(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X , Cap. 618 – Centro Ed. Valtortiano)
(G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Capp. 84 e 85, Edizioni Segno, 1997)

15. Questo è quello che dissi al Padre dalla Croce, questo è dunque quello che dico oggi al Padre per voi. Non sapete quello che fate!

15.1 La Passione di Gesù seguendo la ‘sinossi’ dei quattro Vangeli.

L’agonia del Getsemani ha dunque rappresentato l’inizio vero e proprio della Passione di Gesù che terminerà con la sua morte in  croce.
Gesù, una vola risorto, è ormai nella gloria, in spirito, anima, corpo e divinità.
Un corpo  ‘glorificato’, vale a dire dotato di caratteristiche che noi definiamo soprannaturali come quelle di una bellezza fulgida e di un corpo che trascende le comuni leggi della natura.
Un corpo che – come narrato nei Vangeli - può apparire o scomparire, attraversare pareti solide, trovarsi contemporaneamente in punti diversi a grande distanza l’uno dall’altro, un corpo che si sposta insomma con la velocità del pensiero.
Fantascientifico?
Non più di quanto lo apparirebbe la società tecnologica moderna ad un uomo che fosse vissuto solo un paio di secoli fa.
 Oggi la Medicina trapianta cuori ed altri organi, scopre Dna e Genoma,  inventa la bio-ingegneria.
La Fisica scopre la fissione, la fusione nucleare e la propulsione atomica.
L’Astronomia con i suoi telescopi moderni sonda gli spazi infiniti, scopre e ‘conta’ miliardi di galassie, ne determina la velocità di fuga e individua nelle stesse centinaia di miliardi di stelle e pianeti.
L’Ingegneria spaziale costruisce ed invia satelliti intorno alla terra e navicelle nei più lontani pianeti del nostro sistema solare per una futura esplorazione dell’uomo e la costruzione di avamposti umani nello spazio.
L’uomo – scriveva anche San Paolo - è costituito di corpo, anima e spirito.
Quale è però la differenza fra anima e spirito? Non sono sinonimi per indicare la stessa cosa?
L’anima-animale è un ‘principio vitale’ intelligente - comune sia pur in gradazioni diverse  a tutto il mondo animale, incluso l’animale-uomo - che consente a quel dato animale di condursi come tale secondo la ‘missione’ specifica che Dio nel momento creativo gli ha assegnato nel mondo della natura, facendo in sostanza vivere il nostro cane, il nostro gatto, il nostro cavallo e facendolo comportare da cane, da gatto e da cavallo.
Intelligenza e comportamento conformi cioè alla sua ‘missione’.
L’anima-animale muore e si dissolve con la morte del corpo.
Lo spirito dell’uomo è invece quello che Dio crea appositamente di volta in volta per infonderlo nell’embrione concepito dai due genitori. 1
Esso è una sorta di ‘anima nell’anima’, cioè una specie di quint’essenza dell’anima.
Lo spirito è quello che noi chiamiamo comunemente subconscio o inconscio, per indicare con questo termine una realtà misteriosa – che si rivela ad esempio anche nei sogni – della quale ‘realizziamo’ la ‘presenza’ ma che non riusciamo ad inquadrare, a definire, a capire, se non in maniera confusa cercando di studiarne alcuni comportamenti.
Il nostro ‘io’ è quel nostro ‘sé’ che parla, che ride, che piange e che si relaziona con il mondo, lo spirito o il subconscio sono ‘qualcosa che è invece ‘dentro’ e che stenta a ‘perforare’ lo spessore della ‘carne’, al punto da farci dire che è ‘prigioniero della carne’, ma che più che col mondo vorrebbe parlare con Dio.
È lo spirito - entità spirituale di per sé libera ed intelligente, di una intelligenza differente dal ‘principio vitale’ che costituisce l’anima-animale degli animali in genere - quello che ha dentro di sé il ricordo inconscio del Dio che ha visto nell’istante fulmineo in cui veniva creato per essere subito infuso nell’embrione umano salvo poi rimanerne smemorato.
E’ lo spirito quello che tende istintivamente a tornare dal suo Creatore.
E’ lo spirito quello che in tutti gli uomini di tutte le razze e latitudini cerca e tende naturalmente a Dio.
E’ lo spirito quello che sopravvive alla morte del corpo ed è destinato ad una vita eterna.
Sono gli spiriti dei riviventi quelli che alla fine del mondo ed al momento del Giudizio universale verranno chiamati a rivestirsi dei loro corpi per essere avviati, con i loro corpi, alla loro destinazione finale.
Sono gli spiriti dei salvati quelli che potranno rivestirsi di un corpo ‘glorificato’, un corpo cioè dalle caratteristiche simili a quelle del Gesù risorto.
Non riesco neanche ad immaginare quali prospettive si apriranno ai loro occhi con la possibilità magari di ‘conoscere’ – nella Luce di Dio - mondi e mondi ‘raggiungibili’ telepaticamente non con la misera  ‘velocità della luce’ ma con quella del pensiero.
Una volta il Gesù valtortiano aveva detto che mondi e vite pullulano nell’immenso universo creato da Dio onnipotente, e che la terra è solo  il mondo moralmente peggiore, a causa di Satana e dell’uomo che lo asseconda.
Ma allora esistono veramente altri mondi?
Scienziati hanno detto che dal punto di vista del calcolo matematico-probabilistico è praticamente pari allo zero la possibilità che non esistano altre forme di vita, per di più intelligente.
Dunque esistono altri mondi, altre forme di vita, probabilmente diverse dalle nostre ma forme di vita intelligenti e… dotate di un senso dell’etica e della morale se il Gesù valtortiano ha detto che il nostro è solo quello ‘moralmente’ peggiore di tutti questi mondi.
Nella nostra futura veste di ‘spiriti liberi’ da questa nostra carne, ci aspetta dunque un destino di conoscenze e di gloria.
Questa nostra vita, che ci pare ancor bella, è in realtà un ‘inferno’ rispetto a quell’altra vita sconosciuta che noi chiamiamo con il termine di ‘Paradiso’.
Il Verbo di Dio è allora sceso in terra per liberarci dal Peccato per consentirci di entrare in quella nuova dimensione alla quale si accede solo se si è purificati.
Noi siamo quindi uomini di ‘carne’ - non solo in senso fisico ma anche in senso morale e spirituale - ai quali Dio chiede di divenire più ‘spirituali’ prospettandoci un destino eterno da superuomini.
I veri superuomini non sono dunque quelli nati dall’Illuminismo, cioè nati dalle scimmie ed ‘evolutisi’ grazie alla Ragione, ma sono quelli nati dallo spirito.
La vera evoluzione dell’uomo non è quella che dai quadrumani conduce all’uomo di Neanderthal e quindi all’Homo Sapiens, ma è quella dell’uomo che - tale sin dall’origine e creato da Dio con un’anima spirituale ma divenuto per il Peccato originale ‘uomo carnale’ – si ‘rigenera’ e si purifica nella ‘conversione’ trasformandosi in questa vita terrena in ‘uomo spiritualizzato’, divenendo ‘spirito’ senza corpo nell’altra vita, per tornare a rivestirsi – dopo il Giudizio universale – del suo corpo originario che ha però cambiato natura per divenire ‘glorificato’: il vero superuomo.
Ma per tornare all’uomo, era solo un ‘uomo’ – anzi meno di un uomo - quel Gesù che, nel momento dell’agonia nel Getsemani, era schiacciato dal peso dei peccati degli uomini per i quali egli doveva espiare.
Il Verbo che era in Lui - in quanto Dio - non poteva umanamente soffrire, ma l’uomo di cui era pure fatto Gesù lo poteva e doveva riscattare il peccato di superbia e di tradimento di Adamo.
L’Uomo che era in Gesù – novello Adamo – avrebbe dovuto infatti riscattare il fallimento del primo Adamo e dare inizio ad una nuova Umanità, quella dei ‘figli di Dio’ che - grazie al suo Sacrificio di Uomo-Dio - avrebbero visto aprirsi davanti alle loro anime le porte dei Cieli dai quali erano stati esclusi dopo il Peccato originale.
Quest’Uomo doveva dunque soffrire per espiare non solo il Peccato originale dei primi due progenitori, ma anche la lunga catena di tutti i successivi peccati individuali dei loro discendenti.
Affinché l’espiazione fosse più completa, anche la sofferenza doveva però esserlo, e cosa poteva far soffrire Gesù più del sentirsi del tutto abbandonato da Dio?
Cosa è l’inferno se non la sensazione dell’abbandono di Dio?
Dio-Padre non aveva in realtà abbandonato Gesù, perché il Verbo, che è sempre unito al Padre e allo Spirito Santo, era sempre rimasto in lui.
L’Uomo che era in Gesù doveva tuttavia provare la ‘sensazione’ dell’abbandono.
L’assenza di Dio o, peggio, la sensazione che Dio lo avesse per qualche inspiegabile motivo addirittura abbandonato, avrebbe reso il Sacrificio ancora più completo.

