CAP. 1

ILLUSTRAZIONE SINTETICA DELLA STRUTTURA E DEI CONTENUTI DELL’APOCALISSE
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 1.1 Le sette lettere di ammonizione alle sette ‘Chiese’ che simboleggiano anche altrettanti periodi storico-spirituali dell’Umanità

Ho letto una volta in un commento teologico di Presentazione[1] al ‘Libro dell’Apocalisse’ che ‘si tratta di un libro difficile, la cui dottrina si esprime attraverso uno sfolgorio di immagini grandiose, affascinanti anche per coloro che non ne afferrano i segreti. Per averne una sufficiente intelligenza è necessario conoscere a fondo l’Antico Testamento, specie gli oracoli escatologici dei profeti: l’autore dell’Apocalisse, infatti, utilizza continuamente quei testi, dandone l’interpretazione cristiana. E’ necessario, inoltre, farsi un’idea esatta del genere apocalittico e delle sue leggi; diversamente ci si perderebbe ben presto nelle interpretazioni più arbitrarie e assurde. Termina così, con la visione del trionfo finale di Dio e dei suoi eletti, il gran libro della Storia della Salvezza: perché l’Apocalisse, per quanto sia difficile il suo simbolismo, è e resta un messaggio trasparente di speranza e di sicurezza nella vittoria finale di Cristo e della sua Chiesa…’.

Non spaventatevi, l’Apocalisse – se aiutati nella lettura - è meno difficile di quanto non lasci pensare il suddetto ‘Presentatore’.

L’Apocalisse – come già chiarito nell’Introduzione - è dunque la Rivelazione che Gesù Cristo – in visione – ha fatto a Giovanni, il suo apostolo prediletto, nell’isola di Patmos, quando questi, che vi era segregato per ragioni di fede, era un vegliardo pressoché centenario alla fine del 1° secolo d.C..

Giovanni racconta di essere stato ‘rapito’ in estasi[2] e di aver assistito ad una serie di scene grandiose espresse in maniera simbolica.

Egli, in visione, viene invitato dal Signore, cioè da Gesù, ‘il Vivente’, che ‘ha subito la morte ma ora è vivo nei secoli dei secoli’, a inviare delle lettere - descrivendo in esse quanto gli verrà fatto vedere - a sette chiese, vale a dire a sette comunità, dell’Asia romana: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea.

Il Signore gli spiega anche che le visioni si riferiscono alle cose presenti: vale a dire alla situazione spirituale di quelle specifiche comunità locali in quel particolare momento storico, e alle cose future, fatto - quest’ultimo sul futuro - che  verrà ricordato anche alla fine del Libro, quando il Signore ribadirà che le cose descritte dovranno succedere presto, e che Egli sarebbe venuto presto.

Gesù detta dunque all’apostolo sette lettere differenti, in ciascuna delle quali Egli valuta lo stato spirituale di ognuna di quelle sette comunità cristiane, impartisce consigli, incoraggiamenti e… ammonizioni  per il caso in cui esse non si ravvedano.[3]

Ho letto – e questo è un aspetto fondamentale per una corretta interpretazione dell’Apocalisse che altrimenti non avrebbe senso ‘profetico’ - che le ‘chiese’ in questione non sono state tanto ‘scelte’ per la loro importanza storica o religiosa di quell’epoca – chè anzi alcune sono oggi ‘sconosciute’ – quanto piuttosto perché esse avrebbero  simboleggiato, nella loro realtà di allora, i pregi e i difetti che avrebbe poi avuto nei secoli futuri anche la Chiesa universale (intesa come comunità gerarchica e dei credenti a livello mondiale), per cui i consigli e le ‘sanzioni’ minacciate per quelle chiese locali per essersi discostate dalla retta via sarebbero valse in realtà anche e a maggior ragione per le comunità cristiane delle epoche successive, nella misura in cui queste ultime avessero ripetuto nella loro storia gli stessi errori per i quali quelle sette comunità originarie erano state invitate a ravvedersi.

