(La Sacra Bibbia – Il Vangelo di Matteo – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX, Cap. 580 – Centro Ed. Valtortiano)

9. Non una pietra di Gerusalemme rimarrà intatta. E spelonca diverrà la Città santa, e non essa sola... Spelonca questa Patria nostra… E non per uno o più anni, o per secoli, ma per sempre
Ecco la sorte di questa terra! Campo di contese, luogo di torture, sogno di ricostruzione sempre distrutto da una condanna inesorabile. La sorte della Terra che respinse il Salvatore e volle una rugiada che è fuoco sul colpevole…

 

Mt 20, 17-18:
Poi Gesù, stando per salire a Gerusalemme, prese in disparte i Dodici e, strada facendo, disse loro: «Ecco, saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei Sacerdoti e degli Scribi.
Essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai Gentili, perché lo scherniscano, flagellino e crocifiggano, ma il terzo giorno risorgerà.

Mt 20, 20-28:
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualche cosa.
«Che vuoi?» le domandò.
Ella rispose: «Ordina che questi due miei figli siedano uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra, nel tuo regno».
Gesù rispose: «Non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che dovrò bere io?».
Gli risposero: «Lo possiamo».
Disse loro: «Sì, berrete il calice mio, però sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma è per quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio».
I dieci, avendo sentito questo, si indignarono contro i due fratelli. Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «Voi sapete che i Capi delle nazioni le governano da padroni e i grandi esercitano il potere sopra di esse. Ma tra voi non sarà così; al contrario chi vorrà tra voi diventare grande, sarà vostro servo; e chi vorrà tra voi essere primo, sarà vostro schiavo, sull’esempio del Figlio dell’uomo che non venne per essere servito, ma per servire e a dar la sua vita in riscatto per molti».

Mt 20, 29-34:
Nell’uscire da Gerico, una gran folla lo seguì: ed ecco, due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava Gesù, si misero a gridare: «Signore, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
La folla li sgridava per farli tacere, ma quelli gridavano più forte: «Signore, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
Allora Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che vi faccia?».
«Signore, gli risposero, che si aprano i nostri occhi!».
Mosso a pietà, Gesù toccò loro gli occhi e subito recuperarono la vista e lo seguirono.


