TEMPO DI REVISIONE PROFETICA

PROFETI MODERNI: VOCE DI GIACOBBE E… MANI DI ESAU’!

di Guido Landolina

Falsi veggenti, locuzioni interiori e S. Giovanni della Croce.

Nell’Editoriale di questa Rivista dello scorso mese di luglio  si è letto che – di fronte al proliferare di false profezie – era arrivato il tempo di una ‘revisione profetica’. Mai una affermazione mi è sembrata – di questi tempi – più opportuna.
Indipendentemente dai casi singoli nel cui merito non entro, troppe ‘profezie’ si rivelano sbagliate, troppe ‘profezie’ circolano su fogli e foglietti più o meno anonimi, troppi ‘veggenti’ finiscono per rivelarsi dei ‘falsi veggenti’ o dei ‘falsi profeti’. Fa bene la Gerarchia ecclesiastica ad essere prudente anche se talvolta lo è troppo.
Il punto non è infatti quello di respingere in genere lo ‘spirito di profezia’ poichè ogni tanto si scopre che, qualcuno, ‘profeta’ proprio non era, ma di imparare a distinguere il vero spirito di profezia e di ‘educare’ ‘profeti’ e ‘direttori spirituali’ a conoscere meglio questo carisma con i doni ed i rischi che esso comporta.
Ricordo che il Gesù che parlava quotidianamente alla grande mistica moderna Maria Valtorta una cinquantina di anni fa, le aveva preannunciato i futuri tempi dell’Anticristo, il conseguente proliferare delle false ideologie e delle false ‘profezie’, l’apostasia e la perdita della fede nella comunità cristiana e che proprio per questo Egli avrebbe suscitato innumerevoli ‘voci’ profetiche per risvegliare le coscienze  e richiamarle ai valori cristiani per una nuova evangelizzazione fatta dei contenuti antichi ma con forme nuove più adatte alla mentalità dell’uomo moderno.
Al tema dei ‘carismatici’, e quindi anche dei profeti, avevo dedicato nel 2002  tre articoli1 e non è quindi qui il caso di ritornarvi sopra, bastando essi a comprendere meglio quanto può accadere.
Mi preme qui invece attirare l’attenzione sull’aspetto della profezia che riguarda la cosiddetta ‘locuzione interiore’.
Cosa sono queste ‘locuzioni’? Sono in buona sostanza l’espressione di un ‘qualcosa’ che il ‘carismatico’ sente salire dal proprio ‘cuore’, dal proprio profondo, e che egli interpreta come ‘voce di Dio’ traducendolo con parole proprie.
Ed in effetti, nel caso del vero carismatico, spesso si tratta della ‘voce’ di Dio.
Giovanni della Croce, non solo brillante e sapiente scrittore del XVI secolo, non solo santo, non solo dottore della Chiesa ma anche grande specialista di questa difficilissima materia, ci ha lasciato2 indicazioni preziose, frutto della sua esperienza diretta di direttore spirituale di carismatici, che dovrebbero formare oggetto di attenta lettura e soprattutto riflessione e studio non solo da parte dei carismatici ma anche e soprattutto dei loro direttori che dovrebbero avere il compito di guidarli correttamente.

Quando le profezie non si avverano

Una locuzione può essere ‘vera’ ma poi l’errore può consistere nella sua interpretazione che non di rado viene fatta in maniera troppo letterale, oppure è vero il senso letterale che tuttavia viene inteso come meramente simbolico.
Giovanni della Croce ricorda come ai tempi del ‘vecchio’ Israele, poichè il popolo prendeva troppo alla lettera le parole e le predizioni dei profeti ma vedeva che poi queste non si avveravano come essi avevano interpretato o sperato, lo stesso popolo finiva per non stimare e non credere più ai profeti, tanto che cominciò a circolare un detto con cui li si scherniva: ‘Aspetta e torna ad aspettare…’, poiché la ‘Parola di Dio’ sembrava non compiersi mai. Lo stesso famoso profeta Isaia se ne lamentava (Is 28, 9-11).
L’interpretazione materiale è del resto ciò che successe al popolo di Israele ed agli stessi Sacerdoti del Tempio con le profezie messianiche.
Israele si era fatto l’idea che il famoso Messia annunciato dai profeti che avrebbe un giorno governato fino ai confini della terra dovesse essere una sorta di re, un condottiero che avrebbe liberato Israele da tutti i nemici che lo schiavizzavano o lo combattevano. Lontano dall’idea grandiosa di un Dio che si incarna per ammaestrare l’uomo insegnandogli la sua origine spirituale ed il suo futuro destino di gloria, un Dio che decide di riscattare l’Umanità liberandola dal Peccato e dal vero Nemico per eccellenza, Satana, Israele non volle e non seppe riconoscere in Gesù il vero Liberatore e finì per crocifiggerlo considerandolo appunto un ‘falso Messia’.

