LA ‘PASSIONE’ DI MEL GIBSON E QUELLA DEL POPOLO EBRAICO


Quando nei mesi scorsi uscì il film ‘La Passione’ di Mel Gibson, andai a vederlo ed ebbi la tentazione di scrivere la ‘mia’, ma l’esplosione di polemiche prima della proiezione ufficiale nelle sale e dopo la stessa, mi avevano fatto capire che era ancora troppo presto – anche per me - per toccare un tema che sollevava ‘passioni’ di tipo ben diverso, cioè ideologiche, da un lato come dall’altro.
Gesù si è insomma dimostrato ancora una volta – come detto nei vangeli – strumento di contraddizione che avrebbe rivelato il ‘segreto’ del cuore degli uomini costringendoli a ‘collocarsi’ a favore o contro.
Difficile allontanare dal proprio spirito il dèmone della ideologia e dell’odio.
L’ateo intellettuale illuminista non crede nella divinità di Gesù, non di rado da lui considerato un semplice uomo di grande levatura morale al quale i primi cristiani avrebbero però appiccicato il ‘carisma’ di un ‘dio’, oppure considerato come un personaggio mai esistito al quale sarebbe stata data la ‘figura’ di un  uomo mitico.
Taluni ‘talk show’ televisivi sul film ci hanno mostrato un campionario di alcuni intellettuali che non potevano che essere prevenuti ed infastiditi verso l’opera di Mel Gibson che di Gesù attesta la divinità. Poiché però non potevano ammettere il loro pregiudizio, in quanto ‘politicamente scorretto’, finivano per criticare l’opera attaccandosi a ‘dettagli’, come il supposto eccesso di violenza, l’eccesso di torture, il sangue sparso a profusione che traumatizza gli adulti, senza naturalmente preoccuparsi del sangue a profusione, efferatezze e assassinii che sovrabbondano tutte le sere sugli schermi delle nostre televisioni, sangue ed efferatezze che traumatizzano i bimbi sulle quali si guardano bene dall’inarcare il loro aristocratico sopracciglio.
Le organizzazioni ebraiche criticavano e temevano dal film il rischio di una escalation di conseguenze negative  da parte di chi avrebbe cercato di ‘strumentalizzare’ in chiave ideologica anti-ebraica un’opera cinematografica come quella che in realtà – a mio avviso e prescindendo dal giudizio tecnico che essa fosse bene o male realizzata – si proponeva uno scopo solo di apostolato e di testimonianza.
Premetto che per uno come me che la Passione di Gesù l’ha vissuta attraverso la meditazione delle visioni della mistica Maria Valtorta, è difficile ‘entusiasmarsi’ per qualsiasi altra ‘Passione’ raccontata da altri, sia pur bravi. Ma se – fra i tanti pareri – ne dovessi esprimere uno mio sul film, direi che una mia critica ‘costruttiva’ debba riguardare non tanto la  rappresentazione visiva delle torture e del sangue - forse sembrate eccessive ma non certo irreali perché una flagellazione (e non una semplice ‘fustigazione’) a quei tempi era una vera flagellazione dove il sangue correva a fiumi, e una crocifissione rimane sempre una crocifissione.
Rimpiango invece  il fatto che della sofferenza di Gesù ne sia stata data solo l’immagine esteriore, senza tentare un approfondimento psicologico delle sue sofferenze morali e soprattutto spirituali, né tantomeno valorizzare – nonostante la possibilità data dagli ‘effetti speciali’ che non sono mancati nel film - la sua sfolgorante immagine di Uomo-Dio Risorto che, rispetto alla potenza espressiva e di immagini che emerge dalle visioni valtortiane e che è facilmente intuibile dai Vangeli, nel film rimane sottodimensionata.
Insomma, il film ci ha fatto vedere soprattutto l’Uomo ma non sufficientemente il Dio che pur era dentro di Lui.
Le sofferenze morali e spirituali del Gesù della Passione – che ho trattato più a fondo in altra occasione1- sono in linea di massima sottovalutate se – come sentii una volta dire mestamente al Gesù valtortiano – i migliori dei suoi fedeli si soffermano un poco solo su quelle fisiche.