9.1 La risurrezione di Lazzaro e l’inizio degli ultimi mesi di Passione.

Con il capitolo precedente - nel periodo invernale corrispondente al nostro dicembre - è dunque terminato il terzo anno di vita pubblica di Gesù, anno inteso in senso solare perché, dal punto di vista del numero complessivo dei mesi trascorsi, il terzo anno terminerà con la Pasqua di Passione, così come era cominciato tre anni prima in prossimità di una Pasqua, con quel battesimo di Gesù al Giordano ad opera di Giovanni Battista.
In questi tre anni Gesù ne ha fatto di strada, non solo metaforicamente ma anche praticamente battendo tutte le vie percorribili di Israele.
Anche noi - ma noi, sì, solo metaforicamente - abbiamo fatto tanta ‘strada’ rivivendo con il Gesù dei Vangeli e con quello valtortiano una serie di episodi scelti da me per voi in funzione di una sorta di mia estemporanea catechesi, una ‘catechesi’ da ‘laico’, anzi una catechesi ragionata da parte di un razionalista che si rivolge a dei razionalisti come lui, a gente cioè che vuole farsi una ‘ragione’ quando viene loro chiesto di ‘credere’.
Ora – giunti anche noi in prossimità della vetta – dobbiamo predisporci all’assalto finale.
E’ ora da poco iniziato il nuovo anno, e siamo dunque ancora nel bel mezzo di un freddo inverno sul cui sfondo si intravvede però la prossima Pasqua di Passione.
In questo periodo perdura ancora il silenzio dei sinottici e dobbiamo quindi chiedere soccorso al grande Giovanni e, soprattutto, al ‘piccolo’ Giovanni.
E’ infatti Giovanni che ci parla di Lazzaro e delle sue sorelle Marta e Maria.
L’Evangelista, come al solito, dà dei fatti una versione essenziale, che noi possiamo però completare – pur tenendoci ‘essenziali’ anche noi – con le informazioni che ci giungono dalla mistica.
Questa fase temporale della predicazione di Gesù l’ho già trattata in maniera più approfondita.1
Qui mi limiterò pertanto ad alcuni cenni di raccordo, in vista di riallacciarmi alla narrazione dei sinottici che riprenderà poco tempo prima della Pasqua.
Lazzaro, figlio di Teofilo, era un personaggio molto stimato in tutta Israele, ricchissimo.
Teofilo aveva ricoperto importanti cariche pubbliche al servizio di Roma che ora – dopo la sua morte di qualche anno prima – era rimasta potente ‘amica’ anche del figlio Lazzaro.
Lazzaro era stato presentato a Gesù dall’apostolo Simone lo Zelote, detto anche il ‘lebbroso’ perché era stato affetto da una malattia della pelle scambiata per lebbra.
Gesù lo aveva però guarito e Simone per riconoscenza lo aveva seguito divenendo suo apostolo.
Simone aveva una casa a Betania, proprio adiacente alla dimora con relativa  tenuta agricola di Lazzaro.
Il gruppo apostolico soleva appoggiarsi spesso a questa casa di Simone quando veniva a Gerusalemme, posto che il villaggio di Betania era a pochi chilometri dalla capitale.
Lazzaro era fratello di Marta e di Maria, la quale ultima altri non è che la famosa  ‘Maddalena’ dei vangeli, quella presentata come posseduta da sette demoni, detta anche Maria di ‘Magdala’, cittadina questa che era situata sul Lago di Tiberiade dove lei possedeva una splendida villa.
La Maddalena, bellissima e dall’animo puro finché era stata giovane, si era - come suol dirsi - ‘rovinata col crescere’.
Divenuta spregiudicata e di liberi costumi, era diventata la pietra dello scandalo della onorata famiglia ‘Lazzaro’. Ma poi, dopo aver visto e sentito parlare una volta Gesù in casa di suo fratello, aveva cominciato un difficile e sofferto cammino di conversione.
Un giorno – per non farsi riconoscere - si era nascosta in mezzo alla folla che ascoltava  Gesù predicare.
A Gesù – che come ho più volte detto era Verbo – la cosa non era però sfuggita.
Egli aveva infatti già promesso tempo prima a Lazzaro ed a Marta che – per la loro fede - avrebbe fatto loro il dono spirituale della  conversione di Maria ed allora – sul momento e senza mostrare di aver veduto la Maddalena – Gesù si inventa la parabola della pecorella smarrita.
Nel Vangelo valtortiano è un racconto splendido e toccante che farebbe piangere anche il più rude dei montanari.
Non ve la posso raccontare perché ne ho già scritto altrove salvo dirvene qui in estrema sintesi la trama.
Un ‘Pastore’ (che è Dio…) si era accorto che una ‘pecorella’ lo aveva lasciato. Quanto Egli l’amava… Era giovane, pura, candida, come nuvola in cielo d’aprile. Il Pastore la guardava con tanto amore, pensando a quanto bene poteva ad essa fare e quanto amore riceverne. Ed essa lo aveva abbandonato…
Il Pastore lascia allora al sicuro  le altre sue novantanove pecore e parte in cerca di quella, sperdutasi fra balze impervie, rettili pericolosi e boschi con erbe velenose.
Alla fine la trova stanca, ammalata, ferita, avvilita…, non la rimprovera ma anzi la copre di tenerezze per la gioia di averla ritrovata, se la prende fra le braccia e la riporta al sicuro nel suo Ovile.
La parabola nella sua versione integrale, credetemi, era veramente toccante, e la Maddalena dentro al cuore se l’era sentita ‘applicata’ a sé.
Si era sentita come quella ‘pecorella’, ma soprattutto aveva sentito dalle parole di quel ‘profeta’, che si diceva Figlio di Dio, tutto l’Amore di Dio anche per lei, peccatrice.
Alla Maddalena, la mia donna preferita, ho dedicato pagine e pagine.2
Preferita non tanto perché fosse peccatrice e bella – il che potrebbe farmi sentire legato a lei da un vincolo di complice solidarietà – ma perché di grande personalità, carattere forte, indomito, coraggioso, determinata fino in fondo nel seguire, da convertita, il suo Gesù.
In certi film rievocativi del Vangelo, dove tutto si trova fuorché il Vangelo, la Maddalena è stata presentata come la ‘passione’ segreta di un Gesù solo uomo. Sciocchezze!
In realtà l’unica ‘passione’ che la Maddalena aveva era quella per il Dio che aveva creato la sua anima  e l’aveva poi redenta da una vita di peccato di cui ella anche dopo continuava a vergognarsi amaramente.
In previsione della morte di Gesù, lei gli chiederà di dargli il dono di anima vittima di corredenzione, e Gesù glielo concederà con quello della contemplazione, vittima d’amore.
In una visione della Valtorta, riportata nei suoi ‘Quaderni’, la vedremo morire molti anni dopo in una grotta spoglia in Francia, dove la Tradizione dice che vi si fosse recato anche suo fratello Lazzaro, avendo essi – credo – abbandonato Israele con molti altri cristiani, apostoli e discepoli per diffondere il cristianesimo nelle terre pagane dopo le prime persecuzioni anticristiane in Giudea.
Maddalena vi si era ritirata in preghiera, penitenza, e contemplazione, ancora bella anche se di una bellezza ormai sfiorita.
Lei è ormai allo stremo ma il suo pensiero è sempre rivolto al suo Gesù di tanti anni prima.
Gesù le si materializza all’improvviso davanti con il suo Corpo glorificato.
Egli - dopo averle detto di essere venuto per portarle l’ultimo abbraccio prima della sua morte in ricordo riconoscente di tutto l’amore che lei gli aveva dato in vita e in contraccambio dell’unzione che lei aveva fatto a Lui a Betania, il sabato prima della sua Morte - le dice pure che di lì a poco Egli l’avrebbe accolta personalmente nel suo Regno, una volta varcata la soglia dell’Aldilà.
Gesù scompare e lei muore in estasi, sul suo povero giaciglio, beata, dopo che un Angelo le è apparso per darle l’Eucarestia.
Tornando a Lazzaro, questi non faceva mancare a Gesù denaro ed ospitalità, oltre che protezione ‘politica’, specie quando l’aria diventava incandescente.
I capi dei giudei lo sapevano ma sopportavano a denti stretti, ben conoscendo quanto Lazzaro fosse influente ed ascoltato a Roma.
Il popolo stimava ed amava Lazzaro che – con tutti i possedimenti e le varie attività economiche - dava lavoro a tanta gente ed altrettanta ne beneficava.
Ora però Lazzaro è gravemente ammalato. Una sua vecchia malattia alle gambe, una sorta di ulcera inguaribile, lo sta minando inesorabilmente avvelenandogli il sangue.
Le forze lo hanno abbandonato, non riesce più a nutrirsi e la morte si avvicina a grandi passi, mentre le due sorelle lo assistono sperando in un ritorno di Gesù.
Ma Gesù, dopo gli ultimi tentativi di lapidazione ed arresto a Gerusalemme, aveva dovuto ritirarsi in una lontana località sperduta nella campagna dove si tratteneva con gli apostoli in attesa che le acque si calmassero.
Ricorderete che, in uno dei capitoli precedenti, a quei farisei che contestavano la sua messianicità e che chiedevano un segno inoppugnabile della sua divinità - come ad esempio resuscitare un corpo disfatto, cioè morto da vari giorni  -  Gesù aveva promesso che di segni ne avrebbe dato due: quello di un corpo disfatto che sarebbe stato resuscitato come essi volevano, e quello di un Corpo che si sarebbe risuscitato da se stesso.
Quelli ovviamente non avevano capito l’allusione, ma Gesù intendeva mantenere fede alla promessa.
Così, quando le due sorelle mandano un messo ad avvisare Gesù che Lazzaro sta morendo, che era come dirgli ‘Corri subito da noi e guariscicelo…’, Gesù se la prende comoda e solo dopo altri due giorni lascia la casa che lo ospita e con gli apostoli si mette in cammino alla volta di Betania (Gv 11, 5-16), dove giunge al quarto giorno dalla morte e sepoltura di Lazzaro.
Giovanni racconta magistralmente l’episodio della risurrezione che anch’io ho già commentato altrove.
Gesù aveva consentito la morte del suo più caro amico per dare gloria a Dio con un miracolo strepitoso e per convincere anche i più ciechi ed increduli della sua divinità.
Ma non c’è peggior cieco di quello che non vuol vedere e, come racconta Giovanni, questo miracolo sarà anzi la goccia che farà traboccare il vaso della bile dei capi giudei i quali riuniranno in gran fretta il Sinedrio per deliberare la condanna a morte di Gesù prima che – proprio a causa di un miracolo siffatto – Egli diventi tanto stimato e potente presso il popolo da non consentirne più l’eliminazione.
Gesù era sempre in giro per le sue predicazioni mentre si avvicinava intanto sempre più la Pasqua (Gv 11, 55-57).
Il Tempio aveva intanto sguinzagliato emissari un poco ovunque per individuarlo e segnalare alle milizie dove trovarlo, per arrestarlo.
E’ a questo punto che – dopo tanto silenzio – i tre sinottici riprendono il filo della loro narrazione.
Luca (Lc 9, 51-56) dice che è Gesù che muove Egli stesso alla volta di Gerusalemme.
E’ in questa occasione che avviene l’episodio del giovane ricco che voleva la ricetta per entrare nel Regno dei Cieli, salvo accorgersi – dalla risposta di Gesù - che era piuttosto ‘amara’.
Ed è pure qui che Matteo (Mt 20, 17-19), ma con lui anche Luca e Marco, mostra Gesù che dà agli apostoli una ulteriore conferma della sua imminente cattura, crocifissione e risurrezione.
Nella visione della mistica si vede il gruppo apostolico in cammino, gli apostoli davanti, mentre Gesù li segue distanziato di qualche metro conversando con delle discepole.
La discussione, avanti, è animata e si capisce che Giuda Iscariota è sempre più indisponente e che gli altri fan fatica a sopportarlo.
Gesù pare non sentire, ma poco dopo lascia le donne indietro, si fa avanti in mezzo agli apostoli, li invita ad allungare il passo per non farsi ascoltare dalle donne e…3