Le locuzioni a parole ‘successive’ e lo Spirito Santo.
  
Ma per tornare alle locuzioni soprannaturali - che possono manifestarsi in maniere molto differenti - Giovanni della Croce le riduce da parte sua sostanzialmente a tre tipi: parole successive, formali e sostanziali.3
Parlerò qui delle prime, quelle ‘successive’. Sono ‘parole’ – spiega S. Giovanni - che lo spirito del profeta avverte dentro di sé quando è raccolto ed assorto profondamente in qualche considerazione spirituale. Nel corso della sua meditazione gli emergono con facilità e chiarezza parole e ragionamenti molto ben fatti, e con la ragione egli scopre e comprende delle verità che sono tanto estranee alla sua normale conoscenza da parergli provenire da una entità terza che sembra gli parli, discorra, risponda, lo ammaestri. Ed in effetti – aggiunge San Giovanni della Croce – è proprio così: è l’individuo in persona  che ragiona e risponde a se stesso, come se al proprio interno gli parlasse un altro.
Se tuttavia da un lato – spiega San Giovanni della Croce, ed io vi prego di concentrarvi un attimo sul suo ragionamento  -  il fenomeno è prodotto dallo stesso spirito dell’uomo che funge da ‘strumento’, dall’altro lato c’è lo Spirito Santo che lo aiuta a produrre e formare quei concetti, quelle parole, quei ragionamenti veri per cui l’anima (o subconscio) dello strumento li dice a se stesso come se a parlare fosse un’altra persona.
Poiché l’intelletto è raccolto e unito con la verità della cosa a cui pensa, ed anche lo Spirito Santo è unito a lui in essa, come fa sempre in casi simili, ne consegue (chiarisce ancora San Giovanni della Croce) che l’intellettocomunicando in tal modo con lo Spirito divino mediante quella verità - forma nel suo interno insieme e successivamente verità concernenti quella a cui lo spirito dell’uomo pensa, mentre lo Spirito Santo, fattosi Maestro, gliene apre la via e gli comunica la sua Luce.
Questo è infatti uno dei tanti differenti modi con cui lo Spirito Santo insegna.

Un episodio… gustoso.