Si sarebbero così avverate le parole profetiche di Isaia di qualche secolo prima, quando aveva detto: ‘Veramente Egli ha preso su di Sé i nostri mali ed ha portato i nostri dolori’.
Solo quando il cuore dell’uomo-Gesù rischierà l’infarto al Getsemani, con quella tremenda sudorazione sanguigna, Dio permetterà all’Angelo di portargli un conforto.
Tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, giustiziato dal popolo ebraico che Egli per primo voleva salvare, non avrebbe davvero potuto - dall’alto di quella sua Croce alla quale era inchiodato – incenerire con uno sguardo da Dio quella canea di suoi nemici che dal basso lo insultavano e schernivano provocandolo a scendere per ‘dimostrare’ di essere veramente ‘figlio di Dio’?
Gesù era tuttavia venuto per redimere, e doveva redimere con l’amore, non solo quello relativamente facile che si può dare agli amici, ma soprattutto con quello per i nemici.
Dal momento della cattura sul Getsemani, gli eventi precipitano in rapida successione e tre anni di vita pubblica e di predicazione instancabile si concludono tragicamente in poche ore.
Per capire meglio come si sono svolti i fatti è necessario leggere contemporaneamente in parallelo i quattro vangeli, perché gli episodi narrati sono sostanzialmente gli stessi, ma ognuno dei quattro evangelisti aggiunge o presenta certi particolari in una luce diversa o più completa.
Ho dedicato molte pagine2 alla fase della cattura, processo, condanna, crocifissione, risurrezione di Gesù,  con notevoli approfondimenti, ma qui  mi limito ad indicarvi solo la sequenza degli avvenimenti di quella notte da tregenda.
Gesù viene condotto, sputato, bastonato e spintonato giù dal Getsemani fino a Gerusalemme nella casa di Anna, ex Sommo Sacerdote, suocero del Gran Sacerdote in quel momento in carica che era Caifa. E viene interrogato da Anna una prima volta.
Dalla casa di Anna viene poi condotto in quella di Caifa.
Pietro – seguendo l’intrepido Giovanni che nel corteo di guardie e folla tallona a sua volta Gesù da vicino – si confonde fra la marmaglia e, mentre Gesù viene nuovamente interrogato all’interno della casa di Caifa, attende all’esterno scaldandosi con altri ad un fuoco acceso all’aperto per mitigare i rigori della notte.
Qualcuno dei presenti riconosce però nel suo viso stravolto e nel suo accento da galileo qualcosa di famigliare, e crede di poter individuare in lui  uno dei seguaci del Nazareno.
Lui però reagisce e - timoroso di far la fine di Gesù - per ben due volte smentisce: ‘Non conosco quell’uomo!’.
Anzi Matteo è ancora più crudo perché ha narrato che – dopo che per la terza volta lo accusano - Pietro ‘cominciò ad imprecare e a spergiurare di non conoscere quell’uomo…’.
Imprecare e spergiurare!
Cosa dice – secondo voi – uno che ‘impreca’? Delle parolacce?
E uno che ‘spergiura’ non è uno che chiama Dio a testimone della verità della menzogna che sta invece dicendo?
Povero Pietro. Gli voglio bene, perché forse, anzi senza forse, anch’io avrei avuto paura e avrei fatto lo stesso. Gli voglio bene per amore di… compartecipazione.
Questo era quel Pietro che – sempre irruento – solo poche ore prima sul Getsemani si era detto disposto a dare la vita per Gesù pur di difenderlo ed era infatti lo stesso che, al momento della cattura, aveva tirato fuori una spada menando un fendente ad uno degli inviati dei sacerdoti del Tempio, sbagliando la mira ma staccandogli un orecchio.
Il gallo però canterà e Pietro – sentendolo - si ricorderà improvvisamente della profezia fattagli poc’anzi da Gesù sul suo futuro triplice rinnegamento prima del canto del gallo ed inorridirà al pensiero di quanto aveva appena fatto.
Quella era del resto la notte delle Tenebre, la notte di Satana.
Pietro fuggirà via piangendo disperatamente e pentendosi nel profondo, ma non dimenticherà mai più per tutta la vita quel suo momento di debolezza.
Quegli apostoli erano ancora uomini, e solo dopo la tragedia della Crocifissione, la mortificazione per la loro fuga ignominiosa e la discesa dello Spirito Santo sapranno diventare martiri e santi.
Gesù aveva permesso che ciò accadesse, perché Pietro, futuro Pontefice della Chiesa nascente, imparasse ad essere umile e – anche come sacerdote - a comprendere e avere compassione delle debolezze degli uomini.
Caifa riceve dunque Gesù alla presenza dei membri del Sinedrio:     Sacerdoti, Scribi e Anziani, convocati nottetempo con grande urgenza.
Segue una sbrigativa e sommaria condanna a morte di Gesù, considerato ‘reo-confesso’ poiché aveva ‘ammesso’ di essere ‘Figlio di Dio’.
Il Sinedrio non poteva tuttavia dare esecuzione alla condanna, perché Roma, pur avendo concesso a Gerusalemme una certa libertà amministrativa, aveva riservato a sé le decisioni più importanti e fra queste lo ‘jus sanguinis’, vale a dire l’autorità di decidere se comminare o meno  condanne a morte.
Ecco perché Gesù viene condotto dai Capi giudei al Pretorio, da Pilato: per essere da loro accusato e da Pilato stesso condannato.
Di fronte al popolo amico di Gesù, in quel momento assente, ma che in seguito avrebbe potuto chiedere loro conto di quanto fatto, essi avrebbero sempre potuto ipocritamente dire che era stata ‘Roma’ a condannarlo a morte.