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La presenza di Gesù tiene ferma ogni lingua. E’ solo Lui che parla, dicendo con una calma veramente divina: «Venite avanti un poco. Che le donne non sentano. Ho da dirvi una cosa da qualche giorno. Ve l'ho promessa nelle campagne di Tersa. Ma volevo ci foste tutti a sentirla. Tutti voi. Non le donne. Lasciamole nella loro umile pace…In quello che vi dirò sarà anche la ragione per la quale Marziam non sarà con noi, e non tua madre, Giuda di Keriot, e non le tue figlie, Filippo, e non le discepole di Betlemme di Galilea con la fanciulla. Vi sono cose che non tutti possono sopportare. Io, Maestro, so cosa è bene per i miei discepoli e quanto essi possono o non possono sopportare. Neppur voi siete forti per sopportare la prova. E grazia sarebbe per voi esserne esclusi. Ma voi dovrete continuarmi e dovete sapere quanto siete deboli per essere in seguito misericordiosi con i deboli. Perciò voi non potete essere esclusi da questa tremenda prova, che vi darà la misura di ciò che siete, di ciò che siete restati dopo tre anni che siete con Me e di ciò che siete divenuti dopo tre anni che siete con Me. Siete dodici. Siete venuti a Me quasi contemporaneamente. Non sono i pochi giorni che vanno dal mio incontro con Giacomo, Giovanni e Andrea, al giorno nel quale anche tu sei stato accolto fra noi, Giuda di Keriot, né a quello che tu, Giacomo fratello mio, e tu, Matteo, siete venuti con Me, quelli che possano giustificare tanta differenza di formazione fra voi. Eravate tutti, anche tu, dotto Bartolmai, anche voi, fratelli miei, molto informi, assolutamente informi rispetto a quanto è formazione nella mia dottrina. Anzi, la vostra formazione, migliore a quella di altri fra voi nella dottrina del vecchio Israele, vi era di ostacolo al formarvi in Me. Eppure, nessuno di voi ha percorso tanta strada quale sarebbe stata sufficiente a portarvi tutti ad un unico punto. Uno lo ha raggiunto, altri vi sono vicini, altri più lontani, altri molto indietro, altri... sì, devo dire anche questo, in luogo di venire avanti sono arretrati. Non vi guardate! Non cercate fra voi chi è il primo e chi è l'ultimo. Colui che, forse, si crede il primo ed è creduto primo, ha ancora da saggiare se stesso. Colui che si crede ultimo sta per risplendere nella sua formazione come una stella del cielo. Perciò, una volta di più, vi dico: non giudicate. I fatti giudicheranno con la loro evidenza. Per ora non potete capire. Ma presto, molto presto ricorderete queste mie parole e le capirete».
«Quando? Ci hai promesso di dirci, di spiegarci anche perché la purificazione pasquale sarà diversa quest'anno, e non ce lo dici mai», si lamenta Andrea.
«E’ di questo che vi ho voluto parlare. Perché tanto quelle parole che questa sono un'unica cosa, avendo radice in un'unica cosa. Noi, ecco, stiamo ascendendo a Gerusalemme per la Pasqua. E là si compiranno tutte le cose dette dai profeti riguardo al Figlio dell’Uomo. In verità, così come videro i profeti, come già è detto nell'ordine dato agli ebrei di Egitto, come fu ordinato a Mosè nel deserto, l'Agnello di Dio sta per essere immolato e il suo Sangue sta per bagnare gli stipiti dei cuori, e l'angelo di Dio passerà senza percuotere coloro che avranno su di loro, e con amore, il Sangue dell'Agnello immolato, che sta per essere innalzato come il serpente di prezioso metallo sulla barra trasversa, ad essere segno ai feriti dal serpente infernale, per essere salute a coloro che lo guarderanno con amore. Il Figlio  dell'uomo, il vostro Maestro Gesù, sta per essere dato nelle mani dei principi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai gentili perché venga schernito. E sarà schiaffeggiato, percosso, sputacchiato, trascinato per le vie come un cencio immondo, e poi i gentili, dopo averlo flagellato e coronato di spine, lo condanneranno alla morte di croce propria dei malfattori, volendo il popolo ebreo, radunato in Gerusalemme, la sua morte al posto di quella di un ladrone, ed Egli sarà così ucciso. Ma, così come è detto nei segni delle profezie, dopo tre giorni risorgerà. Questa la prova che vi attende. Quella che mostrerà la vostra formazione. In verità vi dico, a voi tutti che vi credete tanto perfetti da sprezzare quelli che non sono d'Israele, e anche da sprezzare molti dello stesso popolo nostro, in verità vi dico che voi, mia parte eletta del gregge, preso il Pastore, sarete percossi da paura e vi sbanderete fuggendo, quasi che i lupi, che mi azzanneranno da ogni parte, fossero contro di voi rivolti. Ma, ve lo dico: non temete. Non vi sarà torto un capello. Basterò Io a saziare i lupi feroci ... ».
Gli apostoli, man mano che Gesù parla, sembrano creature sotto un grandinare di pietre. Si curvano persino, sempre più mano a mano che Gesù parla.
E quando Egli termina: «E quanto vi dico è ormai imminente. Non è come le altre volte, che del tempo era davanti all’ora. Adesso l'ora è venuta. lo vado per essere dato ai miei nemici e immolato per la salute di tutti. E questo bocciolo di fiore non avrà ancora perduto i suoi petali, dopo esser fiorito, che Io sarò già morto», chi si ripara il volto con le mani e chi geme come se venisse ferito.
L'Iscariota è livido, letteralmente livido...

9.2 Una profezia ‘velata’ e… ripetitiva.

Pensate voi che quest’ultima ulteriore conferma di Gesù agli apostoli sulla sua Passione sia stata sufficiente a chiarire una volte per tutte che il Suo Regno non era di questo mondo?
Neanche per sogno se, poco dopo, Giacomo e Giovanni di Zebedeo spediscono la madre, Maria Salome - che in quel viaggio a Gerusalemme faceva parte del seguito delle discepole - a chiedere a Gesù di riservare loro un paio di ‘poltrone’, una alla destra e una alla sinistra del futuro trono del Re di Israele.
Gli apostoli, ancora molto umani nonostante tre anni di ‘servizio’ al seguito di Gesù, rifiutavano infatti inconsciamente quell’idea della morte, la giudicavano sostanzialmente una sua idea ossessiva, una sorta di timore infondato che finivano per attribuire ad una visione pessimistica di Gesù, troppo ‘esaurito’ dalle stanchezze della predicazione.
Essi pensavano che essendo Egli il Figlio di Dio, certo Dio non avrebbe permesso che gli fosse fatto del male.
Essi sapevano infatti che se era pur vero che vi erano tanti nemici, vi era anche tanta gente che invece amava Gesù e che avrebbe saputo impedire l’azione dei malvagi.
E poi c’erano anche loro, no?
Essi conoscevano poco la psicologia delle masse e la potenza stessa di Satana, e non potevano immaginare che nel momento fatidico essi stessi sarebbero fuggiti, che i ‘buoni’ del popolo se ne sarebbero stati pavidi e rintanati nelle loro case e che i ‘cattivi’ si sarebbero invece scatenati in piazza dando libero sfogo al peggio di se stessi.
Il gruppo apostolico giunge intanto a Gerico, distante una trentina di chilometri da Gerusalemme, ospiti della discepola Niche.
Mancano pochi giorni alla Pasqua.
Lì il Gesù valtortiano colloquia con quattro personaggi, notabili suoi fedeli, che gli si sono fatti incontro per informarlo che qualcuno del suo seguito lo tradisce e che a Gerusalemme tutto è pronto per il suo arresto, pronti perfino i capi di imputazione della Pubblica Accusa: violare la Legge e i sabati, difendere  pubblicani e meretrici, liberare indemoniati ricorrendo all’aiuto di Belzebù o ad artifici di magia nera, odiare il ‘Tempio’ e volerne la distruzione, amare i samaritani più dei giudei...
‘Ti si accusa – dicono infatti i quattro a Gesù – che tanto li ami da sempre dire: ‘Ascolta, Israele’, anziché dire:‘Ascolta Giuda’. E che non puoi rimproverare Giuda…
La Samaria aveva fatto parte in passato del ‘Regno di Israele’ - formatosi dopo una storica scissione politica che aveva avuto  conseguenze anche religiose – ed era stata antagonista del ‘Regno di Giudea’, il quale aveva per capitale Gerusalemme.
Ai tempi di Gesù fra giudei e samaritani – considerati per di più ‘pagani’ - non correva dunque buon sangue.
Allora Gesù – per spiegare il perché del suo rimprovero a ‘Giuda’ ed il significato allegorico dei termini ‘Giuda’ e ‘Israele’ – chiarirà ai quattro il senso di alcuni oscuri passi profetici 4 e dirà loro:5

