3. PROFEZIE SUL FUTURO DI ISRAELE:
FUTURA DISPERSIONE DEL SUO POPOLO NEL MONDO E CONVERSIONE FINALE AL CRISTIANESIMO

 

3.1 Commenti a Gerusalemme e conseguenze del miracolo della resurrezione di Lazzaro: uccidere Gesù!

Il racconto che Giovanni aveva fatto del grandissimo miracolo di Lazzaro, si era concluso con questa annotazione: ‘Molti dei Giudei, venuti da Maria, visto il prodigio compiuto da Gesù, credettero in lui. Alcuni, però, andarono dai farisei a riferire quanto Gesù aveva fatto…’.
‘Andarono’?
‘Si precipitarono’, sarebbe stato meglio dire.
Il miracolo di Lazzaro era stato veramente grande. Una ‘suspence’ mista ad orrore, curiosità, eccitazione, esaltazione, timor di Dio, odio viscerale verso Gesù e poi… e poi l’impossibile: una specie di mummia, avvolta in bende e unguenti, si presenta di fronte alla porta di ingresso del sepolcro, come attirata dalla forza magnetica della volontà di Gesù.
‘Lazzaro vieni fuori!’. E quello viene fuori.
Speranza, emozione, commozione, urla strozzate, passi indietro, passi in avanti, curiosità, paralisi, occhi spalancati. Deve esser successo di tutto mentre Lazzaro, o meglio quel fagotto dentro al quale era Lazzaro, si avvicinava esitante all’ingresso, attratto dal comando dell’Uomo-Dio che lo chiamava.
Un Uomo come Gesù, che aveva dimostrato di governare le leggi della natura cambiando l’acqua in vino, moltiplicando pani e pesci, calmando venti e acque,  che già aveva resuscitato la figlia del sinagogo Giairo e il figlio della vedova di Naim – senza contare miracoli come quelli dei lebbrosi risanati di colpo o quello del cieco nato con le occhiaie vuote che vi si era ritrovato dentro due bulbi oculari nuovi di zecca -– un uomo del genere poteva magari ben ‘schiodare’ dal suo sepolcro un Lazzaro che più morto di così non poteva essere.
Infatti era ormai in quel sepolcro da quattro giorni, e lo si capiva anche dall’aria ammorbata dopo che i servi al comando di Gesù avevano tolto la pietra di ingresso.
Ma dentro quel fagotto? Impossibile sbagliare. Non poteva esserci trucco, quello era il sepolcro nel quale avevano visto con i loro occhi infilare Lazzaro e lì, dentro al fagotto di bende, non ci poteva che essere Lazzaro: morto!
Tutti avevano visto Lazzaro nella sua agonia quando i capi giudei erano andati a riverirlo, dato che era pur sempre un ‘potente’. E lo avevano poi visto ben morto quando alla notizia del decesso erano andati a ‘rendergli omaggio’ in casa. Essi dovevano salvare le apparenze anche se poi erano i primi a contestare a Lazzaro l’amicizia e la protezione ‘politica’ che dava a quel Gesù, quell’eretico, quel mitomane, quel pazzo, quel bestemmiatore che – per proprio conto - si definiva ‘Figlio di Dio’, che condannava i loro peccati e condonava quelli degli altri, deludeva le loro ambizioni messianiche in un re terreno, proponendo invece un Re d’Amore. Roba da ridere. Roba da far rivoltare tutti i Profeti nella tomba! Gesù – con quella storia dell’amore e del porgere l’altra guancia – infangava le ambizioni nazionali, faceva loro pensare che secoli e secoli di attesa del Messia Liberatore e Vendicatore fossero trascorsi invano. Essi volevano sotto il tallone tutto il mondo che li aveva schiavizzati per secoli, a cominciare dagli ultimi: i Romani, senza dimenticare però gli altri popoli vicini, quelli che oggi chiamiamo egiziani, iracheni, siriani, libanesi,  iraniani.
Generazioni e generazioni di schiavitù del popolo di Israele scorrevano negli occhi dei Capi giudei e non sarebbe stato un Gesù a defraudarli del loro sacrosanto diritto alla rivalsa storica, a defraudarli della promessa di Dio di dare ad Israele quel Re dei re dinanzi al quale si sarebbero inginocchiati tutti i popoli sino ai confini della terra.
Poi lo avevano visto ben morto anche durante la tumulazione, già bendato secondo l’usanza ebraica.
Ma ora il miracolo avviene ed allora quei Capi Giudei, con gli occhi stravolti, si dividono: ‘Questo è proprio Dio’, dicono alcuni.
‘Questa bisogna subito raccontarla al Sinedrio’, dicono altri, quelli - cioè – che si precipitarono a riferire quel che era successo, come aveva concluso il suo racconto Giovanni.
Ed i Capi del Sinedrio decidono allora di riunire in gran fretta il Consiglio.1
Di fretta? Magari in seduta notturna, come si fa nelle emergenze.
La notizia – visto che Betania era ad un tiro d’arco da Gerusalemme – doveva essersi sparsa ovunque con la velocità di un fulmine. Un entusiasmo da stadio!
I commenti del popolo?
