Delle opere dell’autore Guido Landolina – edite in dieci anni dalle Edizioni Segno – il primo volume della tetralogia  ”I VANGELI DI MATTEO, MARCO, LUCA E DEL ‘PICCOLO’ GIOVANNI” (2001) è l’ottava in ordine di tempo, dopo la trilogia a commento del Vangelo di San Giovanni.

Il titolo non deve spaventare. È una vita di Gesù, come quella raccontata nei tre volumi concernenti il commento al Vangelo di Giovanni, ma é raccontata questa volta sotto l’angolazione degli altri episodi narrata dai tre evangelisti “sinottici” Matteo, Marco e Luca, seguendo le visioni della grande scrittrice mistica del novecento Maria Valtorta.

Gli episodi sono dunque diversi ma non cambia l’interesse e soprattutto la visione razionale dell’autore che, attraverso i suoi commenti da ‘razionalista’, li approfondisce facendo capire anche al lettore 'laico' come i Vangeli – letti nell’ottica giusta – possano essere una lettura non solo spiritualmente 'istruttiva' ma anche molto piacevole e in certi episodi 'divertente'. Anche se l’edizione editoriale è ormai esaurita – e anzi proprio per questo - vale la pena di riproporne qui uno dei dodici capitoli.

Le Opere – sedici, compresa quella dalla quale il presente capitolo è stato tratto - sono comunque integralmente leggibili e liberamente scaricabili dal sito internet dell’autore (‘ALLA RICERCA DEL PARADISO PERDUTO’ cliccando https://www.ilcatecumeno.net) dove potrete anche conoscerlo meglio.


5. Voltaire… e il  parto indolore.

Mt 1, 18-25:

La nascita di Gesù Cristo avvenne così: Maria, sua madre, era fidanzata a Giuseppe. Prima che abitassero insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.
Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre egli rifletteva su questo, ecco un Angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse:
« Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché colui che in lei è concepito è opera dello Spirito Santo. Essa darà alla luce un figlio a cui porrai nome Gesù: egli, infatti, salverà il popolo dai suoi peccati ».
E tutto questo avvenne affinchè si adempisse quello che era stato annunziato dal Signore per mezzo del profeta che disse: « Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e lo chiameranno Emmanuele », che vuol dire « Dio con noi ».
Giuseppe destatosi dal sonno, fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e condusse sua moglie con sé.
E senza che egli la conoscesse, diede alla luce un figlio, e lo chiamò Gesù.

 

Lc 2, 1-20:

In quel tempo fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento di tutto l’impero.
Questo primo censimento ebbe luogo quando Quirino era governatore della Siria.
Tutti andavano a farsi iscrivere, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe salì dalla Galilea, dalla città di Nazaret, per recarsi in Giudea, nella città di Davide chiamata Betleem, perché egli era della casa e della famiglia di Davide, per farsi iscrivere insieme con Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano là, si compirono i giorni in cui ella doveva partorire, e diede alla luce il figlio suo primogenito; lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché all’albergo per loro non c’era posto.
Vi erano in quella regione dei pastori che pernottavano in mezzo ai campi per far la guardia al proprio gregge.
Or, un Angelo del Signore apparve loro, e la gloria del Signore li avvolse di luce, sicchè furono presi da un grande timore.
Ma l’Angelo disse loro: « Non temete: ecco, vi porto una lieta novella che sarà di grande gioia per tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide il Salvatore, che è il Messia, il Signore.
Questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia .
Poi subito si unì all’Angelo una moltitudine della milizia celeste, che lodava Dio e diceva:

«Gloria a Dio nel più alto dei Cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama.»

E quando gli Angeli li ebbero lasciati per tornare in Cielo, i pastori si dicevano a vicenda:
« Andiamo dunque fino a Betleem e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere ».
Vi andarono in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia.
Dopo averlo visto, narrarono quanto era stato loro detto del Bambino.
E tutti quelli che li udivano si meravigliavano di quanto veniva raccontato loro dai pastori.
Maria, da parte sua, custodiva tutti questi ricordi e vi rifletteva in cuor suo.
Poi i pastori se ne ritornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, secondo quanto era stato loro annunciato.

Trascorsi gli otto giorni per la circoncisione del Bambino, gli fu messo nome Gesù, com’era stato chiamato dall’Angelo prima che fosse concepito nel seno materno.

 

5.1 Un ‘Giudizio di Dio’…, senza arrostirsi i piedi sui carboni ardenti

Nelle ultime righe del capitolo precedente avevo accennato al fatto che Giuseppe era un ‘nazareo’, non solo un nazareno, cioè nativo di Nazareth, ma proprio un ‘nazareo’, cioè – per spiegarmi meglio – un ‘laico’ che aveva fatto una scelta di vita in qualche modo ‘religiosa’ e che aveva fatto per conto suo – già prima di conoscere Maria – un voto di castità.
Il Signore che tutto vede e prevede e - quindi tutto sa - aveva a buon motivo deciso di affidare a lui la giovane Maria.
 Giuseppe da parte sua, da buon nazareo e Israelita praticante, partiva da Nazareth ogni anno per una visitina al Tempio, specie nell’epoca della Pasqua, finché un giorno – ad uno come lui che si era votato alla castità – gli capita l’imprevisto più imprevedibile.
Giuseppe - come lo descrive in visione la Valtorta1  - era un bell’uomo sui trent’anni, mentre Maria ne mostrava una quindicina. Egli aveva capelli corti,  piuttosto ricci, di un castano morato come la barba e i baffi che ombreggiavano un bel mento e salivano verso le gote brune rosse, non olivastre come in certi bruni. Aveva occhi scuri, buoni e profondi, molto seri, quasi un poco tristi. Ma quando egli sorrideva diventavano lieti e giovanili.
Un giorno - al Tempio, appunto - il Sommo Sacerdote convoca Maria che  vi era entrata, nelle visioni della Valtorta, all’età di tre anni, consacrata al Signore come Vergine del Tempio dai genitori Gioacchino e Anna, per riconoscenza del dono da essi avuto in così tarda età.
Qualche anno dopo  – ancora più vecchi – i genitori erano morti lasciandola sola, anche se seguita dalle cure di Zaccaria, sacerdote al Tempio e marito di Elisabetta.
Maria giovinetta - crescendo piena di Grazia anche se non ancora cosciente del destino che le era riservato – concepiva la sua offerta di verginità come un sacrificio, anzi un’offerta, che lei faceva volentieri al suo Dio.
Quale non è per lei lo ‘shock’ nel sentirsi dire dal Sommo Sacerdote, alla presenza di Zaccaria, che lei ormai non è più una fanciulla, anzi è una donna,  anche di stirpe regale (perché discendeva da Davide e Aronne), e le ricorda come – in base alla legge di Israele - ogni donna avrebbe dovuto farsi sposa per portare il suo maschio al Signore.
Maria arrossisce, e il Sacerdote – forse fraintendendo – la invita a non temere perché egli aveva ben presente la Legge che prescriveva che a ogni uomo fosse data una donna della sua stirpe, per cui lei non avrebbe ‘disperso’ la sua ‘regalità’ corrompendo il suo ‘sangue’.
Il Sommo Sacerdote chiede a Maria – nei cui occhi brillano e sgorgano lacrime che scendono sulla bocca tremante – se lei conosce qualcuno, intendendo dire ‘qualcuno’ che fosse evidentemente già di suo gradimento.
Risponde per lei Zaccaria, ricordando al Sacerdote che la giovinetta era entrata al Tempio nella puerizia e che la stirpe di Davide era stata troppo percossa e dispersa per permetterene di riunirne ora i diversi rami.
Il Sacerdote decide allora di affidare a Dio la scelta dello sposo.
Anna di Fanuel, la famosa Anna profetessa che avrebbe profetato un annetto dopo insieme a Simeone al momento della Presentazione di Gesù Bambino al Tempio, si intenerisce vedendo le lacrime di Maria e ricorda al Sacerdote che la piccola era stata offerta al Tempio ed era cresciuta promettendosi al Signore per la sua gloria e per la grandezza di Israele (che per inciso si sarebbe realizzata quando Dio finalmente avesse mandato il suo Messia che tutta Israele attendeva), e quindi ella si sentiva legata ad un voto.
Il Sommo sacerdote guarda allora la giovane con maggiore attenzione, si sovviene di quando era entrata al Tempio una dozzina d’anni prima e – meravigliato – le chiede come poteva, così piccina allora, essersi già consacrata e votata a Dio.
E Maria – con lo Spirito che soffiava dolcemente in Lei - così risponde:

« Se guardo indietro io mi ritrovo vergine... Non mi ricordo dell'ora in cui nacqui, né come cominciai ad amare la madre mia e a dire al padre: " 0 padre, io son la tua figlia"...
Ma ricordo, né so quando ebbe inizio, d'aver dato a Dio il mio cuore.  Forse lo fu col primo bacio che seppi dare, con la prima parola che seppi pronunciare, col primo passo che seppi fare... Sì, ecco. lo credo che il primo ricordo d'amore io lo trovo col mio primo passo sicuro... La mia casa... la mia casa aveva un giardino pieno di fiori... aveva un frutteto e dei campi... e una sorgente era là, in fondo, sottomonte, e sgorgava da una roccia incavata che faceva grotta... era piena di erbe lunghe e sottili, che piovevano come cascatelle verdi da ogni dove e pareva piangessero, perché le fogliettine leggere, le fronde che parevano un ricamo, avevano tutte una gocciolina d'acqua che cadendo suonava come un campanellino piccino piccino.  E anche la sorgente cantava.  E vi erano uccelli sugli ulivi e i meli che erano sulla costa sopra la sorgente, e colombe bianche venivano a lavarsi nello specchio limpido della fontana... Non mi ricordavo più tutto questo, perché avevo messo tutto il mio cuore in Dio e, fuorché il padre e la madre, amati in vita e in morte, ogni altra cosa della terra si era dileguata dal mio cuore... Ma tu mi vi fai pensare, Sacerdote... Devo cercare quando mi detti a Dio... e le cose dei primi anni tornano... lo amavo quella grotta, perché più dolce del canto dell'acqua e degli uccelli vi udivo una Voce che mi diceva:
 "Vieni, mia diletta ". Io amavo quelle erbe diamantate di gocce sonore, perché in esse vedevo il segno del mio Signore e mi perdevo a dirmi: " Vedi come è grande il tuo Dio, anima mia?  Colui che ha fatto i cedri del Libano per l'aquilone, ha fatto queste fogliette che piegano sotto il peso di un moscerino per la gioia del tuo occhio e per riparo al tuo piccolo piede ". Io amavo quel silenzio di cose pure: il vento lieve, l'acqua d'argento, la mondezza delle colombe... amavo quella pace che vegliava sulla grotticella, piovendo dai meli e dagli ulivi, ora tutti in fiore, ed ora tutti preziosi di frutti... E non so... mi pareva che la Voce dicesse, a me, proprio a me: " Vieni, tu, uliva speciosa; vieni, tu, dolce pomo; vieni, tu, fonte sigillata; vieni, tu, colomba mia "... Dolce l'amore del padre e della madre... dolce la loro voce che mi chiamava... ma questa! questa!  Oh! nel terrestre Paradiso penso che così l'udisse colei che fu colpevole, né so come poté preferire un sibilo a questa Voce d'amore, come poté appetire ad altra conoscenza che non fosse Iddio... Con le labbra che ancora sapevan di materno latte, ma col cuore ebbro del celeste miele, io ho detto allora:
"Ecco, io vengo.  Tua.  Né altro signore avrà la mia carne fuor di Te, Signore, come altro amore non ha il mio spirito "... E nel dirlo mi pareva di ridire cose già dette e compire un rito già compiuto, né estraneo m'era lo Sposo prescelto, perché io ne conoscevo già l'ardore, e la mia vista si era formata alla sua luce e la mia capacità d'amare s'era compiuta fra le sue braccia.  Quando?... Non so.  Oltre la vita, direi, perché sento di averlo sempre avuto, e che Egli mi ha sempre avuta, e che io sono poiché Egli mi ha voluta per la gioia del suo Spirito e del mio... Ora ubbidisco, Sacerdote.  Ma dimmi tu come io devo agire... Non ho padre e madre.  Sii tu la mia guida ».

E il Sommo Sacerdote:
« Dio ti darà lo sposo, e santo sarà poiché a Dio ti affidi. Tu gli dirai il tuo voto».

E Maria:
« E accetterà? ».

E il Sacerdote:
« Lo spero.  Prega, o figlia, che egli possa capire il tuo cuore. Vai, ora.  Dio ti accompagni sempre ».

 E Dio l’accompagnò, perché il successivo incontro con Giuseppe fu ‘segnato’ da un evento poco comune.
La Valtorta2in una successiva visione del 4 settembre 1944 - vedeva infatti una bellissima sala del Tempio, e in essa vari sacerdoti, fra i quali Zaccaria, e molti uomini di ogni età dai venti ai… cinquant’anni: povera Maria!
Sono tutti vestiti a festa e un poco in ansia. In un angolo c’è il Giuseppe che vi ho già descritto fisicamente prima, in un abito marrone chiaro, molto semplice ma molto ordinato.
Si capisce che è una cerimonia importante: la scelta di uno sposo.
Da una porta entra un levita con fra le braccia un fascio di rami tutti secchi, sui quali ve ne è però uno fiorito. Il fascio viene delicatamente posato su un tavolo per non rovinare quell’unico rametto di fiori delicati.
Brusìo, colli allungati per vedere e capire quel che si sente dire dai sacerdoti. Anche Giuseppe guarda e - quando il suo vicino gli spiega qualcosa - Giuseppe   con la testa fa un cenno come per dire:‘impossibile!’
Squillo di tromba, silenzio assoluto, entra il Sommo Sacerdote, discorso:

« Uomini della stirpe di Davide, qui convenuti per mio bando, udite.  Il Signore ha parlato, sia lode a Lui!  Dalla sua Gloria un raggio è sceso e, come sole di primavera, ha dato vita ad un ramo secco, e questo ha fiorito miracolosamente mentre nessun ramo della terra è in fiore oggi, ultimo giorno dell'Encenie, mentre ancor non è sciolta la neve caduta sulle alture di Giuda ed è l'unico candore che sia fra Sion e Betania.  Dio ha parlato facendosi padre e tutore della Vergine di Davide, che non ha altro che Lui a sua tutela.  Santa fanciulla, gloria del Tempio e della stirpe, ha meritato la parola di Dio per conoscere il nome dello sposo gradito all'Eterno. 
Ben giusto deve essere costui per esser l'eletto del Signore a tutela della Vergine a Lui cara!  Per questo il nostro dolore di perderla si placa, e cessa ogni preoccupazione sul suo destino di sposa.  E all'indicato da Dio affidiamo con ogni sicurezza la Vergine, sulla quale è la benedizione di Dio e la nostra. 
Il nome dello sposo è Giuseppe di Giacobbe betlemita, della tribù di Davide, legnaiolo a Nazareth di Galilea.  Giuseppe, vieni avanti.  Il Sommo Sacerdote te lo ordina ».
Concludendo, si è trattato di qualcosa di analogo, concettualmente, a quello che – presso alcune tribù primitive di certi paesi – è  chiamato come ‘il Giudizio di Dio’: se uno riesce a superare una certa prova – ad esempio camminare scalzo senza arrostirsi i piedi su dei carboni ardenti - vuol dire che è nel vero e Dio è con lui. Se non ci riesce…peggio per lui, non tanto per i piedi abbrustoliti quanto perché potrà magari essere condannato a morte.
Nel caso di Maria, la ‘Prova’ è stata meno…scottante, anzi direi proprio ‘poetica’, con quel ramoscello fiorito miracolosamente fuori stagione a significare il gradimento di Dio su Giuseppe.

 

5.2 L’ossessione di Voltaire: pensate se può essersi mai dato pace, pensando a quella di Giuseppe

Giuseppe – che aveva fatto voto di castità e che doveva pensare a tutto ciò come ad una cerimonia che certo non lo avrebbe riguardato - rimane come annichilito davanti al Gran Sacerdote il quale, dicendogli poi che Maria ha tuttavia da confidargli un suo voto, lo prega di aiutarla nella sua timidezza.
Entra allora Maria accompagnata da Zaccaria e da Anna di Fanuel. Il Gran Sacerdote  presenta i promessi sposi l’un l’altro e lascia la sala.
Zaccaria e Anna, a loro volta, lasciano soli Giuseppe e Maria.
I due restano l’uno di fronte all’altra, imbarazzati, finchè – sempre nella visione della Valtorta – Giuseppe prende parola…:

« Ti saluto, Maria.  Ti ho vista bambina di pochi giorni... Ero amico del padre tuo ed ho un nipote di mio fratello Alfeo che era tanto amico di tua madre.  Il suo piccolo amico, perché ora non ha che diciott'anni, e quando tu non eri ancor nata egli era un affatto piccolo uomo, e pure rallegrava le tristezze della madre tua che l'amava tanto.  Tu non ci conosci, perché sei venuta qui piccina.  Ma a Nazareth tutti ti vogliono bene, e pensano e parlano della piccola Maria di Gioacchino, la cui nascita fu un miracolo del Signore che fece rifiorire la sterile... Ed io ricordo la sera in cui sei nata... Tutti la ricordiamo per il prodigio di una grande pioggia che salvò la campagna, e di un violento temporale nel quale i fulmini non schiantarono neppure uno stelo d'erica selvaggia, finito con un arcobaleno che più grande e vago mai più si vide.  E poi... chi non ricorda la gioia di Gioacchino?  Ti palleggiava mostrandoti ai vicini... Come tu fossi un fiore venuto dal Cielo, ti ammirava e voleva tutti ti ammirassero, felice e vecchio padre che morì parlando della sua Maria così bella e buona e dalle parole piene di grazia e sapere... Aveva ragione di ammirarti e di dire che non vi è una di te più bella!  E tua madre?  Empiva del suo canto l'angolo in cui era la tua casa, e pareva un'allodola a primavera mentre ti portava e dopo, quando ti aveva al seno. lo ti ho fatto la culla.  Una cullina tutta a intagli di rose, perché così la volle tua madre.  Forse vi è ancora nella chiusa dimora... Sono vecchio io, Maria.  Quando sei nata facevo i primi lavori.  Lavoravo già... Chi me lo avesse detto che io ti avrei avuta a sposa!  Forse sarebbero morti più lieti i tuoi, perché mi erano amici.  Ho seppellito il padre tuo piangendolo con cuor sincero, perché mi era maestro buono nella vita ».
Maria alza piano piano il viso, rinfrancandosi sempre più, sentendo che Giuseppe le parla così, e quando accenna alla culla sorride lievemente, e quando Giuseppe dice del padre gli tende una mano e dice: « Grazie, Giuseppe». Un grazie timido e soave.
Giuseppe prende fra le sue corte e forti mani di legnaiolo la manina di gelsomino, e la carezza con un affetto che vuole sempre più rassicurare.  Forse attende altre parole.  Ma Maria tace di nuovo.  Allora riprende lui: « La casa, tu lo sai, è intatta, meno che nella parte che fu abbattuta per ordine consolare, per fare del viottolo via ai carriaggi di Roma.  Ma la campagna, quella che t'è rimasta, perché tu sai... la malattia del padre ha consumato molto tuo avere, è un poco trascurata.  Sono oltre tre primavere che gli alberi e le viti non conoscono cesoia di ortolano, e la terra è incolta e dura.  Ma gli alberi che ti hanno visto piccina vi sono ancora e, se me lo permetti, io subito mi occuperò di loro ,.
« Grazie, Giuseppe.  Ma tu già lavori...».
« Lavorerò al tuo orto nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Ora il tempo di luce si allunga sempre più.  Per la primavera voglio sia tutto in ordine per la tua gioia.  Guarda, questo è un ramo del mandorlo che sta contro casa.  Ho voluto cogliere questo... - si entra per ogni dove dalla siepe rovinata, ma ora la rifarò solida e forte - ho voluto cogliere questo pensando che, se io fossi stato il prescelto - non lo speravo perché sono nazareo e ho ubbidito perché ordine di Sacerdote, non per desiderio di nozze - pensando, dicevo, che tu avresti avuto gioia ad avere un fiore del tuo giardino.  Eccotelo, Maria.  Con esso ti dono il mio cuore, che come esso è fiorito sino ad ora solo per il Signore, ed ora fiorisce per te, sposa mia ».
Maria prende il ramo.  E' commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso.  Si sente sicura di lui.  Quando poi egli dice: « Sono nazareo », il suo volto si fa tutto luminoso, ed Ella si fa coraggio. « Io pure sono tutta di Dio, Giuseppe.  Non so se il Sommo Sacerdote te l'ha detto...»
« Mi ha detto solo che tu sei buona e pura, e che hai da dirmi un tuo voto, e d'esser buono con te.  Parla, Maria.  Il tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio.  Non t'amo con la carne.  Ti amo con lo spirito mio, santa fanciulla che Dio mi dona!  Vedi in me un padre e un fratello, oltre che uno sposo.  E come a padre confidati, come a fratello affidati».
« Fin dall'infanzia mi son consacrata al Signore.  So che questo non si fa in Israele.  Ma io sentivo una Voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d'amore per l'avvento del Messia.  Da tanto l'attende Israele!... Non è troppo rinunciare per questo alla gioia d'esser madre! ».
Giuseppe la guarda fissamente come volesse leggerle nel cuore, e poi prende le due manine, che ancora hanno fra le dita il ramoscello fiorito, e dice: « Ed io unirò il mio sacrificio al tuo, e ameremo tanto con la nostra castità l'Eterno che Egli darà più presto alla terra il Salvatore, permettendoci di vedere la sua Luce splendere nel mondo.  Vieni, Maria.  Andiamo davanti alla sua Casa e giuriamo di amarci come gli angeli fra loro.  Poi io andrò a Nazareth a preparare tutto per te, nella tua casa se ami andare in quella, altrove se vuoi altrove».
« Nella mia casa... Vi era una grotta là in fondo... Vi è ancora? ».
« Vi è, ma non è più tua... Ma te ne farò una ove starai fresca e quieta nelle ore più calde.  La farò quanto possibile uguale.  E, dimmi, chi vuoi con te? ».
« Nessuno.  Non ho paura.  La madre d'Alfeo, che sempre viene a trovarmi, mi farà compagnia un poco nel giorno, e la notte preferisco esser sola. Nulla mi può accadere di male ».
« E poi ora ci sono io... Quando devo venire a prenderti? ».
« Quando tu vuoi, Giuseppe ».
« Allora verrò non appena la casa è ordinata.  Non toccherò nulla.  Voglio tu trovi come tua madre ha lasciato.  Ma voglio sia piena di sole e ben monda, per accoglierti senza tristezza.  Vieni, Maria.  Andiamo a dire all'Altissimo che lo benediciamo ».