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«In verità? La sapienza dei rabbi qui si perde? E non sono Io il Germe di giustizia spuntato da Davide per il quale, come dice Geremia, Giuda sarà salvato?
Allora il Profeta prevede che Giuda, soprattutto Giuda, avrà bisogno di salvezza.
E questo Germe, dice sempre il Profeta, sarà chiamato il Signore, il nostro Giusto, ‘perché, dice il Signore, non mancherà mai a Davide un discendente assiso sul trono della Casa di Israele’.
E che? Ha errato il Profeta? Era ebbro forse? Di che? Di certo di penitenza e non d’altro. Perché, per accusare Me, nessuno potrà sostenere che Geremia fosse uomo di crapula. Eppure egli dice che il Germe di Davide salverà Giuda e siederà sul trono di Israele.
Dunque si direbbe che, per i suoi lumi, il Profeta vede che più che Giuda sarà eletto Israele, che il Re andrà ad Israele, e già grazia sarà se Giuda avrà unicamente salvezza.
Il Regno sarà dunque detto di Israele? No. Di Cristo sarà detto. Di Colui che unisce le parti disperse e ricostruisce nel Signore, dopo avere, secondo l’altro Profeta, in un mese – che dico in un mese? – in men di un giorno, giudicato e condannato i tre falsi pastori e chiusa a loro la mia anima, perché la loro restò chiusa a Me e, desiderandomi in figura, non seppero amarmi in natura.
Or dunque, Colui che mi manda e che mi ha dato le due verghe spezzerà l’una e l’altra, perché la Grazia sia persa per i crudeli, perché il flagello non più dal Cielo ma dal mondo venga. E nulla è più duro dei flagelli che gli uomini danno agli uomini.
Così sarà. Oh! Così!
Io sarò percosso e le pecore saran disperse per due terzi.
Solo un terzo, sempre solo un terzo se ne salveranno e persevereranno sino alla fine. E questa terza parte passerà per il fuoco per il quale Io passo per primo, e sarà purificata e provata come argento e oro, e ad essa verrà detto: ‘Tu sei il mio popolo’ ed essa mi dirà: ‘Tu sei il mio Signore’.
E ci sarà chi avrà pesato i trenta denari, prezzo dell’orrenda opera, infame mercede. E là da dove uscirono non potranno più entrare, perché griderebbero d’orrore anche le pietre vedendo quelle monete, lorde di sangue dell’Innocente  e del sudore del perseguitato dalla disperazione più atroce, e serviranno, così come è detto,  a comperare, dagli schiavi di Babilonia, il campo per gli stranieri.
Oh! Il campo per gli stranieri! Sapete chi sono essi? Quei di Giuda e Israele, quelli che presto, in secoli e secoli, non avranno più patria. E neppure la terra del loro antico suolo li vorrà accogliere.
Li vomiterà da sé anche morti, posto che essi vollero rigettare la Vita. Orrore infinito!…».

Non pensate mai che il Gesù valtortiano possa essere letto banalmente.
La sua lettura comporta uno sforzo continuo di meditazione e riflessione ma il premio alla vostra fatica è rappresentato dal fatto che vi spalanca le porte della… Verità.
Certamente non è facile da interpretare, neanche per me che lo studio da anni e che, dopo aver letto e riletto un brano ed essermi detto che l’ho capito, mi chiedo subito se per caso non ho sbagliato.
Non parliamo poi se il brano lo rileggo tempo dopo, perché allora – ecco qui un altro esempio di quella ‘moltiplicazione della Parola’ di cui vi ho parlato in un capitolo precedente – salta spesso fuori che di significato ve ne era anche un altro.
Ad esempio, Gesù – nell’illustrare le profezie - spiega ai quattro che il Regno di ‘Giuda’ più che quello di ‘Israele’ avrebbe avuto bisogno di salvezza.
Perché? Perché sarebbe stata Gerusalemme, capitale del Regno di Giudea, quella che lo avrebbe fatto condannare a morte.
Gesù aggiunge però poi che il ‘Germe di Davide’, cioè Egli stesso, avrebbe salvato Giuda e si sarebbe assiso sul trono di ‘Israele’.
Ma di quale Israele parla Gesù se in realtà Egli non si è mai assiso sul trono del vecchio Israele?
Il Regno di Israele di allora era sinonimo di ‘paganesimo’, per i giudei, ed il nuovo popolo che Gesù Cristo si sarebbe scelto sarebbe stato appunto quello dei pagani, dei Gentili, come in effetti poi successe con Roma divenuta sede del pontificato e capitale del Cristianesimo, il Regno di Cristo.
Non avete mai provato a cercare di interpretare una profezia velata?
Bene, questa è un’ottima occasione, il Vecchio Testamento ne è pieno.
Molte sono le profezie velate di Daniele, Ezechiele, Zaccaria, Geremia, Isaia, per fare solo alcuni nomi, e sono ‘velate’ soprattutto quando accennano ad eventi futuri.
Ho già scritto più volte su queste profezie e qui, ai fini di un minimo di comprensione finalizzata a quanto stiamo leggendo, dirò solo che Dio considera la libertà dell’uomo come uno dei doni più preziosi che Egli ci ha dato. La libertà presuppone la autonoma capacità di scelta, ed è la capacità di libera scelta quella che determina i meriti ed i demeriti, in funzione di un Giudizio eterno.
Dio pertanto ci vuole avvisare, la sua pedagogia è fatta di continui richiami al Bene ed ammonimenti su quanto succederebbe se proprio non lo volessimo ascoltare.
A Dio sta a cuore la nostra salvezza ma anche quella degli altri uomini nella misura in cui un nostro cattivo comportamento potrebbe trascinare gli altri alla perdizione.
E’ la logica del Diluvio universale, quando Dio decise di eliminare dalla faccia della terra ormai irrimediabilmente corrotta, i tanti malvagi e i pochi non ancora del tutto corrotti.
Lo scopo era triplice: punire i primi cacciandoli all’Inferno, salvare con la morte i secondi perché continuando a vivere non si corrompessero irrimediabilmente, mantenere in vita Noè, l’unico veramente Giusto, affinché con sua moglie, i tre figli e le nuore potesse dare inizio ad un ciclo rinnovato della Umanità.
Dio dunque ci vuole avvisare, spesso con secoli e secoli di anticipo, ma non vuole terrorizzarci con la minaccia di una catastrofe precisa o imminente, perché moriremmo di orrore o altrimenti ubbidiremmo per terrore, e non più per amore. Ed il terrore non ci farebbe liberi, né meritevoli per l’eventuale ubbidienza.
Ecco dunque il perché della profezia velata, che Dio propone alla nostra intelligenza affinché ci sforziamo di studiarla e capirla il meglio possibile  nella sua profondità per regolarci di conseguenza.
La profezia velata si rende pienamente comprensibile solo dopo la sua realizzazione oppure quando Dio – spesso servendosi di un altro ‘profeta’, sempre da lui ispirato – decide di rivelarne ad un certo punto il significato, in tutto o in parte, forse impietosito dalla nostra incapacità di capire o forse semplicemente per darci un ulteriore aiuto.
Maria Valtorta è stata uno di questi profeti moderni.
Le profezie dell’Antico Testamento sul futuro, hanno non di rado un valore ripetitivo, nel senso che possono essere riferite non solo ai fatti storici per i quali esse sembravano coniate, già ormai accaduti, ma - in figura - anche ad altri fatti consimili che devono ancora accadere al verificarsi di circostanze analoghe a quelle che avevano determinato la loro realizzazione una prima volta.
Il primo avveramento diventa insomma ‘figura’ di un ulteriore  avveramento successivo, sia pur in circostanze storico-ambientali diverse.
Vi avevo già spiegato che è come se Dio ci dicesse: ‘Sappi che tutte le volte che tu ti comporterai in questa maniera, anch’io mi regolerò ogni volta di conseguenza’.
Abbiamo ad esempio spiegato che quando Giovanni, nella sua Apocalisse – che, per chiarissima e ripetuta sua precisazione, riguardava il futuro e non il passato – prevede la distruzione di Babilonia, la nemica storica del popolo di Dio, non allude qui alla antica città di Babilonia di una civiltà ormai decaduta, ma per metafora intende la ‘Babilonia’ futura, cioè l’intera Umanità, che un giorno – novella pagana - si sarebbe allontanata da Dio incorrendo in quella ‘gran tribolazione’ di cui il Dio che si rivelava nell’Apocalisse pure parlava.
La città di Babilonia è dunque ‘figura’, allegoria o sinonimo della seconda ‘Babilonia’, la terra: due distruzioni ma in epoche diverse.