‘Gesù? Lazzaro? Risuscitato? Ah, ma allora quello è proprio il Messia, anzi è proprio Dio! E chi altrimenti potrebbe risuscitare un morto sfatto e risanarlo completamente? Si è rimesso subito a parlare come se niente fosse? Ha anche mangiato per farsi ritornar le forze? Pareva proprio un essere umano vivo come gli altri! Un po’ magro, d’accordo, ma era morto da quattro giorni e poi – malato com’era, chissà da quanto tempo non mangiava! Ah, quel Gesù deve proprio essere il Re dei re, il Messia dei Profeti. Dio non sbaglia mai. Finalmente è arrivato. Questa è l’ora del nostro popolo. Cosa dicevano i profeti? Che tutte le nazioni gli saran soggette? A Lui? Anche a noi! Mah, meglio chiederlo ai sacerdoti e agli scribi: quelli le virgole non se le dimenticano certo! Chissà se Lazzaro si ricorda quel che ha visto nell’Aldilà. E’ il primo uomo veramente morto a tornare dall’Oltretomba. Quella non è stata certo una morte apparente…, come magari quella della figlia di Giairo o di quel giovane di Naim’
E Ponzio Pilato, cosa avrà detto? Lui doveva avere informatori ovunque.
Sua moglie Claudia – che abbiamo conosciuta poco dopo l’inizio di questo nostro racconto mentre Gesù parlava ai prigionieri su quella galera romana ormeggiata nel porto di Cesarea - era anche una segreta ammiratrice di quel ‘profeta’.
Pilato: ‘Il Galileo? L’unico ebreo che egli stimasse perché – oltre ad esser sapiente – non odiava né disprezzava i romani. Fossero stati tutti così…, governar la Giudea sarebbe stato come stare in vacanza. Lazzaro risuscitato! Per Giove, sta a vedere che quel pazzo di nazareno – che poi mia moglie dice che è un buon diavolo, veramente sapiente - sta a vedere che è proprio il figlio di un Dio: un Dio più potente dei nostri dèi pagani, se è capace di risuscitare i morti dall’Ade…!’.
La stima di Ponzio Pilato in Gesù sarebbe certo cresciuta se in quel momento avesse saputo quel che in realtà Gesù avrebbe detto, un paio di mesi dopo, a proposito di quel quesito farisaico sulla moneta romana e sulla liceità del pagamento dei tributi a Cesare, quando Gesù aveva replicato: ‘Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio!’.
E intanto i Capi giudei nella Sala del Consiglio? Discutono fra di loro, animatamente. Raccontano, confrontano, litigano anche: ‘Che facciamo? Quest’uomo fa molti miracoli…, troppi! Se lo lasciamo ancora fare, tutti crederanno in lui, lo faranno re, verremo esautorati, per noi sarà finita, magari verranno i romani, distruggeranno la nostra città, anzi tutta la nostra nazione!’.
Quest’ultimo doveva essere l’argomento ‘principe’ che veniva opposto ai titubanti, titubanti specie di fronte a quel miracolo e che ora si domandavano se quella decisione già a suo tempo presa dopo quello scontro in casa del fariseo Elchia, e cioè quella di far arrestare Gesù per poi ucciderlo, non fosse stata una decisione sbagliata.
Ma i più duri: ‘Qui non è questione di quel nazareno o di noi. Qui è in ballo la sicurezza nazionale. Quello è pazzo e predica l’amore ma la gente gli crede e lo vuol far Re. I romani non scherzano. Ci lasciano fare finchè ce ne stiamo buoni buoni, ma se solo subodorano che il popolo lo vuole acclamare Re, anzi Re dei re, quelli mandano le coorti, anzi le legioni, e fanno piazza pulita. Rappresaglie, incendio, farla finita con questa razza di ribelli ebrei, ostinati, che li considerano impuri e corrono a lavarsi le mani appena li hanno sfiorati…’.
Beh! Non c’è che dire, quei sinedristi sapevano il fatto loro e si conoscevano anche bene…!
L’argomento della salvezza della nazione offriva un buon alibi psicologico anche a quelli che avrebbero voluto eliminare Gesù ma non ne avevano il coraggio.
Allora a Caifa, il Gran Sacerdote, in un impeto d’ira verso quelli che ancor dubbiosi non sanno decidersi, scappa detto: ‘Voi di Ragion di Stato non capite un accidente! Lo comprendete sì o no, che è meglio che un uomo solo muoia per il popolo anziché far perire tutta la nazione’?
La sua potrebbe sembrare una battuta cinica, e Caifa stesso, ripensando a quel che praticamente gli era nella foga scappato detto, si sarà poi fregato le mani pensando fra sè e sè di esser stato veramente un asso.
Ma Giovanni - riferendosi proprio a questa frase di Caifa - fa poco dopo una annotazione curiosa che farà stupire quelli che non si intendono di ‘profezie’ e di ‘spirito profetico’: ‘…Questo non lo disse di suo ma, essendo Sommo  Sacerdote in quell’anno, profetò che Gesù doveva morire per la sua nazione, e non soltanto per la sua nazione, ma per raccogliere insieme i dispersi figli di Dio’.