Non sono mancati critici che hanno imputato agli evangelisti una tendenziosità di parte, attribuendo loro l’intenzione di fare apparire i giudei di allora come dei ‘carnefici’ al fine di metterli in cattiva luce.
Tutto è possibile, naturalmente, ma queste sono illazioni odierne mentre la carta dei Vangeli… ‘canta’ ed appare oltremodo credibile.
Gesù era infatti visto dai Sacerdoti del Tempio, casta dominante, come un eretico, come un bestemmiatore che si proclamava ‘figlio di Dio’, come un sovvertitore, come un rivoluzionario religioso, come un usurpatore delle loro funzioni sacerdotali, come un affossatore del loro prestigio di fronte al popolo.
Non ce li vedo Matteo e Giovanni – i due evangelisti che furono testimoni diretti - nelle vesti di biechi sobillatori che spingono alla vendetta.
Erano dei santi educati alla dottrina dell’Amore ed i Vangeli descrivono semplicemente anche se crudamente quello che è successo.
C’è stato da poco il canto del gallo, e dunque è mattino presto.
L’interrogatorio da parte di Pilato si svolge in due tempi, come si rileva dal Vangelo di Luca.
Pilato, infatti - da buon romano dominatore - detestava quel popolo ribelle ed era convinto, anche perché glielo aveva detto la moglie Claudia Procula e glielo avevano confermato i suoi pretoriani che avevano spie infiltrate dappertutto, che quel galileo fosse un brav’uomo, che non voleva ribellarsi a Roma, che anzi insegnava a rispettare le Autorità costituite.
Lo avevano probabilmente anche informato – visto che i discorsi e gli interventi pubblici di Gesù venivano tutti seguiti ed ascoltati con grande attenzione – su quella sua lapidaria risposta di ‘dare a Cesare quel che è di Cesare, e dare a Dio quel che è di Dio’ che aveva rifilato solo pochi giorni prima a quel gruppetto di scribi o farisei che speravano di comprometterlo.
Se Gesù avesse detto che pagare le tasse ai dominatori romani era giusto essi lo avrebbero presentato al popolo come un ‘collaborazionista’  traditore della Patria, se avesse risposto il contrario essi lo avrebbero accusato davanti a Pilato di essere un sovversivo politico.
Pilato però – avendo scoperto nel corso dell’interrogatorio che Gesù era un galileo e, sapendo pure che Erode, tetrarca della Galilea, era in quei giorni a Gerusalemme per le feste della Pasqua ebraica – pensa di togliersi dall’impiccio e glielo spedisce sotto scorta perché venisse da lui giudicato.
Erode era infatti il ‘governatore’ della Galilea e dunque avrebbe ben potuto occuparsi lui - per ‘competenza’  territoriale – di quel suo ‘suddito’, no?
Ma avevamo detto all’inizio di questo libro che Erode aveva già i suoi problemi di coscienza.
Il Governatore Pilato e le massime Autorità dei Sacerdoti del Tempio gli avevano offerto praticamente su di un piatto d’argento la ‘testa’ di Gesù.
Egli avrebbe potuto finalmente eliminare con la benedizioni di tutti quel Messia che suo padre Erode il Grande non era riuscito ad uccidere trentatre anni prima con la Strage degli Innocenti.
Erode temeva il Messia quale un potenziale usurpatore politico del suo ruolo, ma sapeva pure che – anche se non proprio ‘figlio di Dio’ - era almeno un profeta, e di profeti lui ne aveva da poco fatto fuori uno: Giovanni Battista.
L’uomo non era certo un timorato di Dio, ma era superstizioso, e due profeti sarebbero stati davvero troppi anche per uno senza scrupoli come lui.
Egli era però anche spregiudicato e soprattutto furbo e - dovendo  escogitare un modo per eludere le reiterate richieste di condanna a morte da parte dei sacerdoti del Tempio che lo spingevano a decretare – ricorre ad un ‘escamotage’ per cavarsi brillantemente da quella situazione.
Visto che quel poveretto malmenato che gli conducono davanti in catene sembra più un poveraccio che un ‘glorioso’ Messia e visto che quello si diceva per giunta ‘figlio di Dio’, Erode ‘minimizza’…, fa finta di considerarlo solo un povero pazzo, come tale ‘non responsabile’ delle sue azioni e quindi ‘non condannabile’.
Gli fa mettere addosso in segno di scherno la veste bianca, che in Israele era infatti uso far indossare ai pazzi, e rispedisce Gesù… al mittente.
E’ a questo punto che Pilato, più che mai convinto della innocenza di Gesù e più che mai arrabbiato per dover subire – lui, il Procuratore di Roma – la violenza di quella piazza di facinorosi, dichiara di non trovare proprio in lui alcuna colpa e di volerlo quindi rimettere in libertà.
In occasione della Pasqua, era infatti nella sua discrezione il poter concedere la grazia a qualche condannato a morte. In galera c’era Barabba, un assassino. Lì davanti c’era Gesù, un brav’uomo. In condizioni normali la scelta sarebbe stata scontata. Bisognava liberare Barabba o Gesù?
Ma tutti gridano: ‘Non lui, ma Barabba libera!’.
Evidentemente Pilato non si era aspettato una risposta del genere ma quello, come ho già detto, era il giorno delle Tenebre.
Pilato temporeggia però ancora, e nel frattempo – per ammansire la gente - ordina non la fustigazione ma addirittura la flagellazione di Gesù, che viene eseguita.