I ‘non credenti’, tanto facili a criticare quanto difficili a convertirsi, imputano alla Chiesa cristiana che – se la sua fosse veramente una ‘dottrina da Dio’ – essa dovrebbe essere una chiesa di ‘santi’.

Essa è invece una chiesa di ‘uomini’ che Gesù cerca di santificare mettendo, per quelli di buona volontà, quanto ad essi manca.

Gli stessi ‘uomini di chiesa’ sono il prodotto della società e della cultura del tempo e non di rado riflettono i valori espressi dalla stessa società in cui essi si sono formati.

La nostra attuale società ‘occidentale’, ad esempio, notoriamente caratterizzata da valori svalutati, produce conseguentemente non solo scarsità di vocazioni, ma anche ‘vocazioni’ di qualità non di rado meno elevata e tale da incidere negativamente sulla già scarsa fede dei ‘credenti’, in una sorta di circolo vizioso.

Ritornando però all’Apocalisse, non vi dico quanti – da 2000 anni a questa parte - si sono sbizzarriti a cercare di individuare quali fossero i periodi della storia e a chi si dovessero applicare gli avvenimenti profetizzati.

La cosa non era di poca importanza perché riuscire ad individuare il periodo storico e i destinatari dei castighi divini significava da un lato capire quali sarebbero stati gli errori da evitare e dall’altro anche capire, ‘in anticipo’, in quale epoca sarebbero avvenuti tutti quei terribili castighi.

Le ‘sanzioni’ sono espresse con immagini spesso materiali, ma sono tanto tremende da lasciare costernati e indurci piuttosto a privilegiare una interpretazione allegorica. Quasi anche a noi desse fastidio quel ‘profeta di sventura’: San Giovanni.

Quando l’Apocalisse dice ad esempio che ad un dato momento della Storia perirà un terzo dell’Umanità[4], noi – che oggi pensiamo alle bombe atomiche ed alla guerra batteriologica – ci auguriamo che ‘un terzo’ sia un modo simbolico per indicare solo una parte ‘importante’ o che la ‘morte’ non sia quella ‘fisica’ (tanto è enorme il numero rapportato agli attuali sette miliardi di uomini) ma semmai sia una morte spirituale.

Non ci rendiamo conto del fatto che – se siamo credenti – la morte fisica è solo per questa vita terrena, per di più limitata a quanto ci resta ancora da vivere, mentre la morte spirituale è per l’eternità e significa ‘Inferno’.

 

1.2 La ‘Corte di Giustizia’ giudica l’Umanità e pronuncia le sentenze

Dopo il Prologo e la dettatura delle sette lettere, Giovanni ha una visione grandiosa.[5]

Una voce gli dice che gli dovrà essere mostrato quanto dovrà accadere in futuro, dopodiché gli appare in visione un trono in cielo sul quale è assisa una figura maestosa che non è difficile individuare in Gesù Cristo.

Attorno al trono stanno ventiquattro seggi sui quali sono assisi ventiquattro vegliardi.

Non è difficile poter immaginare che essi rappresentino i dodici patriarchi biblici e i dodici apostoli.

Dal trono escono lampi, voci e tuoni e davanti ad esso ardono sette lampade simbolo dei sette spiriti di Dio: io li interpreto come sette arcangeli, di cui uno doveva essere certamente Raffaele che, nel Libro di Tobia, sotto le apparenti spoglie di Azaria, dice di essere ‘uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della Maestà del Signore’, fatto ribadito anche nella stessa Apocalisse dove, all’apertura del settimo sigillo, si accenna ai ‘sette angeli ritti davanti a Dio’.[6]

Davanti al trono vi sono anche quattro esseri ‘viventi’: il primo dall’aspetto di leone, il secondo di vitello, il terzo di uomo, il quarto simile ad un’aquila.