Veniamo ora invece a questo brano di Gesù che abbiamo appena letto.
Ad un primo esame non pare esservi dubbio che vi si accenni – sia pur in forma un poco velata – alla futura distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani nel 70 d.C.. E così infatti è.
Vi è un chiaro riferimento alla crocifissione di Gesù che, se è vero che Gesù è Dio, ha costituito un ‘deicidio’.
Vi è un riferimento alla dispersione dei popoli di Giuda e di Israele di allora, e così è avvenuto ad opera dei romani.
Vi è infine un riferimento ad un traditore che avrebbe venduto Gesù.
Ma è poi Gesù stesso che svela un altro significato nascosto della profezia, quando parla del ‘campo degli stranieri’.
Nel Vangelo di Matteo (Mt 27, 3-10) si dice che i sacerdoti del Tempio avevano utilizzato le monete d’argento, rifiutate da Giuda Iscariota prima di uccidersi, proprio per acquistare il ‘campo del vasaio’ per seppellirvi gli stranieri.
Gesù spiega dunque che il ‘campo del vasaio’ rappresenta, allegoricamente, ‘Giuda’ e ‘Israele’ che, in secoli e secoli futuri non avrebbero avuto patria e che neppur la loro antica terra di Palestina avrebbe voluto accogliere.
E che dire poi di quel riferimento al fatto che ‘…solo un terzo. Sempre solo un terzo’ delle pecore si sarebbero salvate e avrebbero perseverato sino alla fine’?
Di quali ‘pecore’ si parla?
Perché quel ‘sempre solo un terzo’, come se l’episodio della perdita dei restanti due terzi si dovesse ripetere più volte?
Se la prima distruzione fu quella della Gerusalemme del 70 d.C. con quel milione di morti di cui parla lo storico ebreo Giuseppe Flavio, vi poteva magari essere dentro anche qualche riferimento alla Shoah, cioè allo sterminio dei sei milioni di ebrei morti nei campi nazisti nel corso della seconda guerra mondiale del secolo scorso?
E a quale ‘fine’ allude Gesù quando dice che quel terzo di ‘salvati’ avrebbe perseverato ‘sino alla fine’?
In questa profezia sembrerebbe quasi che si sovrappongano più avvenimenti simili che però si svolgeranno separatamente nel tempo.
Ma se la profezia non era riferita solo all’Israele di allora, e neppure alla Shoah, non si riferirà per caso all’Israele di ora?
E’ dunque questa una profezia ripetitiva? Una profezia dentro la profezia? Si ripeterà in qualche modo in tempi moderni una nuova distruzione di Gerusalemme? Si salveranno solo un terzo degli ebrei di oggi? E in che cosa dovrebbe – il terzo salvato - perseverare sino alla fine?
Anche San Giovanni – nella sua Apocalisse – accennava, spingendo nel futuro lo sguardo delle sue visioni, a due terzi di Israele che si sarebbero perduti e ad un terzo che si sarebbe salvato.
Ho già spiegato che nel testo dell’Apocalisse è detto chiaramente che quelle visioni riguardano fatti futuri.
Questa profezia dell’Apocalisse, scritta alla fine del primo secolo dopo Cristo, non poteva dunque riferirsi alla prima distruzione avvenuta alla fine dell’assedio di Gerusalemme del 70 d.C., che era un fatto passato per di più già avvenuto da un trentennio, ma evidentemente ad un qualche oscuro avvenimento dei secoli a venire.
E’ sempre Dio quello che parla attraverso la bocca dei profeti, ed il Gesù valtortiano – nel parlare ancora del terzo e dei due terzi in un altro brano 6 – fa riferimento alle rivelazioni apocalittico-escatologiche dei Capp. 12,13,14 di Zaccaria dove pure si parla di ‘Israele’ e di ‘Giuda’, e dove Zaccaria in particolare dice:7

Zc  12, 1-3:
Preannunzio del Signore riguardante Israele. Parla il Signore  che ha steso i cieli, fondato la terra, creato lo spirito nell’intimo dell’uomo: « Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa inebriante, per tutti i popoli circostanti.
Ma anche per Giuda verrà l’angoscia con l’assedio di Gerusalemme. In quel giorno io farò di Gerusalemme una pietra pesantissima per tutti i popoli: e chiunque la vorrà sollevare ne rimarrà gravemente ferito; poiché tutte le genti della terra si raduneranno contro di lei.

Zc 12, 9-10:
In quel tempo io comincerò a distruggere tutte le genti ostili a Gerusalemme, poi effonderò sulla casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme lo spirito di misericordia e di preghiera: essi mireranno a colui che hanno trafitto e faranno su di lui il lamento, come si fa per la morte di un figlio unico: e piangeranno su di lui, come si piange la scomparsa di un primogenito.

Zc 13, 8-9:
E avverrà in tutto questo paese, dice il Signore, che due terzi degli abitanti periranno e un terzo sarà conservato.
L’ultimo terzo lo farò passare per il fuoco, lo monderò come si purifica l’argento e lo saggerò, come si prova l’oro.
In quel tempo invocherà il mio nome e io lo esaudirò, anzi dirò: ‘Questo è il mio popolo! Ed egli confesserà: ‘Il Signore è mio Dio!’

Se quest’ultima profezia di Zaccaria sulla conversione di Israele – come ritengono tanti esperti - è ‘messianica’, cioè riferita alla conversione al Messia-Gesù Cristo, allora il riferimento ai due terzi che periranno ed al terzo che si salverà, che in questo brano di Zaccaria è  contestuale alla conversione di Israele al Cristianesimo, non può riferirsi alla precedente distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. perché a quell’epoca, Israele, tutto fece fuorché convertirsi poi al Cristianesimo.
Se dunque l’Israele del suddetto Zaccaria non era quello del 70 d.C., e se dopo di allora non vi è stato più alcun Regno di Israele, fino alla sua ricostituzione di qualche decennio fa, allora ci sentiamo in qualche modo autorizzati ad ipotizzare  che questa profezia di Zaccaria si riferisca a questo nuovo Israele, o meglio a quello del futuro.

Vedremo, se – continuando questa lettura – potremo dare per gradi una risposta più chiara a tutti questi quesiti, ma intanto andiamo a seguire il Gesù di Maria Valtorta quando con il gruppo apostolico lascia Gerico per dirigersi verso Betania, sulla strada per Gerusalemme:8

 

580. Delazioni dell'Iscariota e profezie su Israele. Miracoli sulla via da Gerico a Betania.

17 marzo 1947.
E’ un'alba che appena sfuma il suo candore in un primo roseo d'aurora. Il silenzio fresco della campagna si rompe sempre più, ornandosi dei trilli degli uccelli ridesti.
Gesù esce per il primo dalla casa di Niche, accosta silenziosamente la porta e si dirige al verde frutteto, dove si sgranano le note limpide dei capineri e flautano i merli il loro canto.
Ma non vi è ancora giunto quando da esso vengono avanti quattro persone. Quattro di quelli che erano ieri nel gruppo sconosciuto e che non si erano mai scoperti il volto. Si prostrano sino a terra e, al comando e alla domanda che Gesù fa loro dopo averli salutati col suo saluto di pace: «Alzatevi! Che volete da Me?», si alzano e gettano indietro i mantelli e i copricapi di lino, nei quali avevano tenuto celato il volto come tanti beduini.
Riconosco il viso pallido e magro dello scriba Gioele di Abia, visto nella visione di Sabea. Gli altri mi sono sconosciuti, sinché non si nominano: «Io, Giuda di Beteron, ultimo dei veri Assidei, amici di Matatia Asmoneo»; «Io, Eliel, e mio fratello Elcana di Betlem di Giuda, fratelli di Giovanna, la tua discepola, e non c'è per noi titolo più grande di questo. Assenti quando eri forte, presenti ora che sei perseguitato»; «Io, Gioele di Abia, dagli occhi ciechi per tanto tempo, ma ora aperti alla Luce».