Anzi dei soldati sghignazzanti, perché le bestie umane si trovano purtroppo in ogni esercito, infieriscono e scherniscono il ‘Re dei giudei’, schiaffandogli sul capo una corona di spine, sulle spalle - quale ‘manto regale’- uno straccio di porpora e mettendogli nelle mani – quale ‘scettro di comando’ – una canna.
Povero Dio!
Gesù viene ricondotto davanti a Pilato.
La flagellazione, tortura ben più grave della fustigazione, lo ha ridotto ad un ammasso sanguinolento che non si regge quasi più in piedi.
Gesù fa pietà persino a Pilato che era abituato – come militare – a vederne di tutti i colori.
Pilato lo guarda e tenta allora un’ultima carta: lo mostra alla folla, e ribadisce di non trovare in quel poveraccio alcuna colpa che meriti più sofferenze di quanto egli – come il popolo stesso può vedere – gli abbia già impartito.
 ‘Ecce homo’, dirà infatti loro Pilato, mostrandoglielo con un largo gesto della mano.
Ma quelli, assatanati: ‘Crocifiggilo, crocifiggilo!’.
Vedendo a quel punto che non c’era più nulla da fare e che anzi il tumulto rischiava di degenerare in vera e propria sommossa di piazza, Pilato, ricorre ad un gesto plateale: si fa portare dell’acqua e si lava ostentatamente le mani perché desidera che tutti vedano che egli le vuole avere pulite del sangue di quel giusto.
Ma il popolo, imbestialito ancor più perché sobillato dai Capi, all’unisono: ‘Il sangue su di lui cada su di noi e sui nostri figli, che era come urlargli che non si ponesse ‘problemi di coscienza’ perché se lui si tirava indietro la responsabilità se la sarebbero presa in pieno loro, e con loro – ad abundantiam - anche i loro figli.
E’ a questo punto che Pilato, ormai arresosi e forse con un’alzata di spalle, ordina ai soldati di predisporre un cartello da appendere alla croce con su scritto I.N.R.I., vale a dire le generalità del condannato: ‘Iesus, Nazarenus, Rex Iudeorum’ cioè Gesù Nazareno, Re dei Giudei.
Giuda, dopo aver assistito a tutta questa tragedia, viene preso da un rimorso tremendo.
Satana – che è Male assoluto - non è mai riconoscente con i suoi adepti, anzi - dopo averli ‘aiutati’ solo per servirsene ed aver ottenuto lo scopo - li abbandona a se stessi o li porta alla disperazione per annientarli del tutto e dannarli per l’eternità.
Giuda - immemore della Misericordia di Dio al quale sarebbe bastato un suo semplice atto di sincero pentimento - non chiede perdono a Dio, ma va dai sacerdoti, sbatte loro in faccia le monete del tradimento che egli aveva perpetrato su loro istigazione e corre ad impiccarsi.
Sono le stesse monete che i sacerdoti - non volendo rimetterle nel Tesoro del Tempio perché sporche di sangue - decidono di utilizzare per comprare quel ‘campo del vasaio’ di cui vi avevo parlato, campo chiamato poi Aceldame, cioè ‘campo del sangue’, adempiendosi così la profezia di Geremia: ‘E presero i trenta denari d’argento, prezzo del venduto, e li spesero nel campo del vasaio, come stabilì meco il Signore’.
Gesù, uscito intanto dal Pretorio, croce in spalla, viene scortato dai soldati sulla strada che porta al Calvario fra due ali urlanti di folla che aveva sulle labbra un ben altro ‘Osanna’ rispetto a quello della Domenica delle palme.
A quei tempi – quella era l’epoca in cui anche i romani si divertivano nel Colosseo facendo combattere schiavi contro schiavi, o schiavi contro belve - una bella crocifissione era uno spettacolo eccitante…
Con Gesù salgono al Calvario anche i due famosi ladroni che si sarebbe trovati ai due lati della croce e dei quali uno si sarebbe pentito ottenendo in extremis da Gesù la promessa che quello stesso giorno si sarebbe ritrovato nel Regno dei Cieli.
Degli apostoli non si vede neanche l’ombra, tutti fuggiti dopo la cattura di Gesù sul Getsemani.
Al seguito di Gesù non vi è nemmeno Pietro, ma il solo Giovanni, con la Madonna affranta e le altre discepole che piangono.
Ed è alle discepole che Gesù, alzando il volto coperto di sudore, di polvere e di sangue, rievoca alcuni aspetti della profezia sulla punizione e distruzione di Gerusalemme che aveva appena fatto sul Monte degli Ulivi, il giorno precedente, dopo aver lasciato la città: ‘Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me; ma piangete su voi stesse e sui vostri figli, perché, ecco, verranno i giorni in cui si dirà: ‘Beate le sterili e i seni che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato…’.
Vi avevo infatti già detto di come lo storico ebreo Giuseppe Flavio – nella  sua Opera sulle guerre giudaiche, avesse narrato che – sorpresi e imbottigliati a Gerusalemme gli ebrei tutti, compresi tanti della Diaspora, per le festività di Pasqua - i morti, dopo anni di assedio da parte del generale Tito, fossero stati circa un milione e solo centomila i sopravvissuti, a loro volta poi dispersi nel mondo con divieto assoluto da parte di Roma di ritornare nella loro patria.
Gesù – dopo tre ore di agonia - morirà verso le tre del pomeriggio di quel Venerdì santo, non senza aver dato – con un terremoto che farà fremere le mura del Tempio - il segno che aveva promesso fin da dodicenne a Gamaliele per convincerlo della sua messianicità.3


