13. La  moglie di Giobbe

 

13.1 – Benedici Dio e muori!

Avevamo lasciato Giobbe quando egli - appresa la notizia della morte improvvisa sotto le macerie della casa di tutti e dieci i suoi figli -  si dispera, alza lo sguardo al cielo ma, anzichè imprecare contro la malasorte o maledire Dio per questa terribile disgrazia, si prostra a terra adorando il Signore.
E abbandonato alla sua volontà, prorompe in quella bellissima e poetica invocazione di dolore e di amore per Dio gridando che, così come nudo era uscito dal seno della madre, nudo di beni e di affetti avrebbe potuto tornare nella terra perchè così come Dio aveva dato, così Dio aveva tolto e che venisse fatta la sua volontà.
Si apre a questo punto una seconda scena.
Si vedono gli angeli nuovamente convocati di fronte al Signore, un po' come - così me la vedo io con gli occhi della mente - come se fossero convocati intorno ad un tavolo di un Consiglio di Amministrazione di una importante Società.
Da una porta laterale - continuo a vedere io nella mia fantasticheria a ruota libera - si infila di soppiatto (questo di infilarsi di soppiatto, per 'lui', è un 'classico') la figura trasparente e scura di un altro angelo: Satana.
Dio, che 'presiede' la riunione del Consiglio avendo davanti a sè il suo 'Avviso di convocazione' che reca scritto un preciso 'ordine del giorno' da rispettare, alza la testa, inarca un sopracciglio, guarda in tralice l' intruso e gli fa: 'E tu da dove vieni?'
Dio lo sapeva, naturalmente, da dove veniva perchè Dio sa tutto e gli leggeva anche nel pensiero. Sapeva in particolare che l' Altro aveva ben ben perseguitato Giobbe ma voleva farselo dire da lui.
E l' Altro - con il fare abituale sornione - di rimando: 'Mi son fatto il solito giretto, sulla terra...', cioè - intendeva dire -  nelle sue terre, nei suoi domini dove lui compiva le sue scorribande.
E Dio: 'Di un po’, hai per caso incontrato quel mio servo Giobbe, sai quello che ti avevo detto che non aveva uguali sulla Terra, tanto era  bravo e buono e timorato di Dio, e che ancora  ( sottolinea signorilmente , anch’ egli sornione il Signore, tanto per cercar di far capire a Satana che perde il suo tempo a tartassarlo, il Giobbe, e che sarebbe meglio che lo lasciasse in pace) 'conserva l' innocenza', insomma 'ama' Dio ?'
E l' Altro, punto sul vivo ( perchè l' orgoglio, anzi la superbia, fin dall' inizio erano sempre stati il suo 'forte') risponde piccato e ironico:
'Tu parli parli ma non sai che gli uomini (sott’inteso: 'i figli tuoi') quando c' è di mezzo  la (loro)  salute non guardano più in faccia nessuno? Sarebbero disposti a vender la  pelle pur di salvare la ... pelle.
L' altra volta tu mi hai posto dei limiti. 'Non gli toccare la salute'... mi avevi detto. E così ho dovuto fare. Ma toccalo nella salute e poi te ne accorgerai se non ti maledirà in faccia...'.
E il Signore, che tutto sapeva in anticipo e cioè che Giobbe si sarebbe comportato da Santo e che in cielo, nella Vita eterna ne avrebbe avuto una gloria centuplicata,  per amore (sì per amore verso Giobbe, cioè per consentirgli una maggior gloria eterna), disse a Satana:
'D’accordo, colpiscilo pure nella salute ma, occhio! eh?, non nella vita' (sottintendendo 'quella è 'sacra' e solo io ne posso disporre, o ‘permettere’...).
E infatti a Giobbe - senza nè 'Ah' e nè 'Bah',  come si dice in gergo – capitò, come per caso, una bella malattia...
Bella? Sì, insomma una specie di lebbra dove la pelle gli andava a brandelli...
A quel tempo molte malattie della pelle venivano scambiate per lebbra, gli antibiotici non erano stati ancora scoperti e i malati venivano isolati dal contesto umano e mandati a vivere, o meglio a morire, in posti sperduti,  o anche in quelle che noi oggi chiamiamo 'discariche', dove si buttavano e bruciavano i rifiuti urbani fra i quali i malati - per procurarsi qualcosa da mangiare - potevano raspare.
E Giobbe lo ritroviamo - malato di una malattia ripugnante - in un posto del genere perchè il libro spiega che giaceva e si grattava con un coccio sopra un letamaio mentre l' altra versione biblica detta dei 'settanta' aggiunge al racconto che la moglie andava 'a servizio' ad ore pur di mandare avanti la baracca.
Ed è proprio la moglie, infatti, che - stufa di svangare per quel perdigiorno che si ostinava a ringraziare il Signore: evidentemente, pensava lei, per non avergli ancora tolto la vita – ad un certo punto non ne può più e gli urla dietro: 'Perseveri tu ancora nella tua semplicità? Benedici Dio e muori...!', il che andrebbe secondo me tradotto: 'Imbecille che sei, avevamo dieci figli, fatti da me, case, armenti e armenti, di tutto, ero una signora, una gran signora, servita e riverita,  e ora son qui ridotta a fare la 'serva', per mantenere uno stupido 'lebbroso' che fa ripugnanza, come te. E tutto per colpa tua, anzi, della tua dabbenaggine, anzi per colpa del tuo Dio, quello che ti vuole tanto bene e che poi ti ha mandato quel che ti ha mandato..
Mandalo a quel paese una volta per tutte…! E poi fatti togliere da questo mondo che non ti posso più vedere'.
Insomma, a modo suo la moglie di Giobbe – magari inconsciamente – aveva bestemmiato, come succede talvolta anche a noi di fronte al dolore.
Ma Giobbe, che per fortuna non era dentro alla testa della moglie, e quindi poteva anche pensare di non aver capito bene, così rispose - da sant' uomo paziente qual era - alle sue parole:
'Cara, parli come una che non ragiona. Se ci andava bene quando Dio ci aiutava, dobbiamo accettare anche ora che non lo fa più...'

