Sabato santo vi è nei Vangeli una 'carenza' che Lei stessa le colma raccontandole la sua grandissima sofferenza dal momento in cui Gesù fu rinchiuso nel sepolcro - lui dentro e lei fuori aggrappata al pietrone di chiusura - e quindi via-via fino al suo ritorno alla casa del Cenacolo. 3
E' questo il racconto straziante di una madre che rivive, con grande acutezza di introspezione psicologica, il dolore provato per la morte del figlio.
Maria SS. invita dunque la mistica a fare tutti i sabati - quando 'rivive' la Passione - l'Ora della Desolata, meditando anche su queste sofferenze che le sono state appena raccontate.
Ed è mentre stavo chiudendo il libro della Valtorta - stanco di tutte queste ‘desolazioni’ - che…

Luce:
L'Ora della Desolata...
La Mamma mia Desolata fu perché sempre visse nel pensiero -  con la prescienza -  delle mie sofferenze e morte.
Morte atroce di Croce, morte spirituale, intesa come offese mortali allo Spirito ed al Cuore mio.
Tutta la sua vita fu una vita di Desolata, e se Lei ti disse che la sua vita - prima dei tre anni di vita pubblica - vita serena fu, fu perché nel suo Amore essa seppe soffrire con Amore e quando si soffre con amore e per amore la sofferenza non è, e la vita serena è, perché è vita di sofferenza ma sofferenza in Dio e con Dio.
Ed Io ero ben Dio...
Questa è una riflessione che ti volevo far fare.
Non sei anima vittima, non temere, ma devi almeno capire - e qui insisto - che le Vittime sono vittime d’Amore e nella Sofferenza trovano conforti tanto soprannaturali che la sofferenza non è più tale ma anzi diventa gioia, gioia spirituale.
Le vittime -  da questo punto di vista - non sono più 'vittime' ma anime privilegiate - baciate dal privilegio di Dio -  che, come tali,  vivono una anticipazione "umana", e perciò piccola ma grande allo stesso tempo, di quella che sarà invece la vera gioia eterna.
Vere vittime sono invece gli altri, quelli che non sono vittime, perché perdono il privilegio e devono vivere nella dimensione dell'umano.
Eccoti un chiarimento importante che completa, per te, il ciclo che ti ho fatto leggere sulle anime-vittima.
Come ti dissi, non vittima devi essere, perché diversa è la tua missione.
Missione di apostolo che deve trovare il consenso della tua volontà.
Ma è bene, ma è stato bene che ti fosse ben chiarito il ruolo e la sorte delle vere vittime perché così le difficoltà che incontrerai nella tua missione di apostolo ti sembreranno ben poco, quasi una gratificazione di Dio alla tua debolezza, e ringrazierai il Signore di averti - nella sua Misericordia che tiene conto della tua pochezza di forze - di averti chiesto così poca cosa. E tu allora opererai con gioia...

E per timore forse che non avessi ben capito, successivamente mi ribadì ancora:4

Luce:
Metti sempre a fuoco due concetti fondamentali della mia Dottrina: quello del Dolore e quello dell'Amore.
Vengono trattati compiutamente nell'Opera, a più riprese: vedrai meglio e li approfondirai.
Il dolore inteso quale 'accettazione' e non rifiuto, e quindi come strada di espiazione terrestre che vi libera dal peso dei vostri peccati e che vi porta più presto e più direttamente a Dio.
Il concetto di amore - che in qualche modo e per quanto sembri difficile si incrocia con quello dell'accettazione del dolore - che pure porta a Dio, molto più direttamente, perché l'essenza di Dio è Amore.
La strada dell'Amore si incrocia con quella del Dolore perché chi ama sa soffrire, chi ama 'offre' e si offre per gli altri, e chi si 'offre' soffre anche, ma è una sofferenza d'amore che in quanto tale è dolce perché contemperata dalla consapevolezza di essere compartecipi del progetto di Dio su ogni uomo: quello di amarsi per essere 'simili' a Lui stesso.
Nell'accettazione e comprensione di questi due concetti sta la base della dottrina cristiana.
Ciò cozza contro l'egoismo dell'uomo-animale, ma è l'unico modo per farlo evolvere allo stato di uomo spirituale.
Questa è la vera 'evoluzione' della specie umana.
Batti bene su questi due concetti, dunque, e sviluppali ogni volta che il tema trattato te lo consenta, perché sono fondamentali.
In quest'ottica il dolore sulla Terra - non voluto da Dio ma conseguenza dell'uomo - non è una ingiustizia ma una opportunità.
Quindi, l'importanza di imparare ad abbandonarsi per saper soffrire ma nello stesso tempo soffrire meno: Dio da un lato chiede ma dall'altro dà.
Compartecipazione da un lato e contemperazione dall'altro.
….
Il fulcro della Dottrina cristiana è il dolore.
Perché è solo con il dolore -  accettato ed offerto, quando non 'richiesto' - che si può riparare agli errori degli altri. Perché il dolore è sofferenza, è espiazione, per sé e per gli altri, e nel dolore 'offerto' si concretizza il miracolo dell'Amore, che è il perdono di Dio ai peccatori, grazie ai meriti dei fratelli di sangue, spirituale, che hanno sofferto.
Perché questa è la Comunione dei Santi, la 'comunione' dove i 'santi' mettono in comune dolore e amore (perché il dolore accettato ed offerto è 'amore') per aiutare i loro fratelli che non sanno ancora amare.
Ecco il perché della sofferenza che, quando è di anime innocenti, è ancora più gradita a Dio, perché sofferenza 'perfetta' che salva, sofferenza senza inquinamenti, che viene posta sull'altare dell’Umanità a bruciare di fiamma intensissima le scorie del peccato.
Dio, dunque, è Dio di Libertà e consente la sofferenza proprio perché è Dio di Libertà.
Se non ci fosse libertà non ci sarebbe merito, e senza merito - per giustizia - non ci sarebbe il Paradiso. Ma poi Dio utilizza la sofferenza e la volge a favore di chi soffre e di chi pecca, per la loro felicità eterna nell'unica vita che conta, quella dello spirito.

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Bene, avendo ormai capito tutto o quasi del ‘dolore’, abbiamo potuto anche capire il senso ed il valore della Redenzione e, conseguentemente, della Corredenzione di Maria SS..
Siamo adesso in condizione di procedere in questo nostro lavoro e comprendere meglio quanto seguirà.


1 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 75 – Edizioni Segno, 1997

2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 76 – Edizioni Segno, 1997

3 M.V.: ‘Quaderni 1944’, Dettato 3.6.44, pagg. 408/414 – Centro Ed. Valtortiano

4 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’, Capp. 101 e 104 – Ed. Segno, 1997