15.2 Cosa potremmo mai pensare – noi - di fronte alla nostra morte imminente? Ecco una possibile tentazione satanica: maledire Dio!

Questi i fatti nudi e crudi.
Abbiamo letto nel capitolo precedente cosa ha pensato Gesù nell’agonia del Getsemani, ma cosa avrà poi pensato lassù sulla Croce?
I chiodi nelle membra, le ferite da flagellazione, le difficoltà di respirazione dovute all’essere appeso in quel modo con la ‘carne’ che urlava dolore, gli avranno impedito persino di pensare?
Il Vangelo lo mostra però cosciente, visto che arriva a perdonare uno dei ladroni ed a promettergli salvezza in quello stesso giorno nel Regno dei Cieli.
Nel Vangelo di Giovanni si dice inoltre che, avendo Gesù veduto sotto la Croce - con la Madre e le altre donne - anche il suo discepolo prediletto, lo indica alla Madre, come nuovo figlio e  – simmetricamente – conferma a lui che quella sarà sua Madre.
Giovanni – poiché era proprio lui quel discepolo - commenta che ‘da quel punto il discepolo  la prese con sé’, per quella che sarebbe stata la vita di Maria SS. fino alla  sua Assunzione in Cielo.
Dunque Gesù, pur fra le sofferenze inenarrabili della Croce, continuava ad essere cosciente. Ma cosa avremmo ‘pensato’, noi, al suo posto?
Difficile dirlo, anzi impossibile, perché solo chi ci si trova può saperlo.
Ma cosa penseremmo allora noi, non da una croce ma di fronte alla  nostra morte?
In realtà noi – al giorno d’oggi - rifiutiamo di prendere in considerazione persino la semplice ‘prospettiva’ della nostra morte. Questa è una ‘eventualità’ che rimuoviamo infatti accuratamente  dalla nostra coscienza, allontanandola come se non dovesse esistere, come se noi fossimo immortali e la morte dovesse riguardare solamente gli altri.
Ed in effetti noi siamo immortali, ma solo nello spirito, perché nel corpo - prima o poi - la morte viene invece per tutti e non sempre è serena.
Non è serena fisicamente quando le sofferenze – anche se non di croce – si fanno atroci ed uno la invoca per non sentirle più. Non lo è neppure moralmente quando il pensiero di essere prossimi a cadere nel nulla ci schiaccia, ci annichilisce e quando la capacità di parlare e farci capire dai nostri cari viene meno ma il nostro io interiore, riesce invece a pensare ancora lucidamente.
Ci attanaglia l’angoscia di cadere nell’oblio, di essere dimenticati da tutti, persino dai nostri cari, persino dai più cari dei nostri cari.
Ci angoscia l’idea che per noi la vita cessi inesorabilmente mentre per gli altri continuerà.
Non ci farà soffrire l’invidia che la vita continui per gli altri, ma il rimpianto che cessi la nostra e che si venga irrimediabilmente separati dagli altri ai quali mai come in quel momento vorremmo disperatamente restare uniti.
Ci farà pure soffrire la consapevolezza che dopo poco tempo pochi si ricorderanno di noi e – anche per quanti lo faranno – noi diventeremo con il tempo come uno di quei sogni confusi di cui al risveglio in pochi attimi si perde del tutto la memoria. Non è cattiveria il dimenticare, non è ingratitudine, ma è il nostro Subconscio che fortunatamente rimuove questi ricordi che, se conservati, ci farebbero ancor più soffrire.
Guai a noi se rimanessero impressi lucidamente nella nostra memoria e nei nostri sentimenti i momenti tristi della nostra vita: sarebbe la pazzia, la morte morale nostra e l’infelicità di quanti ci stanno vicini.
Ci angoscia, ancora, l’idea di lasciare l’affetto di moglie e mariti, quello dei figli, e il timore per il loro futuro che senza di noi ci sembra a rischio.
Non riusciamo a rassegnarci di non essere indispensabili perché non ci sfiora nemmeno l’idea che - senza di noi - essi possano magari cavarsela anche meglio.
Rimaniamo attaccati ancora di più ai beni che stiamo per perdere, che ci paiono ancora più belli, come struggevolmente bella ci appare la natura che ci circonda e anche le più semplici gioie della vita, come godere di un raggio di sole, di un canto di uccelli o dell’azzurro del cielo.
Ma poi, quando la morte veramente si avvicina e noi la sentiamo, ecco che la prospettiva cambia ancora.
Tutto questo si annulla: cadono allora i sentimenti, cadono gli affetti, cadono gli interessi e per la prima volta ci sentiamo veramente soli.
Soli di fronte alla morte, soli di fronte all’annichilimento.
L’idea di diventare polvere è terribile, a nulla vale il consolarci con il pensiero che miliardi di persone più importanti di noi ci hanno preceduto.
E’ la perdita per sempre della nostra identità e della nostra coscienza, quella che più ci terrorizza.