Sono simboli che caratterizzano le ‘qualità’ dei quattro evangelisti fra i quali – ad esempio rispetto alla ‘umanità’ del Vangelo dell’uomo-Matteo che descrive soprattutto l’uomo-Gesù – sta il maestoso volare alto come aquila del Vangelo di Giovanni che illustra soprattutto il Gesù-Dio.

Con Gesù Cristo sul trono, come assiso sullo scranno di un Tribunale, con la corte dei 24 Vegliardi e dei quattro Evangelisti e con i sette Angeli pronti ad eseguire le sentenze di Dio, la coreografia non potrebbe essere più maestosa ed affascinante.

Si capisce che deve succedere qualcosa di molto importante.

L’Agnello sul Trono, cioè Gesù, comincia a sciogliere ed aprire – uno alla volta – sette sigilli, cioè le ‘sentenze’ comminate ad ogni ‘Chiesa’.[7]

Le prime cinque sentenze, cioè i primi cinque ‘sigilli’, procedono spedite ma nel sesto le cose si fanno più articolate, e nel settimo sigillo diventano addirittura complicate perché c’è un guazzabuglio di numeri ‘sette’: sette trombe, sette segni, sette coppe…, queste ultime da versare sull’Umanità con il loro terribile contenuto e con il seguito che dovrà accadere.

In un certo senso è come se l’estensore dell’Apocalisse avesse voluto essere ‘sintetico’ fino al quinto e anche sesto sigillo, salvo poi – arrivati in prossimità di una fase storica cruciale, e cioè degli avvenimenti più importanti – prodigarsi in una moltitudine di ‘particolari’ quasi a volerci mettere nella condizione di non poter sbagliare a decrittarne il significato.

Arrivati all’apertura del settimo sigillo e cioè della settima sentenza –  il racconto si fa dunque denso di avvenimenti e di colpi di scena, anzi drammatico.[8]

Si fa un gran silenzio in cielo, mezz’ora di silenzio, come a sottolineare la gravità di quanto accadrà in seguito.

E’ la volta - una dopo l’altra – delle sette trombe, e quindi dei sette segni e infine delle sette coppe.

Attenzione, però: trombe, segni, coppe vengono non ‘dopo’ il settimo sigillo ma tutte all’interno del sigillo, cioè della sentenza, come se rappresentassero la conseguenza pratica della sentenza stessa in un crescendo sempre maggiore.

Il numero sette, nella letteratura sacra ebraica, era un numero perfetto, come il tre, il dodici, il settantadue.

Inutile addentrarci nel labirinto della numerologia. Basti qui sapere che le sette trombe, i sette segni e le sette coppe rappresentano dei ‘settenari’.

Le sette lettere sono ‘parallele’ ai sette sigilli, per cui ad ogni lettera di ammonizione corrisponde l’apertura di un sigillo con la relativa sentenza, mentre le sette trombe, i sette segni e le sette coppe versate non corrispondono ognuna a ciascuno dei sigilli ma sono una conseguenza della apertura del settimo sigillo, cioè della settima sentenza, e si susseguono in crescendo come un gomitolo che da quel momento comincia a srotolarsi o come un sistema di scatole cinesi dove, apertane una, se ne trova sempre dentro un’altra ancora.

Ora mi spiegherò meglio, pur limitandomi a descrivere le sequenze e riservandomi le interpretazioni sul significato di alcuni simboli ad una fase successiva di questa esposizione.

All’apertura del settimo sigillo - che è la lettura della ‘sentenza’ per il comportamento della Chiesa di Laodicea (che, ricordiamolo, corriponde all’ultimo settenario storico dell’Apocalisse) - appaiono uno dopo l’altro sette angeli che, in ordine successivo, danno fiato alla propria tromba.

Ad ogni squillo di ciascuna delle prime quattro trombe succede un qualcosa che assomiglia ad un ‘cataclisma’, non si capisce bene se reale o figurato.