Non vedo altro…’ – conclude la sua visione Maria Valtorta – ‘ma mi resta in cuore il senso di sicurezza che prova Maria...’.

Vi chiederete come mai questo episodio non ve l’abbia raccontato prima, ad esempio nel Cap. 2.1 quando quel mio amico – un poco volterriano senza saperlo – mi aveva chiesto sardonico: ‘Ma dì un po’…, com’è questa storia della verginità di Maria?!’…?
L’ho raccontato ora perché - parlando della verginità di Maria all’inizio  di questo capitolo - ripensando a quel mio amico, mi è venuto in mente Voltaire.
Questa storia della verginità, infatti, praticamente  ossessionava anche lui, al quale sembrava una cosa inverosimile, anzi impossibile.
Ma se a Voltaire riusciva difficile credere a quella di Maria, pensate se avrebbe mai potuto darsi pace pensando a quella di Giuseppe.

 

5.3 Non so se io, in una situazione del genere…

Venendo ora al brano iniziale del Vangelo di Matteo vediamo che l’evangelista esordisce dunque con quel ‘Maria si trovò incinta in virtù dello Spirito Santo’…
Ma dopo quella sbirciata3 che Giuseppe le aveva dato - mentre le si era scomposto il mantello montando sul ciuchino, magari anche un po’ goffamente vista la pancetta incipiente - lui tutto avrà pensato fuorchè allo Spirito Santo. Non siete d’accordo anche voi?
Gli si deve essere gelato il cuore, poverino, ma doveva anche aver avuto un self-control eccezionale se non ha aperto bocca a questo riguardo durante tutto il viaggio di ritorno da Ebron a Nazareth..
Giuseppe la lascia dunque a casa sua e – suppongo molto freddamente – la saluta, e se ne va.
E Maria rimane sola con i suoi pensieri. E lui pure.
Maria – nel suo commento spirituale e con quel linguaggio nobilissimo a chiusura del capitolo precedente – ha ben reso il tormento di quell’uomo che – ancorchè votato alla castità in quanto nazareo - si sentiva comunque tradito da quella che era ‘legalmente’ la sua donna, la quale - pure - gli aveva  confessato fin dal loro primo incontro di aver offerto la propria verginità quale olocausto al Signore.
E io penso che Giuseppe, oltre allo scorno, dovesse aver provato umiliazione e vergogna.
Tutto il paese avrebbe mormorato e i suoi ‘amici’ – vedendolo passare - se lo sarebbero additato sogghignando, domandandosi chi, tra di loro, fosse il… ‘responsabile’.
E se poi – per pietà – egli non l’avesse ripudiata?
Peggio ancora, perché avrebbero detto di lui  come si usa più o meno dire ai nostri giorni: ‘Bastonato e contento…!’
E poi i parenti…, e chissà che anche un sant’uomo come lui – nella disperazione e in uno scatto di orgoglio di fronte a tutta quella umiliazione - non avesse davvero trovato da ridire qualcosa persino nei confronti di quel suo ‘Dio’, per il quale egli si era votato alla castità, ma che ora lo ripagava con quella moneta…
Proprio tre giorni di passione, per entrambi, come spiega Maria.
Ma noi non sapremo mai cosa abbia pensato Giuseppe, sappiamo invece solo – come narra Matteo - che un Angelo finalmente gli parlò, facendogli  un discorso molto chiaro.
E lui credette all’Angelo, per giunta all’Angelo di un sogno.
Non so se io, in una situazione del genere e col carattere diffidente e razionalista che mi ritrovo, avrei creduto ad un angelo. Ma ad un sogno certamente mai.
Bisogna essere santi, bisogna sempre orientare i propri pensieri verso il bene, non vedere che il bene, e allora anche la rivelazione umanamente più assurda – Maria resa incinta per opera dello ‘Spirito Santo’ (ve lo immaginate, di questi tempi, un sogno del genere ad un uomo dei nostri giorni?) – può diventare credibile.
E si scioglie infatti in lacrime Giuseppe quando, un mattino, si presenta alla porta di Maria, bussa, si fa aprire e, curvo su se stesso e implorante, le chiede perdono.
Perdono di cosa? Era lei quella incinta.
Perdono di aver pensato male, di non averle chiesto una spiegazione, di averle così impedito di spiegarsi e di difendersi, insomma di averla già giudicata e mentalmente…giustiziata, mancando alla carità verso il prossimo, e verso Dio.
Incredibile, mi dico. Ecco perché San Giuseppe venne scelto da Dio come padre putativo di Gesù.
Di giusti così – sulla terra – oggi se ne è perso lo stampo.

 