Al lettore ricordo a questo punto che in Genesi (Gn 27,22) si racconta il colorito e per certi versi divertente episodio in cui Giacobbe, figlio di Isacco, con la colpevole ispirazione e complicità della madre Rebecca riuscì a defraudare il fratello maggiore Esaù della solenne benedizione del padre con annesso conferimento del diritto di primogenitura.
Esaù non era quel che suol dirsi uno ‘stinco di santo’ ma era il primogenito al quale sarebbe dovuto spettare tale diritto. Uomo evidentemente pragmatico e poco sensibile a certe cose e comunque più sensibile ai piaceri della gola e ai morsi della fame, un giorno – rientrato appunto a casa affamato – chiese a suo fratello Giacobbe il piatto di lenticchie che questi stava mangiando. Giacobbe – forse quasi per scherzo - gli domandò in cambio la cessione del suo diritto di primogenitura ma Esaù, probabilmente con una scettica alzata di spalle, accettò lo scambio.
Quando Isacco, figlio di Abramo, ormai molto vecchio e cieco sentì che si stavano avvicinando i giorni della fine, chiamò il primogenito Esaù, lo invitò ad andare a caccia di selvaggina e cucinargli quindi un piatto gustoso, dopodiché egli gli avrebbe impartito formalmente la sua benedizione trasmettendogli  il diritto di ‘primogenitura’.
Esaù prese le sue armi e partì tosto ma Rebecca che tutto aveva ascoltato e che aveva evidentemente una preferenza per il suo figlio minore Giacobbe, chiamò quest’ultimo inducendolo a  trarre in inganno Isacco strappandogli la benedizione sostituendosi a suo fratello.
Gli suggerì di uccidere due capretti del gregge famigliare, glieli cucinò alla grande e lo indusse a portarli al padre fingendosi Esaù e chiedendogli la benedizione.
Giacobbe teneva evidentemente sia alla benedizione che alla primogenitura ma teneva anche alla sua ‘pelle’ per cui recalcitrava all’idea che il padre Isacco scoprisse l’inganno e anziché una benedizione gli lanciasse una maledizione e che poi il fratello Esaù – di mano pesante – completasse il resto.
Rebecca lo convinse però a non preoccuparsi perché – lei lo rassicurò - se ne sarebbe assunta lei ogni responsabilità morale.
Quando Giacobbe le fece allora presente di essere di pelle liscia e che Isacco – come molti non vedenti – avrebbe potuto palparlo per accertarne meglio l’identità, scoprendo così di non trovarsi di fronte il molto peloso Esaù, lei lo tranquillizzò ulteriormente suggerendogli  lo stratagemma di avvolgersi intorno a collo e  mani le pelli dei capretti.
Giacobbe si presentò dunque al Padre con i migliori vestiti di Esaù e, così bardato e per di più con il profumato e saporito arrosto di selvaggina, si finse Esaù.
Isacco era vecchio e cieco ma non ancora del tutto sordo né svanito. Gli parve che il ritorno di Esaù, cucina compresa, fosse stato troppo rapido e che la voce assomigliasse più a quella di Giacobbe che non a quella dell’altro.
Invitò allora il figlio ad avvicinarsi, lo palpò, senti tutta quella peluria e si convinse di essersi sbagliato mormorando fra sé: ‘La voce è quella di Giacobbe ma le mani sono quelle di Esaù…!’. E gli impartì la solenne benedizione.
Quando Esaù tornò con la selvaggina e si presentò dal padre per chiedergli a sua volta la benedizione, Isacco si stupì e gli disse di averglela già data.
Esaù diede in escandescenze ma Isacco rispose che ormai quel che era stato fatto era stato fatto:  benedizione e primogenitura erano state ormai date una volta per tutte a Giacobbe.
Non vi sto qui a raccontare il resto della storia e di come ad un certo punto – morto Isacco - Giacobbe dovette cambiar aria a tutta velocità per sfuggire alla vendetta postuma di Esaù.
Vi ho raccontato l’episodio non solo per rilassarvi dopo tutti questi ‘ragionamenti’ un poco complicati sulle locuzioni ma perché San Giovanni, per spiegare con un esempio come avviene il fenomeno della locuzione soprannaturale interiore e della interazione fra Spirito Santo e spirito dello strumento, dice che in sostanza ‘è come se la Voce fosse quella di Giacobbe e le mani quelle di Esaù’, per significare che la Voce dell’ispirazione che lo strumento sente è quella dello Spirito Santo ma la sua traduzione in parole è quella dello strumento.
Spirito Santo e spirito dello strumento ‘interagiscono’ sostanzialmente insieme.

La ‘manualità’ dello strumento e gli ‘stati alterati di coscienza’.

