(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 464 – Centro Ed. Valtortiano)

  

8. Un giorno questo verrà. Tu ci sarai e dirai: ‘Egli non fu re della terra perché non volle. Perché il suo Regno non era di questo mondo…’

8.1 Un ‘black out’ nei vangeli sinottici di circa otto mesi.

Questi che stiamo commentando sono i vangeli ‘sinottici’ dei tre evangelisti Matteo, Marco e Luca.
Quantunque essi riferiscano in linea di massima gli stessi episodi, riportati nello stesso ordine espositivo, avrete forse notato che io – nell’ispirarmi per i miei commenti – privilegi soprattutto il testo di Matteo.
Lo trovo infatti, personalmente, il più completo in termini di esposizione e mi dico anche che – essendo egli stato, in quanto apostolo, un testimone diretto degli avvenimenti - il suo testo dovrebbe essere più preciso di quello degli altri due che apostoli non furono e che nel redigere il loro vangelo dovettero basarsi su testimonianze orali raccolte da altri personaggi come San Paolo e San Pietro e, per quanto riguarda Luca relativamente al racconto dell’infanzia di Gesù, come la Madonna.
Non che la Madonna, Paolo e Pietro non fossero attendibili, per carità, ma è che i due evangelisti-discepoli dovettero scrivere per forza di cose  episodi che essi di persona non avevano visto con i propri occhi e vissuto con la loro psicologia.
Visto che gli altri due evangelisti parlano in linea di massima delle stesse cose di cui parla Matteo, preferisco dunque il testo di Matteo, salvo utilizzare i loro testi su episodi che Matteo non menziona o che riporta con minor completezza.
Mentre il Vangelo di Giovanni è poco cronistico ma spazia in compenso sui grandi temi dottrinari dell’insegnamento di Gesù, insistendo in particolare sugli aspetti maggiormente rivelatori della sua divinità, i tre sinottici raccontano tantissimi episodi ma non fanno di norma gli approfondimenti che sono contenuti nel Vangelo di Giovanni che sarebbe stato scritto dall’evangelista, ormai centenario, sul finire della sua vita, insieme all’Apocalisse.
Lo scontro fra Gesù ed i farisei capitanati da Elchia risulta avvenuto – come si evince dall’Opera della nostra mistica – in occasione della Pentecoste successiva alla Pasqua del terzo anno di vita pubblica di Gesù.
Se la Pasqua ebraica, come già accennato, cadeva nel plenilunio di Nisan (corrispondente al nostro marzo/aprile) e se la Pentecoste veniva festeggiata cinquanta giorni dopo la Pasqua, l’episodio di Elchia dovrebbe allora collocarsi verso la fine del mese di maggio.
Da un confronto però fra i testi dei quattro vangeli e l’Opera valtortiana emerge una stranezza.
Da questo momento in poi, infatti, i tre sinottici tacciono fino all’inizio dell’anno successivo, mentre il loro vuoto viene riempito – ma solo cinquanta anni dopo - dai racconti del Vangelo di Giovanni.
Vi domanderete forse come me ne sono accorto e non ho difficoltà nel rispondervi.
Emilio Pisani, curatore per il Centro Editoriale Valtortiano dell’Opera della mistica, ha prodotto un volumetto – sul quale io lavoro quasi ogni giorno quando non mi dedico con i miei trattori alla aratura e semina dei miei campi, per non parlare delle vigne per le quali dovrei fare un discorso a parte, come per le mucche – volumetto che, nella sua edizione ultima, si intitola ‘Matteo, Marco, Luca e Giovanni – Vangelo unificato sulla traccia dell’Opera di Maria Valtorta’.
Come ho più volte ricordato, i vari brani dei quattro vangeli non vennero sempre scritti in ordine cronologico, mentre quest’ordine è preciso al massimo nell’Opera della mistica alla quale fu Gesù stesso – che le aveva dato le visioni spesso in relazione alle esigenze di formazione spirituale della sua ‘allieva’ e di quanti la seguivano da vicino – ad indicarle poi quale avrebbe dovuto invece essere il loro esatto ordine cronologico di collocazione.
Emilio Pisani, confrontando l’Opera con i testi dei Vangeli, ha scomposto i brani  dei quattro vangeli e li ha poi ricomposti collocandoli nell’ordine che essi avrebbero avuto rispetto alla cronologia dei rispettivi episodi dell’Opera.
Se ne ricava insomma che, nel prezioso volumetto, ad ogni brano di vangelo così riordinato venga abbinato il relativo capitolo dell’Opera che vi fa riferimento, e viceversa.