Avete ora capito, voi,   quando si dice…: la 'pazienza' di Giobbe? Quella con la moglie, intendo dire!

Ma poi, per mettere magari ancor più a dura prova la sua 'pazienza', cioè la sua capacità e volontà di accettare le sofferenze e di 'offrirle' al Signore, Dio 'gli manda' anche degli amici che - come fanno certuni quando ti capita qualche disgrazia - vengon lì per 'consolarti'. Perchè si sa che certe volte le disgrazie non vengon mai sole...
Ma questo è un altra 'scena'... e ne parleremo in un altro momento.

***

Rimango qui a rifletterci sopra visualizzando Giobbe che sdraiato in mezzo alla spazzatura si gratta con un coccio, la moglie che lo rimbecca ed i suoi amici dei tempi migliori che si presentano - senza preannunciarsi nemmeno - a trovarlo.

Ieri la 'Luce' mi aveva detto di fare un commento sul primo episodio, oggi niente. Che faccio? Faccio come ieri? Ci provo? Mi sembra di essere alla lezione di catechesi del martedì sera, quando il Parroco - al nostro 'gruppetto' sparuto - fa leggere un brano del Vangelo, ci fa meditare sopra un bel bel po', finchè gli altri - ad uno ad uno, compreso me - cominciano a guardare con ostentazione il cielo (ma io so che guardano il soffitto...) e poi, quando i sospiri diventano 'gemiti', il Parroco si decide e dice: 'E ora a turno, chi vuole faccia un commento...'
Solo che qui, nel mio caso, a turno niente, o parlo io o parla Jara - come al solito entrata anche lei di soppiatto - che si è sdraiata, come se fosse la 'signora' di casa, sul tappeto, davanti a me che scrivo.
La guardo un po', muto, e decido che parlo io.