«Vi avevo già congedati. Che volete da Me?».
«Dirti che... se stiamo coperti non è per Te, ma ... » dice Eliel.
«Avanti! Parlate!».
«Ma... Parla tu, Gioele. Perché tu sei quello che più di tutti sai ... ».
«Signore... Ciò che io so è così... orrendo... Vorrei che neppure le zolle sapessero, sentissero ciò che sto per dire ... ».
«Le zolle in verità trasaliranno. Non Io. Perché so ciò che vuoi dire. Ma parla ugualmente ... ».
 «Se lo sai... lascia che le mie labbra non fremano nel dire questa orrenda cosa. Non che io pensi che Tu menti dicendo che sai e che vuoi che io dica per sapere, ma proprio perché ... ».
«Sì. Perché è cosa che grida al Signore. Ma la dirò per persuadere tutti che Io conosco il cuore degli uomini. Tu, membro del Sinedrio e conquistato alla Verità, hai scoperto cosa che non hai saputo portare da te solo. Perché è troppo grande. E sei andato da questi, veri giudei nei quali è unicamente spirito buono, per consigliarti con essi. Bene hai fatto, anche se a nulla giova ciò che hai fatto. L'ultimo degli Assidei sarebbe pronto a ripetere il gesto dei suoi padri per servire il Liberatore vero. E non è solo. Anche suo parente Barzelai lo farebbe e molti con lui. E i fratelli di Giovanna, per amore di Me e della sorella loro, oltre che della Patria, sarebbero con lui. Ma Io non trionferò per lance né per spade. Entrate del tutto nella Verità. Io trionferò con trionfo celeste. Tu, ecco ciò che ti fa ancor più pallido e smunto del consueto, sai chi è che ha presentato i testi di accusa contro di Me, i testi che, se falsi sono nel loro spirito, veri sono nella realtà delle loro parole, perché Io in verità ho violato il sabato quando dovetti fuggire, non essendo ancor venuta la mia ora, e quando strappai due innocenti ai ladroni, e potrei dire che la necessità giustifica l'atto così come necessità giustificò Davide per essersi nutrito dei pani della proposizione. In verità Io mi sono rifugiato in Samaria, anche se, venuta la mia ora e propostomi dai samaritani di star presso loro come Pontefice, ho rifiutato onori e sicurezza per rimanere fedele alla Legge, anche se questo vuol dire consegnarmi ai nemici. E vero è che amo i peccatori e le peccatrici sino a strapparli al peccato. E vero è che predico la rovina del Tempio, anche se queste mie parole non sono che conferma del Messia alle parole dei suoi profeti. Colui che fornisce queste e altre accuse, e anche i miracoli li volge ad atto di accusa, e di ogni cosa della Terra si è servito per cercare di trarmi in peccato e poter unire altre accuse alle prime, è un mio amico. Anche questo è detto dal re profeta da cui, per Madre, Io discendo: "Colui che mangiava il mio pane alzò contro di Me il suo calcagno". Lo so. Morirei due volte, se potessi non impedire che egli compia il delitto - ormai... la sua volontà si è data alla Morte, e Dio non violenta la libertà dell'uomo - ma che almeno... oh! che almeno lo schianto dell'orrore compiuto lo gettasse pentito ai piedi di Dio... Per questo tu, Giuda di Beteron, ammonivi ieri Mannaen di tacere. Perché il serpente era presente e poteva danneggiare il discepolo, oltre il Maestro. No. Solo il Maestro sarà colpito. Non temete.
Non sarà per Me che avrete pene e sventure. Ma per il delitto di tutto un popolo avrete tutti ciò che hanno detto i profeti.
Misera, misera Patria mia!
Misera terra che conoscerà il castigo di Dio!
Miseri abitanti, e fanciulli che ora lo benedico e vorrei salvi e che, pur innocenti, conosceranno da adulti il morso della più grande sventura.
Guardatela questa vostra terra florida, bella, verde e fiorita come un tappeto mirabile, fertile come un Eden... Imprimetevene la bellezza nel cuore, e poi... quando Io sarò tornato onde venni... fuggite. Fuggite sinché potete farlo, prima che, come rapace d'inferno, la desolazione della rovina si spanda qui e abbatta e distrugga e sterilisca, bruci, più che a Gomorra, più che a Sodoma... Sì. Più che là, che non fu che rapida morte. Qui... Gioele, ricordi Sabea? Ella ha profetato un'ultima volta il futuro del Popolo di Dio che non volle il Figlio di Dio».
I quattro sono sbalorditi. La paura del futuro li fa muti. Infine parla Eliel: «Tu ci consigli? ... ».
«Sì. Andate. Nulla sarà più, qui, che valga a trattenere i figli del popolo di Abramo. E d'altronde, specie voi, notabili di esso, non sareste lasciati... I potenti fatti prigionieri abbellano il trionfo del vincitore. Il Tempio nuovo e immortale empirà di sé la Terra, e ognun che mi cerchi mi avrà, perché Io sarò dovunque un cuore mi ami. Andate. Portate via le vostre donne, i figli, i vecchi. Voi mi offrite salvezza e aiuto. Io vi consiglio salvezza e vi aiuto con questo consiglio... Non lo sprezzate».
«Ma ormai... che più deve nuocerci Roma? Dominati siamo. E se dura è la sua legge, vero è anche che Roma ha riedificato case e città e ... ».
«In verità, sappiatelo, in verità non una pietra di Gerusalemme rimarrà intatta. Fuoco, ariete, frombole e giavellotti atterreranno, morderanno, sconvolgeranno ogni casa, e spelonca diverrà la Città sacra, e non essa sola...
Spelonca questa Patria nostra. Posto di onagri e di lamie, come dicono i profeti. E non per uno o più anni, o per secoli, ma per sempre.
Il deserto, l'arsione, la sterilità... Ecco la sorte di queste terre! Campo di contese, luogo di torture, sogno di ricostruzione sempre distrutto da una condanna inesorabile, tentativi di risurrezione spenti in sul nascere. La sorte della Terra che respinse il Salvatore e volle una rugiada che è fuoco sui colpevoli».
 «Non…, non ci sarà dunque più, mai più un Regno d'Israele? Non saremo mai più ciò che sognammo?» chiedono con voce affannosa i tre notabili giudei. Lo scriba Gioele piange...
«Avete mai osservato una pianta annosa dal midollo distrutto dalla malattia? Per anni vegeta stentatamente, tanto stentatamente che non fiorisce né fa frutto. Solo qualche rara foglia sui rami esausti dice che ancor vi è un poco di linfa che sale... Poi, ad un aprile, eccola fiorire miracolosamente e coprirsi di foglie numerose, e se ne rallegra il padrone che per tanti anni la curò senza frutti, se ne rallegra pensando che la pianta è guarita e torna ad essere rigogliosa dopo tanto squallore... Oh inganno! Dopo tanto esuberante esplodere di vita, ecco la subita morte. Cadono fiori, foglie e i frutticini che parevano già allegare sui rami e promettevano pingue raccolto, e con un improvviso scroscio la pianta crolla al suolo marcita alla base. Così farà Israele. Dopo secoli di sterile vegetare sparso, si riunirà sull'annoso tronco e avrà una parvenza di ricostruzione. Riunito alfine il Popolo disperso. Riunito e perdonato. Sì. Dio attenderà quell'ora per recidere i secoli. Non vi saranno più secoli, ma eternità allora. Beati quelli che, essendo perdonati, costituiranno la fioritura fugace dell'ultimo Israele, divenuto, dopo tanti secoli, del Cristo, e moriranno redenti, insieme con tutti i popoli della Terra, beati con quelli che, fra essi, hanno non solo conosciuto l'esistenza mia, ma abbracciata la mia Legge come legge di Salute e Vita. Sento le voci dei miei apostoli. Andate prima che vengano ... ».
«Non è per viltà, Signore, che cerchiamo di rimanere ignoti. Ma per servirti. Per poterti servire. Se si sapesse che noi, che io soprattutto, siamo venuti a Te, saremmo esclusì dalle deliberazioni ... » dice Gioele.
«Comprendo. Ma badate che il serpente è astuto.Tu in specie sii cauto, Gioele».
«Oh! mi uccidessero! Preferirei la mia alla tua morte! E non vedere i giorni che dici! Benedicimi, Signore, per fortificarmi ... ».
«Vi benedico tutti nel Nome di Dio uno e trino e nel Nome del Verbo incarnato per essere salute agli uomini di buona volontà». Li benedice collettivamente con un largo gesto e poi posa la mano, singolarmente, sulle quattro teste chine ai suoi piedi.
Essi poi si alzano, si coprono di nuovo il volto e si imboscano fra le piante del frutteto e le siepi di more, che dividono i peri dai meli e questi da altri alberi. In tempo, perché in gruppo escono dalla casa i dodici apostoli, cercando il Maestro per mettersi in cammino.