E’ uno strumento prezioso per lo studioso dell’Opera valtortiana ma diventa anche un facile aiuto per il lettore che solo voglia approfondire un poco di più la materia e muoversi più agevolmente nei meandri degli oltre seicento capitoli dell’Opera.
E’ così che mi sono accorto del ‘black out’ dei sinottici per questi mesi, e cioè dal giugno del terzo anno fino a dopo la resurrezione di Lazzaro all’inizio dell’anno successivo, quando maturerà la decisione formale del Sinedrio di uccidere Gesù, episodi questi di grande importanza ma narrati ancora  dal solo Giovanni.
Il racconto dei tre sinottici riprenderà di fatto poco prima della Pasqua successiva, come vedremo nel prossimo capitolo.
Questo nostro capitolo di oggi serve dunque a coprire questo vuoto, riportando – almeno nei concetti essenziali – alcuni degli episodi raccontati da Giovanni sui quali mi limiterò tuttavia ad una estrema sintesi, avendone parlato a fondo in tre appositi volumi scritti da me sul suo vangelo.1
Come mai questo silenzio da parte di chi, come i nostri tre, tanto aveva abbondato nel raccontare anche i particolari del periodo precedente?
E perché tutti e tre tacciono contemporaneamente e tutti e tre contemporaneamente riprendono vari mesi dopo la loro narrazione?
Una congettura io me la sono fatta.
Sappiamo che quello di Matteo fu il primo dei vangeli. Matteo, che era un pubblicano, cioè un agente delle tasse, aveva una certa dimestichezza con la penna   ed era solito prendere appunti, specie nei momenti di riposo fissando nei suoi testi i concetti principali che aveva sentito da Gesù, aiutato in questo dalla memoria degli altri apostoli, specie i più giovani.
Il testo di Matteo venne all’inizio redatto - probabilmente negli anni ’40 e 50 d.C. – in lingua aramaica, versione originale andata tuttavia perduta e sostituita da una sua traduzione in greco.
Fu dunque il primo vangelo che circolò fra i primi cristiani.
Marco e Luca dovettero necessariamente conoscerlo e seguirne quindi la falsariga nella composizione dei loro testi, integrati come già detto da ulteriori testimonianze.
La lacuna del racconto di questi mesi potrebbe essere dunque imputabile al testo di Matteo, al quale anche gli altri due si attennero, riproducendo conseguentemente la stessa lacuna.
E’ forse dunque possibile pensare – visto che nell’Opera valtortiana Matteo risulta sempre presente nel gruppo al seguito di Gesù tranne che nei primi mesi quando non era ancora stato chiamato a divenire apostolo – che una parte del suo Vangelo sia in qualche modo andata perduta salvo magari ritrovarla fra qualche secolo sepolta in qualche anfora, come è già successo qualche decennio fa per i famosi manoscritti di Qùmram.
Ci avvarremo dunque – di qui ai primi mesi dell’anno successivo, ma il tutto compendiato in questo nostro solo capitolo  – del Vangelo di Giovanni.
Appartiene tuttavia ancora ai sinottici, o meglio al solo Luca – prima del ‘black out’ - il racconto della conversione di Zaccheo, il capo dei pubblicani di Gerico, e poi ancora quello sul ‘lievito dei farisei e sull’ipocrisia’, per cui – con riferimento ai farisei – non saranno loro perdonate le bestemmie contro lo Spirito Santo.
A spiegarci che cosa siano mai queste bestemmie è il Gesù valtortiano.
Chi in Israele rifiutava la divinità e la figliolanza divina di Gesù avendo di Jeové un tal rispetto pauroso da non poter credere che un Dio potesse essersi fatto uomo - e per di più umile uomo essendo Gesù un semplice falegname - commetteva una colpa che tuttavia poteva essere ancora perdonata.
Non poteva invece essere perdonato chi – come appunto gli scribi e i farisei, che conoscevano a menadito i Profeti che hanno in tutti i modi parlato del futuro Messia e dei segni che lo avrebbero accompagnato – avesse continuato a rifiutare per mala volontà l’evidenza delle cose.
Lo Spirito Santo ha infatti annunciato Gesù attraverso la bocca dei profeti affinché i futuri – quando fosse venuto il momento della sua venuta – lo potessero facilmente riconoscere.
Scribi e farisei però, preda del loro peccato e della loro cattiva volontà, non volevano vedere la Luce che era nel mondo, e perciò rinnegavano la Verità dello Spirito Santo e dunque avrebbero subito un giudizio ben più severo di quelli che invece non sapevano.