La prima cosa che noto - nel racconto - è quella frase del Signore , riferita a Giobbe che ne ha passate di tutti i colori e che - nonostante tutto – ‘conserva la sua innocenza’, cioè la sua fede e il suo amore in Dio.
Pare che sia quasi lo stesso Signore - ma sappiamo che non è così - a stupirsene.
Questo mi porta a riflettere sulla sofferenza e su come sia difficile, nella sofferenza, mantenerci fedeli a Dio.
Tutto quello che di buono noi abbiamo - guardate che io mi ci metto sempre 'dentro' per primo, perchè so che così non mi sbaglio - sovente, anzi forse di norma, non lo consideriamo un 'dono' del Signore ma un nostro esclusivo merito perchè ci siamo 'fatti' da soli e ci siamo guadagnati tutto da soli.
E può anche esser vero.
Ma quando ci capita qualche disgrazia o veniamo privati di qualcosa? Allora sì che, in quel caso, non è  nostro ma 'merito di Dio'.
E lo 'malediciamo'...!
Non è che noi, in realtà, mostriamo di avere il coraggio di 'maledirlo' - l'ho detto - perchè '... se per caso esistesse sul serio e ci sentisse..., non si sa mai!', ma più o meno - inconsciamente - ci sentiamo rancorosi nei suoi confronti perchè imputiamo a Lui la colpa delle nostre disgrazie.
Non ci ricordiamo affatto di quante volte l' abbiamo ignorato, di quante volte abbiamo fatto finta, perchè ci faceva comodo, di non sentire quella voce interiore che ci diceva: 'Questo non lo fare... bada che non è bene...Fai invece quest' altro anche se non ti piace...'
E quanto poi all' 'onorarlo'? E quando? Nelle feste! E quali? A Natale e Pasqua, naturalmente, ma solo perchè non se ne può fare a meno di fronte alla coscienza che rimorde o perchè - se non si fa almeno in quei giorni - si rischia di far brutta figura con gli altri.
E allora Dio, sdegnato dal nostro disinteresse, anzi dalla nostra mancanza di amore, che fa? Ci 'maledice'?
No, quello lo facciamo noi. Lui, Lui si 'ritira', si tira in disparte e aspetta... Lascia che l' Altro imperversi e che la Giustizia faccia il suo corso, nella speranza o nell' attesa che - rinsavendo dopo la batosta - cominciamo a riflettere, proprio come quelli che, presi da una crisi isterica, hanno bisogno di essere 'aiutati' ad uscirne con due sonori ceffoni per poter 'aprire' gli occhi alla realtà.
E, quando apriamo gli occhi, Dio allora è contento, ci sorride e ci dice:
'Lo vedi che ci son qua io? Sù, vieni che ora ti aiuto a mettere a posto le cose..., alla mia maniera, naturalmente.'
A me è successo.
Per questo son qui che scrivo. ‘Alla sua maniera..., naturalmente’.