Premetto, per chi non lo sappia, che lo Spirito Santo, che è Dio come il Padre e il Figlio, parla attraverso le labbra dei profeti che non di rado non afferrano però la portata reale di quel che essi - sotto l’ispirazione del Signore – predicono o rivelano.
Esser ‘profeta’ non significa necessariamente rivelare il futuro, come comunemente si crede, ma parlare per conto di Dio.
Ho già avuto occasione di spiegare che non era raro il caso di profeti – nell’antico Testamento – che ‘interpretassero’ in maniera personale quando non anche in maniera del tutto umana le loro stesse profezie, cioè le ‘rivelazioni’ del Signore, alla luce del periodo storico che essi stavano vivendo o delle loro stesse opinioni.
Lo stesso succedeva anche ai loro contemporanei.
Se la profezia consisteva in una predizione di un fatto futuro, solo con il passar dei secoli – e cioè con l’avveramento - si sarebbe compresa la sua portata reale.
Questo è sempre stato un ‘dramma’ personale di molti profeti: fare profezie su un lontano futuro che essi – profetando con l’occhio dell’eterno presente di Dio - vedevano invece come molto vicino e di imminente realizzazione ma che poi non vedevano avverarsi, venendo così a trovarsi esposti al ridicolo se non all’accusa di essere ‘falsi profeti’.
Non parliamo poi dei casi in cui il senso della profezia era del tutto  oscuro perché destinato ad essere compreso solo in futuro!
Talvolta – infine - lo Spirito Santo illumina un ‘profeta’ in un particolare momento facendogli capire con chiarezza una data cosa, ma quando quel momento è passato e con esso l’illuminazione di quel potente raggio di luce che gli aveva fatto intendere una verità, il profeta si ritrova 'uomo'. Con la sua mente tornata nell'ombra interpreta umanamente quanto gli era stato rivelato e... sbaglia.
Quando il ‘profeta’ parla per conto del Signore egli vede le cose con l’occhio del Signore, da fuori del tempo, nel presente eterno di Dio.
Siamo invece noi che caliamo la profezia nel tempo e in più la interpretiamo spesso alla luce delle nostre convinzioni personali.
Il più delle volte non è la profezia che è sbagliata – anzi la profezia del Signore non sbaglia mai – ma quelle che sono sbagliate sono le nostre ‘interpretazioni’ che ce la fanno poi apparire ‘sbagliata’ quando le nostre aspettative 'umane' non si verificano.
Caifa, quale Sommo Sacerdote nell’esercizio delle sue funzioni, poteva ben ambire al ‘diritto’ di esser ‘profeta’, all’occorrenza, ed in effetti aveva ‘profetato’ ma poi si era ‘interpretato’ secondo le sue convinzioni personali, umanamente e non spiritualmente, e si era complimentato con se stesso per il suo lampo di astuzia.
E lo Spirito Santo – fa capire Giovanni – usa quel ‘profeta’ facendogli dire a futura memoria – una grande Verità, anzi la Verità più grande: per salvare (spiritualmente) il popolo di Israele – rappresentativo dell’Umanità intera, cioè il Grande Israele – sarebbe stato necessario sacrificare un uomo – ma un Uomo-Dio – che a fronte del Sacrificio della propria vita,  incommensurabile perché vita di un Dio, avrebbe chiesto al Padre il riscatto dell’Umanità stessa alla quale sarebbero state riaperte le porte del Paradiso, solo che essa avesse dimostrato un poco di buona volontà.
Caifa non poteva capirlo, perché in questo caso era stato ‘usato’ ma non  illuminato, ma lo avrebbero capito le generazioni future.
Senza la morte di Gesù non ci sarebbe stato riscatto per l’Umanità.
Solo la morte di un Dio – con la sua sofferenza di Uomo-Dio – avrebbe potuto riparare la catena immensa dei peccati dell’Umanità, solo la morte di un Dio poteva spezzare le catene che Satana aveva avvolto intorno ai piedi ed alla gola degli uomini.
A questo punto – dopo le parole di Caifa – nel Sinedrio la prospettiva di uccidere Gesù si ammantava di ‘nobiltà’, di Ragion di Stato, di interesse superiore per il Bene della Nazione.
Non era necessario dire di più per ‘convincere’ i titubanti: cioè i ‘vili’ che avrebbero voluto la morte di Gesù ma non avevano il coraggio di decretarla formalmente.
I ‘buoni’ del Sinedrio - come ad esempio Nicodemo (quello che, lo ricorderete, in quel colloquio notturno con Gesù a Gerusalemme aveva le idee un po’ confuse sulla reincarnazione) o come lo stesso Giuseppe d’Arimatea che, assieme a  Nicodemo e Giovanni, avrebbe schiodato Gesù dalla croce prestando anche il proprio sepolcro - cosa avrebbero potuto mai fare in quel Sinedrio di vespe impazzite?
Accusati di cecità mentale, anzi di ‘collusione col nemico’, sarebbero stati agevolmente messi in minoranza e avrebbero magari rischiato la vita.
Così il Consiglio del Sinedrio - come dice Giovanni - decreta: ‘Gesù deve morire!’.
Gesù aveva però degli amici nel Sinedrio, forse gli stessi Nicodemo e Giuseppe. Viene informato della decisione e capisce che la situazione è ‘incandescente’ e - poiché non è ancora giunto il momento della sua ‘ora’ - si ritira ad Efrem, una località lontana e poco frequentata.2