E’ la perdita di un mondo di affetti e di relazioni che mai – in vita - avremmo sospettato fosse così importante per noi.
Ci sembra tutto tremendamente ingiusto.
Dio, soprattutto, ci sembra ingiusto.
Che Dio è mai quello che ci dà la vita per poi darci una morte, e magari morte tremenda?
Ecco dunque l’ultima tentazione di Satana: maledire Dio!
E’ l’estrema tentazione di Satana che prima della fine vuole fare ancora un ultimo tentativo.
Anche se i nostri sensi non saranno più in condizioni di reagire e farsi capire, il nostro spirito interiore, quello che chiamiamo Subcosciente, dovrà respingere quest’ultimo assalto.
Dobbiamo respingerlo, perché in realtà la morte non è la fine di tutto ma l’inizio.
Essa è il varco di passaggio alla vita vera, quella dello spirito che fino a quel momento era stato rinchiuso nella carne e che non vede l’ora di liberarsene.
La morte è l’estremo atto di bontà di Dio.
L’uomo, decaduto a causa del Peccato originale, da quasi-angelo è divenuto quasi-demone.
Anche se molti si riscattano con una vita sostanzialmente da ‘giusti’, anche i migliori di essi hanno colpe da scontare.
Il travaglio della morte, con il suo bagaglio di sofferenze, è dunque l’ultima espiazione in terra, quella che ci purifica più di tutto dalle colpe che non abbiamo scontato in vita, e che fa dire al Padre - anche se non siamo stati in vita dei campioni d’amore – che ne abbiamo pagato le conseguenze in morte e dunque possiamo essere riabilitati ed ammessi nel suo Regno di Amore.
Quante volte ho sentito dire: ‘La morte? La più bella è morire di un colpo. Uno non si accorge di niente, non soffre… e via’. Umanamente la cosa può anche sembrare giusta, ma spiritualmente… che sciocchezza!
Non c’è possibilità di pentirsi. Uno non si accorge di niente, non soffre e…via.
Ma via dove, se non si è nemmeno fatto in tempo a pentirsi?
Via dove, se dall’altra parte c’è una vita eterna nella quale sconteremo il malfatto di questa nostra vita terrena?
Non dobbiamo pregare Dio, se a Dio in qualche modo crediamo, di farci morire all’improvviso, ma di darci almeno il tempo di pentirci e di invocarlo.
Se poi l’attesa della morte dovesse essere anche sofferenza, ebbene è tutta purificazione che ci verrà conteggiata e valorizzata  ‘al quadrato’, rispetto a quella molto maggiore di cui avremmo invece dovuto soffrire in Purgatorio se non avessimo già scontato in terra.
Anche nell’economia del nostro mondo, comunque, la morte è assolutamente necessaria.
Cosa succederebbe se gli animali non morissero, se le piante non morissero, se gli uomini non morissero? Pensereste che ci sarebbe spazio per tutti su questo pianeta? Non moriremmo tutti, almeno, di fame? Non ci scaglieremmo tutti l’uno contro l’altro per sopraffarci e guadagnarci gli spazi vitali, molto più di quanto non facciamo già adesso? Che sarebbe stato di noi se i nostri antenati non fossero morti? Che ne sarebbe dei nostri figli e nipoti se non morissimo neppure noi?
Dalla vita viene la morte ma è anche la morte che dà la Vita.
Nel mondo vegetale, con le piante che fertilizzano il terreno per i semi delle successive.
Nel mondo animale, dove questi  non potrebbero sopravvivere se non si potessero cibare di altri animali mantenendo l’equilibrio biologico del sistema.
Nel campo umano, per dare vita e spazio agli altri, a cominciare – come ho detto - dai nostri figli.
Nel campo spirituale, l’uomo giunto alla fine della propria esistenza terrena muore fisicamente come il chicco di grano ma si apre poi – dopo la macerazione – alla spiga della vita eterna.
Ecco dunque che, avvicinandoci alla morte e finché siamo in condizioni di farlo, dobbiamo chiedere con il dovuto anticipo aiuto a Dio, aiuto perché ci dia possibilmente una morte serena, aiuto perché se serena non fosse – e chi conosce il perché dei decreti di Dio? – ci dia almeno la forza di sopportarla e non ci faccia vincere dalla Disperazione, aiuto perché ci permetta di vivere la morte almeno con dignità, aiuto per non perdere almeno la consapevolezza di avere un Padre – che è Spirito purissimo – che ci attende oltre quella soglia con le braccia aperte.
Una soglia oltre la quale avremo la possibilità di aiutare e stare vicino ai nostri cari più di quanto abbiamo fatto o riusciremmo mai a fare in terra, nell’attesa che anch’essi vengano a ritrovarsi con noi in Cielo, finalmente tutti riuniti.
L’Angelo del Conforto non tolse al Gesù del Getsemani il dolore della prospettiva della morte, ma gli diede almeno la consolazione che quella morte non sarebbe stata inutile, fatto che già ne avrebbe temperato l’amarezza fino a rendergliela accettabile.