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Dopo questo dialogo il racconto della visione valtortiana continua con il miracolo dei due ciechi risanati narrato nel brano del Vangelo di Matteo che è trascritto all’inizio del capitolo.
Nella Valtorta quest’ultimo è un episodio bello, gioioso e…rilassante, ma a me preme ora, a mente fresca, fare con voi una riflessione sulla profezia che Gesù ha fatto ora a questi quattro notabili.
Gesù ha loro predetto il futuro, ma – da come ha detto le cose – avrete capito anche voi che non ha detto loro tutto, o meglio ha lasciato volutamente alcuni margini di mistero.
Riepiloghiamo i fatti.
I quattro mettono sull’avviso Gesù dei rischi che Egli correrà questa volta entrando in Gerusalemme, lo fanno per salvarlo.
Gesù li ringrazia e… contraccambia, con un altro consiglio: che se ne vadano da Gerusalemme con le loro famiglie, finché sono in tempo, prima che la rovina si abbatta sul paese distruggendo tutto.
Egli precisa che a Gerusalemme non rimarrà neanche una pietra intatta e che questa distruzione non sarà solo per la città ma per tutta la loro Patria che sarà ridotta ad una spelonca. E non per uno o più anni, e nemmeno per secoli, ma per sempre.
Cosa vuol dire ‘per sempre’? Vuol dire ‘per sempre’, no?
Ecco la sorte di quelle terre – continua Gesù – che diventeranno campo di contese, sogno di ricostruzione della Patria sempre distrutto da una condanna inesorabile.
Tentativi di ricostruzione spenti sul nascere, perché questa sarà la sorte della Terra che respinse il Salvatore e volle una ‘rugiada’ che è fuoco sui colpevoli.
Cosa avrà voluto intendere Gesù con il termine evidentemente allegorico di  ‘rugiada’ riferito ai ‘colpevoli’ della sua morte?
Ritengo che ‘rugiada’, fenomeno atmosferico notturno fortemente benefico per le piante e l’agricoltura specie nei paesi caldi e aridi, fosse un riferimento al Sangue di Gesù di quel Venerdì Santo che sarebbe servito alla Redenzione dell’Umanità ma che – per i colpevoli che avevano invocato davanti a Pilato che il Sangue di Gesù cadesse pure su di loro e sui loro figli – si sarebbe trasformato in ben altra ‘rugiada’ di fuoco.
Fin qui sembrerebbe quasi tutto chiaro.
Il Gesù valtortiano di 2000 anni fa aveva però detto a quei quattro che il sogno di ricostruzione di Israele sarebbe stato sempre distrutto da una condanna inesorabile e allora i quattro intendono che il Regno di Israele non si sarebbe mai più ricostituito e, agghiacciati dalla profezia, balbettano e chiedono conferma: ‘Non…, non ci sarà dunque più un Regno di Israele? Non saremo mai più ciò che sognammo?’.

Questo è il momento di fare bene attenzione.
Quando i quattro chiedono a Gesù se allora non ci sarà dunque più un ‘Regno di Israele’, se non ci sarà dunque più ciò che avevano sempre sognato, essi non si preoccupano solo del Regno di Israele di allora ma del famoso Regno del futuro di cui i profeti avevano tanto parlato preannunciando un Messia, un Re dei re, che avrebbe liberato Israele dalla ‘schiavitù’ e governato il mondo intero.
Questo era dunque il significato implicito di quella loro domanda, che pertanto potrebbe essere riformulata nei termini seguenti: ‘Non ci sarà più, mai più, il Regno mondiale di Israele che noi abbiamo sempre sognato?’.
Vi ho già detto che Israele aveva interpretato le profezie spirituali di un Messia, Re dei re, liberatore dal Peccato originale e dalla schiavitù di Satana, in maniera politica.