 

3.2 A Gerico: colloquio con i quattro notabili. La profezia di Gesù e di Sabea sul futuro di Israele.

Dopo aver soggiornato qualche tempo ad Efrem (o Efraim), il gruppo apostolico si dirige verso altri villaggi della Samaria, zona sicura.
Tuttavia, come dice Giovanni, si avvicinava nel frattempo la Pasqua, la quarta, dall’inizio della vita pubblica di Gesù ed Egli decide allora che è giunto il momento di tornare a Gerusalemme.
E’ in questo periodo che avviene quel noto episodio dell’incontro con il giovane ricco che voleva sapere cosa avrebbe dovuto fare per guadagnarsi la vita eterna.3
Quindi - sempre sulla via di Gerusalemme - l’annuncio che Gesù fa agli apostoli circa l’imminenza della sua cattura, condanna a morte e crocifissione.4
E’ pure in questo periodo che avviene l’episodio in cui la madre di Giovanni e Giacomo, Maria Salome di Zebedeo5 (la quale era al seguito del gruppo apostolico con altre discepole per l’imminenza della Pasqua), chiede a Gesù - in quanto anche da lei ritenuto un ‘terreno’ futuro Messia di Israele - se i suoi due figlioli avrebbero potuto sedere uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra.
Persino alla  fine della predicazione di Gesù, l’idea di un Messia 'solo' spirituale, era dura da 'accettare' e capire da parte degli apostoli: le ‘poltrone’ politiche erano ambite persino da qualcuno di loro!