5.4 Il Presepe: volete anche voi passere un Natale, davvero speciale, anzi unico, con  Gesù?

Era dunque tempo di pace entro i confine dell’Impero romano, e fu conseguentemente possibile all’Imperatore emanare un editto con il quale veniva stabilito un censimento di tutte le popolazioni.
Bisognava andarsi a ‘registrare’ nella  città di origine della propria famiglia: nel caso di Giuseppe e Maria, a Betlemme, vicino a Gerusalemme.
Sono passati altri mesi da quel ritorno da Ebron e Maria è ormai più che tondetta perché i giorni stanno per compiersi e certo non è il momento più adatto ad un viaggio di oltre cento chilometri, a dorso di somarello.
Ma quelle dovevano essere donne d’altri tempi. Giuseppe - ligio agli ordini dell’Autorità ma lontano mille miglia dal pensare che sotto l’ombra del Signore avrebbe potuto viaggiare tranquillo - non sa, con Maria incinta, che pesci pigliare, se partire o non partire.
E’ invece Maria stessa che, risoluta come tutte le vere donne, decide per il sì, sapendo dalle Scritture che il Messia avrebbe dovuto nascere a  Betlemme e che quindi quel viaggio era stato previsto ab-initio da Dio Padre e che nulla di male avrebbe potuto loro succedere.
E partono.
La Valtorta descrive il viaggio e racconta come – proprio a causa del grande movimento per il censimento – di ‘ciuchi’ non se ne trovavano più e Giuseppe e Maria si erano dovuti accontentare di uno solo, democraticamente diviso in due: cioè Maria, con armi e…bagagli, sul ciuco, mentre Giuseppe, conducendolo prudentemente per la briglia, a terra.
Anche allora c’erano le locande e quindi vi avranno fatto ‘tappa’ per delle soste notturne.
Ma quando arrivano nei dintorni di Betlemme, che era vicina a Gerusalemme, un pastore fa loro sapere che nell’albergo del paese vi è il ‘tutto esaurito’ per via dei pellegrini giunti per il censimento e consiglia loro comunque di provare a trovare un rifugio per la notte in una delle stalle addossate ad un crinale di collina non molto lontano dalla locanda.
Maria è stanca morta e intirizzita dal freddo, Giuseppe chiede del latte caldo al pastore che subito glielo dà.
E alla locanda confermano infatti a Giuseppe il ‘tutto esaurito’.
Gesù dunque  – nelle visioni della Valtorta – non nacque in una stalla perché la famiglia fosse tanto povera da non potersi permettere una locanda.
Giuseppe era peraltro un artigiano, e anche di quelli bravi, e certo aveva dei soldi con sé visto che si era messo in viaggio per il censimento.
Ma quella notte dovettero accontentarsi di una stalla, facendo di necessità virtù. I tempi del parto erano prossimi, è vero, ma essi forse non pensavano che Gesù ‘anticipasse’ la sua nascita a quella notte stessa o, forse,  speravano che la ‘ritardasse’   ancora di qualche giorno.
Potevano mai pensare che un Figlio di Dio avrebbe voluto nascere in una stalla?
Ma invece sì, Gesù decide di nascere proprio quella notte, e proprio in quella stalla, o meglio in una specie di locale diroccato, semiscavato nella collina, al cui interno vi è già un bue che volta la testa muggendo appena li vede entrare, un rozzo sedile, due pietre in un angolo presso una feritoia che – annerita com’è – si vede che fa da canna fumaria ad un focolare rudimentale. Pavimento in terra battuta, molto fieno in una greppia.
Giuseppe fa posto anche al ciuchino - stanco come un somarello ma dotato di buon appetito di fronte a quel fieno – ramazza con delle ramaglie il suolo, preleva una bella bracciata di fieno dalla greppia e lo sistema nell’angolo più asciutto e riparato, vicino al bue che se ne sta là tranquillo, per farne un giaciglio per Maria.
Un secchio mal ridotto, che forse sarà stato utilizzato dai proprietari per abbeverare il bue, serve per prendere l’acqua nel rio vicino mentre con i rami secchi lungo l’argine Giuseppe fa delle fascine con le quali accende dentro un bel fuoco, dopo aver chiuso l’entrata con una coperta stesa a mo’ di tenda per ripararsi dall’aria fredda della notte.
Insomma il presepe è pronto, mentre Maria - che se ne stava buona-buona seduta sullo sgabello sorridendo ogni volta a Giuseppe - finalmente si può accomodare sul morbido fieno con le spalle appoggiate ad un pezzo di tronco d’albero. Giuseppe mette mano alla bisaccia: pane e formaggio, perché quel giorno il ‘convento’ di più non passa, annaffiando il tutto con acqua fresca di sorgente. Avete mai fatto i campeggiatori sotto una tenda, al freddo?
Quella era già una sistemazione da pascià.
E’ Natale!
Volete ora passare anche voi un ‘Natale’ speciale, anzi unico, con Gesù?
Basta chiederlo alla Valtorta.

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(M.V.: ‘L’evangelo come mi è stato rivelato’Cap. 29 – Centro Ed. Valtortiano)