15.3 Vedi? Tutto detto di Me, secoli e secoli prima della mia venuta. Ma Satana è Odio e l’odio acceca…

Anche l’uomo-Gesù, più che mai uomo perché in quel momento ‘abbandonato’ da Dio e più che mai uomo per il tipo di morte atroce che stava soffrendo, deve dunque aver tremendamente sofferto.
Fin da giovane non gli era stata affatto sconosciuta la sua sorte futura, ed il veleno sottile di quella morte preannunciata da secoli gli avrebbe dunque avvelenato tutta la vita dove persino gli episodi più belli sarebbero stati immalinconiti dalla consapevolezza della sua fine.
Una cosa che mi ha colpito, in tutti i dieci volumi dell’Opera di visioni evangeliche della nostra mistica, è che anche nei momenti umanamente belli e allegri non credo di averlo mai visto veramente ridere, ma sempre e solo sorridere, come se una sorta di recondito pensiero interiore frenasse la pur giusta allegrezza umana di quel momento.
Ma cosa avrà pensato Gesù, dalla croce quando quelli – sghignazzando – lo provocavano gridandogli ‘Se sei figlio di Dio, scendi’?
Una volta stavo meditando su di un passo di Isaia che parlava di lui:

'Disprezzato, rifiuto dell'umanità, uomo dei dolori, assuefatto alla sofferenza, come uno davanti al quale ci si copre il volto, disprezzato, così che non l'abbiamo stimato. Veramente egli si è addossato i nostri mali, si è caricato dei nostri dolori. Noi lo credevamo trafitto, percosso da Dio e umiliato, mentre egli fu piagato per le nostre iniquità, fu calpestato per i nostri peccati. Il Castigo, che è pace per noi, pesò su di lui e le sue piaghe ci hanno guarito... Se egli offre la sua vita in espiazione, avrà una discendenza e ciò che vuole il Signore riuscirà per mezzo suo. Dopo le sofferenze dell'anima sua egli vedrà la luce e tale visione lo ricolmerà di gioia. Il giusto, mio servo, con le sue pene giustificherà delle moltitudini e prenderà su di sé le loro iniquità. Perciò gli darò in eredità i popoli e riceverà come bottino genti infinite, perché consegnò la sua vita alla morte, e fu annoverato fra i malfattori, egli che tolse i peccati di molti e si fece intercessore per i peccatori...' (Isaia, 53)

E fu allora che la ‘Luce’ del mio ‘Subconscio creativo’ mi disse:4

Luce:
Vedi? Tutto detto di me, secoli e secoli prima della mia venuta.
Ma Satana è Odio e l'odio acceca. E il mio popolo (non perché 'mio', non perché 'prediletto', ma perché da me 'scelto' a divenire il depositario della mia eredità e della mia venuta come Adamo ed Eva erano, dovevano essere i depositari del Paradiso Terrestre in attesa di quello Celeste, e mi tradirono), così il mio popolo - 'mio', questo sì, perché da esso Io umanamente nacqui - mi tradì, perché accecato dall'odio, perché vi è Odio dove non vi è Amore, e, reso quindi incapace di leggere le Scritture con l'occhio dello Spirito, interpretandole alla luce, che luce non è ma tenebre, dell'umano, la luce del Lucifero - che tutto interpreta umanamente, perché l'umanità è carne e la carne, corrotta dal Peccato, è figlia sua - il mio popolo, dicevo, si attendeva un Re della Carne, un Re terreno che ambisse a potenza, onori e glorie terrene, Re di conquiste, Re di sopraffazione.
Essi aspettavano infatti il Re che loro - di proprio - si erano scelti in cuore: l'Altro. E non mi compresero, non mi riconobbero. Anzi odiarono le mie parole, troppo diverse, troppo deludenti rispetto ai loro sentimenti: anzi istinti, ché belluini essi erano tornati, e quindi mi crocifissero. E ancora oggi non mi vogliono riconoscere, perché sarebbe ammettere la colpa dei loro padri, che essi sentono come la loro e quindi continuano a negare per tranquillità della propria coscienza.
Ma forse non siete tutti così, voi uomini? Non mi negate tutti per tranquillità della vostra coscienza?
Ebrei loro? Negatori loro?
Ebrei voi, negatori voi.
Voi peggio di loro, voi peggio di loro, ché cristiani siete, cristiani, cioè del Cristo che fin da bambini vi hanno insegnato, e che invece mi ripudiate perché anche voi preferite seguire la voce del vostro istinto, questo sì animale, questo sì, che negli animali è salvezza ma che nella vostra psiche è corrotto dal Peccato d'origine: Psiche in cui lo Spirito è sgabello, cioè sottomesso, all'Io.
Ma Io, riscattare dovevo: quelli di prima, quelli di allora, quelli di adesso, i futuri. E sono venuto comunque. Perché insegnarvi la dottrina, dopo le luci dei Profeti, era giusto ma più giusto ancora era il riscattarvi per liberarvi del Peccato, quello primo, per consentirvi l'accesso al Regno di Dio: quello Mio.
E così venni. L'umana sofferenza, quella morale, quella fisica, che è l'unica che di norma anche i migliori di voi considerano, fu nulla, rispetto alla visione immane, che solo Io come Dio potevo vedere e concepire, della catena d'odio intrecciata dall'Umanità, catena satanica che vi teneva legati a Satana e che Io ero venuto a Spezzare.
Come, con l'odio ? Quello è di Satana!
No, con l'Amore, l'Amore che è di Dio.
E per Amore dissi al Padre:

