50. RINNEGARE SE STESSI ED AMARE LA CROCE.
L’IGNORANZA COMBATTE DIO: PER QUESTO E’ IMPORTANTE
EVANGELIZZARE LE GENTI

 

Azaria introduce la lezione odierna1 con una affermazione che mi sembra un ‘motto’ da far campeggiare su uno stendardo da battaglia: rinnegare se stessi e amare la Croce.
San Giovanni della Croce, aggiunge Azaria, scrisse trattati di mistica a questo riguardo ma il suo merito – quello che lo rese santo – fu di aver messo in pratica i principi che sosteneva.
La vita del cristiano consiste in un costante combattimento contro se stessi, cioè contro la propria umanità decaduta dopo il Peccato originale e – per riavvicinarsi il più possibile alla perfezione originaria così da riguadagnare almeno in parte il merito di essere riammessi in Cielo – il vero cristiano deve combattere il proprio ‘io’, cioè rinnegare se stesso, perché è così facendo che Dio gli concederà la ‘gloria’ di una vita eterna in Paradiso.
Riformare il proprio ‘io’ non è cosa facile – dice Azaria - perché esso assomiglia ad una pianta vigorosa che - pur potata dei getti non buoni – continua ad emetterne sempre di nuovi che vanno a loro volta ancora potati e così via.
Questa potatura costa sofferenza all’io, una sofferenza che è Croce.
Bisogna dunque amare la Croce – come fece Gesù – per avere diritto al premio della vita eterna in Paradiso.
L’Angelo sprona la mistica ad avere coraggio annichilendo il proprio io affinché – grazie anche a questo suo sacrificio di croce – la causa di Dio trionfi.
Le piccole ‘voci’ come lei – aggiunge Azaria -  sono sempre delle anime vittime, esse sono come dei piccoli Mosé il quale pregava sul monte mentre i soldati israeliti, atleti del Signore, combattevano fra i nemici del Signore per la sua Gloria.
La Gloria di Dio – continua Azaria – viene tuttavia dalla sua conoscenza. E’ infatti l’Ignoranza quella che combatte Dio ma lo fa solo perché non lo conosce e quindi non lo ama e non ne ricerca gli insegnamenti. Di conseguenza gli uomini finiscono per vivere nel peccato più per ignoranza che per vera volontà di peccare.
La mistica – esorta Azaria – sostenga dunque, con il rinnegamento di se stessa, gli ‘atleti’ che combattono Satana, l’ignoranza, le eresie e le tiepidezze. Il suo Amore, cioè Gesù SS., attende da lei un’offerta di anime e dunque lei sappia essere una piccola missionaria, sostenendo con i suoi sacrifici anche i missionari.

 