29. La nascita di Gesù.  Efficacia salvifica della divina maternità di Maria.

6 giugno 1944.
Vedo ancora l'interno di questo povero rifugio petroso dove hanno trovato asilo, accumunati nella sorte a degli animali, Maria e Giuseppe.
Il fuocherello sonnecchia insieme al suo guardiano.  Maria solleva piano il capo dal suo giaciglio e guarda.  Vede che Giuseppe ha il capo reclinato sul petto come se pensasse, e pensa che la stanchezza soverchi il suo buon volere di rimanere desto.  Sorride d'un buon sorriso e, facendo meno rumore di quanto ne può fare una farfalla che si posi su una rosa, si mette seduta e da seduta in ginocchio.  Prega con un sorriso beato sul volto. Prega a braccia aperte, non proprio a croce, ma quasi, a palme volte in alto e in avanti, né mai pare stanca di quella posa penosa.  Poi si prostra col volto contro il fieno in una ancora più intensa preghiera.  Lunga preghiera.
Giuseppe si scuote.  Vede quasi morto il fuoco e quasi tenebrosa la stalla.  Getta una manata di eriche fini fini e la fiamma risfavilla; vi unisce rametti più grossi, e poi ancora più grossi, perché il freddo deve esser pungente.  Il freddo della notte invernale e serena che penetra da tutte le parti di quella rovina. Il povero Giuseppe, presso come è alla porta - chiamiamo pure così il pertugio a cui fa da tenda il suo mantello - deve essere gelato.  Accosta le mani alla fiamma, si sfila i sandali e accosta i piedi.  Si scalda.  Quando il fuoco è ben desto e la sua luce è sicura, egli si volge.  Non vede nulla, neppure più quel biancore del velo di Maria, che prima metteva una linea chiara sul fieno scuro.  Si leva in piedi e lentamente si avvicina al giaciglio.
« Non dormi, Maria? » chiede.
Lo chiede tre volte, finché Ella si riscuote e risponde: « Prego ».
« Non abbisogni di nulla?».
« No, Giuseppe ».
« Cerca di dormire un poco.  Di riposare almeno ».
« Cercherò.  Ma pregare non mi stanca ».
« Addio, Maria ».
« Addio, Giuseppe ».
     Maria riprende la sua posa.  Giuseppe, per non cedere più al sonno, si pone in ginocchio presso il fuoco e prega.  Prega con le mani strette sul viso.  Le leva ogni tanto per alimentare il fuoco e poi torna alla sua fervente preghiera.  Meno il rumore delle legna che crepitano e quello del ciuchino, che di tanto in tanto batte uno zoccolo sul suolo, non si ode niente.
Un poco di luna si insinua da una crepa del soffitto e pare una lama di incorporeo argento che vada cercando Maria.  Si allunga, man mano che la luna si fa più alta in cielo, e la raggiunge, finalmente.  Eccola sul capo della orante.  Glielo innimba di candore.
Maria leva il capo come per una chiamata celeste e si drizza in ginocchio di nuovo.  Oh! come è bello qui!  Ella alza il capo, che pare splendere nella luce bianca della luna, e un sorriso non umano la trasfigura.  Che vede?  Che ode?  Che prova?  Solo Lei potrebbe dire quanto vide, sentì e provò nell'ora fulgida della sua Maternità.  Io vedo solo che intorno a Lei la luce cresce, cresce, cresce.  Pare scenda dal Cielo, pare emani dalle povere cose che le stanno intorno, pare soprattutto che emani da Lei.
La sua veste, azzurra cupa, pare ora di un mite celeste di miosotis, e le mani e il viso sembrano farsene azzurrini come quelli di uno messo sotto il fuoco di un immenso zaffiro pallido. Questo colore, che mi ricorda, benché più tenue, quello che vedo nelle visioni del santo Paradiso e anche quello che vidi nella visione della venuta dei Magi, si diffonde sempre più sulle cose, le veste, le purifica, le fa splendide.
La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella della luna, pare che Ella attiri in sé quella che le può venire dal Cielo.  Ormai è Lei la Depositaria della Luce. Quella che deve dare questa Luce al mondo.  E questa beatifica, incontenibile, immisurabile, eterna, divina Luce che sta per esser data, si annuncia con un'alba, una diana, un coro di atomi di luce che crescono, crescono come una marea, che salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si stendono come un velo...
La volta, piena di crepe, di ragnatela, di macerie sporgenti che stanno in bilico per un miracolo di statica, nera, fumosa, repellente, pare la volta di una sala regale.  Ogni pietrone è un blocco di argento, ogni crepa un guizzo di opale, ogni ragnatela un preziosissimo baldacchino contesto di argento e diamanti.  Un grosso ramarro, in letargo fra due macigni, pare un monile di smeraldo dimenticato là da una regina; e un grappolo di pipistrelli in letargo, una preziosa lumiera d'onice.  Il fieno che pende dalla più alta mangiatoia non è più erba, sono fili e fili di argento puro che tremolano nell'aria con la grazia di una chioma disciolta.
La sottoposta mangiatoia è, nel suo legno scuro, un blocco d'argento brunito.  Le pareti sono coperte di un broccato in cui il candore della seta scompare sotto il ricamo perlaceo del rilievo, e il suolo... che è ora il suolo?  E' un cristallo acceso da una luce bianca.  Le sporgenze paiono rose di luce gettate per omaggio al suolo; e le buche, coppe preziose da cui debbano salire aromi e profumi.
E la luce cresce sempre più.  E' insostenibile all'occhio.  In essa scompare, come assorbita da un velario dI incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia. 
Un piccolo Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell'incavo di un cuore di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e mostrando la linguetta tremolante contro il roseo palato; che muove la testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre guarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi... là dove un giorno sarà la Ferita.  Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato.
Il bue, svegliato dal chiarore, si alza con gran rumore di zoccoli e muggisce, e l'asinello volge il capo e raglia.  E' la luce che li scuote, ma io amo pensare che essi hanno voluto salutare il loro Creatore, per loro e per tutti gli animali.
Anche Giuseppe, che, quasi rapito, pregava così intensamente da esser isolato da quanto lo circondava, si scuote, e dalle dita strette al viso vede filtrare la luce strana.  Leva le mani dal viso, alza il capo, si volge.  Il bue ritto in piedi nasconde Maria.  Ma Ella chiama: « Giuseppe, vieni ».
Giuseppe accorre.  E quando vede si arresta, fulminato di riverenza, e sta per cadere in ginocchio là dove è. Ma Maria insiste: « Vieni, Giuseppe » e punta la mano sinistra sul fieno e, tenendo con la destra stretto al cuore l'Infante, si alza e si dirige a Giuseppe, che cammina impacciato per il contrasto fra il desiderio di andare e il timore di essere irriverente.
Ai piedi della lettiera i due sposi si incontrano e si guardano con un pianto beato.
 « Vieni, ché offriamo al Padre Gesù » dice Maria.  E, mentre Giuseppe si inginocchia, Ella, ritta in piedi fra due tronchi che sostengono la volta, alza la sua Creatura fra le braccia e dice: , Eccomi.  Per Lui, o Dio, ti dico questa parola.  Eccomi a fare la tua volontà.  E con Lui io, Maria, e Giuseppe, mio sposo.  Ecco i tuoi servi, Signore.  Sia fatta sempre da noi, in ogni ora e in ogni evento, la tua volontà, per tua gloria e per amor tuo ».
Poi Maria si curva e dice: « Prendi, Giuseppe » e offre l'Infante.
« Io?  A me?  Oh, no!  Non sono degno! ». Giuseppe è sbigottito addirittura, annientato all'idea di dover toccare Iddio.
Ma Maria insiste sorridendo: « Tu ne sei ben degno.  Nessuno più di te lo è, e per questo l'Altissimo ti ha scelto.  Prendi, Giuseppe, e tienilo mentre io cerco i panni ».
Giuseppe, rosso come una porpora, stende le braccia e prende il batuffolino di carne che strilla di freddo e, quando lo ha fra le braccia, non persiste nell'intenzione di tenerlo scosto da sé per rispetto e se lo stringe al cuore, dicendo con un grande scoppio di pianto: « Oh!  Signore!  Dio mio! », e si curva a baciare i piedini e li sente freddi, e allora si siede al suolo e se lo raccoglie in grembo e con la sua veste marrone e con le mani cerca coprirlo, scaldarlo, difenderlo dalla sizza della notte.  Vorrebbe andare verso il fuoco, ma là c'è quella corrente d'aria che entra dalla porta.  Meglio stare qui.  Meglio, anzi, andare fra i due animali, che fanno da scudo all'aria e che mandano calore.  E va fra il bue e l'asino e sta con le spalle alla porta, curvo sul Neonato per fare del suo petto una nicchia, le cui pareti laterali sono una testa bigia dalle lunghe orecchie e un grosso muso bianco dal naso fumante e dall'umido occhio buono.
Maria ha aperto il cofano e ne ha tratto lini e fasce.  E' andata al fuoco e le ha scaldate.  Eccola che va a Giuseppe e avvolge il Bambino nella tela intiepidita e poi nel suo velo per riparargli la testolina. « Dove lo mettiamo ora? » chiede.
Giuseppe guarda intorno, pensa... « Aspetta » dice.  Spingiamo più in qua i due animali e il loro fieno e tiriamo giù quel fieno là in alto e lo mettiamo qui dentro.  Il legno della sponda lo riparerà dall'aria, il fieno gli farà guanciale e il bue col suo fiato lo scalderà un pochino.  Meglio il bue.  E' più paziente e quieto ,. E si dà da fare, mentre Maria ninna il suo Bambino, stringendoselo al cuore e tenendo la sua guancia sulla testolina per dargli calore.
Giuseppe ravviva il fuoco senza risparmio per fare una bella fiamma e scalda il fieno e, man mano che lo asciuga, perché non raffreddi se lo mette in seno.  Poi, quando ne ha raccolto tanto da farne un materassino all'Infante, va alla mangiatoia e lo dispone che sia come una cunella. « E' pronto», dice. « Ora ci vorrebbe una coperta, perché il fieno punge, e per ricoprirlo... ».
« Prendi il mio mantello » dice Maria. « Avrai freddo ».
« Oh! non fa nulla!  La coperta è troppo ruvida.  Il mantello è morbido e caldo.  Io non ho freddo per nulla.  Ma che Egli non soffra più! ».
Giuseppe prende l'ampio mantello di morbida lana celeste cupo e lo accomoda in doppio sul fieno, con un lembo che pende fuor dalla greppia. Il primo letto del Salvatore è pronto.
E la Madre, col suo dolce passo ondeggiante, ve lo porta e ve lo depone, e lo ricopre con il lembo del manto e lo conduce anche intorno al capino nudo, che affonda nel fieno, appena riparato da questo dal sottile velo di Maria.  Rimane scoperto solo il visetto grosso come un pugno d'uomo, e i Due, curvi sulla greppia, lo guardano beati dormire il suo primo sonno, perché il calduccio delle fasce e del fieno ha calmato il pianto e conciliato il sonno al dolce Gesù.