La seconda considerazione riguarda la moglie di Giobbe. E qui mi viene in mente la 'formula' del matrimonio. Non me la ricordo più tanto bene nonostante che, già vedovo come vi ho raccontato, mi sia risposato una seconda volta. Ma mi pare che dicesse qualcosa, ai due sposi, come di promettersi di impegnarsi a sorreggersi l' un altro sia nella buona che nella cattiva sorte.
Oggi - a cinquantotto anni suonati (ma ben portati, eh…!) - mi dico che questo non è un impegno di poco conto.
Ma forse quando ci sposiamo (la prima volta) e siamo di solito giovani, non abbiamo ancora provato le vicissitudini della vita e tutto ci sembra roseo, in discesa.
I malanni e i dolori non sono ancora arrivati, anzi sembrano 'irreali' e semmai toccano solo gli 'altri', i 'vecchi': quelli dai 'quaranta' in su…,  e allora si risponde di 'sì', alla domanda del sacerdote, senza neanche troppo pensarci, come se le vicissitudini nelle quali bisognerà, eventualmente, sorreggersi debbano essere una qualche forma influenzale da passare a letto o tutt' al più gli orecchioni tardivi...
Ma poi, quando ad esempio un marito perde il lavoro e non ne trova un altro?
Quante mogli sanno reagire bene, confortandolo, facendogli forza?
Quante invece dopo un pò non cominciano a recriminare, rinfacciandogli più o meno apertamente di essere un incapace, oppure - il che é ancora  peggio - senza dirgli nulla ma facendolo sentire un 'buono a nulla'?
E quando la moglie  - ma vale anche per il marito - non può aver figli, come nel caso che abbiamo letto della inseminazione artificiale di quelli del 'Manifesto della Bio-Etica'?
Quanti atti d' amore e di conforto reciproco, ma anche quanti tradimenti affettivi, quanti abbandoni, quasi che l’altro avesse 'tradito' la sua missione di matrimonio che era anche - anzi che 'doveva' essere, perchè questo è diventato un atto d' accusa - 'soprattutto'  quella di 'procreare' insieme dei figli?
E le malattie'?
Quante volte, mentre in certi casi  - come in quello della mia amica - assistiamo a vere e proprie gare di abnegazione (e, credetemi, questi 'casi' sono più numerosi di quanto uno normalmente pensi) in altri casi invece la vecchiaia, le malattie, gli affanni di uno dei due vengono presi dall' altro come una 'condanna', una condanna  che Dio ha inflitto a noi, a noi che invece ‘dobbiamo’, o meglio, abbiamo il ‘diritto’ di 'vivere'?
Quante volte quel dire...'Però per lui è stata una liberazione...' non sottintende  - inconsciamente - che lo è stata anche per noi, perchè non ne potevamo più?
Tutti mostri, dunque? No, tutti 'umani', semmai.
Tranne nel caso in cui si arrivi al limite estremo della moglie di Giobbe quando - tutt' altro che inconsciamente - gli grida quel 'Benedici Dio e muori!'
Ecco, una volta - avendo assistito ad una separazione coniugale - mi aveva colpito l’animosità che si era instaurata fra i due.
Animosità? E' un termine eufemistico.  
'Ma come - mi dicevo - si amavano tanto e ora si odiano? Capisco l' indifferenza, ma l' odio? Eppure hanno vissuto tanti anni insieme, hanno anche avuto dei figli…, odiarsi?’
Certo, ora che ho più esperienza di vita mi trovo ad essere più indulgente verso queste che non considero più 'cattiveria' ma reazioni molto 'umane' che potremmo avere tutti se solo ci dovessimo trovare in quelle precise circostanze.
Mi dico anche che non c' è forse niente di meglio, per attizzare questo violento risentimento, della frustrazione cocente per un' aspirazione delusa.
E anche un bisogno d' amore insoddisfatto è un' aspirazione, una forte aspettativa andata delusa, anzi l’aspettativa di vita più importante.
E se poi l' amore, oltre a venir meno, viene addirittura tradito..., ecco allora l’ odio.
E così può succedere anche nelle disgrazie famigliari. Mi domando quante volte noi uomini, traditi nelle nostre aspirazioni al benessere, alla felicità, alla libertà di movimento - non finiamo per 'detestare' più o meno inconsciamente (perchè poi, psicologicamente, rimuoviamo questa consapevolezza dal nostro stato di autocoscienza) coloro che consideriamo  'responsabili' delle nostre delusioni.
Sarebbe interessante, e gli psicologi l' han fatto, poter studiare quali sono i meccanismi che scatenano in noi le 'aggressività'. La paura, certamente... Ma anche la delusione… che genera frustrazione.
Non ce la prendiamo con le circostanze, non  con il Caso, non con gli altri uomini che hanno provocato certe situazioni, meno che mai ce la prendiamo con noi stessi, e non ce la prendiamo magari neanche con Dio.
Ce la prendiamo invece con 'lui' o con 'lei', con il nostro 'famigliare', cioè con quello che è già per suo conto  'vittima'.
Come ha fatto appunto la moglie di Giobbe.
E come appunto voleva l' Altro che, non contento di aver già fatto – di proprio - la sua 'vittima',  cercava ora altri 'alleati' da coinvolgere nell’ odio e nella bestemmia e da trasformare in ulteriori aguzzini, per far ‘perdere’ poi anche loro.

Basta. Di più non mi viene in mente e poi ora è mezzogiorno, e Lei, l'Organizer, mi sta informando con il suo 'Bip-Bip' che devo smettere e andare a preparar tavola.
La 'mamma' (cioè la novantatreenne mamma di mia moglie) stamattina presto ha preparato, per 'primo' piatto, la pasta fresca (ricetta: due uova fresche fresche - che io di norma vado a sottrarre con destrezza da sotto la pancia delle nostre galline ovaiole che fan le uova nel nido a turno - in tre etti di farina. Anzi - dice lei - due uova sarebbero fin troppe, perchè sua mamma - ricorda - ai suoi tempi ce ne metteva solo uno, quando c' era...).
E il secondo piatto?
E il secondo piatto lo porterà mia cognato, che vive in un' altra città a centocinquanta chilometri di distanza ma è spesso qui per ragioni professionali.
Egli tutti  i giovedi viene  da noi a pranzo a trovare la sua 'mamma' e ci porta un manicaretto preparato da sua moglie, manicaretto che regolarmente manda in 'tilt' (come succede al computer) tutti i miei buoni propositi di 'ascesi'. Ascesi? Domani. 