Ora – aggiungo io – non sempre la spiritualità e la ‘manualità culturale e psicologica’ dello strumento sono all’altezza ed in grado di cogliere esattamente ciò che Dio ispira. Dio è infatti ‘Dio di libertà’ e non ‘violenta’ e non altera la personalità e struttura psichica dello strumento che Egli utilizza ma rispetta.
In casi eccezionali tuttavia – come ad esempio in quello di una Maria Valtorta, offertasi anima-vittima di sofferenza per collaborare al progetto redentivo di Dio – gli strumenti sono fortemente ‘purificati’  e Dio – dopo averli ‘formati’ - li dota di straordinarie doti carismatiche affinché essi possano adempiere meglio all’importante missione che Egli affida loro.
Tuttavia lo strumento ‘normale’ di cui noi stiamo ora parlando dovrebbe almeno vivere una intensa vita di spiritualità e comunione con Dio se vuole comprendere meglio il senso delle sue ispirazioni, altrimenti coglie quello che può meglio che può ma in buona sostanza rischia di non ‘tradurre’ perfettamente quello che ha creduto di avvertire con il suo spirito interiore, come se un velo gli impedisse di vedere più chiaramente. Quando infatti la purificazione non è sufficiente egli non può cogliere sufficientemente la Verità., ma piuttosto bagliori più o meno grandi di Verità.
Non di rado, poi, questi strumenti ‘ricevono’ nel corso di quello che psicanaliticamente viene definito una ‘stato alterato di coscienza’, cioè una sorta di stato ‘ipnoide’. In tale situazione l’autocontrollo da parte dell’io si riduce più o meno totalmente e dall’inconscio possono anche emergere – attraverso le parole o i pensieri dello strumento – anche quelli che la Psicanalisi chiama i suoi ‘contenuti inconsci’, cioè le sue intime convinzioni interiori, convinzioni di cui il suo ‘io’, a livello conscio, potrebbe anche non avere consapevolezza: é’ successo anche a dei santi famosi ai quali Dio non ha impedito di sbagliare.
Ecco dunque come una rivelazione giusta può poi prendere una piega più o meno sbagliata e come – anziché l’Intelligenza dello Spirito Santo - si possa rivelare poi nella ‘locuzione’ quella ben più mediocre e banale dell’uomo.
Uno strumento potrebbe magari dire ‘giusto’ una volta e parzialmente o totalmente sbagliato nella successiva. Il tutto anche in perfetta buona fede.
Ed è la sua evidente buona fede – oltre alle cose giuste dette in precedenza – che può più facilmente trarre in inganno quelli che, anziché seguire con l’orecchio del proprio spirito (purificato) la Parola di Dio, tendono per formazione psicologica e autosuggestione a fare dello strumento un ‘idolo’ bevendo così acriticamente anche delle vere e proprie assurdità per non dire delle eresie.
Non di rado il Demonio non c’entra perché non ha tempo da perdere ed ha altre cose più importanti alle quali dedicarsi e quando vede uno strumento che già da sé si mette sulla strada dell’errore lo lascia fare limitandosi a tenerlo d’occhio da lontano, tanto quello strumento deviato porterà comunque acqua al suo ‘mulino’.

Mai esaltare e mitizzare gli strumenti.

Talvolta lo strumento – sempre supponendo che non sia addirittura in malafede – ha perso il dono della profezia senza nemmeno essersene reso conto, e ciò per orgoglio, superbia o altro ancora, o semplicemente perché la sua ‘missione’ è finita.
Ma egli, abituato ad essere riverito ed esaltato, non sa rinunciare all’idea di rientrare nei ranghi dell’anonimato, finendo così per dare corpo non più alle illuminazioni dello Spirito Santo ma a quelle del proprio subconscio, cioè ai suoi pensieri interiori che egli scambia per ispirazioni di  Dio.
Coloro che ‘mitizzano’ ed esaltano lo strumento non si rendono nemmeno conto del rischio e del danno che gli procurano, e neppure dei suoi cambiamenti in peggio che talvolta sono graduali ed avvengono in maniera impercettibile.
Tutto quanto dice lo ‘strumento’ diventa per essi sempre e comunque ‘Parola di Dio’ dimenticando invece che lo strumento è ‘sasso’ inerte che – attenzione - si anima solamente in quei particolari momenti in cui lo Spirito lo pervade per le esigenze della sua missione: per tutto il resto egli rimane uomo, fallibile, con i suoi pregi e difetti caratteriali.
Ed allora, per ritornare all’argomento iniziale della ‘revisione profetica’, i direttori spirituali degli strumenti devono avere ben presenti questi meccanismi spirituali e  psicologici, mantenere un certo distacco nei confronti dello ‘strumento’, tenendo sotto controllo il suo sistema di vita, la sua spiritualità, la sua umiltà, nonché la sua umanità che – se non gli impedisce di essere strumento – gli può però alla lunga fare perdere il dono per non avere egli saputo usarlo bene e non essersi elevato spiritualmente corrispondendo maggiormente alla grandezza di quanto ricevuto.


1 ‘Ma come è difficile quella vita da ‘carismatico’…’, ne  il ‘Segno del Soprannaturale’ dei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2002

2 San Giovanni della Croce: Opere, Salita del Monte Carmelo, Libro 2, Capp. 11 e seguenti – Postulazione generale dei Carmelitani scalzi, Roma, 1991

3 Opera citata, Cap. 28