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Non c’è che dire, più  passa il tempo e più le lezioni di Azaria diventano umanamente difficili, non per la loro comprensione ma per la loro messa in pratica: rinnegare se stessi ed amare la Croce!
Quella cristiana non è solo la religione dell’Amore, ma anche del Dolore, come appunto il rinnegamento di se stessi, dolore che tuttavia ci ‘purifica’ e ci rende meglio degni di salvezza.
Ora, potrebbe sembrare umanamente impossibile amare la Croce, una cosa contro natura, ed è quindi importante capire bene la reale portata di questo concetto.
Per vostra tranquillità personale, sappiate che il Signore non chiede che voi vogliate trasformarvi in anime-vittime. Quella di anima-vittima, infatti, non è mai una scelta ‘volontaria’ ma una vera e propria ‘chiamata’ di Dio a svolgere questa missione, una chiamata che l’anima è libera di accettare o meno.
Non è questo però quello che Dio vuole da tutti noi perché già la vita dell'uomo è una serie ininterrotta di piccole e grandi 'croci', comunque croci.2
'Amare la Croce' significa accettarle per quello che sono.
Non è Dio che le 'manda'... sono una conseguenza del comportamento 'consapevole' dell'uomo sia a causa delle conseguenze del Peccato originale che dei peccati individuali successivi.
La Terra, vestibolo dell'Inferno e feudo di Satana, è 'tempio' d'espiazione.
Sono gli uomini che si danno dolore, con il loro libero arbitrio. E Dio lo consente, lascia fare. Rispetta la loro libera volontà sapendo che il Regno vero è quello dei Cieli. E allora permette la sofferenza perchè con questa si riscattano le proprie colpe, e anche quelle degli altri, e - nell' economia mondiale della Comunione dei Santi -  si guadagna la felicità eterna.
Ma come nelle cose umane e come nel lavoro non sono le cose 'subite' e fatte di malavoglia quelle che danno merito, ma quelle fatte con entusiasmo sono quelle che attirano la benevolenza dei superiori, così - applicato allo spirito - l'entusiasmo per la 'croce', cioè l'amore, cioè la buona volontà, la volontà di farsi animo ed accettarla, sono tutte - queste - cose che ci concedono la benevolenza di Dio, cioè la salvezza.
Ma poichè l'Io è forte, poichè l'umanità dell'uomo è forte, opporsi violentemente vorrebbe dire per noi 'spezzarci', fallire. Allora ci dobbiamo flettere come un giunco, cioè 'abbandonarci'. Come? Vivendo giorno per giorno le nostre sconfitte e vittorie spirituali, senza porci traguardi ambiziosi, che ci scoraggerebbero, ma facendo alla sera il rendiconto della giornata con l'unico proponimento di migliorare il bilancio il giorno dopo.
Ci troveremo sulla Croce senza essercene neanche accorti!
Converrete sul fatto che spiegata così – almeno a parole e non come San Giovanni della Croce che lo faceva in pratica – la cosa non è poi così drammatica.
Alla nostra mistica, Azaria insegna tuttavia anche un’altra cosa.
La sua Croce, il suo combattimento contro se stessa, il suo ‘annichilimento’, è come una continua preghiera che viene innalzata a Dio e - come Mosé3 osservando dall’alto di un monte la battaglia di Giosué contro gli Amaleciti sosteneva le sorti degli Israeliti tenendo le braccia alzate al Cielo in segno di preghiera, e quando non ce la faceva più e le abbassava Aronne e Hur gliele sostenevano e gli Israeliti tornavano a vincere – così le preghiere delle anime-vittime e della nostra mistica in particolare avrebbero sostenuto le battaglie contro il Nemico degli altri ‘atleti’ che, non tanto con la preghiera quanto con l’azione, combattono contro Satana, ad esempio quali esorcisti, oppure combattono contro le eresie, o per diffondere la conoscenza dei Vangeli o infine nelle terre di missione.