Ecco, Padre, questo è il tuo popolo. Guarda come è ridotto, guarda come è ridotta l'Umanità. Non colpa sua, Padre, colpa dell'Altro.
I due Primi, perfetti, in un mondo perfetto, sbagliarono. Cosa potranno, cosa possono questi mai opporre alla Potenza dell'Altro, intossicati, indeboliti come sono dal Peccato!
Padre, guarda. Non sanno neanche di essere figli tuoi. Anche se tu lo hai detto ai Profeti, loro i Profeti non li hanno potuti ascoltare, perché malati, sordi ormai alle parole dello Spirito.
Padre, che colpa hanno? Malati, malati sono. Tu sai...
Perdona loro, guariscili. Dà loro, come Padre buono, la tua Medicina e quando usciranno dal torpore della febbre, quando smetteranno di delirare, quando apriranno gli occhi sulla verità della mia Dottrina, dà anche a loro, a quelli che vorranno: perché Dio di Libertà Tu sei, il dono di udire ancora con l'orecchio spirituale il senso delle tue parole, quello che hanno sempre sentito nel loro cuore ma che, malati, hanno sempre scambiato per 'rumore': fastidioso, da rimuovere.
Perdona loro, Padre. Tu sei Amore.
Non hai detto Tu che il massimo dell'Amore è perdonare ai propri Nemici ?
Io l'ho detto ?...
Ma Io Figlio tuo, sono. Tu me l'hai insegnato...
Perdona quindi a questi nemici e vedrai che il Perdono, unito al Riscatto che Io per Amore ti chiedo e che tu, Padre, per Amore mi devi dare, vedrai che il perdono ce li renderà amici, più che amici: Figli di Dio in terra, Popolo di Dio in Cielo.

E il Padre, commosso - anche se Lui ab-initio sapeva di ciò che sarebbe successo, anche del perdono - non seppe resistere, per Amore, nonostante tutte le efferatezze compiute dall'uomo, nonostante le sue empietà, le sue iniquità: il Padre non seppe resistere alla Forza dell'Amore, ché l'Amore sempre opera  anche nel Padre, che con l'Amore e col Figlio è Uno e Trino.
E venne il perdono, perdono... Ma per quelli di buona volontà!
Perché - come ti dissi - il Padre, buono, ma non stolto è.

‘Padre, perdona loro... perché non sanno quello che fanno'.
Questo è quello che dissi dunque al Padre dalla Croce, questo è dunque quello che dico oggi al Padre per voi. Non sapete quello che fate.
E lo scopo della mia dottrina, lo scopo di quello che vi dico, è farvelo sapere. Farvi rinvenire, farvi uscire dal vostro torpore, farvi uscire dal vostro delirio, farvi finalmente aprire gli occhi sulla realtà: non quella che vedete nel vostro sogno di allucinati, ché il mondo reale è un'allucinazione, ma sulla realtà spirituale.
Vi ho detto che voi siete spirito, cioè Psiche, rivestito di carne. La carne solida, tangibile è la vostra realtà, in tutti i sensi. Ma la carne di che è fatta? Di molecole, atomi, protoni, neutroni, elettroni, e via-via, dentro, sempre di più verso l'infinitamente piccolo. Siete fatti allora  di carne o di atomi?
Siete Psiche, cioè Anima, o materia?
E la materia, quella di cui siete fatti, cosa è alla fin fine?
Elettricità? Elettromagnetismo?
Vedi che la 'carne' è una 'illusione', che non è quello che sembra?
E dopo la morte della carne, questa si dissolve: in atomi, elettroni. Tutto sparisce, come l'elettricità del lampo, e quello che resta è polvere...
Ma quella, ti ho detto, è solo la veste, logora, sdrucita.
Quella che in realtà rimane, perché questa sì è 'realtà', è l'Anima.
Questa che a voi sembra irreale è invece reale.
Ed Io per essa sono venuto. Perché mi appartiene, Io l'ho creata, è di mia 'proprietà', e solo il Ladro me la può rubare... con il vostro consenso.
Padre, perdona loro...


1 Sul tema più in generale dell’anima vedi – dell’autore – l’ampia trattazione fatta in ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Capp. dal 37 al 50 – Ed. Segno, 1997, nonché in “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II, Cap. 5 – Ed. Segno, 2000

2 G.L. “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni”- Vol. III, Capp. dal 6 al 14 – Ed. Segno, 2000

3 G.L. “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 10, Ed. Segno, 2001

4 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 84 e 85 – Ed. Segno, 1997