Prima dello squillo della quinta tromba appare un’aquila in cielo che dall’alto grida… «Guai, guai, guai agli abitanti della Terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suonare!».[9]

Segue quindi il quinto squillo dopodiché  un ‘astro’ cade dal cielo sulla Terra mentre viene aperto il pozzo dell’Abisso, cioè dell’Inferno.[10]

I demoni – sotto l’immagine di cavallette – si scatenano sulla terra per traviare e colpire gli uomini.

Questo è il primo dei tre ‘guai’ precedentemente annunciati dall’aquila.

Al sesto squillo della sesta tromba, il sesto Angelo riceve l’ordine di liberare i quattro angeli incatenati sul fiume Eufrate, che scorre nell’odierno Iraq. [11]

Devono essere angeli decaduti, cioè demoni, perché essi hanno l’incarico – ad un preciso momento della storia – di sterminare un terzo dell’Umanità. [12]

Sterminio in senso spirituale o materiale?

Appare come l’immagine di una guerra tremenda che sembra coinvolgere centinaia di milioni di uomini.

Viene qui ribadito per la seconda volta che a seguito di questa guerra – che non si capisce bene se vada intesa in senso materiale o spirituale – viene ucciso un terzo dell’Umanità.

Questo è il secondo guaio preannunciato dall’aquila ma non è la fine, è solo l’inizio.

L’Umanità infatti sopravvive ma non si pente, persevera anzi nella sua perversione, ed allora ecco un Angelo – diverso dagli altri sette - scendere possente dal cielo con in mano un piccolo libro aperto, forse quello dell’Apocalisse, come a dire: ‘Queste cose stavano scritte e voi non le avete credute…!’.[13]

L’Angelo é tremendo e alzando una mano al Cielo giura su Dio che non vi sarà più indugio e che nel momento il cui il settimo angelo farà udire la sua voce e squillare la settima tromba  allora si compirà il ‘mistero’ di Dio che Dio stesso aveva fatto conoscere ai suoi profeti.[14]

L’angelo invita Giovanni a ingoiare il piccolo libro onde capirne fino in fondo la tremenda amarezza.

 

1.3 La ‘città santa’ viene lasciata in balìa dei pagani, per quarantadue mesi

Giovanni viene quindi invitato a misurare il Santuario di Dio, l’altare e il numero di quelli che stanno adorando il Signore.[15]
Il Santuario potrebbe essere in senso simbolico la Chiesa dei credenti, ma in senso reale potrebbe forse essere figura della sede del Papato, la basilica di S. Pietro.

Bisogna stare attenti – con il ricorso sbagliato ai simbolismi - a non privilegiare troppo le interpretazioni allegoriche, perché altrimenti si può pensare tutto e il contrario di tutto e la profezia non avrebbe più valore perché perderebbe il suo significato reale, distorto da interpretazioni discutibili.

In merito alla interpretazione dei Libri Sacri la Tradizione insegna infatti che si debba preferire in linea di massima quella letterale di un testo, salvo ricercare un possibile significato allegorico quando il testo non offra di per sé una spiegazione plausibile.

L’atrio del Santuario – viene spiegato a Giovanni - non dovrà essere misurato perché è stato lasciato in balìa dei pagani che calpesteranno la città santa per quarantadue mesi.

Non è difficile immaginare che per i cristiani la ‘città santa’ non sia Gerusalemme ma Roma, sede del Cristianesimo e della cattedra di Pietro.

E’ una profezia tremenda, questa dei pagani che calpesteranno la città santa.

Poiché però in passato questo fatto – sia per il contesto generale che per l’esatto periodo di tempo di 42 mesi indicato - non è ancora accaduto, si può ragionevolmente pensare che questa profezia attenga al futuro.

Si accenna a questo punto a due Testimoni che compiranno la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni.[16]

Impossibile non rilevare che questo numero di giorni corrisponde a tre anni e mezzo come pure a quei  42 mesi di cui più sopra in cui i ‘pagani’ avrebbero calpestato la città santa.[17]

Chi sono i ‘pagani’? Dei nemici militari stranieri e non cristiani? Degli italiani non credenti, nemici della Chiesa?

