(La Sacra Bibbia – Il Vangelo di Matteo e di Luca – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: “L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V – Cap. 349 – Centro Edit. Valtortiano)

3. Per calmare i marosi di una grande satanica tempesta,
i grandi di Israele crederanno utile sacrificare l’Innocente…

Mt 16, 21-28:
Da allora Gesù cominciò a manifestare ai suoi discepoli che era necessario che egli andasse a Gerusalemme e soffrisse molto da parte degli Anziani, dei gran Sacerdoti e degli Scribi; che fosse messo a morte e risuscitasse il terzo giorno.
Ma Pietro, trattolo a sé, cominciò a fargli rimostranze dicendo: «Oh. No, Signore! Questo non ti accadrà!».
Ma egli, rivoltosi, disse a Pietro:«Va’ lontano da me, Satana! Tu mi sei d’impedimento, perché non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini ».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Poiché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio, la troverà. Che gioverebbe a un uomo guadagnare tutto il mondo, se perdesse l’anima sua? O che cosa potrà dare in cambio della propria anima? Il Figlio dell’uomo, infatti,  verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi Angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue opere. In verità vi dico: vi sono alcuni fra i qui presenti che non gusteranno la morte prima di aver veduto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno ».

Lc 9, 7-9:
Or Erode tetrarca sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che pensare , perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti»; altri: «Elia è apparso»; altri ancora:«E’ risuscitato uno degli antichi profeti».
Ma Erode pensava: «A Giovanni ho fatto io tagliare la testa. Chi può mai essere costui di cui sento raccontare tali cose?». E cercava di vederlo.

 

3.1 Un lungo viaggio, predicando di paese in paese.

Nel capitolo precedente avevamo visto il Gesù valtortiano che - partito dalla cittadina di Alessandroscene, sulla costa del Mediterraneo – si era diretto verso l’interno della siro-fenicia per passare poi, dopo aver attraversato il fiume Giordano a monte del Lago di Meron, nel territorio del Tetrarca Filippo e più precisamente nella città di Cesarea di Filippo.
Israele, conquistato dai Romani, era stato suddiviso in quattro province governate da quattro tetrarchi.
I romani, molto pragmatici e con uno spiccato senso della ‘politica’, avevano pensato di tenersi buona la dinastia  di Erode ‘il grande’, affidando il governo di due di queste province ai suoi due figli: Erode Antipa e Filippo, che in realtà erano solo ‘fratelli di latte’.
Forse è per questa ‘fratellanza’ impropria, cioè non di sangue, che Erode Antipa non ebbe alcuno scrupolo ad ‘annettersi’ come moglie Erodiade, madre di Salomè e già moglie di Filippo.
Giovanni Battista, il ‘precursore’ di Gesù Cristo perchè aveva il compito di convertire i peccatori per preparare la via al Signore, non aveva esitato ad accusare i due di lassezza di costumi e di concubinaggio. Ciò gli sarebbe costato la testa perché Erodiade  non gli avrebbe perdonato di essere stata più volte ‘svergognata’ in pubblico.
Ad Erode venne dunque affidata dai romani la provincia della Galilea, a Filippo quella dell’Iturea e della Traconitide, a Lisania venne data l’Abilene mentre la più turbolenta Giudea, con capitale Gerusalemme, venne affidata direttamente alla mano del Procuratore romano Ponzio Pilato.
Fra la cittadina di Alessandroscene e quella di Cesarea di Filippo vi era una distanza in linea d’aria di una cinquantina di chilometri ma la percorrenza effettiva, su terreni collinari, doveva essere ben superiore.
Gesù ed il numeroso gruppo apostolico non potevano permettersi mezzi più veloci di locomozione come carri, cavalli o asini, e comunque dovevano viaggiare ‘snelli’ e soprattutto dovevano predicare l’avvento del ‘Regno dei Cieli’ ovunque incontrassero persone e se ne presentasse l’opportunità. Non c’era dunque altro modo che viaggiare a piedi .
Le strade di grande comunicazione erano ben tenute dai romani, sovente lastricate in pietra, non di rado pattugliate per tenere lontani i briganti mentre quelle secondarie erano in terra battuta e nella stagione piovosa si trasformavano in fango.
In un giorno – con qualche sosta - si potevano fare una trentina di chilometri, ma queste marce stancavano e si poneva sovente il problema di cosa mangiare e di dove dormire.
Vi erano tuttavia quasi sempre persone che – affascinate dalla parola e dalla santità di Gesù – ospitavano il gruppo apostolico nelle loro case, facendoli dormire in letti di fortuna o in fienili.
Nei casi meno fortunati - tranne che nella stagione strettamente invernale, durante la quale peraltro il gruppo faceva una lunga sosta nelle rispettive case di famiglia in attesa della ripresa dei viaggi all’inizio della primavera successiva -  non rimaneva che dormire all’aperto, nutrendosi degli avanzi di cibo forniti loro dall’ultima famiglia che li aveva ospitati oppure di cibi acquistati nei villaggi che si incontravano via via o infine di frutta trovata nei campi quando non anche di semplici chicchi di grano tolti alle loro spighe mature se non vi era null’altro da mangiare.
Per l’acqua da bere vi erano le borracce e soprattutto i ruscelli che a quei tempi non erano certo inquinati. Il vino non dispiaceva, ma era un lusso.
L’alimentazione era prevalentemente a base di pane, formaggio e olive, tutti generi alimentari non facilmente deperibili e facilmente trasportabili, ed il più delle volte era veramente frugale.
Non mancavano le offerte in denaro per la loro alimentazione, ma Gesù le destinava sovente ai poveri che incontravano spiegando agli apostoli che a loro ci avrebbe in qualche modo pensato la Provvidenza, cioè il ‘Padreterno’, visto che Questi non lasciava senza cibo nemmeno gli uccelli…
Avrete insomma capito che quella di ‘apostolo’ era una vita dura, almeno dal punto di vista della buona tavola, ma non solo! Gesù soleva far capire alla gente certi concetti spirituali ricorrendo agli esempi delle parabole, di più facile ed immediata comprensione per la semplicità e poca cultura dei popoli di allora.
Le parabole davano il ‘senso’ della verità, ma non ne svelavano gli aspetti teologici più profondi che invece Gesù rivelava ai suoi apostoli in base al principio che a chi tutto aveva dato per seguirlo tutto venisse dato in conoscenza, affinché poi gli apostoli stessi potessero trasmettere queste verità ai loro successori – i vescovi - che se ne sarebbero serviti nei secoli futuri per una migliore evangelizzazione e per costruire l’edificio della ‘Chiesa’ futura.
Riepilogando i fatti, ricorderete che ad Alessandroscene Gesù aveva raccontato nella pubblica piazza la parabola degli operai della vigna mentre, una volta partiti da là – cammin facendo sulla strada per Cesarea – egli aveva guarito la figlia posseduta di una donna cananea.
Attraversato infine il Giordano - in un punto, come già detto, situato a monte del Lago di Meron – era avvenuto invece l’episodio circa il ‘lievito’ dei farisei e la successiva discussione su chi dovesse essere il ‘Figlio dell’Uomo’.