 

8.2 Una insolita tentazione di Gesù.

Il gruppo apostolico – seguendo l’Opera – continua i suoi viaggi estivi contrassegnati da numerosi episodi non narrati dai vangeli ufficiali.
E’ di questo periodo un episodio curioso di cui troviamo solo un breve accenno nel Vangelo di Giovanni.
Alla fine del già citato racconto sul miracolo della moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-13),  e prima ancora di parlare del discorso sul ‘Pane del Cielo’, l’evangelista aggiunge due versetti (Gv 6, 13-14): ‘Quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: «Questo è davvero il Profeta che ha da venire al mondo». Ma Gesù, accortosi che volevano rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo solo sulla montagna’.
Dal confronto con l’Opera risulta che anche questo episodio decisamente avventuroso risulta essere avvenuto – come il discorso sul Pane del Cielo del quale abbiamo parlato - non dopo il primo miracolo della moltiplicazione dei pani, a cui Giovanni pure lo collega, ma dopo il secondo.
Si tratta  cioè di un episodio avvenuto più o meno nel periodo di vita pubblica che stiamo ora analizzando, quello di poco successivo allo scontro con  i farisei di Elchia di cui avevamo parlato.
Cosa è dunque questa storia del tentativo di ‘rapimento’ per farlo re?
Lo comprendiamo dalla lettura dell’Opera.2
La maggior parte dei personaggi che detenevano il potere in Israele non voleva accettare la messianicità di Gesù, ma una minoranza – con una certa influenza politica – mostrava di credervi.
Questa minoranza, dopo il primo miracolo del pane e ancor più dopo il secondo, si convince che uno che riesce a materializzare per ben due volte pane per migliaia di persone può davvero fare anche il ‘miracolo’ di liberare Israele dall’oppressore romano.
Gesù – secondo costoro - non può dunque essere che l’atteso Messia, cioè il futuro ‘Re di Israele’.
Detto fatto, i ‘congiurati’ organizzano in una casa amica una riunione segreta alla quale fanno in modo che – invitato da dei discepoli in buona fede e convinti di fare il suo bene e quello di Israele – partecipi Gesù al quale faranno la proposta di accettare l’incoronazione a Re, dicendosi sicuri che tutto il popolo lo avrebbe seguito entusiasta.
Nella riunione in realtà si erano infiltrati – fingendo di essere d’accordo - alcuni emissari del Sinedrio che speravano in tal maniera di produrre le prove delle attività sediziose di Gesù onde poterlo accusare poi di fronte a Roma.
Gesù, che è Verbo, sa ovviamente tutto in anticipo, ma decide ugualmente di partecipare perché vuole cogliere l’occasione per spiegare ai ‘congiurati’ che la figura del Messia è ben diversa da quella che tutti in Israele si erano messi in testa.

‘In Israele – dirà fra l’altro Gesù - la ‘messianicità’ era stato concepita come un privilegio per il solo popolo di Israele, dando cioè di essa ‘un significato nazionale, personale, egoista, che svilisce la grandezza dell’idea messianica ad una comune manifestazione di potenza umana e di sopraffazione vittoriosa sui dominatori trovati in Israele dal Cristo…Il vero Dio non è un povero ‘dio’ di questo o quel popolo, un idolo, una figura irreale. E’ la Sublime realtà, è la Realtà universale, è l’Essere Unico, Supremo Creatore di tutte le cose e di tutti gli uomini. E’ perciò Dio di tutti gli uomini…La Scrittura parlava di un ‘re liberatore’ ma è un liberatore dal Peccato, un liberatore dalla schiavitù di Satana’.

Quando poi Gesù, fissando negli occhi alcuni suoi interlocutori, li smaschera di fronte agli altri svelando il loro reale ruolo di infiltrati, scoppia un pandemonio con accuse reciproche fra i presenti.
Gesù ne approfitta per sgattaiolare via dietro una tenda, uscire dalla casa e rendersi irreperibile.
Egli era andato da solo a quel convito, ma l’apostolo Giovanni – che non si fidava a lasciarlo andar via così – lo aveva seguito di nascosto, attendendolo all’esterno della casa.
Vedendolo fuggire via veloce, Giovanni lo segue da lontano finché riesce a raggiungerlo su un alto scoglio che sovrasta il lago e lo trova seduto mentre piange.
L’apostolo lo abbraccia per confortarlo e finisce che i due piangono insieme per due dolori diversi, Gesù per essere un Messia incompreso, Giovanni per vederlo sofferente.
Gesù racconterà poi l’accaduto al giovane apostolo raccomandandogli il silenzio con gli altri ma di dirlo pure il giorno in cui gli uomini vorranno mostrarlo come un comune ‘capopopolo’:
‘…Un giorno questo verrà. Tu ci sarai e dirai: ‘Egli non fu re della terra perché non volle. Perché il suo Regno non era di questo mondo.
Egli era il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, e non poteva accettare ciò che è terreno.
Volle venire nel mondo e vestire una carne per redimere le carni e le anime del mondo, ma non soggiacque alla pompa del mondo e ai fomiti dei peccati, e nulla di carnale e mondano fu in Lui.
La Luce non si fasciò di Tenebre, l’Infinito non accolse cose finite, ma delle creature, limitate per la carne ed il peccato, fece delle creature che più gli fossero uguali, portando i credenti in Lui alla regalità vera e instaurando il suo Regno nei cuori, avanti di instaurato nei Cieli, dove sarà completo ed eterno con tutti i salvati’.
Questo dirai, Giovanni, a chi mi vorrà tutto uomo, a chi mi vorrà tutto spirito, a chi negherà che io abbia subito tentazione…e dolore. Dirai agli uomini che il Redentore ha pianto…e che essi, gli uomini, sono stati redenti anche dal mio pianto…’.