Ma a proposito di ‘conoscenza dei Vangeli’ vi è un altro importante tema nella lezione di Azaria. L’Angelo pone infatti l’accento sul fatto che si debba sempre rendere Gloria a Dio ma che la Gloria di Dio viene tuttavia dalla sua conoscenza.
E’ infatti l’Ignoranza quella che combatte Dio – sottolinea Azaria – perché essa non lo conosce e l’uomo finisce per peccare più per ignoranza che per vera volontà di peccare.
Bello questo concetto che, se ben meditato, ci deve far riflettere in merito alla importanza di dedicarsi alla evangelizzazione.
Non sono pochi oggi – anche fra gli uomini di Chiesa – coloro che dimenticano il comando dato da Gesù prima di salire al Cielo: ‘Andate ed evangelizzate tutte le genti’.4
Per un malinteso senso dell’ecumenismo, del ‘rispetto’ delle altrui tradizioni religiose e infine anche per il ‘quieto vivere’ molti ritengono oggi – peraltro in tempi di Apostasia - che l’evangelizzazione non sia poi così opportuna.
Bisogna tuttavia evangelizzare come hanno fatto nei secoli passati migliaia di missionari spesso martiri. Infatti, anche se alcune altre religioni contengono elementi di Verità, ciò nonostante esse non contengono tutta la Verità come ci è stata rivelata da Gesù Cristo e poi ancora dallo Spirito Santo.
Bisogna sconfiggere l’Ignoranza di Dio e allo scopo la Dottrina della religione cristiana è la via più sicura per conoscerlo meglio e salvarsi, tanto da aver reso necessaria l’Incarnazione ed il Sacrificio del Dio-Verbo in Gesù non solo per redimerci riaprendoci le porte del Cielo ma anche per insegnarci come raggiungerlo più sicuramente e più velocemente.
Ma – e questa è una domanda più che legittima – se i veri cristiani, cioè quelli che lo sono di fatto e non solo di nome, si salvano in quanto battezzati, che ne è di coloro che - pur avendo vissuto da ‘giusti’ - non sono cristiani per ignoranza o perché seguaci di altre religioni?
A livello teologico – e il problema se lo poneva persino Dante Alighieri nel Canto XIX del Paradiso della sua Divina Commedia - si discute da secoli se solo i battezzati della religione cristiana si possano salvare, come asseriscono taluni, oppure se si salvino, cioè possano andare in Paradiso, anche i giusti che appartengono ad altre religioni.
Poiché l’uomo è stato creato da Dio, e tutti gli uomini vengono da Dio dotati di un’anima immortale, pare difficile accettare l’idea che non vadano in Cielo anche i ‘giusti’ non battezzati che non appartengono alla religione cristiana e che rappresentano peraltro la maggior parte dell’Umanità.
Ricordo a questo riguardo un episodio di vita evangelica, visto in visione dalla mistica Valtorta, nel quale il Gesù valtortiano toccava questo argomento. 5
Si tratta di un fatto che avviene nel quadro del noto episodio in cui si narra dell’incontro di Gesù con la samaritana presso il pozzo di Sichar, episodio che nella visione della mistica è narrato in maniera più completa di quanto non facciano i Vangeli, di solito molto sintetici.
Gesù mostra alla donna di saperle leggere nel cuore e di conoscere la sua vita privata ed ella – impressionata e convinta di avere di fronte a sé un Profeta di Dio – corre al suo villaggio a dirlo ai compaesani.
Nella visione della nostra mistica, un gruppo di abitanti si reca allora incontro a Gesù e agli altri apostoli.
I samaritani erano ‘scismatici’ rispetto alla religione ‘ortodossa’ di giudei e galilei, ma essi - pur non volendo tornare indietro né riappacificarsi con i giudei con i quali erano ai ferri corti - vivevano psicologicamente male questa loro situazione di ‘reprobi’ e ‘separati’.
Essi si sentivano in qualche modo colpevoli delle colpe dei loro padri ma non avevano il coraggio di abbandonare la loro nuova religione per tornare alla vecchia.
Dall’opera valtortiana si evince infatti che uno di quei cittadini di Sichar che erano andati ad incontrarlo, discorrendo, aveva confessato con rammarico a Gesù come loro samaritani si considerassero ormai dei ‘lebbrosi agli occhi di Dio, perduti al Cielo per sempre, per non essere della religione giusta’.
La risposta di Gesù è chiara. Essi – pur scismatici - non sono responsabili delle colpe dei loro padri e Gesù fa all’uomo un ragionamento che stupirà magari anche molti cristiani.
Se essi samaritani operano in buona fede e in spirito di giustizia – dice Gesù -  anche per loro che non sono ormai della religione giusta, perché scismatici, vi sarà salvezza, perché Dio legge nei loro cuori e li giudicherà per le loro buone azioni, cioè per il loro esser stati dei ‘giusti’.
Gesù spiega infatti che tutte le anime degli uomini, di qualsivoglia razza, sono di Dio e che, ‘perduta al Cielo’, lo sarà solo l’anima di chi ha peccato rispetto alla legge dei dieci comandi che Dio ha inciso nel cuore di ogni uomo...
I giusti delle altre religioni ‘non giuste’ – aggiunge ancora  Gesù - si salveranno, come pure chi ha peccato ma si pente, perché Dio – che vuole tutti salvi - non vuole la morte spirituale del peccatore ma che egli guadagni invece la vera Vita, quella del Cielo.

Noi che meditiamo, possiamo allora facilmente dedurre che non si salvano solo i ‘cristiani’ ma anche gli uomini di altre religioni ‘non del tutto vere’ – purché essi - peraltro convinti di essere della religione giusta – rispettino la legge naturale incisa da Dio nel ‘Dna’ spirituale dell’anima creata per ogni uomo.
Il tema della salvezza dei ‘giusti’ non cristiani, cioè dei non battezzati, viene affrontato in più punti dell’Opera Valtortiana, anche in relazione alla tematica concernente il Purgatorio ed il Limbo.
In un altro episodio6 di vita evangelica vista in visione dalla nostra mistica, Gesù - con il gruppo apostolico e altri viandanti - si accampa in una radura di montagna circondata da un fitto bosco. Durante la notte ci si rende conto dal frusciare di fronde e rami spezzati che nel bosco sono acquattati dei briganti che spiano in attesa di aggredire i viandanti nel sonno per depredarli.
Gesù fa allora ravvivare il fuoco per rendersi ben visibile, si avvicina al limitare del bosco al quale volge le spalle e - parlando apparentemente agli apostoli ed ai viandanti spaventati -pronuncia ad alta voce un discorso, molto bello e commovente indirizzato in realtà dritto al cuore dei briganti.
Per inciso uno di quelli che ascoltano stupiti ed in assoluto silenzio è proprio Disma, quello che in seguito – memore di quel discorso notturno di Gesù - diverrà il ‘ladrone pentito’, uno dei due messi in croce vicino a Gesù.
Gesù cerca di convertire i briganti alla bontà prospettando loro che esiste una vita eterna dopo la morte del corpo e ad un certo punto dice loro (i grassetti sono sempre i miei):  