Quel ‘Sangue’ di Gesù troppo invocato…

 

Un altro aspetto che riguarda il film è la cancellazione postuma dal testo ‘ufficiale’ della famosa frase storica, citata dai Vangeli, dei Capi dei Giudei (attenzione, dico i ‘capi’ e non il popolo nella sua generalità) di fronte a Pilato. Questi tentennava e non voleva condannarlo a morte, ricorrendo alla fine al gesto plateale di lavarsi le mani di fronte a tutti per significare che morte fosse pure ma per volontà degli altri, perché egli – personalmente - non avrebbe voluto averle sporche del sangue di quel ‘giusto’.
Ritengo opportuna quella cancellazione, anche se dovuta a pressioni e opportunità ‘politiche’ del resto comprensibili.
Questo però non deve far dimenticare a noi cristiani credenti che i Vangeli sono Parola del Signore, e che in essi vi è la Verità.
 I Capi e i Sacerdoti avevano urlato a gran voce che Pilato non se ne preoccupasse e che la ‘responsabilità’ se la sarebbero assunta loro, e che quel sangue ricadesse pure su di loro e sulla testa dei loro figli.
Nell’ottica cristiana questa si può considerare come una bestemmia contro lo Spirito Santo: il massimo della sfida a Dio!
Pochi anni dopo, nel 70 d.C., Israele – guidata da un preteso Messia di guerra – si ribellerà al dominio romano. Giuseppe Flavio, storico ed ex ufficiale delle truppe ebraiche poi catturato e ‘convertitosi’ al potere imperiale, racconta che – colta di sorpresa dalle legioni romane durante le festività pasquali e intrappolata a Gerusalemme una moltitudine enorme giunta da tutto Israele e dalla Diaspora - dopo quell’assedio durato alcuni anni furono un milione i morti e furono solo centomila i sopravvissuti ai combattimenti, agli stenti, alle epidemie e alla fame.
E fu allora che Roma – per tagliare la testa al toro, cioè a quegli indomiti ribelli che non accettavano il suo giogo – ne decretò l’espulsione per sempre dalla Palestina con divieto assoluto di rientrarvi.
Fu l’inizio della Dispersione nel mondo, quella che dura ancor oggi, mitigata dalla ricostituzione nel 1948 dello Stato di Israele, anche a compensazione morale dello sterminio di quei sei milioni della Shoah, nei campi nazisti della seconda guerra mondiale.
Il famoso splendido Tempio – nel quale si erano asserragliati gli ultimi strenui difensori zeloti - andò a fuoco per circostanze fortuite ed il comandante delle legioni romane distrutto ormai il Tempio, vero capolavoro che meritava di essere salvato, disse che non vi era più alcuna ragione che vi sopravvivessero quei sacerdoti che avevano fomentato la rivolta ed ora chiedevano grazia, e li fece passare tutti per le armi.
La storia di Israele contiene tutti gli ingredienti della tragedia greca, e non possiamo non rimanere stupefatti di fronte a questo popolo intelligente che ha dato all’Umanità geni scientifici  e uomini di arte e cultura che – dopo duemila anni – ancora tribola in cerca della sua antica patria che, seppur ritrovata, lo è solamente in embrione - sotto il profilo della sicurezza collettiva e territorialmente parlando - rispetto a quella di duemila anni fa, quando addirittura gli ebrei di allora aspettavano con ansia non un Messia d’Amore ma un ‘politico’, una sorta di Re, un Messia Condottiero che, unto dal Signore, avrebbe dominato i popoli nemici costituendo il Regno di Israele sul mondo intero.
Non posso – a proposito del sogno sul Regno mondiale di Israele degli ebrei di allora, ma anche di alcuni di oggi – non ripensare ad un episodio dell’Opera valtortiana.
Esso si colloca temporalmente pochi giorni prima della Passione quando Gesù – sapendo che ormai i tempi erano compiuti – si dirige alla volta di Gerusalemme informando però i suoi apostoli che di lì a poco sarebbe stato consegnato nelle mani dei  Sacerdoti e degli scribi che lo avrebbero condannato a morte e consegnato ai ‘Gentili’ perché lo schernissero, flagellassero e crocifiggessero (Mt 20,17-18). Era a Gerico - ospite della discepola ‘Niche’, la famosa Veronica dell’episodio di quel velo offerto al Volto di Gesù lungo la via del Calvario narrato dalla Tradizione - sulla strada che conduce, in una trentina di chilometri, a Gerusalemme. Quattro personaggi, dal volto coperto per non farsi riconoscere dagli apostoli, lo avvicinano in segreto per informarlo che qualcuno del suo seguito lo sta tradendo. Gesù li ringrazia, gli fa capire che egli conosce già la sua sorte, spiega loro il significato di alcune Scritture e li congeda.