Nel corso della storia antica del cristianesimo non sono mancate le eresie, come quelle che consideravano Gesù solo un comune uomo, o quelle altre che lo consideravano invece uno ‘spirito’ che aveva assunto solo ‘sembianze’ umane.
Nella Prefazione di questo libro ho inoltre richiamato l’attenzione sul fatto che, anche in epoca moderna, certi critici prestigiosi hanno voluto darci una immagine di Gesù visto storicamente come un uomo vissuto ma che venne successivamente mitizzato e trasformato in ‘Dio’, oppure l’immagine di un personaggio ideale mai esistito al quale è stata poi fittiziamente incollata, per renderlo più credibile, quella di un personaggio storico, come se il personaggio ‘ideale’ fosse veramente vissuto.
E non sono nemmeno mancati quelli che hanno voluto presentarcelo come un capopopolo ‘democratico’, inventore del socialismo, anzi del comunismo, per non dire un campione del ‘pauperismo’.
Credo che Gesù spingesse fin da allora il suo sguardo divino nella profondità dei tempi futuri e nel dire ciò a Giovanni – piangendo - pensasse non solo ai contemporanei di Giovanni ma anche a quelli nostri.
Se Giovanni ha ricordato con due soli versetti del suo vangelo l’episodio del tentativo di farlo ‘re’, alcune di queste parole di Gesù rieccheggiano con più vasta eco nel Prologo del suo Vangelo con il Verbo che si fa Carne, Luce fra le Tenebre, Verbo che viene nel mondo ma che il mondo non riconosce e respinge…
E’ un brano famoso dal quale emerge grandiosa la spiritualità e l’ispirazione di Giovanni.
Ho più volte detto, anche nei miei libri precedenti, che Gesù aveva la doppia natura di Uomo e di Dio.
Il Dio che era in lui non poteva essere ‘tentato’ da un angelo ribelle che gli era inferiore ma l’Uomo sì.
E Satana si servì anche di questa astuzia… politica per cercare di fare cadere l’Uomo, solleticando la sua vanità, stimolando il suo orgoglio, così come all’inizio era riuscito a fare cadere i due progenitori.
Dopo tante umiliazioni e frustazioni, un umanamente legittimo desiderio di rivincita e la prospettiva di una grandezza umana potevano risultare per Gesù delle tentazioni irresistibili, ma Egli seppe respingerle per non compromettere la missione di Redenzione.

 

8.3 Alcuni discorsi celebri e fine del terzo anno di vita pubblica di Gesù.

Continuano intanto i viaggi del gruppo e giunge l’epoca della festa dei Tabernacoli.
Era anche chiamata festa delle Capanne e cadeva in autunno, alla fine dei raccolti agricoli.
E’ a questo punto che – come racconta l’evangelista (Gv 7, 1-9) – i ‘fratelli’ di Gesù, cioè i suoi cugini che sono in procinto di partire per Gerusalemme per partecipare alla Festa, lo invitano ad andare con loro.
I cugini del caso specifico non erano Giuda e Giacomo d’Alfeo, cioè i due apostoli, ma i loro fratelli maggiori Simone e Giuseppe, figli di Alfeo che era a sua volta fratello di Giuseppe, padre putativo di Gesù.
Ne ho già parlato a lungo in più di una occasione.3
Essi avevano sempre conosciuto Gesù come figlio del loro zio Giuseppe  e nulla avevano mai saputo dell’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria perché i genitori di Gesù - per proteggerlo, a maggior ragione dopo la strage degli Innocenti - avevano mantenuto il segreto e Gesù stesso aveva condotto per trent’anni una vita in nascondimento senza rivelare la propria natura divina come avrebbe invece cominciato a fare con l’inizio della predicazione pubblica.
E’ lo stesso Giovanni che dice che i cugini non credevano in lui, cioè nella sua divinità, e oltretutto temevano che tutta quella storia sulla sua pretesa messianicità avrebbe potuto procurare loro le vendette della classe politica e sacerdotale dominante.
Solo quando cominciano ad assistere al sempre maggior seguito di Gesù, considerato Messia e riverito anche da personaggi importanti – ed il tentativo di incoronazione a re ne è stato un esempio – essi cominciano a rendersi conto che tutto sommato quali parenti avrebbero anche potuto uscirne bene, con una posizione sociale decisamente migliorata.
Alla fine – qualche mese prima della crocifissione – apprenderanno la verità, si convinceranno sulla natura divina di Gesù e gli saranno vicini con il loro sostegno e conforto fino alla morte.
Ora però essi lo invitano ad andare con loro a Gerusalemme per partecipare alla Festa dei Tabernacoli. Meglio starsene là – gli dicono - anziché rimanersene a predicare continuamente – come faceva Lui – per paesi e paesotti della Galilea o di altre province periferiche.
E’ a Gerusalemme – gli dicono – che infatti si decide, è a Gerusalemme che ci sono le leve del potere e la gente che conta…
Gesù – forse pensando ancora ai relativamente recenti scontri con scribi e farisei - in un primo tempo rifiuta ma poi, ripensandoci, decide di andare comunque…‘non pubblicamente, ma quasi di nascosto’, come scrive l’evangelista Giovanni.
Curioso questo particolare… Strano però che Gesù avesse poi cammin facendo deciso, sulla strada per Gerusalemme, di guarire in un sol colpo dieci lebbrosi, come racconta Luca (Lc 17, 11-19).
Altro che andarvi ‘quasi di nascosto’…!
A Gerusalemme però – e qui comincia a parlare il solo vangelo di Giovanni – vi saranno ancora polemiche.
Gesù tiene infatti nel Tempio due importanti discorsi: quello sulla natura del Cristo (Gv 7, 25-30) e l’altro sull’Acqua viva (Gv 7,3753).
Quella dei Tabernacoli è una festa importante e la città ed il Tempio sono ‘pieni’ all’inverosimile.
La gente lo vede passare col gruppo apostolico e se lo addita commentando. Tutti sanno ormai che gira la voce che i suoi nemici lo vogliono uccidere e tanti si chiedono se egli sia veramente il Cristo, cioè l’Unto, che era stato però predetto dai Profeti in forma che ne faceva intendere una origine misteriosa, non umana.
Quello invece, e cioè Gesù, ai loro occhi non avrebbe potuto essere più umano di così, visto che era un semplice falegname di Nazaret, fatto confermato dai suoi stessi compaesani che venivano alla festa,  come pure era ben ‘umano’ quel suo essere figlio di Giuseppe e di Maria, altro che ‘Figlio di Dio’!
Ed è qui che il Gesù valtortiano – che ha letto nei loro cuori – decide, specie dopo l’esperienza del tentativo di incoronarlo re per una errata concezione della figura del Messia, di chiarire questa volta pubblicamente di fronte a tutto il popolo, ma anche ai suoi nemici, la vera natura del Cristo.4
Nell’Opera questo discorso di Gesù è poderoso e ampio, di grande efficacia oratoria, sapienza e levatura spirituale, ma noi – essendo un tema che ho già trattato nei commenti al Vangelo di Giovanni - possiamo qui sintetizzare solo due o tre concetti:

‘Voi, popolo, pensate che il Messia debba essere almeno un angelo, e che deve essere di origine talmente misteriosa da poter essere re solo per l’autorità che il mistero della sua origine suscita…
Cosa è l’uomo che vi parla? E’ forse un nato da seme e da volere d’uomo come tutti voi?
E potrebbe l’Altissimo aver posto lo Spirito suo ad abitare una carne, priva di Grazia, quale è quella degli uomini nati dal volere carnale?
E potrebbe l’Altissimo, a soddisfare la gran Colpa, essere pago del sacrificio di un uomo?
Pensate. Egli non elegge un Angelo ad esser Messia e Redentore, può mai eleggere un uomo ad esserlo?
E poteva il Redentore essere soltanto Figlio del Padre senza assumere natura umana, ma con mezzi e poteri che superano le umane deduzioni?
Chi deve essere il Cristo? Un Angelo? Più che un angelo. Un uomo? Più che un uomo. Un Dio?
Sì, un Dio. Ma con unita una carne, perché essa possa compiere l’espiazione della carne colpevole…
Voi dite: ‘Egli è di Nazareth. Suo padre era Giuseppe. Sua madre è Maria.
No. Io non ho padre che mi abbia generato uomo. Io non ho madre che mi abbia generato Dio. Eppure ho una carne e l’ho assunta per misteriosa opera dello Spirito, e sono venuto fra voi passando per un tabernacolo santo. E vi salverò, dopo aver formato Me stesso per volere di Dio, vi salverò facendo uscire il vero Me stesso dal Tabernacolo del mio Corpo per consumare il grande Sacrificio di un Dio che si immola per la salvezza dell’uomo…’