I due Testimoni potranno compiere grandi cose ma la Bestia che salirà dall’Inferno li vincerà e li ucciderà.

Chi è più esattamente questa Bestia? Ne parleremo in seguito.

Gli uomini della Terra, amici dei demoni, festeggeranno la morte dei Due Testimoni perché il loro spirito di profezia era il loro tormento, la voce che gridava alle loro coscienze.

Ma ad un comando divino i Due Testimoni risorgono e salgono nella gloria al Cielo mentre un terremoto distrugge una parte della ‘città’ provocando settemila morti.

Chi sono i due misteriosi testimoni? Ne riparleremo quando ci addentreremo nel profondo dell’Apocalisse.

Con ciò finisce il secondo ‘guaio’ del sesto squillo di tromba mentre – con l’approssimarsi del settimo angelo per il settimo squillo di tromba – si profila tremendo il terzo guaio annunciato dall’aquila che volava alta nel cielo.



[1] La Sacra Bibbia: Presentazione de ‘Il Libro dell’Apocalisse’ – Edizioni Paoline, 1968

[2] La Sacra Bibbia – Ed. Paoline, 1968: Ap 1

[3] Ap 3, Op. cit.

[4] Ap 9,  13-21

[5] Ap 4 – La Sacra Bibbia

[6] La Sacra Bibbia: ‘Il Libro di Tobia’: 12,15 e ‘Apocalisse’ (Gli angeli delle sette trombe): 8,2

[7] Ap 5, 6, 7

[8] Ap 8, 1-12

[9]  Ap 8,13

[10] Ap 9, 1-12

[11] Ap 9,13

[12] Ap 9 , 13-21

[13] Ap 10, 1-4

[14] Ap 10, 5-11

[15] Ap 11, 1-2

[16] Ap 11, 3-14

[17] Abbiamo accennato nella Introduzione alla famosa profezia messianica del Profeta Daniele (Dn 9, 24-27) delle settanta settimane (di anni) che profetizzava la data della futura venuta del Messia. Tale profezia, dopo aver parlato dell’avvento del Messia, della sua uccisione e della distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., continua con un oscuro riferimento nel versetto 27 a fatti futuri, che molti esegeti hanno cercato invano di inquadrare con precisione: «…E stringerà una forte alleanza con molti durante una settimana. E nel mezzo della settimana farà cessare il sacrificio e l’oblazione. E sopra l’ala del Tempio vi sarà l’abominazione della desolazione, finché la rovina decretata ricada sul devastatore». La profezia di Daniele è da intendersi come ripetitiva, cioè figura di altre situazioni analoghe del futuro perché il Gesù del Vangelo di Matteo (Mt, 24,15) la rievoca parlando di un futuro riferibile anche ai fatti escatologici dell’Apocalisse quando parlando della grande tribolazione e della sua futura venuta, dice: «Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione  predetta dal Profeta Daniele, posta nel luogo santo, comprenda chi legge, allora …». Le parole di Daniele ‘E nel mezzo della settimana’ - cioè nel mezzo di sette ‘giorni’, vale a dire ‘tre giorni e mezzo’, cioè simbolicamente ‘tre anni e mezzo’ - non possono non richiamare qui alla memoria per analogia i tre anni e mezzo (quarantadue mesi, milleduecentosessanta giorni) in cui la città santa, cioè il Vaticano dove c’è la Basilica di San Pietro (il Tempio)  rimarranno secondo l’Apocalisse in balìa dei ‘pagani’.

Sul tema della profezia di Daniele vedere la più ampia trattazione fatta dall’autore nei capp. 10 e 11 della sua Opera “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. I (di quattro volumi), Edizioni Segno, 2001. Opera esaurita ma leggibile e scaricabile gratuitamente dal sito dell’autore ‘ALLA RICERCA DEL PARADISO PERDUTO’ digitando https://www.ilcatecumeno.net