Gesù – nella sua profezia di allora che, ricordatelo, è pur sempre una profezia ‘velata’ anche per noi di oggi - non risponde con un sì o con un no ma porta un paragone che è ben famigliare a quelli come me che hanno dimestichezza con l’agricoltura.
Ad Israele succederà in un giorno futuro come ad un albero ben curato dal contadino ma vissuto a lungo stentato, senza fiori e senza frutti.
All’improvviso si coprirà come per incanto sia degli uni che degli altri, e proprio quando il contadino sarà felice vedendo finalmente premiate le sue cure assidue dategli per anni e anni, ecco che l’albero – che era gravemente minato dall’interno – perderà fiori e frutti e crollerà stroncato da una morte imprevista.
Gesù, precisa che Israele - dopo secoli di vegetare sparso - si riunirà un giorno sull’annoso tronco e avrà una ‘parvenza’ di ricostruzione.
Il popolo disperso si troverà riunito, riunito e perdonato e solo dopo questo perdono – dove gli ebrei, essendo ‘perdonati’  costituiranno la ‘fioritura’ ultima della pianta malata, cioè dell’ultimo Israele - Dio deciderà di porre fine alla storia dell’Umanità. Cesserà il Tempo ed inizierà l’Eternità.
Gesù aveva però anche detto che Israele avrebbe avuto una ‘parvenza’ di
ricostruzione.
Cosa possiamo intendere per ‘parvenza’?
Guardiamo alla storia contemporanea, confrontiamo su una carta geografica moderna la dimensione territoriale dell’Israele di oggi con quello antico, come lo si vede in tante cartine della Bibbia.
Ci accorgeremo che l’Israele di oggi – almeno territorialmente – è proprio una ‘parvenza’ di quello di allora, cioè una parte relativamente modesta rispetto a quello che era stato il suo territorio originario, il resto essendo ormai oggi occupato da altri popoli.
La stessa Città santa, la Gerusalemme del famoso Tempio, è oggi condivisa con i palestinesi di religione islamica che nel posto dove era il Tempio ebraico di Javhè, distrutto da Roma, hanno costruito una delle loro più grandi moschee di Allah.
Israele, dalla sua costituzione in Stato dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha continuato a sopravvivere in una critica situazione politica e militare di continua belligeranza con i ‘vicini’ ed ancor oggi vive in perenne stato di guerra, anzi di assedio, di attentati, minacciata continuamente di sterminio dai palestinesi e dai popoli islamici che reclamano che venga restituita ai palestinesi la terra nella quale questi abitavano prima della costituzione del nuovo Stato ebraico.
E’ mai ‘vita’, questa? Si può mai considerare, questo, come uno Stato ‘ricostruito’?
Questa - se vogliamo guardare in faccia la realtà – almeno per ora è solo una parvenza di uno Stato rispetto allo Stato ebraico di allora che aveva una sua piena territorialità e sovranità. 
Il Gesù valtortiano accenna però anche al fatto che Israele sarà ‘perdonato’.
Perché ‘perdonato’? Il perdono non avviene quando uno si pente?
E di cosa doveva pentirsi il Popolo di Israele  – dal punto di vista di Gesù – se non del fatto di non averlo a suo tempo riconosciuto ed amato come Messia, Figlio di Dio, al punto di arrivare ad ucciderlo?
Quello della ricostruzione del Regno di Israele - non il Regno di Israele sul mondo sognato dai quattro notabili ma almeno quello dell’Israele di una volta, sia pur ‘in parvenza’ - è dunque anche il momento della conversione di Israele al Cristianesimo, fatto che sarà però – come dice il Gesù valtortiano – una ‘fioritura fugace’ perché dopo di essa Dio deciderà di decretare la fine della storia umana.
Qui si apre un nuovo interrogativo: cosa si deve intendere per ‘fugace’?
Vuol forse dire che subito dopo di essa ci sarà la fine del mondo, come hanno anche interpretato alcuni esegeti dell’Apocalisse che – avendo eliminato la ‘venuta intermedia’ – situano la conversione di Israele poco prima della venuta di Gesù alla fine del mondo?
Ma il Gesù valtortiano colloca invece la conversione di Israele non alla fine del mondo ma in occasione della venuta intermedia, quella che precede cioè il millennio di pace con Dio previsto nell’Apocalisse, solo dopo il quale millennio – secondo l’Apocalisse - ci sarà la fine del mondo.
Per la fine del mondo, dunque, non si tratta di un ‘subito dopo’ la conversione o ‘fioritura’ che sia.
Se questi che viviamo, in termini di ‘epoca’, sono i tempi in cui stanno per realizzarsi la ‘grande tribolazione’ prevista dall’Apocalisse, cioè i tempi della futura sconfitta dell’Anticristo e della venuta intermedia del Verbo in una Nuova Pentecoste per l’instaurazione del suo Regno in terra, in previsione del successivo Regno in Cielo, se questi sono dunque anche i tempi in cui per qualche misteriosa ragione Israele prima o poi si convertirà, ma se  - come dice l’Apocalisse – il Regno di Dio in terra avrà durata millenaria, dobbiamo dedurre che con questo inizio di terzo millennio siamo entrati nel settimo millennio della cosiddetta ‘settimana universale’?
E’ noto che secondo la Genesi Dio realizzò la Creazione in sette giorni (che possiamo intendere più propriamente come fasi di tempo) dei quali sei furono di ‘lavoro’ ed il settimo fu di un giusto ‘riposo’ da parte di Dio.
Sulla base di ciò gli antichi ebrei formularono una settimana di sei giorni lavorativi più un settimo di riposo (sabbath), il sabato, appunto.
Gli antichi Padri della Chiesa, vicinissimi alla predicazione cristiana ed agli insegnamenti degli apostoli, avevano elaborato il concetto di ‘settimana universale’ secondo il quale – come la vicenda della Creazione – anche la storia dell’Umanità si sarebbe risolta in sette ‘giorni’ o fasi, anzi in sette millenni.
Come la ‘domenica’ è il ‘giorno del Signore’ perché è il giorno della sua Resurrezione ed è il giorno conclusivo della settimana cristiana, così il settimo millennio sarebbe stato il ‘giorno’ conclusivo della ‘settimana’ dell’Umanità, vale a dire il periodo di tempo in cui si sarebbe finalmente realizzato il giorno del Signore, inteso quale realizzazione piena del Regno di Dio in terra, nel cuore degli uomini.
In quest’ottica veniva previsto anche un ‘ottavo giorno’ dell’Umanità, che sarebbe però stato non più in terra ma nel Regno di Dio in Cielo.9
La moderna Antropologia e Paleontologia - figlie dell’Illuminismo ottocentesco - quasi per propria Verità di Fede non credono al racconto biblico di Dio Creatore dell’uomo, ma preferiscono ipotizzare – perché solo di una ipotesi si tratta anche se presentata sui mass media come una scontata realtà scientifica – che l’uomo sia discendente da una scimmia.
Basandosi su criteri di datazione dove l’età del reperto viene valutata in base ai metri di terreno che uno ci trova sopra ed al tempo che detto terreno avrebbe impiegato a sedimentarsi in maniera ‘naturale’ - non tenendo cioè conto, ad esempio, di fatti alluvionali catastrofici come neppure, ovviamente, del Diluvio universale – queste discipline credono di aver individuato l’epoca della comparsa dell’uomo sulla terra in parecchie decine di migliaia di anni fa.
Non di rado, poi, sono stati confusi reperti di ominidi, cioè razze animali ormai scomparse simili all’uomo ma dalla scarsa massa cerebrale rispetto a quella dell’uomo e di forme piuttosto bestiali, come ‘antenati’ dell’uomo successivamente ‘evolutosi’.
Classico il caso dell’infortunio sul cosiddetto uomo di Neanderthal creduto e propagandato trionfalmente per anni come la prova finalmente trovata di anello biologico di congiunzione fra l’uomo e la scimmia.
Furiose le polemiche degli anticreazionisti contro ‘l’assedio’ che verrebbe fatto alle loro tesi dagli scienziati ‘creazionisti’ che ne dimostrano l’infondatezza e sostengono invece la credibilità scientifica del dato biblico che – in base alle genealogie del testo – situa la comparsa dell’uomo solo intorno al 4000 avanti Cristo.
Partendo però da tale data, in tal caso il settimo millennio, quello cioè al cui termine dovrebbe esserci la fine della storia dell’Umanità, dovrebbe identificarsi con il terzo millennio attuale.
Per inciso, questa visione ‘settenaria’ della Storia dell’Umanità la ritroviamo nei famosi vari settenari dell’Apocalisse.
Se, secondo questa ‘logica’ della settimana universale, fossimo dunque oggi all’inizio del millennio conclusivo, quest’ultimo – corrispondente alla fioritura e dunque alla conversione di Israele – potrebbe essere considerato un periodo di tempo, come diceva Gesù, in un certo senso ‘fugace’, cioè relativamente ‘breve’, rispetto ai sei millenni precedentemente trascorsi.
Io ho sempre pensato – e la storia e la politica ce lo dimostrano continuamente – che il peggior nemico e pericolo dell’uomo sia l’uomo stesso.
Il mondo è però spesso superficiale e popolato da tanti inguaribili ottimisti che, senza preoccuparsi di quel che già vediamo succedere oggi, sono portati a credere che la fine del mondo sia una favola e che la vita dell’Umanità sia eterna, un poco come certi giovani che credono che la morte riguardi tutti gli altri tranne loro, salvo incidenti d’auto all’uscita dalle discoteche o  ritrovarsi poi vecchi e scoprire con gli acciacchi che c’è una fine per tutto, anche per loro.
Non voglio tuttavia procurare uno stato d’ansia ai pronipoti dei miei pronipoti dei miei pronipoti che leggeranno forse questi miei libri e si troveranno ad un certo punto a vivere vicini alla fine del settimo millennio.
Dico dunque che rimane sempre la speranza che il ‘millennio’ finale dell’Apocalisse’ possa essere interpretato in maniera simbolica ed inteso quindi come un lunghiiissimo periodo di tempo di almeno decine di migliaia di anni ancora. Lunga vita al Re!
Ferma la nascita di Adamo 6000 anni fa bisognerebbe allora a questo punto almeno pensare che l’ipotesi della ‘settimana universale’, con il suo finale settimo millennio attuale, non regga non perchè questo millennio non possa essere l’ultimo ma perché se fosse simbolica la durata del suo settimo millennio dovrebbe per logica essere simbolica anche la durata dei sei  millenni precedenti ed allora ci ritroveremmo a pensarla, quanto alla data della nascita di Adamo, come quei tanto da me vituperati paleontologi evoluzionisti.
Manteniamoci dunque sul testo letterale dell’Apocalisse - che è Verità e che parla di 1000 anni, simbolici o meno - e sul Gesù valtortiano - che dice che la grande tribolazione, l’Anticristo e la sua venuta sono oggi ‘imminenti’ - e non indaghiamo oltre.
Sono infatti sicuro che questa sulla ‘fioritura fugace’ che riguarda Israele – di cui parla sibillinamente il Gesù valtortiano - sia una profezia ancora parzialmente velata, e che quindi ogni sforzo per ‘perforarla’ sarebbe, oltre che inutile, presuntuoso.
Non sarò stato capace di interpretarla completamente ma sono in compenso certo di esser riuscito a complicarvela ancora più. Complimenti.


1 G.L.: “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II, Capp. 12 e 13 – Ed. Segno, 2000

2 G.L.: “Il Vangelo di Matteo…” – Vol. I, Cap. 10 e Vol. II, Cap. 4 – Ed. Segno
  G.L.:”Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. !0 – Ed. Segno, 2000

3 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX, Cap. 577.3 – Centro Ed. Valtortiano

4 Geremia 32, 6-9 // 33, 15-17 – Zaccaria 11, 4-17

5 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX, Cap. 579.8 – Centro Ed. Valtortiano

6 M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato dell’11.12.43 – Centro Ed. Valtortiano
  G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ – Vol. II, Cap. 13.17/18 – Ed. Segno, 2001

7 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Cap. 10.2 – Ed. Segno, 2003

8 ‘M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX, Cap. 580 – Centro Ed. Valtortiano

9 Vedere, in tema di ‘settimana universale’ l’interessante approfondito studio “Gesù risorto sta per tornare – La venuta Intermedia di Gesù secondo la Bibbia, Teologia e Profezia”, edito da ‘Associazione dei carismatici Cattolici’, seconda edizione riveduta e ampliata – Ed. Gamba, Verdello (Bg), 2003