Il gruppo apostolico giunge intanto a Gerico, distante una trentina di chilometri da Gerusalemme, ospite della discepola Niche, chamata anche Veronica, quella che – per via del racconto dei Vangeli - diventerà famosa per aver asciugato il volto di Gesù sulla salita del Calvario con il famoso velo, un ‘sudario’, detto appunto  ‘velo della Veronica’, che si dice conservato ancora oggi come reliquia.
Mancano ormai pochi giorni alla Pasqua.6
Ora vi racconto un paio di episodi che ad una prima lettura non sono forse facili da capire e richiedono da voi molta attenzione, ma che verranno meglio compresi, nella loro portata storica, nei capitoli successivi.
Lì, nella proprietà di Niche a sud di Gerico, il Gesù valtortiano si trova a colloquiare con quattro personaggi, notabili suoi fedeli, che da Gerusalemme gli si sono fatti incontro per informarlo segretamente che qualcuno del suo seguito lo tradisce e che a Gerusalemme tutto è pronto per il suo arresto, pronti perfino i ‘capi di imputazione’ della Pubblica Accusa: violare la Legge e i sabati, difendere  pubblicani e meretrici, liberare indemoniati ricorrendo all’aiuto di Belzebù o ad artifici di magia nera, odiare il ‘Tempio’ e volerne la distruzione, amare i samaritani più dei giudei...
‘Ti si accusa – dicono infatti i quattro a Gesù – che tanto li ami da sempre dire: ‘Ascolta, Israele’, anziché dire:‘Ascolta Giuda’. E che non puoi rimproverare Giuda…’.
La Samaria, infatti, aveva fatto parte in passato del ‘Regno di Israele’ - formatosi dopo una storica scissione politica e religiosa – Regno che era stata politicamente antagonista del ‘Regno di Giuda’, il quale aveva per capitale Gerusalemme.
Ai tempi di Gesù, fra giudei e samaritani – questi ultimi considerati per di più ‘pagani’ - non correva dunque buon sangue.
Gesù, in una sua parabola che aveva fatto scalpore, aveva esaltato la bontà di cuore di quel samaritano che aveva soccorso un uomo ferito dai briganti al quale i  giudei avevano invece negato aiuto.
Più di una volta Gesù, per sfuggire ai tentativi di cattura da parte dei sacerdoti del Tempio, aveva dovuto rifugiarsi a predicare in Samaria.
Accusare Gesù di amare più la Samaria che la Giudea era quindi come volerlo accusare di tradimento e di ‘connivenza’ con il nemico.
‘Giuda’ è il nome del Regno che poi fu chiamato Giudea.
Allora Gesù – per spiegare il perché del suo frequente rimproverare ‘Giuda’ ed il significato allegorico dei termini ‘Giuda’ e ‘Israele’ – chiarirà ai quattro notabili il senso di alcuni oscuri e anche terribili passi profetici dell’Antico Testamento riguardanti il futuro7 - dicendo ai quattro che ben conoscevano a memoria gli scritti dei Profeti:

 

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«In verità? La sapienza dei rabbi qui si perde? E non sono Io il Germe di giustizia spuntato da Davide per il quale, come dice Geremia, Giuda sarà salvato?
Allora il Profeta prevede che Giuda, soprattutto Giuda, avrà bisogno di salvezza.
E questo Germe, dice sempre il Profeta, sarà chiamato il Signore, il nostro Giusto, ‘perché, dice il Signore, non mancherà mai a Davide un discendente assiso sul trono della Casa di Israele’.
E che? Ha errato il Profeta? Era ebbro forse? Di che? Di certo di penitenza e non d’altro. Perché, per accusare Me, nessuno potrà sostenere che Geremia fosse uomo di crapula. Eppure egli dice che il Germe di Davide salverà Giuda e siederà sul trono di Israele.
Dunque si direbbe che, per i suoi lumi, il Profeta vede che più che Giuda sarà eletto Israele, che il Re andrà ad Israele, e già grazia sarà se Giuda avrà unicamente salvezza.
Il Regno sarà dunque detto di Israele?
No. Di Cristo sarà detto. Di Colui che unisce le parti disperse e ricostruisce nel Signore, dopo avere, secondo l’altro Profeta, in un mese – che dico in un mese? – in men di un giorno, giudicato e condannato i tre falsi pastori e chiusa a loro la mia anima, perché la loro restò chiusa a Me e, desiderandomi in figura, non seppero amarmi in natura.
Or dunque, Colui che mi manda e che mi ha dato le due verghe spezzerà l’una e l’altra, perché la Grazia sia persa per i crudeli, perché il flagello non più dal Cielo ma dal mondo venga. E nulla è più duro dei flagelli che gli uomini danno agli uomini.
Così sarà. Oh! Così!
Io sarò percosso e le pecore saran disperse per due terzi.
Solo un terzo, sempre solo un terzo se ne salveranno e persevereranno sino alla fine. E questa terza parte passerà per il fuoco per il quale Io passo per primo, e sarà purificata e provata come argento e oro, e ad essa verrà detto: ‘Tu sei il mio popolo’ ed essa mi dirà: ‘Tu sei il mio Signore’.
E ci sarà chi avrà pesato i trenta denari, prezzo dell’orrenda opera, infame mercede. E là da dove uscirono non potranno più entrare, perché griderebbero d’orrore anche le pietre vedendo quelle monete, lorde di sangue dell’Innocente  e del sudore del perseguitato dalla disperazione più atroce, e serviranno, così come è detto,  a comperare, dagli schiavi di Babilonia, il campo per gli stranieri.
Oh! Il campo per gli stranieri!
Sapete chi sono essi? Quei di Giuda e Israele, quelli che presto, in secoli e secoli, non avranno più patria. E neppure la terra del loro antico suolo li vorrà accogliere.
Li vomiterà da sé anche morti, posto che essi vollero rigettare la Vita. Orrore infinito!…».