Dice Maria:4
« Ti avevo promesso che Egli sarebbe venuto a portarti la sua pace.  La ricordi la pace che era in te nei giorni di Natale?  Quando mi vedevi col mio Bambino?  Allora era il tuo tempo di pace.  Ora è il tuo tempo di pena.  Ma tu lo sai, ormai.  E' nella pena che si conquista la pace e ogni grazia per noi e per il prossimo.  Gesù-Uomo tornò Gesù-Dio dopo la tremenda pena della Passione.  Tornò Pace.  Pace nel Cielo da cui era venuto e dal quale ora effonde la sua pace a coloro che nel mondo lo amano.  Ma nelle ore di Passione, Lui, Pace del mondo, fu privato di questa pace.  Non avrebbe sofferto se l'avesse avuta.  E doveva soffrire.  Completamente soffrire.
Io, Maria, ho redento la donna con la mia Maternità divina.  Ma non fu che l'inizio della redenzione della donna, questo.  Negandomi ad ogni umano sponsale col voto di verginità, avevo respinto ogni soddisfazione concupiscente meritando grazia da Dio.  Ma non bastava ancora.  Perché il peccato d'Eva era albero di quattro rami: superbia, avarizia, golosità, lussuria.  E tutti e quattro andavano stroncati prima di sterilire l'albero dalle radici.
Umiliandomi sino al profondo, ho vinto la superbia.
Mi sono umiliata davanti a tutti.  Non parlo della mia umiltà verso Dio.  Questa è dovuta all'Altissimo da ogni creatura.  L'ebbe il suo Verbo.  La dovevo avere io, donna.  Ma hai mai riflettuto quali umiliazioni dovetti subire, e senza difendermi in nessuna maniera, da parte degli uomini?  Anche Giuseppe, che era giusto, mi aveva accusata nel suo cuore.  Gli altri, che giusti non erano, avevano peccato di mormorazione verso il mio stato, e il rumore delle loro parole era venuto come onda amara a frangersi contro la mia umanità.
E furon le prime delle infìnite umiliazioni che la mia vita di Madre di Gesù e del genere umano mi procurarono.  Umiliazioni di povertà, umiliazioni di profuga, umiliazioni per rimproveri di parenti e amici che, non sapendo la verità, giudicavano debole il mio modo d'esser madre verso il mio Gesù fatto giovane uomo, umiliazioni nei tre anni del suo ministero, umiliazioni crudeli nell'ora del Calvario, umiliazioni fin nel dover riconoscere che non avevo di che comperare luogo e aromi per la sepoltura del Figlio mio.

Ho vinto l'avarizia dei Progenitori rinunciando in anticipo di tempo alla mia Creatura.

Una madre non rinuncia mai che forzatamente alla sua creatura.  La chiedano al suo cuore la patria, l'amore di una sposa, o Dio stesso, ella recalcitra alla separazione.  E' naturale. Il figlio ci cresce in seno e non è mai reciso completamente il legame che tiene la sua persona congiunta alla nostra.  Se anche è spezzato il canale del vitale ombelico, resta sempre un nervo che parte dal cuore della madre, un nervo spirituale e più vivo e sensibile di un nervo fisico, il quale si innesta nel cuore del figlio.  E si sente stirare sino allo spasimo se l'amore di Dio o di una creatura, o le esigenze della patria, allontanano il figlio dalla madre.  E si spezza lacerando il cuore se la morte strappa un figlio ad una madre.
Ed io ho rinunciato, dal momento che l'ho avuto, al Figlio mio.  A Dio l'ho dato.  A voi l'ho dato.  Io, del Frutto del mio seno, me ne sono spogliata per riparare al furto di Eva del frutto di Dio.

Ho vinto la golosità, e del sapere e del godere, accettando di sapere unicamente ciò che Dio voleva sapessi, senza chiedere a me o a Lui più di quanto mi fosse detto.  Ho creduto senza investigare.  Ho vinto la golosità del godere, perché mi sono negata ogni sapore di senso.  La mia carne l'ho messa sotto ai piedi.  La carne, strumento di Satana, l'ho confinata con Satana sotto al mio calcagno per farmene scalino per avvicinarmi al Cielo.  Il Cielo!  La mia mèta.  Là dove era Dio.  L'unica mia fame.  Fame che non è gola ma necessità benedetta da Dio, il quale vuole che appetiamo di Lui.

Ho vinto la lussuria, la quale è la golosità portata all'ingordigia.  Perché ogni vizio non frenato conduce ad un vizio più grande.  E la golosità di Eva, già riprovevole, la condusse alla lussuria.  Non le bastò più il darsi soddisfazione da sola.  Volle spingere il suo delitto ad una raffinata intensità, e conobbe e si fece maestra di lussuria al compagno.  Io ho capovolto i termini e, in luogo di scendere, sono sempre salita.  In luogo di far scendere, ho sempre attirato in alto, e del mio compagno, un onesto, ho fatto un angelo.
Ora che possedevo Iddio e con Lui le sue ricchezze infinite, mi sono affrettata a spogliarmene dicendo: " Ecco, sia fatta per Lui e da Lui la tua volontà ". Casto è colui che ha ritenutezza non solo di carne, ma anche di affetti e di pensieri.  Io dovevo esser la Casta per annullare l'Impudica della carne, del cuore e della mente.  E non uscii dal mio ritegno dicendo neppure del mio Figlio, unicamente mio sulla terra come era unicamente di Dio in Cielo: " Questo è mio e lo voglio ".
Eppure non bastava ancora per ottenere alla donna la pace perduta da Eva.  Quella ve la ottenni ai piedi della Croce. Nel veder morire Quello che tu hai visto nascere.  Nel sentirmi strappare le viscere al grido della mia Creatura che moriva, sono rimasta vuota di ogni femminismo: non più carne ma angelo.  Maria, la Vergine sposata allo Spirito, morì in quel momento.  Rimase la Madre della Grazia, quella che vi ha dal suo tormento generata la Grazia e ve l'ha data.  La femmina che avevo riconsacrata donna la notte del Natale, ai piedi della Croce acquistò i mezzi di divenire creatura dei Cieli.
Questo ho fatto io per voi, negandomi ogni soddisfazione anche santa.  Di voi, ridotte da Eva femmine non superiori alle compagne degli animali, ho fatto, sol che lo vogliate, le sante di Dio.  Sono ascesa per voi.  Come feci con Giuseppe, vi ho portate più in alto.  La roccia del Calvario è il mio monte degli Ulivi. 
Da lì presi il balzo per portare ai Cieli l'anima risantificata della donna insieme alla mia carne, glorificata per aver portato il Verbo di Dio e annullato in me anche l'ultima traccia di Eva, l'ultima radice di quell'albero dai quattro venefici rami e dalla radice confitta nel senso, che aveva trascinato alla caduta l'umanità e che fino alla fine dei secoli e all'ultima donna vi morderà le viscere. 
Da là, dove ora splendo nel raggio dell'Amore, io vi chiamo e vi indico la Medicina per vincere voi stesse: la Grazia del mio Signore e il Sangue del Figlio mio.
E tu, mia voce, riposa l'anima tua nella luce di quest'alba di Gesù, per aver forza per le future crocifissioni che non ti saranno risparmiate, perché qui ti vogliamo e qui si viene attraverso il dolore, perché qui ti vogliamo e tanto più alto si viene quanto più si è portato pena per ottenere Grazia al mondo.
Va' in pace.  Io sono con te ».

