13. I DISCORSI DELLA MONTAGNA
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13.1 L’ultimo discorso della montagna: amare la volontà di Dio. Un’altra discordanza evangelica con l’episodio del lebbroso guarito.

Avevo detto che nell’Opera valtortiana gli enunciati che così bene Matteo aveva riportato nel suo Vangelo vengono sviluppati in singoli discorsi in vari giorni successivi.
Abbiamo già conosciuto nel capitolo precedente uno scampolo del primo discorso rivolto in un incontro riservato di Gesù  con gli apostoli e i discepoli in merito a cosa volesse dire il dover essere ‘sale della terra’ e ‘luce del mondo’.
Alla fine della complessa ‘catechesi’ dei discorsi successivi rivolti a tutta la folla, Matteo conclude:

Mt 8, 1-4:
Quando Gesù scese dal monte, una gran folla lo seguì. Ed ecco un lebbroso, accostatosi, gli si prostrò dinanzi dicendo «Signore, se vuoi, tu puoi mondarmi ».
E Gesù, stesa la mano, lo toccò e disse: « Lo voglio; sii mondato ».
E subito fu mondato dalla sua lebbra.
Gesù gli disse: « Guàrdati dal dirlo ad alcuno; ma va’, mostrati al sacerdote e fa l’offerta che Mosè prescrisse, affinché questo serva per loro di testimonianza ».

Ma troviamo anche:

Mt 7,21-23:
« Non chiunque mi dice: ‘Signore! Signore! entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli ».
Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Signore! Non abbiamo noi profetato in tuo nome? Non abbiamo cacciato demoni in nome tuo? E non abbiamo nel tuo nome fatto molti prodigi? Ma allora dirò ad essi apertamente: ‘Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da Me, voi che avete commesso l’iniquità’ ».