Questo del Gesù valtortiano è un linguaggio profetico velato, di difficile interpretazione se non si ha davanti agli occhi il testo esatto delle profezie di Geremia ma anche di Zaccaria8 che a quei quattro notabili erano invece perfettamente note.
Non pensate mai che il Gesù valtortiano possa essere letto banalmente.
La sua interpretazione comporta spesso uno sforzo continuo di meditazione e riflessione ma il premio alla vostra fatica è rappresentato dal fatto che vi si spalancano davanti le porte della…Verità.
Certamente il suo linguaggio, specie se espresso qui in forma di profezia velata, non è facile da interpretare neanche per me che studio l’Opera della mistica  da anni e che, dopo aver letto e riletto un brano ed essermi detto che l’ho capito, mi chiedo subito se per caso non ho sbagliato.
Non parliamo poi se il brano lo rileggo tempo dopo, perché allora – ecco qui un altro esempio di quella ‘moltiplicazione della Parola’ di cui vi ho parlato in un capitolo del volume precedente commentando il miracolo della moltiplicazione dei pani – salta spesso fuori che di significato ve ne era anche un altro e talvolta un altro ancora.
Gesù – nell’illustrare il brano della profezia di Geremia - spiega in sostanza ai quattro notabili che il Regno di ‘Giuda’, più che quello di ‘Israele’, avrebbe avuto bisogno di salvezza.
Perché? Perché sarebbe stata Gerusalemme, capitale del Regno di Giudea, quella che lo avrebbe fatto condannare a morte.
Gesù aggiunge però poi che il ‘Germe di Davide’ menzionato nella profezia, cioè Egli stesso discendente da Davide, avrebbe salvato Giuda e si sarebbe assiso sul trono di ‘Israele’.
Ma a quale Israele allude qui Gesù se, in realtà, Egli non si è mai assiso sul trono del vecchio Israele dell’Antico Testamento?
Il ‘Regno di Israele’ di allora - per i giudei - era sinonimo di ‘paganesimo’ ed il nuovo popolo che Gesù Cristo si sarebbe scelto dopo la sua Crocifissione sarebbe stato infatti proprio quello dei pagani, dei Gentili, come in effetti poi successe con Roma divenuta sede del pontificato papale e capitale del Cristianesimo, il ‘Regno di Cristo’.
Nelle profezie sopra citate in nota alle quali Gesù allude, in particolare quella di Zaccaria, si preannunciano fatti tremendi per il popolo del Regno di Giuda che dopo il 70 d.C. verrà disperso nel mondo per secoli e secoli e – come dice il Gesù valtortiano – il popolo ebraico sarebbe stato rifiutato persino dalle terre che gli erano appartenute.
Solo un terzo del popolo (e qui pare di comprendere che la velata allusione profetica si riferisca anche all'Israele politicamente ricostituito in Palestina come quello odierno), purificato nelle prove da Dio, si sarebbe salvato perché esso – dopo tanto dolore - avrebbe in futuro capito e riconosciuto finalmente, nel Gesù di 2000 anni fa, il suo Signore.
Nella visione valtortiana che non abbiamo riportato integralmente uno di quei quattro personaggi si chiamava Gioele e - a proposito del futuro di Israele - Gesù gli aveva chiesto ad un certo punto se egli si ricordava di un certo episodio concernente Sabea ‘che aveva profetato un’ultima volta il futuro del popolo di Dio che non aveva voluto il figlio di Dio’.
Si tratta di uno dei tanti  episodi del ‘vangelo’ valtortiano, di cui non vi ho parlato, che era avvenuto qualche mese prima, all’inizio dell’inverno, prima della Festa delle luci.9
E’ un episodio bellissimo e a dir poco curioso.10
Sabea era una donna sulla quarantina - avvenente e casta, doti queste spesso difficili da conciliare – ma soprattutto ‘profetessa’ il che ci fa certi della sua onorabilità.
Come tutti i profeti veri diceva però delle cose scomode e gli scribi preferivano considerarla una indemoniata.
Lei diceva di aver visto in visione il volto del Messia, del Figlio di Dio, ed allora alcuni scribi – fra i quali c’era appunto quel Gioele che però era uno di quelli onesti - escogitano uno stratagemma per cogliere due piccioni con una fava, smascherare la falsa profetessa e nel contempo Gesù, da essi considerato un falso Messia.
Quelli si fanno incontro a Gesù lungo la strada dove si erano appostati, aspettando che lasciasse la casa che lo aveva ospitato con gli apostoli, e gli chiedono se Egli può dar loro un parere sulla donna.
Gesù, che come vi ho già più volte ricordato era Verbo divino, fa mostra di conoscere perfettamente le loro intenzioni ma – a maggior gloria di Dio, perché nel loro gruppo vi erano anche altri scribi onesti come Gioele che potevano essere convertiti – accetta di sottoporsi alla prova a fin di bene.
L’accordo che gli scribi propongono a Gesù è quello di scegliere tre apostoli che gli fossero somiglianti in corporatura, sembianze ed età.
Gli scribi li avrebbero condotti alla presenza della donna che attendeva fuori vista in compagnia dei propri genitori, e quindi avrebbero presentato a lei il trio attendendo che in uno di essi lei riconoscesse il presunto Messia che lei peraltro aveva dichiarato di non aver mai visto se non in visione.
Se lei lo avesse riconosciuto in uno di quei tre uomini, sarebbe stata smascherata come bugiarda una volta per tutte.
Gesù con il gruppo apostolico dunque si ferma, mentre gli scribi con i tre presunti ‘sosia’ vanno avanti ritornando dove avevano lasciato la donna.
Giunti di fronte a lei che attendeva in silenzio, seduta e con la testa china, gli scribi hanno uno sguardo di intesa e fanno una messinscena lodando ad alta voce il Messia, gridando e ripetendo ‘Ecco il Signore…’.
Essi si aspettano che lei alzi la testa e si prostri ai piedi di uno dei tre, ma quella… niente, silenzio, anzi ad un certo punto -  agli scribi che le chiedono seccati perché mai lei non renda omaggio al Messia – Sabea  risponde che il Messia lo ha visto in visione e che ora lei non si prostra perché nessuno di quei tre lo è.
Nel frattempo, arriva il gruppo apostolico camminando in silenzio e con noncuranza, senza farsi notare dalla donna.
Frammisto al gruppo, ma fra i tanti, vi è Gesù.
Sabea tuttavia lo riconosce subito e, caduta di colpo in estasi profetica, comincia a profetare fra gli sguardi attoniti dei presenti.
E’ una stupenda profezia di alta poesia e grande bellezza letteraria che celebra le lodi di Maria, la Vergine castissima che nel suo seno aveva accolto il Figlio di Dio sceso in terra per redimere gli uomini.
Poi però Sabea termina con una tremenda allusione profetica ad Israele ed al suo terribile futuro.
Sabea, in estasi, parla e mostra di vedere infatti in visione la scena della condanna a morte di Gesù, sente l’urlo bestiale della folla che grida a Pilato – che diceva di non volersi sporcare le mani con il sangue di quel ‘giusto’ - di liberare Barabba e che il sangue di Gesù ricadesse pure su di essa, un Sangue – dice Sabea - che però non grida vendetta ma Pietà al Padre per l’Umanità intera, ma Sangue anche che per quelli di Israele sarà Fuoco, anzi ‘scalpello che scrive sui figli di Giacobbe il nome di deicidi e la maledizione di Dio…’.
Sabea – sempre in estasi – termina poi, stanca e dolente, con queste parole che alludono a Gesù:

‘Era venuto a portarti la pace. E guerra gli hai dato…
Salute. E tu lo hai schernito… Amore. E lo hai odiato…
Miracolo. E lo hai detto demonio… Le sue mani hanno guarito i tuoi malati. E tu le hai trafitte.
Ti portava la Luce. E tu hai coperto di sputi e lordure il suo volto. Ti portava la Vita... E tu gli hai dato la morte.
Israele, piangi il tuo fallo e non imprecare al Signore mentre vai verso il tuo esilio, che non avrà termine come quelli di un tempo.
Tutta la terra scorrerai, Israele, ma come popolo vinto e maledetto, inseguito dalla voce di Dio, e con le stesse parole dette a Caino.
E qui non potrai tornare a ricostruire un solido nido se non quando riconoscerai con gli altri popoli che questo è Gesù, il Cristo, il Signore Figlio del Signore…

Stupendo questo lirismo profetico, ma cosa ha voluto fare intendere dunque Sabea con queste sue ultime parole conclusive?
Ha detto che Israele sarebbe stato maledetto e inseguito dalla voce di Dio come successe a Caino, assassino di Abele, al quale il Dio della Genesi disse:11 «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida dalla terra sino a me! Sii tu dunque maledetto e cacciato dalla terra che ha aperto la bocca per ricevere dalla tua mano il sangue di tuo fratello. Quando tu vorrai coltivare il terreno, esso non ti darà più i suoi frutti: sarai errabondo e fuggiasco sulla terra».