«…L’altra vita non è l’abisso senza pensiero e senza ricordo per il passato vissuto e senza aspirazione a Dio che voi credete sarà la sosta in attesa della liberazione del Redentore. L’altra vita è attesa beata per i giusti, attesa paziente per i penanti, attesa orrenda per i dannati. Per i primi nel Limbo, per i secondi nel Purgatorio, per gli ultimi nell’Inferno. E mentre ai primi l’attesa cesserà con l’entrata nei Cieli dietro al Redentore, nei secondi dopo quell’ora si farà più confortata di speranza, mentre per i terzi incupirà la sua tremenda certezza di maledizione eterna. Pensateci, voi che peccate. Non è mai tardi per ravvedersi. Mutate il verdetto, che si sta scrivendo nei cieli per voi, con un vero pentimento. Lo scheol sia per voi non un inferno, ma penitente attesa, quella almeno, per il vostro volere. Non buio ma crepuscolo di luce. Non strazio ma nostalgia. Non disperazione ma speranza…».

Inutile dirvi che i briganti – toccati nel cuore e commossi, taluni piangenti – si ritirano abbandonando in silenzio la boscaglia.

Con riferimento al Limbo, al Purgatorio ed alla salvezza dei non battezzati vi sono però altri due brani dell’Opera valtortiana (M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – Dettati del 14.1.48 e 16.1.48 – C.E.V.) in cui a parlare alla mistica è lo Spirito Santo che le commenta alcuni versetti dell’Epistola paolina come segue (i ‘grassetti’ sono i miei):  .

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14.1.48
Ai Romani, c. II, v. 9-10-11.
Dice il Ss. Autore:

«La tribolazione e l'angoscia sono sempre compagne dell'anima dell'uomo che fa il male. Anche se non appare agli occhi degli altri uomini.
Chi è colpevole non gode di quella pace che è frutto della buona coscienza. Le soddisfazioni della vita, quali che siano, non bastano a dare pace. Il mostro del rimorso assale i colpevoli con assalti improvvisi, nelle ore più impensate, e li tortura. Talora serve a farli ravvedere, talaltra a farli maggiormente colpevoli, spingendoli a sfidare Dio, spingendoli a cacciarlo del tutto dal loro io. Perché il rimorso viene da Dio e da Satana. Il primo lo desta per salvare. Il secondo per finire di rovinare, per odio, per scherno.
Ma l'uomo colpevole, che è già di Satana, non pensa che è il suo tenebroso re che lo tortura dopo averlo sedotto ad essergli schiavo. E accusa solo Dio del rimorso che sente agitarsi in lui, e cerca di dimostrarsi che non teme Dio, che cancella Iddio coll'aumentare le sue colpe senza paura, con la stessa malsana smania con la quale il bevitore, pur sapendo che il vino gli è nocivo, aumenta il suo bere, con la stessa frenesia con la quale il lussurioso aumenta il suo pasto di sozzo piacere, e chi usa droghe venefiche aumenta la dose di esse per godere più ancora e della carne e delle droghe stupefacenti. Tutto ciò nell'intento di stordirsi, inebriarsi di vino, di droghe, di lussuria, al punto da inebetirsi e non sentire più il rimorso. E il colpevole nell'intento di soffocarne la voce sotto quella di trionfi più o meno grandi e temporanei.
Ma l'angoscia resta. La tribolazione resta. Sono le confessioni che un colpevole non fa neppure a se stesso, o attende a farle nel momento estremo, quando cade tutto ciò che è scenario dipinto e l'uomo si trova nudo, solo davanti al mistero della morte e dell'incontro con Dio. E questi ultimi sono già i casi buoni, quelli che ottengono pace oltre la vita dopo la giusta espiazione. Talora, come per il buon ladrone, giunto al perfetto dolore, è pace immediata.
Ma è molto difficile che i grandi ladroni - ogni grande colpevole è un grande ladrone poiché deruba Dio di un'anima: la sua di colpevole, e di molte anime ancora: quelle travolte nella colpa dal grande colpevole, e sarà chiamato a rispondere di queste, talora buone, innocenti prima dell'incontro col colpevole e dal colpevole fatte peccatrici, più severamente ancora che della sua, ed è grande ladrone perché deruba la sua anima del suo bene eterno, e con la sua le anime di quelli indotti da lui al male - ma è difficile, dico, che un grande, ostinato ladrone, all'ultimo momento giunga al pentimento perfetto. Sovente non giunge neppure al pentimento parziale. O perché la morte lo coglie improvvisa o perché egli respinge la salute sino al momento supremo.
Ma la tribolazione e l'angoscia della vita non sono che un minimo saggio della tribolazione o angoscia dell'oltre vita. Poiché l'inferno, la dannazione, sono orrori che anche l'esatta descrizione di essi, data da Dio stesso, è sempre inferiore a ciò che essi sono.
Voi non potete, neppure per descrizione divina, concepire esattamente cosa è la dannazione, cosa è l'inferno. Così come visione e lezione divina di ciò che è Dio ancor non può darvi la gioia infinita della esatta conoscenza dell'eterno giorno dei giusti nel Paradiso, così altrettanto né visione né lezione divina sull'Inferno può darvi un saggio su quell'orrore infinito. Per la conoscenza dell'estasi paradisiaca e per l'angoscia infernale, a voi viventi sono messi confini. Perché se conosceste tutto quale è, morireste d'amore o di orrore.
E castigo e premio saranno dati con giusta misura al giudeo come al greco, ossia al credente nel Dio vero come a colui che è cristiano ma fuor dal tronco dell'eterna Vite, come all'eretico, come a colui che segua altre religioni rivelate o la sua propria, se è creatura alla quale è ignota ogni religione. Premio a chi segue giustizia. Castigo a chi fa male.
Perché ogni uomo è dotato di anima e di ragione e per questo ha in sé quanto basta ad essergli guida e legge.
E Dio nella sua giustizia premierà e castigherà a seconda che lo spirito seppe, più severamente perciò più lo spirito e la ragione sono di essere civile e a contatto di sacerdoti o ministri cristiani, di religioni rivelate, e a seconda della fede dello spirito.
Perché se uno, anche di chiesa scismatica oppure separata, crede fermamente di essere nella giusta fede, la sua fede lo giustifica, e se opera il bene per conseguire Dio, Bene supremo, avrà, un giorno, il premio della sua fede e del suo retto operare, con maggior benignità divina di quella concessa ai cattolici.
Perché Dio calcolerà quanto più sforzo dovettero fare i separati dal Corpo mistico, i maomettani, braminici, buddisti, pagani, per essere dei giusti, essi nei quali la Grazia, la Vita, non sono, e con esse i miei doni e le virtù che da essi doni scaturiscono.
Non vi è accettazione di persone davanti a Dio. Egli giudicherà per le azioni compiute, non per le origini umane degli uomini.
E molti saranno che, credendosi eletti perché cattolici, si vedranno preceduti da molti altri che servirono il Dio vero, a loro ignoto, seguendo la giustizia'.

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E poi lo Spirito Santo, nel secondo ‘Dettato’, chiarisce ancora alla mistica:

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16.1.48
Ai Romani, cap.II, v.12
Dice il Ss. Autore:
La grande misericordia di Dio risplende ancor più luminosamente infinita nelle parole di Paolo che, ispirato, proclama come unicamente coloro che non riconoscono nessuna legge - né naturale, né soprannaturale, né ragionevole - periranno, mentre quelli che hanno conosciuta la Legge e non l'hanno praticata, dalla stessa Legge, che salva, saranno condannati; e ancora: che i Gentili, che non hanno la Legge, ma naturalmente e ragionevolmente fanno  ciò che la Legge a loro sconosciuta prescrive - dandosi, per il solo lume di ragione, rettezza di cuore, ubbidienza alle voci dello Spirito, sconosciuto ma presente, unico maestro al loro spirito di buona volontà, ubbidienza a quelle ispirazioni che essi seguono perché la loro virtù le ama, e non sanno di servire inconsapevolmente Dio - che questi Gentili, che mostrano con le loro azioni che la Legge è scritta nel loro cuore virtuoso, nel giorno del Giudizio saranno giustificati.
Osserviamo queste tre grandi categorie, nel giudizio divino delle quali risplendono misericordia e giustizia perfette.
Coloro che non riconoscono nessuna legge né naturale, né umana, e perciò ragionevole, né sovrumana.
Chi sono? I selvaggi?
No. Sono i luciferi della Terra. E il loro numero cresce sempre più col passare dei tempi, nonostante che civiltà e diffusione del Vangelo, predicazione inesausta di esso, dovrebbero far sempre più esiguo il loro numero. Ma pace, ma giustizia, ma luce, sono promesse agli uomini di buona volontà. Ed essi sono di mala volontà.
Sono i ribelli ad ogni legge, anche a quella naturale. Perciò inferiori ai bruti. Rinnegano volontariamente la loro natura di uomo: essere ragionevole dotato di mente e di anima. Fanno cose contro natura e contro ragione. Non meritano più che di perire di fra il numero degli uomini che son creati a immagine e somiglianza di Dio, e periranno da come uomini per prendere la loro voluta natura di demoni.
Seconda categoria: gli ipocriti, i falsi, coloro che irridono Dio, avendo la Legge, ma avendola solo, non praticandola.
E può allora dirsi di averla veramente e trarne benefici? Simili a coloro che possiedono un tesoro ma lo lasciano inoperoso e incustodito, essi non ne traggono frutti di vita eterna, gaudi immediati al loro morire, e Dio li condannerà perché ebbero il dono di Dio e non ne usarono con riconoscenza al Donatore che li aveva messi nella parte eletta dell'Umanità: in quella del Popolo suo perché segnato dal segno cristiano.
Terza categoria: i Gentili.
Al tempo d'oggi diamo tale qualifica a quelli che non sono cristiano cattolici. Chiamiamoli così, mentre meditiamo le parole di Paolo.
Essi, che non avendo la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge impone - e son legge a se stessi mostrando così come il loro spirito ami la virtù e tenda al Bene supremo - essi, quando Dio giudicherà per mezzo del Salvatore le azioni segrete degli uomini, saranno giustificati.
Sono molti, costoro. Un numero grande.
E sarà la folla immensa... di ogni nazione, tribù, popolo, linguaggio, sulla quale, nell'ultimo giorno, per i meriti infiniti del Cristo immolato sino all'estrema stilla di sangue e di umore, verrà impresso il sigillo del Dio vivo a salvezza e premio prima dell'estremo inappellabile giudizio.
La loro virtù, la loro spontanea ubbidienza alla legge di virtù, li avrà battezzati senza altro battesimo, consacrati senza altro crisma che i meriti infiniti del Salvatore.
Il Limbo non sarà più dimora dei giusti.
Così come la sera del Venerdì Santo esso si svuotò dei suoi giusti, perché il Sangue versato dal Redentore li aveva detersi dalla macchia d'origine, così alla sera del Tempo i meriti del Cristo trionfante su ogni nemico li assolverà dal non essere stati del suo gregge per ferma fede di essere nella religione giusta, e li premierà della virtù esercitata in vita.
E se così non fosse, Dio farebbe frode a questi giusti che si dettero legge di giustizia e difesero la giustizia e la virtù. E Dio non defrauda mai. Lungo talora a compiersi, ma sempre certo il suo premio.

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Alla luce di tutto quanto sopra scritto - che sembrava una digressione dal tema ma non lo era - e per ritornare all’insegnamento di Azaria in questa lezione per cui ‘è l’Ignoranza quella che combatte Dio ma lo fa solo perché non lo conosce e quindi non lo ama e non ne ricerca gli insegnamenti’, ecco dunque la ragione per la quale bisogna fare apostolato e diffondere la conoscenza del Vangelo e di Dio: fare in modo non solo che i peccatori si convertano salvandosi più facilmente ma anche far sì che i ‘giusti non cristiani’ diventino ‘battezzati e giusti cristiani’ così che – da quanto si apprende dall’Opera della mistica – dopo la morte dei corpi le loro anime non debbano attendere nel Limbo sino alla fine del mondo per poter andare finalmente in Paradiso.


1 M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 41 – 24 novembre 1946 – Centro Ed. Valtortiano

2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 123 – Ed. Segno, 1997 – vedi anche sito internet dell’autore

3 Esodo: 17, 8-13

4 Mt 28, 19-20: «Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»

5 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II, Cap. 144 – Centro Edit. Valtortiano
Vedi anche dell’autore “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Cap. 1.2 – Ed. Segno, 2003 – opera disponibile anche sul sito internet dell’autore

6 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 223 – Centro Editoriale Valtortiano