Nello studio dei vangeli non bisogna dare troppa importanza ai titoli che sono apposti dentro ai vari capitoli.
Non si sa bene chi ve li abbia messi, forse qualche amanuense nei secoli successivi per facilitare la lettura e la individuazione dei temi.
Se analizziamo ad esempio con un poco di attenzione il Vangelo di Matteo e più precisamente la sua sistemazione in capitoli e titoli, vediamo ad esempio che nella edizione ufficiale della CEI (Ed. San Paolo, 1985) il titolo di ‘Discorso della montagna’ veniva attribuito solo ai primi 20 versetti del cap.5, come se il discorso della montagna terminasse lì.
Ma in realtà il discorso, chiaramente, continua non solo fino alla fine del capitolo ma anche nei successivi capitoli 6 e 7.
E’ solo all’inizio del cap. 8 che Matteo ‘chiude’ infatti il Discorso scrivendo che Gesù scende dal monte, incontra un lebbroso e lo guarisce.
Anche la Valtorta include questi temi dei capp. 5, 6 e 7 nel ‘Discorso della montagna’ che vede e sente pronunciare da Gesù, tranne la preghiera del ‘Padre Nostro’ (Mt 6,9-13) che la mistica vedrà insegnare da Gesù in una circostanza successiva, a Gerusalemme, dove il gruppo apostolico giungerà per la celebrazione della Pasqua, e più precisamente sul monte degli ulivi.
Come mai questa discordanza fra le visioni della Valtorta e Matteo che ‘infila’ invece questa importante preghiera nel Discorso della Montagna?
Si tratta della stessa motivazione che vi avevo già spiegato parlandovi nel capitolo precedente dei testi di Matteo e Luca: a Matteo, ma anche agli altri evangelisti, non interessava fare una ricostruzione ‘storico-cronologica’ degli avvenimenti, ma utilizzare frasi ed episodi di Gesù per la catechesi, ed a tal fine gli è sembrato opportuno – probabilmente da un punto di vista ‘sistematico’ - metterla insieme a tutti gli altri importanti ‘insegnamenti’ del Discorso della montagna.
Anche Luca (Lc 11, 1-13) pone questa preghiera del ‘Padre Nostro’ in un altro contesto, ma non ne precisa le circostanze ambientali e temporali, limitandosi a dire che in quel momento Gesù ‘si trovava in un luogo a pregare’.
C’è però ancora una obiezione.
Mentre nel Matteo sopra citato il Discorso della montagna sembra chiudersi con la discesa dal monte, dopodiché avverrebbe il successivo miracolo del lebbroso, perché mai - nell’Opera della mistica - il settimo ed ultimo discorso della montagna viene presentato non prima ma dopo il miracolo del lebbroso?
Un’altra discordanza fra l’evangelista e la mistica?
Niente di tutto questo. Dall’Opera valtortiana si comprende che il Discorso della montagna era in effetti ormai finito quando Gesù cominciò a discendere dal monte.
Il settimo discorso – quello che nel vangelo di Matteo (sempre nel Discorso della montagna) è racchiuso nelle parole citate all’inizio di questo nostro capitolo: « Non chiunque mi dice:‘Signore! Signore!’ entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli …» - scaturirà da una situazione imprevedibile ed improvvisa conseguente appunto all’incontro con il lebbroso.
Questa di Gesù, dopo la fine del discorso del sesto giorno, diventerà la catechesi del…settimo giorno.
Gesù era dunque disceso dal monte perché il Discorso che si era proposto – uno al giorno per sei giorni - era ormai terminato.
Dalla narrazione valtortiana si comprende che con il discorso del sesto giorno si era arrivati alla giornata finale, la vigilia del sabato, e che il settimo discorso fu tenuto in giorno di sabato.
Dovremmo allora dire che, se il settimo discorso venne terminato di sabato, il primo discorso sul monte dovette essere tenuto - ragionando in termini di giorni ebraici di allora – il giorno dopo il sabato festivo precedente, cioè nel primo giorno ‘lavorativo’ della settimana ebraica.
Nel primo giorno feriale il tema fu dunque quello del ‘sale della terra e della luce del mondo’ di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente.
Nel secondo giorno – sempre seguendo l’ordine cronologico valtortiano – si parlò delle beatitudini, nel terzo dei consigli evangelici che perfezionano la legge, nel quarto del giuramento, della preghiera e del digiuno, nel quinto dell’uso delle ricchezze, dell’elemosina e della fiducia in Dio, nel sesto della scelta fra il Bene e il Male, dell’adulterio e del divorzio e di una serie di altri consigli e precetti.
Il Discorso della montagna avrebbe dovuto dunque finire qui nel corso della sesta giornata e anche per tempo perché bisognava consentire alla folla di rientrare nei villaggi circostanti dove le persone avrebbero dovuto trovare casa o alloggio prima del tramonto di quel giorno.
A quei tempi i giorni ebraici andavano da un tramonto all’altro e non da una mezzanotte all’altra, come ora fra noi, e la Legge non consentiva – una volta iniziato il sabato al tramonto -  di allontanarsi che poche centinaia di metri dal luogo in cui si veniva ‘sorpresi’ dall’inizio della festività.
Ma giunti tutti giù alle pendici del monte, ecco l’imprevisto: un lebbroso, che aspettava acquattato fra i cespugli, si para all’improvviso di fronte a Gesù ed alla folla che lo segue da presso.
E’ uno spettacolo orrendo, tutti si bloccano e la folla arretra con un grido di angoscia.
Nel racconto della nostra mistica l’episodio è toccante e avvincente, drammatico e pittoresco insieme.
Gesù guarda quella larva d’uomo, invita la gente a non aver paura e ad avere pietà,  avanza verso di lui che prostrato implora guarigione, lo tocca con le dita della mano su un lembo di pelle rimasto intatto sulla fronte e…lo guarisce.