Sabea precisa qui però che mentre dopo i precedenti esilii – come ad esempio quello di Babilonia – il popolo di Israele aveva potuto tornare e ricostituire una nazione sicura nella propria terra di origine, l’esilio futuro, conseguente alla uccisione di Gesù, non sarebbe stato come i precedenti.
Ora, riflettendoci sopra – e deve essere questa la ragione per la quale Gesù aveva chiesto a Gioele se si ricordava dell’episodio della profetessa Sabea - mi sembra che la profezia fatta da Gesù nell’episodio del colloquio con i quattro notabili sia in qualche modo collegata a quella fatta in precedenza da Sabea.
Parrebbe quasi di comprendere12 - da questa profezia del Gesù valtortiano velata ma non troppo - che Israele (e qui devo pensare che Sabea, spingendo lo sguardo nei secoli futuri come se lei vedesse da fuori del tempo un presente, si riferisca all’Israele moderno ricostituitosi in stato sovrano da poco più di mezzo secolo)potrà ritrovare la sicurezza dei propri confini e quindi della propria Nazione solo dopo la propria conversione al Cristianesimo.
Conversione che allo stato odierno delle cose pare francamente inimmaginabile in quanto suonerebbe perfino ‘offesa’ per la sensibilità nazionale e le credenze religiose dell’Israele attuale,  ma conversione futura che San Paolo aveva ‘ricordato’ e profetizzato come certa in una delle sue epistole.


1 Gv 11, 47-53: I gran Sacerdoti  e i Farisei radunarono perciò il Consiglio e dicevano:«Che facciamo? Quest’uomo fa molti miracoli! Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno la nostra città e la nostra nazione».
Uno di loro, Caifa, Sommo Sacerdote in quell’anno, disse: «Voi non capite nulla. Non comprendete come vi convenga che un uomo solo muoia per il popolo, e non perisca tutta la nazione».
Questo non lo disse di suo ma, essendo Sommo  Sacerdote in quell’anno, profetò che Gesù doveva morire per la sua nazione, e non soltanto per la sua nazione, ma per raccogliere insieme i dispersi figli di Dio.
Da quel giorno decisero di farlo morire.

2 Gv 11, 54-56: Perciò Gesù non si faceva vedere più in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione presso il deserto, in una città chiamata Efrem, dove si trattenne con i suoi discepoli.
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e molti della regione salivano a Gerusalemme, per purificarsi prima della Pasqua.
Essi cercavano Gesù e dicevano fra loro, mentre erano nel Tempio: «Che ve ne pare? Che non venga alla festa?».
Intanto i gran Sacerdoti e i Farisei avevano ordinato che, se qualcuno sapesse dov’era, lo segnalasse, per poterlo catturare.

3 Mt 19, 16-30

4 Mt 20, 17-19

5 Mt 20, 20-28

6 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX, Cap. 579.8 – Centro Ed. Valtortiano

7 Geremia 32, 6-9: “Allora Geremia rispose: La parola del Signore mi è stata rivolta in questi termini: ‘Ecco, verrà da te Anameel , figlio di Sallum, tuo zio, e ti dirà: Comprati il mio campo di Anatot, perché tu hai diritto di ‘goel’ per acquistarlo’. Infatti secondo la parola del Signore, venne da me Anameel, figlio di mio zio, nel cortile della prigione e mi disse: ‘Acquista il mio campo, che è in Anatot, nella terra di Beniamino, perché tu hai il diritto di ‘goel’ per acquistarlo’. Compresi che quella parola veniva dal Signore, e comprai da Anameel, figlio di mio zio, il campo che è in Anatot e gli pesai il prezzo: diciassette sicli d’argento”.
Geremia  33, 14-18: “Ecco stan per giungere quei giorni, dice il Signore, e io manterrò la promessa che ho fatto alla casa di Israele e di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò spuntare dalla stirpe di Davide un Germe giusto, che eserciterà il diritto e farà giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà sicura. Lo chiameranno ‘Signore-giustizia nostra’. Perché, dice il Signore: Non mancherà mai a Davide un discendente assiso sul trono della casa d’Israele, come fra i sacerdoti e i leviti non mancherà mai innanzi a me un uomo, che offra gli olocausti, faccia fumare le offerte e sacrifichi tutti i giorni’.

 Zaccaria 11, 4-17

8 Nota dell’autore: Chi volesse approfondire l’analisi ed il senso di questa importante profezia velata del Gesù valtortiano che riguarda anche i tempi moderni potrà trovare ampi elementi nell’opera dell’autore “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” - Vol. IV , Capp. 9 e 10 - Ed. Segno. Vedi anche sito internet dell’autore.
Vedi anche M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. IX, Cap. 580 – C.E.V.

9 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VIII, Cap. 525 – Centro Ed. Valtortiano

10 M.V.: “L’Evangelo…’ - Vol. VIII, Cap. 525 - Centro Ed. Valtortiano

11 La Sacra Bibbia: Genesi: 4, 10-11 – Ed. Paoline, 1968

12 Per ulteriori approfondimenti e dettagli su questa profezia e su quelle di Geremia e Zaccaria vedi l’opera dell’autore citata in precedenza.