 

3.2 La salvezza di Ninive e la profezia sulla futura distruzione di Gerusalemme.

Proseguendo quindi il cammino Gesù giunge finalmente a Cesarea.
Come Tiberiade, elegante città di Galilea sulle sponde del Lago di Genezaret, anche Cesarea era una città moderna, costruita in stile romano, crocevia di importanti percorsi stradali.
Nella cittadina un nutrito gruppo di discepoli attendeva l’arrivo di Gesù e dei suoi apostoli.
E’ lì che Gesù, ospite di una casa amica, spiega agli apostoli che gli chiedono chiarimenti ulteriori, il reale significato del ‘segno di Giona’.
Per comprendere il perché di questa spiegazione richiesta dagli apostoli è bene sapere che in precedenza - nella cittadina di Cédès durante una delle soste nel percorso da Alessandroscene a Cesarea - un gruppo di scribi e farisei lo aveva contestato e gli aveva chiesto un segno inoppugnabile della sua natura messianica, anzi divina.
Non un ‘normale’ segno come una guarigione, e nemmeno un morto resuscitato, miracolo che Gesù aveva fatto più di una volta ma che essi preferivano attribuire a delle morti ‘apparenti’, ma resuscitare almeno un cadavere ‘disfatto’, cioè morto da più giorni.
Naturalmente neanche questo li avrebbe convertiti, ma tant’è era quello che costoro gli chiedevano, volendo sfidarlo al fine di metterlo in difficoltà: se Egli veramente fosse stato ‘figlio di Dio’ certamente gli sarebbe stato possibile un miracolo del genere ma se non lo avesse fatto ciò sarebbe stato segno d’esser lui un mentitore.
Ma Gesù legge nei loro cuori e riserva loro una risposta sdegnosa e sibillina: ‘A questa generazione adultera e malvagia che chiede un segno non sarà dato altro segno che quello del profeta Giona…!’. (Mt 16, 1-4)
Generazione, tanto per spiegarvi, che Gesù considerava ‘adultera’ perché – abbandonando la fede vera dei patriarchi - aveva tradito lo ‘sposalizio’ con Dio per fornicare con il demonio.
Se scribi e farisei di Cédès dovevano essere rimasti interdetti dalla risposta su Giona, non lo erano stati da meno gli apostoli e i discepoli che successivamente – nella tranquillità ed intimità delle pareti della casa amica a Cesarea – gliene chiederanno dunque spiegazione.
A dire la verità già nel secondo anno di vita pubblica Gesù aveva accennato al segno di Giona parlando a scribi e farisei che lo accusavano di saper cacciare i demoni grazie all’aiuto di ‘Belzebub’, principe dei demoni stessi (Mt 12, 22-50).
Lo aveva però fatto in maniera generica, senza approfondirne il reale significato.
Da parte mia vi ho già parlato in almeno un paio di libri della storia del profeta Giona che aveva ricevuto l’incarico da Dio di andare a predicare agli abitanti di Ninive affinché si convertissero e Dio non li distruggesse.
Giona aveva paura che la faccenda potesse finire  male per lui, vuoi perchè i niniviti avrebbero potuto respingere in malo modo la sua predicazione, vuoi perché l’avrebbero potuto considerare un ‘menagramo’ per le disgrazie che fossero loro eventualmente capitate.
Ma soprattutto, al fondo – come certi ‘fondamentalisti’ moderni – li detestava per il fatto di essere di un’altra religione e riteneva dunque che una sonora lezione da parte di Dio se la sarebbero meritata, specie se lui non fosse andato a convertirli.
Fatto sta che Giona parte, ma su una nave e nella direzione opposta.
L’occhio vigile di Dio, che gli voleva bene ma non accettava questa sua ‘umanità’, non lo perde d’occhio.