***

 

13.2 – La tabellina di marcia

Sono ora le 14.30 e - complice la compagnia a pranzo del cognato - ho ripreso la mia giornata pomeridiana di lavoro con ben mezz’ ora di ritardo sul programma indicato nell’ Agenda.
Ritardo? Mi scappa da ridere a ripensare, oggi a tavola, alla sua faccia, quella di mio cognato.
Stavamo finendo di pranzare.
Premetto, lui sa che scrivo, ma non sa di cosa.
Fino a qualche tempo fa - quando mi aveva visto terminare il mio primo libro, attualmente ancora in fase di stampa - lui pensava probabilmente che si trattasse di qualche 'sfizio' da ‘pensionato’: come quando uno dice… ‘prima di morire voglio scrivere un libro, la storia della mia vita…’, senza sapere che quella non interessa a nessuno. Appunto.
Poi, cautamente, gli avevo fatto presente che invece era un discorso... diciamo un po' più 'spirituale'..., che poi gli avrei fatto leggere, anzi comprare. Forse è un pò curioso, o forse è semplicemente discreto, ma è più probabile che sia indifferente. Infatti è un flemmatico, sempre calmo, sorridente, in forma, prestante, due figli, una moglie carina, gioca a tennis e, a tempo perso, cava i denti, insomma è un 'cavadenti', o meglio un 'medico dentista'.
Quaranta/cinquanta anni fa me li ricordo armati di tenaglie, ma ora – con la tecnologia - hanno di quei laboratori che sembrano  navicelle spaziali.
Poi – oggi - hanno anche uno studio in una città e un altro studio nell' altra, signorine di qua e signorine di là...
Una volta, telefonando - per una visita - alla segretaria di uno di questi mediconi ‘specialisti’, questa mi aveva risposto: ‘Senta, dove lo preferisce l’ appuntamento? Qui, fra un mese, oppure domani, a Milano?’
E poi quelle poltrone da dentista ultramoderne? Le avete mai viste? Fate attenzione però, c' è da veder le stelle…, non tanto per il male ma per il conto che arriva dopo: bisogna premunirsi e fare un mutuo.
Dicevo dunque che eravamo a tavola, a fine pranzo, ed ero in ritardo sulla mia tabella di marcia per l'ascesi laicale che prevede: ore 12.30: pranzo..., ore 13.00/14.00: vado fuori all'aperto per un'ora di giardinaggio, tempo permettendo'...
Per inciso, vi assicuro che l' impormi il rispetto degli orari è un piccolo 'supplizio'. Quando infatti ti piacerebbe continuare un lavoro che stai facendo, perchè ti piace farlo e ti vien comodo, ti devi sforzare di interromperlo. Quando non hai voglia di farlo, ti devi invece sforzare di farlo. Se hai voglia di dormire ancora dieci minuti, ti devi alzare perchè se no non è una cosa seria. Se sei già sveglio a letto, e ti vien bene alzarti perchè almeno dopo te la prendi  un po' più comoda, devi importi di rimanere e rispettare il programma che ti eri proposto, come se tu fossi un militare..., o un asceta!
In definitiva se gli orari li interpreti come di massima, è una cosa pesante ma sopportabile, ma se te li imponi alla lettera - come se tu fossi un vero professionista sportivo o seriamente impegnato in un lavoro - allora son dolori, a maggior ragione se sai che, in teoria, saresti 'libero' di fare tutto quello che vuoi, dalla mattina alla sera.
Mi ricordo che, quando ero più giovane, avevo una volta detto categorico ai miei collaboratori: 'Piuttosto che prendere un impegno e non mantenerlo bisogna avere il coraggio di dire subito di no: un 'capo' - imparatelo nella vita - si vede molto di più quando è capace di dir di 'no'...'
Guardate ora un po’ in che impiccio mi son cacciato, io, per non saper dir di no.
Ma prima di raccontarvi perché – dopo aver pranzato con mio cognato – mi scappasse poi da ridere al ripensare alla sua faccia, faccio ancora una premessa.