Il Regno mondiale che Israele sperava…e la profetessa Sabea

 Il giorno dopo - all’alba, mentre Gesù passeggia solitario fra gli alberi di un frutteto - i quattro lo avvicinano di nuovo, questa volta col viso scoperto, e gli si presentano uno ad uno. Essi vogliono dirgli che il traditore è Giuda, che questi si è già messo d’accordo con i Sacerdoti del Tempio, e lo scongiurano di non recarsi per la Pasqua a Gerusalemme.
Gesù li ringrazia e…contraccambia con un altro consiglio: che essi abbandonino con le loro famiglie, figli e nipoti, la città di Gerusalemme perché di essa non rimarrà una sola pietra intatta e la distruzione non sarà solo per la città ma per tutta la loro Patria che sarà ridotta ad una spelonca. E non per uno o più anni, ma per sempre. Ecco la sorte di queste terre, continua il Gesù delle visioni valtortiane di 2000 anni fa: esse diventeranno campo di contese, sogno di ricostruzione della Patria sempre distrutto da una condanna inesorabile. Tentativi di ricostruzione spenti sul nascere, perché questa sarà la sorte della terra – continua ancora il Gesù valtortiano – che respinse il Salvatore e volle sopra di sé una ‘rugiada’ che se è salvezza per i giusti è anche fuoco sui colpevoli.
Quella della ‘rugiada’, che scendendo sulle piante di notte dà loro vita, è una chiara ma velata allusione a quella futura frase sul ‘sangue’ di Gesù che ha redento l’Umanità ma si è rivelato condanna per i colpevoli che lo avevano invocato. I quattro rimangono allibiti e balbettando chiedono allora se il tanto atteso Regno di Israele, il Regno sul mondo predetto dai profeti, non  si sarebbe più realizzato. Ad uno dei presenti - Gioele,  che Gesù aveva riconosciuto avendolo già precedentemente incontrato - Gesù chiede se si ricorda ancora della  profezia di Sabea. 2
Sabea era una donna sulla quarantina - avvenente e casta, doti queste spesso difficili da conciliare – ma soprattutto ‘profetessa’ il che ci fa certi della sua onorabilità. Come tutti i profeti veri diceva però delle cose scomode e gli scribi preferivano considerarla una indemoniata.
Sabea sosteneva di non conoscere personalmente il Messia ma di averlo veduto in visione. Gli scribi, mostrandole tre apostoli che somigliassero a Gesù e facendole credere che uno di essi fosse il Messia, speravano di sbugiardarla come falsa profetessa nel caso lei avesse indicato il Messia in uno dei tre ma speravano in cuor loro di sbugiardare Gesù come falso Messia se lei – dopo non aver riconosciuto il Messia in uno dei tre - non lo avesse neanche riconosciuto quando lui fosse dopo sopraggiunto in incognito, confuso fra gli altri apostoli. Poiché fra gli scribi ve ne erano alcuni in buona fede, Gesù – per farli certi  sulla sua natura messianica e convertirli – si presta all’esperimento. Sabea non riconosce Gesù fra i tre ma riconosce, fra i tanti, Gesù quando arriva il numeroso gruppo apostolico.
Caduta di colpo in estasi, Sabea comincia a profetare fra gli sguardi attoniti dei presenti testimoniando la divinità di Gesù. E’ una stupenda profezia di alta poesia e grande bellezza letteraria che celebra le lodi di Maria, la Vergine castissima che nel suo seno aveva accolto il Figlio di Dio sceso in terra per redimere gli uomini, ma poi la profezia termina con una tremenda allusione ad Israele.
Sabea vede infatti in visione e descrive la scena della condanna a morte di Gesù, sente l’urlo bestiale della folla che grida a Pilato – che non voleva sporcarsi le mani di quel sangue di giusto - di liberare Barabba e che il sangue di Gesù ricadesse pure su di essa, un Sangue – dice Sabea - che però non grida vendetta ma Pietà al Padre per l’Umanità intera, ma Sangue anche che per quelli di Israele sarà Fuoco, anzi ‘scalpello che scrive sui figli di Giacobbe il nome di deicidi e la maledizione di Dio…’.
Sabea – sempre in estasi – termina poi, stanca e dolente, con queste parole:

‘Era venuto a portarti la pace. E guerra gli hai dato… Salute. E tu lo hai schernito…  Amore. E lo hai odiato… Miracolo. E lo hai detto demonio… Le sue mani hanno guarito i tuoi malati. E tu le hai trafitte. Ti portava la Luce. E tu hai coperto di sputi e lordure il suo volto. Ti portava la Vita. E tu gli hai dato la morte.
Israele, piangi il tuo fallo e non imprecare al Signore mentre vai verso il tuo esilio, che non avrà termine come quelli di un tempo. Tutta la terra scorrerai, Israele, ma come popolo vinto e maledetto, inseguito dalla voce di Dio, e con le stesse parole dette a Caino.
E qui non potrai tornare a ricostruire un solido nido se non quando riconoscerai con gli altri popoli che questo è Gesù, il Cristo, il Signore Figlio del Signore…
Sabea  non prevede dunque un ‘Regno mondiale’ ma solo un ‘solido nido’ per Israele, cioè una piccola Patria sicura solo quando avrà riconosciuto con gli altri popoli che Gesù era il Cristo, il Figlio di Dio: vale a dire quando Israele si sarà convertito.
Quella conversione di Israele, cioè, che San Paolo – il più grande ispirato del Nuovo Testamento - in una delle sue lettere dà per scontata per rivelazione da lui ricevuta e che si realizzerà ad un certo punto della storia.
Concludo – a scanso di equivoci - con una mia personale opinione.
Il popolo ebraico non fu responsabile, in quanto popolo inteso nella sua generalità, di quello che per noi cristiani - che crediamo nella divinità di Gesù - fu un ‘deicidio’, ma responsabili lo furono i capi politici che, in quanto ‘capi politici’ della Nazione, invocarono non solo sopra se stessi ma sui loro discendenti il suo Sangue coinvolgendo così – politicamente parlando – la Nazione che, in quanto Nazione ne ha poi subito le conseguenze.3 I discendenti - non ‘deicidi’ ma vittime di espiazione - sono stati quindi vittime innocenti ed in quanto tali, individualmente, ancor più degne della salvezza.
Cancelliamo una volta per tutte l’associazione di questo termine ‘deicida’ al popolo ebraico attuale.
Fu dunque un Dio ingiusto quello che ne permise le conseguenze?
Non più ingiusto di quello del Peccato originale che – privilegiando il bene assoluto della Libertà dei Primi Due, bene che è anche Dignità - permise loro di sbagliare anche se i discendenti ne subirono le conseguenze, salvo poi incarnarsi per redimerli con la sofferenza di un ‘Dio’.
Anche i discendenti di Israele – incolpevoli - hanno dunque subito le conseguenze politiche delle azioni dei Capi  politici di allora, grazie però soprattutto alla malvagità degli uomini che sanno odiare e uccidere molto bene prendendo a pretesto anche motivi religiosi.
Come la storia di oggi insegna.


1 G.L.: ‘”I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. IV° - Ed. Segno, settembre 2004

2 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VIII, Cap. 525 – Centro Ed. Valtortiano

3 G.L.: ‘Su questo tema vedi anche – dell’autore – ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 92: ‘Il peccato e la condanna di Israele’ – Ed. Segno. 1997