E’ una guarigione del tipo ‘istantaneo’, come a volte succede anche a Lourdes ai giorni nostri. In pochi secondi nuova carne e pelle vanno a riempire e ricoprire i buchi corrosi. I tratti deturpati del volto riacquistano fisionomia umana e colorito. La folla grida di stupore ed ammirazione.
Entusiasmo ed esaltazione!
Il lebbroso prostrato sente, intuisce, alza la testa, si guarda, si tocca, comprende, si accascia piangente.
Ma intanto fra una cosa e l’altra il sole si avvicina al tramonto e la folla non potrà più raggiungere in tempo i paesi ancora lontani.
Gesù decide allora di fissare un accampamento sul posto per trascorrervi il sabato fino al tramonto successivo.
E’ primavera, una giornata calda in Israele. A sera – cioè a giorno di sabato già iniziato - si accendono i fuochi dei bivacchi mentre la gente, consumando gli avanzi delle colazioni al sacco, si stringe attorno ai bracieri commentando il miracolo appena visto ed il sesto discorso ascoltato in giornata.
Gesù si ritira più in alto in meditazione, per la sua usuale preghiera notturna, mentre sotto un cielo blu trapunto di stelle egli vede che piano-piano i discorsi si attenuano e la gente, stanca, sdraiata sui prati avvolta nei propri mantelli, poco alla volta si acquieta e si addormenta.
Il mattino dopo,  gli apostoli vedono Gesù scendere dall’alto, gli vanno incontro e gli chiedono come mai aveva voluto passare la  notte lassù..., isolato da tutti.
Egli risponde che lo aveva fatto perché il Padre, nella notte, gli aveva chiesto preghiera per i buoni, per i malvagi e per se stesso.
A quelli che gli obbiettano che lui – come Figlio di Dio – non avrebbe dovuto aver bisogno di preghiere per se stesso Gesù replica che Lui – il bisogno -  ce l’ha come tutti, perché è dalla preghiera – cioè dall’unione con Dio – che Egli riceve forza.
Per farvi meglio comprendere questo concetto vi dirò che se il Verbo divino che era in Gesù era sempre unito al Padre, l’anima dell’Uomo che era in lui aveva pure bisogno di unirsi a Dio nella preghiera.
In Gesù – l’ho già detto ma non è mai male sottolinearlo ancora - convivevano due Nature, e cioè quella divina con il Verbo e quella umana con l’anima, solo che la Divinità che era in Gesù si manifestava – rispetto all’umanità – quando Essa lo riteneva utile alla missione.
Gesù si comportava insomma come una persona ‘normale’, salvo manifestarsi come Dio in potenza e onniscenza quando il Verbo che era in lui riteneva opportuno il farlo.
Il Padre – lo si capisce in vari punti dell’Opera – oppure il Verbo che era in Gesù e che era Parola del Padre, centellinava e dosava a volte certe rivelazioni  al Gesù-Uomo, perché doveva tenere conto della debolezza psicologica legata alla sua natura umana, sia pur natura di un uomo perfetto perché privo della Macchia del Peccato originale.
Ma quella notte, nell’unione della preghiera, Gesù dice agli apostoli che il Padre gli aveva rivelato qualcosa di nuovo che richiedeva preghiera: due nomi di persone ed un dolore per lui.
Ed è questo il motivo della tristezza di Gesù che gli apostoli non tardano a scorgere nei suoi occhi.
Due nomi e un dolore, dunque.
Almeno un nome lo intuiamo dalla stessa visione valtortiana, quando vediamo Gesù posare il suo sguardo addolorato su Giuda Iscariota, sul cui volto Egli si sofferma.
Il Padre aveva certo fatto sapere all’uomo-Gesù del tradimento futuro di Giuda, tradimento che - in quanto tradimento d’amico - gli procurava un grande dolore.
Quando l’occhio di Gesù si posa istintivamente su Giuda, il quale si sente a disagio, gli altri apostoli lo notano e si insospettiscono.
Gesù cerca di distogliere i loro pensieri dicendo che il suo occhio stava solo contemplando la ‘natura’ in genere dei discepoli: i discepoli dei Profeti, quelli di Giovanni Battista, e persino i suoi discepoli stessi.
Egli aveva quindi pregato per essi e … per se stesso.
Pietro - che aveva colto lo sguardo di Gesù su Giuda, e che nei confronti di quest’ultimo provava una vera e propria ‘avversione’ istintiva -  sospetta però subito che ci sia sotto qualcosa e si sbriga a confabulare con Bartolomeo e Filippo, compagni anziani.
Gesù – per carità nei confronti di Giuda, apostolo-amico che egli non avrebbe mai smesso di cercare di salvare fino al termine dell’Ultima Cena – stronca i sospetti di Pietro, lo richiama all’ordine e invita tutti a fare sempre la volontà di Dio. E quando Tommaso - improvvisandosi ‘filosofo’ – osserva che se tutto viene dalla volontà di Dio anche i loro errori sarebbero stati  consentiti perché anche questi sarebbero dipesi da una sua volontà, Gesù prenderà al volo questo spunto per correggere Tommaso ed improvvisare una catechesi - soprattutto diretta a discepoli e apostoli - su cosa si debba intendere per 'libero arbitrio' e fare la volontà di Dio’, facendo così il suo settimo discorso della montagna, nel giorno del sabato.
Come aveva già fatto nel suo primo discorso ‘a porte chiuse’, sarà dunque ancora a certi discepoli dei tempi futuri, da Lui tutti visti onniscientemente in quel momento nella persona e nella natura dell’apostolo Giuda, che Gesù rivolgerà, a conclusione dei sei discorsi precedenti, quell’ulteriore monito citato nel vangelo di Matteo: « Non chiunque mi dice: ‘Signore! Signore!’ entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli ».