Scoppia una terribile tempesta, l’equipaggio pagano capisce che a bordo ci deve essere un ‘menagramo’, vorrebbero trovarlo ma - nell’impossibilità – tirano ai dadi per sacrificare qualcuno a un loro dio pagano per ottenere salvezza.
Giona capisce…, capisce che il ‘menagramo’ è proprio lui, perché è certamente il ‘suo’ Dio ad essere in collera per quella sua fuga e non il loro.
Il profeta – che alla fin fine era un buon diavolo – lo confessa alla ciurma e propone ad essa di gettare lui a mare per placare il suo Dio.
Quelli non ci pensano due volte, lo ringraziano e lo buttano.
Giona finisce nella bocca di un enorme pesce marino che lo inghiotte senza masticarlo per cui il profeta rimane nello stomaco del pesce per tre giorni, disperato e timoroso di perdere del tutto la vita da un momento all’altro.
Egli prega e chiede perdono a Dio per il suo peccato, e Dio – che dall’alto lo aveva miracolosamente ‘protetto’  in attesa del suo pentimento – lo perdona.
Il pesce finisce per vomitare quel profeta indigesto, Giona si salva  e va finalmente a Ninive – credo questa volta via terra – a predicare il cambiamento di vita.
I niniviti lo ascoltano, si convertono e Dio li salva dalla distruzione minacciata.
Mito didattico o verità straordinaria realmente in qualche modo accaduta? Non importa. Importa che Giona è realmente esistito ed ha convertito i niniviti e Gesù si serve di questo racconto ben noto agli ebrei di allora per fare un paragone con se stesso.
Il Gesù valtortiano – che come detto svelava ai suoi ‘fedeli’ le verità profonde che agli altri presentava spesso sotto metafora – spiegherà dunque agli apostoli:

‘Come Giona rimase tre giorni nel ventre del mostro marino e poi fu reso alla terra per convertire e salvare Ninive, così ugualmente sarà per il Figlio dell’uomo.
Per calmare i marosi di una grande satanica tempesta, i grandi di Israele crederanno utile sacrificare l’Innocente.
Non faranno che aumentare i loro pericoli, perché oltre Satana conturbatore avranno Dio punitore dopo il loro delitto. Potrebbero vincere la tempesta di Satana credendo in Me. Ma essi non lo fanno perché vedono in Me la ragione dei loro turbamenti, paure, pericoli e smentite alla loro santità.
Ma quando sarà l’ora, il mostro insaziabile che è il ventre della terra, che inghiotte ogni uomo che muore, si riaprirà per restituire la Luce al mondo che ha rinnegata.
Ecco dunque che, come Giona fu un segno per i Niniviti della potenza e della misericordia del Signore, così il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Con la differenza che Ninive si convertì, mentre Gerusalemme non si convertirà, perché piena della generazione malvagia di cui ho parlato…
Perciò darò il segno di Giona a chi chiede un segno senza possibili equivoci. Uno e un segno darò a chi non piega la fronte proterva davanti alle prove già date di vite che tornano per mio volere.
Darò tutti i segni. E quello di un corpo disfatto che torna vivo e integro, e quello di un Corpo che da Sé si resuscita perché al suo Spirito è dato ogni potere.
Ma non saranno grazie codeste. Non saranno alleggerimento della situazione. Né qui, né sui libri eterni. Ciò che è scritto è scritto. E come Pietre per una prossima lapidazione, le prove si accumuleranno. Contro di Me per nuocermi senza riuscirvi. Contro di loro per travolgerli in eterno sotto la condanna di Dio agli increduli malvagi. Ecco il segno di Giona di cui ho parlato’.