Ieri – il tempo in questi giorni è splendido e sembra di essere già in primavera - avevo potato gli alberelli del frutteto di sinistra: una meraviglia a vederli.
Oggi avrei dovuto potare quelli del frutteto di destra, più grossi.
Avevo già preparato sotto il primo albero due cavalletti con sopra sistemate delle tavole da impalcatura, una scala a compasso, una scala a pioli, una sega a mano grande, tre seghetti piccoli: due arcuati e uno dritto, quindi una motosega modello leggero da portarmi sull' albero, occhiali para-schegge, forbici da potatore, piccola ascia da appendere alla cintura come un 'tomawak' indiano, borsa porta oggetti da indossare come cintura, guanti... insomma quando avessi indossato tutto, con gli stivali, sarei sembrato un marziano, non un potatore e avrei avuto bisogno di un paranco per arrampicarmi sull' albero.
Dicevo dunque  che a tavola, alle 13.30, do un occhiata sobria e fintamente noncurante all' orologio e dico a mio cognato: 'Già, veramente una bella giornata. Oggi ne vorrei approfittare, finchè il tempo è buono, per cominciare a potare quegli alberi là che ne han proprio bisogno. Anzi avrei già mezz' ora di ritardo sulla tabellina di marcia della mia 'agenda'. Ti spiace se mi alzo?’
'Agenda? Tabellina?',mi fa lui con sguardo interrogativo, lui che fortunatamente - oltre a non saper ancora niente dei libri - non sa neanche niente di ascesi.
'No, intendevo dire - replico io - che di norma cerco di organizzarmi la giornata in modo da rispettare certi programmi, degli orari..., sai è un fatto di ordine'.
Lo dicevo sorridendo - come per far capire che non ero da prendere tanto sul serio - ma lui, che forse non ha il senso dell' umorismo, mi guarda inorridito e fa:
'Programmi, orari, ordine? Ma come, uno come te? Hai tutto, tutto. Sei abbastanza giovane, insomma te li porti bene. Ti sei ritirato dall' attività professionale, perchè così ti è piaciuto, per poterti dedicare alla campagna e  fare tutto quello che cavolo ti piace: infatti scrivi, leggi, hai il giardinaggio, i vigneti, i frutteti, i polli, i cani, puoi fare il 'nonno' con i nipotini (li ha messi dopo i 'cani' ma in ordine di importanza crescente, non decrescente), insomma hai tutto il tempo libero che vuoi per fare tutto quello che vuoi. Se vuoi parti se no resti. Chi sta meglio di te!? E tu ti vai a dare dei 'programmi'?, e degli 'orari'? E soprattutto rispettarli? E che vita è questa? E' una condanna. Piuttosto me ne rimango a fare il dentista, altro che  proporti di venire ad aiutarti in campagna come - scherzando - ti avevo detto che mi sarebbe piaciuto fare..., se non altro per smettere di dover lavorare per pagar le tasse'.

Cosa avreste risposto ad un cognato innocente (non 'innocente' come Giobbe) che ti dice così? Gli vai forse a rispondere che, dopo aver scritto 'Alla ricerca del Paradiso Perduto', non ancora soddisfatto, ti lasci convincere - per di più da una insegna luminosa che ti 'lampeggia' nella mente mentre dormi - a scrivere 'Alla scoperta del Paradiso perduto' e poi -  come se non bastasse  e per non saper dir di no - a fare l'Ascesi, sia pure laicale?

Me ne sono rimasto zitto, con stampato sulla faccia un sorrisetto ebete della serie: 'ragazzo, avevo solo scherzato...!'
Ma un momento dopo mi sono alzato e sono andato a potare, perchè dovevo 'recuperare' il tempo perduto.
E infatti ora che ho finito son qui che ho ripreso a scrivere queste cose, in attesa che mi venga l'ispirazione per continuare il discorso che avevo interrotto a mezzogiorno.

Come…?
(ssst..., è la mia testa di sinistra...)
Dici che a mezzogiorno avevo già finito?... Ah, va bene, allora faccio 'click' e 'chiudo'.

Click!