 

13.2 La parabola del seminatore e una frase misteriosa di Gesù il cui senso viene qui svelato: ‘A chi ha sarà dato e sarà nella abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha…’.

 Dopo il discorso della montagna Gesù ed il gruppo apostolico riprendono il loro spostamenti.
Seguendo il loro cammino secondo la cronologia dell’Opera di Maria Valtorta, assistiamo all’episodio – raccontato dai tre evangelisti – della parabola del seminatore e della sua spiegazione.1

Mt 13, 1-23:
In quel medesimo giorno Gesù uscì dalla casa e si mise a sedere  in riva al lago.
E si andò radunando intorno a lui una folla così grande che egli fu costretto a salire su una barca e sedervisi, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò ad essi su molte cose per mezzo di parabole, e disse: « Ecco, il seminatore uscì per seminare. Or nello spargere il seme, una parte cadde lungo la strada, e venuti gli uccelli lo beccarono. Un’altra parte cadde in luoghi rocciosi, dove non v’era molta terra, e spuntò presto, perché non aveva un terreno profondo, ma, levatosi il sole, inaridì e si seccò, perché non aveva radici. Un’altra parte cadde fra le spine, e crebbero le spine e la soffocarono. Un’altra parte cadde in buon terreno e fruttò, dove il cento, dove il sessanta e dove il trenta. Chi ha orecchi da intendere intenda.

Allora gli si avvicinarono i discepoli e gli domandarono: « Perché parli ad essi in parabole? ».
Egli rispose: « Perché a voi è dato conoscere i misteri del Regno dei cieli, ma a loro non è stato concesso ».
« Infatti, a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo io parlo ad essi in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non intendano, né comprendano.
Si compie in loro la profezia di Isaia, che dice: “Udirete senza dubbio con i vostri orecchi, ma non intenderete; mirerete certamente con i vostri occhi, ma non vedrete. Perché indurito è il cuore di questo popolo: sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi, né intendere con il cuore e convertirsi, ed io li guarisca”.
« Ma beati i vostri occhi, perché vedono, e i vostri orecchi, perché odono! Difatti io vi dico in verità: molti profeti e molti giusti desiderarono vedere quello che vedete e non lo videro; udire quelle che udite e non lo udirono.
Voi, dunque, ascoltate la parabola del seminatore.
Quando uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e porta via quello che è stato seminato nel suo cuore: questo è il grano seminato lungo la strada.
Chi ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ascolta la parola e subito la sente con gioia; ma non ha radice in sé, è incostante, e appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della parola, subito soccombe.
Chi ha ricevuto il seme fra le spine, è colui che ascolta la parola, ma le cure di questo mondo e la seduzione delle ricchezze soffocano la parola, sicché rimane infruttuosa.
Infine, chi ha ricevuto il seme in buon terreno è colui che ascolta la parola, la comprende e porta frutto, producendo chi il cento, chi il sessanta, chi il trenta ».