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 5.5 Se non credete a questo è perché anche voi siete figli del ‘Peccato’, come Voltaire.

Ecco, ammetto che, leggendo questo brano della nascita di Gesù, Voltaire andrebbe in crisi più che se vedesse Dio – in quel Big-Bang iniziale di 12-15 miliardi di anni fa – creare dal nulla l’Universo come la Fisica moderna e l’Astrofisica avrebbero ormai accertato o creduto di accertare, giungendo addirittura a radiografare, traducendolo in fotografie apparse sulla stampa recentemente, l’aspetto originario della massa in espansione dell’universo trecentomila anni dopo il Big Bang, con le galassie che appena cominciavano a formarsi.
Sono convinto che Voltaire crederebbe all’assurdità fisica   – che forse non è neppur vera – di questo Big-Bang che ora ci spiegano gli scienziati, ma non potrebbe mai credere alla assurdità metafisica che sottintendono i vangeli e che la Valtorta ‘radiografa’…in visione. Si intuisce infatti che Gesù – da un momento all’altro, in quello splendore di luce abbagliante che emana da Maria – emerge dal suo seno con la stessa facilità con cui (come gli apostoli vedranno fare e racconteranno nei Vangeli) trentatre anni dopo – a risurrezione avvenuta mentre gli apostoli sono nel Cenacolo – Egli attraversò col suo corpo glorificato i muri apparendo davanti a loro, facendosi poi offrire del pesce da mangiare per convincerli che, ‘quello’, era proprio lui, redivivo, in carne ed ossa, e non un fantasma.
Voltaire, e tanti altri come lui, non ammette, non riesce ad ammettere il soprannaturale e, non ammettendolo, non ammette neanche il ‘miracolo’, e cioè che Dio possa stabilire a sua piacimento delle deroghe alle leggi di natura.
Il principio illuministico di allora – ma anche degli ‘illuministi’ di oggi - era infatti questo: se anche Dio fosse veramente esistito, e se anche fosse stato lui a creare la natura e non fosse stata invece la Natura - messa alla stregua di una Divinità come in certi filmati televisivi che vanno per la maggiore - ad autogenerarsi da sé senza alcun bisogno di Dio, Dio non potrebbe permettersi di non rispettare quelle leggi fisiche da lui stesso create.
E il perché poi Dio - se è ‘Dio’ - non potrebbe permetterselo, spiegatemelo voi.
Comunque, sempre per far arrabbiare ancora di più Voltaire, da questo episodio deduciamo una cosa: e cioè che se Maria fu vergine prima della nascita di Gesù, lo rimase anche dopo…, in quanto la sua ‘carne’ rimase inviolata in quello che, per giunta, oggi definiremmo un parto indolore…
Venne infatti risparmiato al Figlio di Dio il nascere fra le doglie di un parto.
E anche a Maria, la Senza Macchia, che  se ne era guadagnata il diritto.
Cosa c’è qui, di tanto strano?!
Pretendereste che un Dio – oltre ad incarnarsi – dovesse per forza passare  anche attraverso quella ‘trafila’, con ostetrici e levatrici, per la quale passiamo noi, figli del Peccato d’origine, anzi figli del ‘Peccato’?
Un altro aspetto che, in qualche punto della sua opera, avevo letto che avesse ‘sconvolto’ Voltaire è il racconto evangelico dei pastori, considerato infantile.
Infantile il racconto della visione degli angeli apparsi loro?
Anche, ma soprattutto sarebbe assolutamente inverosimile (secondo quanto scritto infatti da Voltaire con un ragionamento ed una logica da impeccabile ‘accademico’, come ce ne sono tanti così anche oggi che pretendono di analizzare con criteri ‘scientifici’ la ‘storicità’ dei vangeli) che un vero pastore, in quel clima rigido e con le pecore, ‘pernottasse in mezzo ai campi’.
Infantile è invece Voltaire che infatti – frequentatore di salotti e damine settecentesche ma non di pascoli –  non doveva aver pensato che quei pastori potessero disporre di stalli per il ricovero al chiuso o anche al coperto, stalli che la Valtorta vede invece in una sua visione successiva.
Basta però con Voltaire…, altrimenti manchiamo alla ‘carità’.
Per oggi...

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1 Vedere, al riguardo delle presenti spiegazioni,  il Vol. I - Capp. 10,11,12 – de ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, di  Maria Valtorta – Centro Editoriale Valtortiano

2 Op. citata, Cap. 12

3 Qui ci si riferisce all’episodio del Cap. 25 dell’Opera valtortiana  già citata.
Maria, dopo l’apparizione dell’Arcangelo che le aveva preannunciato l’Incarnazione ottenendo il suo ‘sì’ nella casetta di Nazareth, era rimasta incinta ma aveva mantenuto il segreto di questa divina rivelazione con tutti e anche con Giuseppe, suo futuro sposo. Avendo in quell’occasione anche saputo dall’Arcangelo Gabriele che l’anziana e sterile cugina Elisabetta era rimasta anche lei incinta, a dimostrazione del fatto che  nulla era impossibile a Dio, Maria decide di recarsi da lei ad Ebron per darle assistenza, in attesa della nascita del figlio di Elisabetta. Vi rimane tre mesi, ma quando - dopo la nascita di Giovanni Battista e dopo la sua presentazione al Tempio – giunge il momento del ritorno a Nazareth, ecco che Giuseppe arriva per riportarla indietro.
E’ allora – nel momento della partenza e sempre  nella visione dell’Opera valtortiana – che Giuseppe aiuta Maria a salire in groppa ad un asinello, ma - nel farlo - a Maria si scosta un lembo del mantello e Giuseppe – letteralmente fulminato - coglie la ‘rotondità’ di Maria, già incinta di tre mesi.
Comincia qui la ‘passione’ di Giuseppe, convinto – durante il distacco dei tre mesi - di essere stato tradito da colei che in precedenza – prima di accettare di divenire sua futura sposa - gli aveva detto in occasione del loro primo incontro al Tempio del proprio voto di voler rimanere vergine per amore di Dio e di voler offrire insieme a Giuseppe questo sacrificio per accelerare la venuta dell’annunciato Messia.
Giuseppe tace e rimugina nel viaggio di ritorno e giunto a Nazareth si macera nell’umiliazione e nel dolore credendosi ingannato e pensando al ripudio della promessa sposa. Ed è allora che un Angelo del Signore gli appare in sogno per rivelargli la verità su quella misteriosa gravidanza, come racconta il Vangelo di Matteo.

4 La Madonna, che appare sovente alla mistica Valtorta, si inserisce qui per darle un commento che completi la visione.