Gamaliele - il rabbi famoso di cui parlano anche gli Atti degli apostoli dicendo che era stato Maestro di Saulo -  lo ascolta pensoso…
Lui era uno di quei dottori del Tempio che – nel racconto di Luca – stavano ascoltando il Gesù dodicenne, meravigliandosi della sapienza ispirata con cui quel giovinetto parlava, quando Maria e Giuseppe lo avevano ritrovato dopo tre giorni di ricerche.
Ho scritto a lungo di questo prestigioso personaggio, in particolare nel primo volume di questa serie di commenti.
A lui, che era ‘dottore della Legge’ ma anche profondamente giusto, quel  Gesù giovinetto – fra le mura del Tempio, volto ardente rivolto al cielo con le braccia spiegate - aveva predetto la propria futura Passione dicendo agli astanti di attenderlo nella sua ora e che quelle pietre avrebbero riudito la sua voce e avrebbero fremuto alla sua ultima parola.
Gamaliele aveva intuito che quel fanciullo parlava per spirito profetico ed aveva pure intuito si trattasse dello spirito del futuro Messia.
Pur avendo perso poi di vista Gesù, andatosene con i suoi genitori, Gamaliele non aveva mai più dimenticato per vent’anni quelle profetiche parole.
Ora egli si chiedeva se quell’uomo che si diceva Messia potesse essere lo stesso giovinetto, ormai cresciuto, che aveva conosciuto tanti anni prima.
Gli anni corrispondevano, il linguaggio profetico – ora più virile – anche.
Ma non ne era sicuro…
Egli non sapeva che quel giovinetto stesse allora profetizzando il proprio sacrificio in croce e quanto alle ‘pietre’ che avrebbero fremuto alla sua ultima parola egli aveva pensato che si riferisse ai loro cuori induriti.
Solo al momento della morte di Gesù sul Golgota - nel sentire il terremoto di Gerusalemme scuotere le mura del Tempio, come raccontato dai sinottici – Gamaliele comprenderà in un lampo che era quello il ‘fremito’ di pietre a cui il Gesù dodicenne aveva alluso.
Lui, anziano, sarebbe corso su per il Gòlgota e giunto ai piedi della croce, davanti a quel Messia che tanto aveva atteso ma che era ormai morto e non gli poteva più rispondere, si sarebbe prostrato piangendo disperatamente la colpa di non aver saputo credere quello che avevano capito i più ‘semplici’, e cioè che Lui era Figlio di Dio.
Se volete sapere come finisce la sua storia senza leggere l’Opera, sappiate che Gamaliele finirà per diventare cristiano, esempio – insieme a Saulo che diventerà San Paolo – di quanto possano essere diverse le vie che portano alla santità.
Ecco perché anch’io – che sono razionalista forse anche più di lui -  mi ritrovo in questo personaggio.
Contrariamente a lui io ho il vantaggio di essere convinto che Gesù sia Dio ma poi – e allora questo diventa una aggravante - non riesco ad abbandonarmi ed a trarne sino in fondo le conseguenze pratiche su quello che Egli – come Dio – mi insegna.
Ed il mio cuore ‘piange’, come quello di Gamaliele.
E’ un santo al quale mi raccomando tutte le sere, Gamaliele, anche perché ho pensato che non debbano oggi essere tanti quelli che si ricordano di lui e lo ‘disturbano’, per cui egli avrà magari anche più tempo disponibile per perorare la mia ‘causa’ in alto loco.
Nell’ultimo giorno della festa, Gesù terrà – sempre al Tempio – l’altro famoso discorso sull’Acqua viva.
Anche qui sintetizzo molto, avendo parlato di questi discorsi in altri miei lavori:

‘Un giorno – dice più o meno il Gesù dell’Opera – allo squillo delle trombe del Giudizio, il mondo perirà e gli uomini morti resusciteranno dal primo all’ultimo per essere avviati – con i loro corpi – alla destinazione finale: Paradiso o Inferno. Ma già ora il mondo è popolato di morti che respirano ancora, quelli che – vivi come animali – sono morti nello spirito. Il Padre ne soffre ma Egli ha già pronto il miracolo che li farà tornare vivi, e molti di essi risorgeranno perché Egli ha preso il suo Spirito, Se stesso, e ha formato una Carne a rivestire la sua Parola, e l’ha mandata a questi morti perché, parlando ad essi, si infondesse di nuovo ad essi la Vita…
Io sono la Risurrezione e la Vita…
Io sono la Fonte che zampilla vita eterna…
Chi ha sete di vita venga e beva. Chi vuole possedere la Vita, ossia Dio, creda in Me, e dal suo seno sgorgheranno non stille, ma fiumi d’acqua viva. Perché chi crede in Me formerà con Me il nuovo Tempio dal quale scaturiscono le acque salutari delle quali parla Ezechiele…’.