Nell’Opera valtortiana la parabola del seminatore viene raccontata da Gesù a Betsaida, che era il paese di Pietro, affacciato sul lago di Tiberiade.
Pietro, con il fratello minore Andrea, era socio di Zebedeo. Questi era il padre di Giacomo e Giovanni, i futuri apostoli, che aiutavano giornalmente Pietro nella pesca nel lago di Tiberiade, detto anche Mar di Galilea.
Essi gestivano insieme della barche e rivendevano il pesce sui mercati.
Quando il già citato brano del Vangelo di Matteo che raccontava della parabola dice ‘In quel medesimo giorno Gesù uscì dalla casa e si mise a sedere in riva al lago…’, dall’Opera della mistica si comprende che la misteriosa ‘casa’ altri non è che la casa nella quale Pietro viveva insieme a sua moglie Porfirea.
La folla, pervenuta  a Betsaida anche in barca dai paesi vicini affacciati sul lago, reclama Gesù a gran voce ed Egli esce allora all’aperto, raggiunge la riva del lago e - per essere meglio visto ed ascoltato - sale sulla barca di Pietro che viene scostata di qualche metro dalla riva. 
La spiegazione della parabola2 però avviene successivamente, nella intimità di una cena con tutti gli apostoli nella cucina di Pietro, la cui moglie - sempre molto emozionata quando c’era Gesù - aveva fatto miracoli… culinari, lavorando tutto il giorno coi tegami.
Forse l’attenzione del lettore si è fissata più sulla parabola nel suo complesso che sul seguente strano scambio di battute fra Gesù e gli apostoli che ora ritrascriviamo:

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…Allora gli si avvicinarono i discepoli e gli domandarono: « Perché parli ad essi in parabole? ».
Egli rispose: « Perché a voi è dato conoscere i misteri del Regno dei cieli, ma a loro non è stato concesso ».
« Infatti, a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo io parlo ad essi in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non intendano, né comprendano…’

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Cosa significa mai quel ‘A chi ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo io parlo ad essi in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non intendano, né comprendano…’.
Se infatti uno già ha, perché dargli ancora di più nell’abbondanza?
E se uno, poveretto, non ha, perché togliergli anche quel poco che ha? Dove è la Giustizia ‘cristiana’ di Dio?
C’è voluta ancora Maria Valtorta per spiegarci l’arcano, o meglio c’è voluto il Gesù che parla nelle sue visioni.
Ora io vi spiego con parole povere quello che ho capito.
Dio elargisce a tutti le sue luci ma non tutti corrispondono nella stessa maniera alla sua chiamata.
Gli uomini sono come il ‘terreno’ della parabola del seminatore: c’è chi risponde con entusiasmo, chi invece risponde con avarizia e chi non risponde affatto.
Pertanto ‘a chi ha’ (sottinteso: ‘dato a Dio’ molto di sé) Dio restituirà molto di più.
Invece ‘a chi non ha’ (dato a Dio), Dio toglierà anche quei ‘beni’  che gli erano stati gratuitamente elargiti, perché se ne sarà rivelato indegno.
Gli apostoli danno molto, anzi tutto della loro vita e quindi a loro verranno svelati i misteri di Dio, che verranno loro dati in abbondanza.
A coloro invece che non hanno dato, perché  nella loro presunzione e superbia non si sono voluti ‘aprire’ a Dio, verrà tolto anche quello che avevano ricevuto e che hanno dimostrato di non meritare.
Dovete infatti sapere che la maggior parte della gente – nei paesi dove Gesù predicava – andava ad ascoltarlo per curiosità umana o per l’interesse ad essere guarita da malattie varie.
Altri lo facevano nella speranza che dicesse o facesse qualcosa che potesse aiutare ad incriminarlo ed arrestarlo.
Non furono molti – e lo vedremo bene a Gerusalemme nel momento del suo processo, della sua condanna e crocifissione – quelli che in realtà ebbero voglia di seguire veramente la sua Parola.
A questo punto si comprende persino il senso della profezia di Isaia alla quale Gesù fa qui riferimento: “Udirete senza dubbio con i vostri orecchi, ma non intenderete; mirerete certamente con i vostri occhi, ma non vedrete. Perché indurito è il cuore di questo popolo: sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi, né intendere con il cuore e convertirsi, ed io li guarisca”.
Il Padre – che è Dio e che da fuori del Tempo tutto conosce in anticipo perché il tempo non esiste per Lui che vive nell’Eternità – sapeva in anticipo quali uomini avrebbero accettato la sua offerta.
Egli sapeva bene che molti - con il cuore pieno di sapienza umana, di odio, di orgoglio e di superbia, attaccati a quelli che sono gli interessi del mondo – non avrebbero voluto accettare gli insegnamenti e gli inviti all’amore contenuti nella Parola di Dio, preferendogli i richiami del mondo e di Satana.
Essi avrebbero supposto di ‘saper vedere’ e di ‘saper capire’ perfettamente la ‘verità’, ma la loro verità, quella di loro gradimento.
Dio allora – scrutando e conoscendo a priori l’intimo del loro cuore – li avrebbe lasciati nella loro presunzione.
La Parola sarebbe stata data a tutti e nella misura sufficiente a muovere dentro di essi gli stimoli migliori bastevoli alla loro salvezza eterna.
Ma a quelli che sarebbero stati ‘duri di cuore’ nei confronti dell’appello di Dio sarebbe stata tolta quella luce particolare in più che invece sarebbe stata data anche al più ignorante nelle cose di Dio per progredire.
Essi non avrebbero meritato, ad esempio, il dono della fede perché – come Renan, Loisy e Bultmann – sarebbero stati dei ‘negatori’, negatori per principio.
Il Verbo era dunque sceso in terra per tutti i peccatori, ma – a causa del rifiuto di una parte degli uomini – avrebbe potuto salvare solo quelli dotati di buona volontà, ai quali – per aiutarli - avrebbe allora dato lumi ed aiuti ancora maggiori.
Farlo con quelli di mala volontà, illuminandoli violentemente con le sue ‘luci’ anche contro la loro volontà, sarebbe stato ingiusto – anche nei confronti di quelli di buona volontà - e comunque un fare torto al loro libero arbitrio, il dono più grande per l’uomo.
La Parola del Verbo, cioè quella di Gesù, sarebbe stata dunque una ‘spada che divide’, una ‘pietra di inciampo’, sarebbe stata uno spartiacque, un elemento di ‘contraddizione’ - per dirla con Simeone - che avrebbe smascherato la natura segreta degli uomini obbligandoli a schierarsi: chi a destra e chi a sinistra.
La Redenzione aveva dunque lo scopo di salvare tutti gli uomini anche se Dio sapeva a priori che si sarebbe salvata solo la parte ‘buona’ dell’Umanità, quella cioè che avrebbe voluto salvarsi.
La massa dei ‘volenterosi’ sarebbe stata illuminata con i normali insegnamenti evangelici, resi più comprensibili dalle parabole, e si sarebbe salvata più facilmente.
A quelli che invece ‘avrebbero dato’ tutta la loro vita a Dio – come appunto gli apostoli – ‘sarebbe stata data’ in più l’illuminazione sulla profondità della Parola di Dio perché essi la potessero poi trasmettere anche agli altri e perpetuare negli uomini la conoscenza delle cose di Dio.
La libertà concessa da Dio all’uomo è dono ma è anche ‘prova’, perché è sulla base della libera scelta dell’uomo che Dio – nel momento del giudizio particolare – giudicherà le sue azioni in questa vita stabilendo a che tipo di vita eterna egli avrà diritto.

1 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” - Vol. III, Cap. 9 - Ed. Segno, 2003 - vedi anche sito internet autore

2M.V.: “L’Evangelo …’ -  Vol. III, Capp. 179-180 - C.E.V.