Dopo di ciò, Gesù lascerà Gerusalemme per tornarvi però qualche tempo dopo.
Sarà questa la circostanza nella quale terrà un ulteriore discorso sul suo essere ‘Luce del mondo’ (Gv 8, 12-20).
L’ho già scritto. Neanche un principe del foro, neanche il più famoso degli antichi retori, saprebbe parlare ed argomentare come il Gesù di Maria Valtorta, senza contare la Sapienza che ne traspare. Ve ne sarete accorti anche voi.
Ai giudei che gli contestavano quel suo affermare ‘Io sono la Luce del mondo’, chi segue Me non camminerà delle tenebre, ma avrà la Luce della Vita…’ e che gli obiettavano che egli si presentava come ‘testimone di se stesso’ e che quindi tale testimonianza non era valida, Gesù risponde che – se anche Egli testimonia per sé, la sua è comunque una testimonianza valida, perché Egli – Figlio di Dio e Sapienza – sa di dove è venuto e dove andrà mentre l’uomo, l’Umanità, ha perso la memoria delle proprie origini e – nelle tenebre di uno spirito atrofizzato dal Peccato originale e dagli altri peccati individuali – obbedisce ormai alle leggi dettate da Satana come uno schiavo nato in cattività che non conosce più neanche il sapore della libertà e non sa quindi come condursi e a cosa mirare.
Ragionamenti, questi, che finiscono per provocare reazione in scribi e farisei, e tumulti.
I farisei, che vorrebbero prendere la palla al balzo per farlo arrestare come sedizioso, ‘Dettero allora piglio alle pietre, ma Gesù si nascose ed uscì dal Tempio…’ come racconta il Vangelo (Gv 8, 21-59).
Gesù tornerà ancora a Gerusalemme per pronunciare il discorso sul ‘Buon Pastore’ (Gv 10, 1-21) e ve lo vedremo nuovamente – dopo altri viaggi – per la festa della Dedicazione del Tempio, detta anche Encenie o Festa delle luci.
Tale festa cadeva nel mese ebraico di casleu (il periodo del nostro novembre-dicembre), e più precisamente il giorno 25, giorno della nascita di Gesù in cui ‘nella festa delle luci la Luce del mondo sarebbe nata’.
L’evangelista Giovanni (10, 22-39) racconta infatti che era inverno e che Gesù stava passeggiando nel Tempio sotto il portico di Salomone.
Il Gesù dell’Opera era in quel momento moralmente abbattuto per tutto l’odio che sentiva crescere intorno a sé, ma era spiritualmente felice perché sapeva che di lì a qualche mese sarebbe stata l’ora della Redenzione.
Giuda – dopo tutti quei discorsi di Gesù sulla natura del Regno di Dio: un regno spirituale e non terreno, e sulla natura del Cristo: liberatore dalla schiavitù di Satana e non Messia politico – aveva ormai chiaramente capito che avrebbe dovuto deporre i suoi sogni di grandezza, e anzi che avrebbe dovuto preoccuparsi per la propria incolumità fisica, vista l’aria che tirava con il Sinedrio.
In Giuda cominciano dunque a fermentare i primi pensieri di abbandono e tradimento.
Come avevo spiegato all’inizio di questo libro Gesù cercherà fino all’Ultima Cena di convincerlo e salvarlo benché – come Dio-Verbo fuori del tempo - sapesse per ‘prescienza’ che il suo sarebbe stato un tentativo inutile.
Ma come Uomo-Dio - che viveva nel tempo - Gesù voleva dare a Giuda ogni umana possibilità di ravvedersi affinché egli – una volta condannato da Dio per ciò che avrebbe fatto – non potesse recriminare che Dio non aveva fatto l’impossibile per salvarlo.
Gesù insisterà dunque fino all’offerta di  quel boccone dell’ultima Cena prima che Giuda decidesse di alzarsi da tavola per andare a consegnarlo a quelli del Tempio.
Gesù volle con il suo esempio anche insegnare agli uomini,  specialmente di Chiesa, che quando è in gioco la salvezza di un’anima - che rischia la perdizione per l’eternità - nulla deve essere tralasciato, nessuno sforzo, anche se considerato inutile, sino alla fine.
Al Tempio dunque, nella Festa della Dedicazione, Gesù ribadirà la propria natura messianica e divina, confermata del resto dalle sue opere.
Ma anche questa volta – come racconta Giovanni (Gv 10, 22-39) e meglio ancora il Gesù valtortiano – i suoi nemici metteranno mano alle pietre:

«Per quale dunque di queste opere voi mi volete lapidare?»
«Non è per le tue opere buone che tu hai fatto, che ti lapidiamo, ma per la tua bestemmia, perché tu, essendo uomo, ti fai Dio».
«Non è scritto nella vostra Legge: “Io ti dissi: voi siete dèi e figli dell’Altissimo?
Ora se ‘dèi’ nominò Dio coloro ai quali parlò, dando un mandato: quello di vivere in modo che la somiglianza e l’immagine di Dio, che è nell’uomo, appaia manifesta e l’uomo non sia né demone né bruto; se dèi sono detti gli uomini nella Scrittura, tutta ispirata da Dio, e perciò la Scrittura non può essere modificata né annullata secondo il piacere e l’interesse dell’uomo, perché voi dite a Me che io bestemmio, Io che il Padre ha consacrato ed inviato nel mondo, perché dico: ‘Sono Figlio di Dio’? Se Io non facessi le opere del Padre mio, avreste ragione di non credere a Me. Ma Io le faccio. E voi non volete credere a Me.
Credete allora almeno a queste opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in Me e che Io sono nel Padre».

Il tumulto riesplode più violento ma questa volta intervengono i legionari romani della vicina torre Antonia che, ‘a suon di aste di lancia manovrate a dovere sulle schiene’, ristabiliscono l’ordine fra i più facinorosi, lasciando così Gesù libero di andarsene.
Giovanni a questo proposito dice: ‘Tentavano pertanto di prenderlo, ma uscì loro di mano’.
I sacerdoti lo faranno poco dopo ricercare in città, ma intanto Gesù stava ormai lasciando Gerusalemme.
E’ infatti il culmine della Festa delle luci. Gesù lascia gli apostoli in libertà affinché possano passare il loro tempo in case ospitali mentre lui si dirige verso Betlemme, distante alcuni chilometri, dove giunge per mettersi in preghiera e meditazione nella grotta dove era nato in una gelida notte di trentatre anni prima.
Finisce, poco dopo questo episodio, il terzo anno di vita pubblica di Gesù il quale - con uno sguardo retrospettivo al passato che vale anche per noi relativamente ai precedenti volumi - così commenta a Maria Valtorta, il suo ‘piccolo Giovanni’, gli avvenimenti succedutisi negli ultimi tre anni:5

Dice Gesù:
«E anche il terzo anno di vita pubblica ha fine.  Viene ora il periodo preparatorio alla Passione. Quello nel quale apparen­ temente tutto sembra limitarsi a poche azioni e a poche perso­ ne. Quasi uno sminuirsi della mia figura e della mia missione. In realtà, Colui che pareva vinto e scacciato era l'eroe che si preparava all'apoteosi, e intorno a Lui non le persone ma le passioni delle persone erano accentrate e portate ai limiti massimi.
Tutto quanto ha preceduto, e che forse in certi episodi parve senza scopo ai lettori maldisposti o superficiali, qui si illumina della sua luce fosca o splendente. E specie le figure più impor­tanti. Quelle che molti non vogliono riconoscere utili a conosce­re, proprio perché in esse è la lezione per i presenti maestri, che vanno più che mai ammaestrati per divenire veri maestri di spirito. Come ho detto a Giovanni e Mannaen, nulla è inutile di ciò che fa Dio, neppure l'esile filo d'erba. Così nulla è di su­perfluo in questo lavoro. Non le figure splendide e non le deboli e tenebrose. Anzi, per i maestri di spirito, sono di maggior utile le figure deboli e tenebrose che non le figure formate ed eroi­che.
Come dall'alto di un monte, presso la vetta, si può abbrac­ciare tutta la conformazione del monte e la ragione di essere dei boschi, dei torrenti, dei prati e dei pendii per giungere dalla pianura alla vetta, e si vede tutta la bellezza del panorama, e più forte viene la persuasione che le opere di Dio sono tutte uti­li e stupende, e che una serve e completa l'altra, e tutte sono presenti per formare la bellezza del Creato, così, sempre per chi è di retto spirito, tutte le diverse figure, episodi, lezioni, di questi tre anni di vita evangelica, contemplate come dall'alto della vetta del monte della mia opera di Maestro, servono a da­re la visione esatta di quel complesso politico, religioso, sociale, collettivo, spirituale, egoistico sino al delitto o altruistico sino al sacrificio, in cui Io fui Maestro e nel quale divenni Redento­re. La grandiosità del dramma non si vede in una scena ma in tutte le parti di esso. La figura del protagonista emerge dalle luci diverse con cui lo illuminano le parti secondarie.
Ormai presso la vetta, e la vetta era il Sacrificio per cui mi ero incarnato, svelate tutte le riposte pieghe dei cuori e tutte le mene delle sette, non c'è che da fare come il viandante giunto presso la cima. Guardare, guardare tutto e tutti. Conoscere il mondo ebraico. Conoscere ciò che Io ero: l'Uomo al disopra del senso, dell'egoismo, del rancore, l'Uomo che ha dovuto essere tentato, da tutto un mondo, alla vendetta, al potere, alle gioie anche oneste delle nozze e della casa, che ha dovuto tutto sop­portare vivendo a contatto del mondo e soffrirne, perché infini­ta era la distanza fra l'imperfezione e il peccato del mondo e la mia Perfezione, e che a tutte le voci, a tutte le seduzioni, a tut­te le reazioni del mondo, di Satana e dell'io, ha saputo rispon­dere: "No", e rimanere puro, mite, fedele, misericordioso, umile, ubbidiente, sino alla morte di Croce.
Comprenderà tutto ciò la società di ora, alla quale Io dono questa conoscenza di Me per farla forte contro gli assalti sempre più forti di Satana e del mondo?
Anche oggi, come venti secoli or sono, la contraddizione sarà fra quelli per i quali Io mi rivelo.
Io sono segno di contraddizione ancora una volta. Ma non Io, per Me stesso, sibbene Io rispetto a ciò che suscito in essi.
I buoni, quelli di buona volontà, avranno le reazioni buone dei pastori e degli umili.
Gli altri avranno reazioni malvagie come gli scribi, farisei, sadducei e sacerdoti di quel tempo.
Ognuno dà ciò che ha. Il buono che viene a contatto dei malvagi scatena un ribollire di maggior malvagità in essi. E giudizio sarà già fatto sugli uomini, come lo fu nel Venerdì di Parasceve, a seconda di come avranno giudicato, accettato e seguito il Maestro che, con un nuovo tentativo di infinita misericordia, si è fatto conoscere una volta ancora.
A quanti si apriranno gli occhi e mi riconosceranno e diranno: 'E’ Lui. Per questo il nostro cuore ci ardeva in petto mentre ci parlava e ci spiegava le Scritture'?
La mia pace a questi e a te, piccolo, fedele, amoroso Giovanni».


1 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, II, III – Ed. Segno, 2000

2 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, Vol. VII, Cap. 464 – Centro Ed. Valtortiano

3 G.L.: “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II, Cap. 5.2 – Ed. Segno, 2002

4 M.V.:’L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 487 – Centro Ed. Valtortiano

5 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VIII, Cap. 540.12 – Centro Ed. Valtortiano