 

3.3 E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo.

Discorso poderoso, questo di Gesù, che annichilisce i presenti e che si avvererà, prima con la resurrezione del corpo ‘disfatto’ di Lazzaro che torna vivo dopo ben tre giorni nella tomba, poi con la auto-resurrezione di Gesù che al terzo giorno di sepolcro risorgerà dando così il ‘segno di Giona, che sarà però condanna per i malvagi.
Ma lo scopo di questo mio commento non è solo quello di spiegare a modo mio, non è solo quello di farvi conoscere l’Opera Valtortiana, ma anche quello di aiutarvi a cogliere certi piccoli particolari, certi indizi, che se ben analizzati risultano ben altrimenti indicativi.
Riprendiamo ad esempio la conclusione del discorso di Gesù:

‘…Ma non saranno grazie codeste. Non saranno alleggerimento della situazione. Né qui, né sui libri eterni. Ciò che è scritto è scritto. E come Pietre per una prossima lapidazione, le prove si accumuleranno. Contro di Me per nuocermi senza riuscirvi. Contro di loro per travolgerli in eterno sotto la condanna di Dio agli increduli malvagi. Ecco il segno di Giona di cui ho parlato’.

Gesù dice che i due segni che darà, e cioè la strepitosa Resurrezione di Lazzaro da quattro giorni nella tomba e quello della sua autoresurrezione, non si tradurranno in Grazie per Gerusalemme, perché essa non crederà nemmeno a quelle e non si convertirà alleggerendo così la gravità del deicidio. E così come i Capi Giudei accumuleranno contro di lui le prove d’accusa per ucciderlo, ma senza scalfirlo, perché la sua volontà era proprio quella di immolarsi per la Redenzione e salvezza del genere umano, così Dio accumulerà prove contro quegli increduli malvagi, per travolgerli in eterno…
Ora voi sapete che la condanna a morte di Gesù – basta leggere il Cap. 24 del Vangelo di Matteo - ebbe come conseguenza la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. e la distruzione della nazione di Israele con la dispersione del popolo ebreo nel resto del mondo.
Ora però, dopo la seconda guerra mondiale, la Nazione si è ricostituita in Palestina, sia pur con tutte le guerre che l’hanno percossa negli ultimi decenni ed i continui conflitti ed attentati dei giorni nostri.
Cosa significano allora – se vogliamo dar credito al Gesù valtortiano che parlava duemila anni fa – quelle parole: ‘per travolgerli in eterno’…?
Rifletteteci, per ora. Ci ritorneremo sopra insieme e troveremo la risposta continuando la lettura.
Gli apostoli – dopo l’ulteriore spiegazione di Gesù sul segno di Giona - sono allibiti. Non per quel ‘travolgerli in eterno’ di cui probabilmente non hanno fatto in tempo a cogliere il potenziale significato ma perché per essi è inconcepibile l’idea che il Figlio di Dio possa essere ucciso.
Gesù – che li vorrebbe pronti a quella che sarà la sua sorte affinché  possano poi reagire meglio senza scoraggiarsi né perdere la fede – fornirà allora poco dopo un ulteriore chiarimento sul futuro del Figlio dell’Uomo nell’episodio raccontato da Matteo, in quella che nei Vangeli viene  ricordata come la ‘Profezia della Passione’ dove Piero riceve da Gesù una dura reprimenda.
Il gruppo apostolico è infatti ormai partito da Cesarea e - cammin facendo, durante una sosta per il pasto – gli apostoli commentano fra di loro quella precedente spiegazione che Gesù aveva dato sul significato del segno di Giona.
I pareri sulla sua ‘interpretazione’ si sprecano, perché essi non vogliono proprio accettare il tipo di sorte che Gesù aveva loro anticipato per se stesso. In particolare par loro proprio incomprensibile e quindi impossibile che Dio permetta l’uccisione di suo Figlio.
Allora Gesù – che pazientemente, a braccia conserte, li aveva ascoltati parlare – prende la parola e dice:

‘Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è Redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passioni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Completa sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo molto avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei Sommi Sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre persone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzogna e dall’Odio».

Ed è a questo punto che gli apostoli, sgomenti per la brutale chiarezza della spiegazione, gridano tutti scandalizzati ed è qui che l’anziano Pietro prende impulsivamente Gesù da parte rimproverandolo come se fosse un ragazzo ed invitandolo a non dire cose del genere, inopportune, perché altrimenti sarebbe scaduto nella considerazione degli altri. ‘E – continua Pietro del quale anche in altri precedenti miei volumi abbiamo potuto constatare l’umanità dell’uomo ‘vecchio’, pur tanto (a me) simpatica – se tu proprio devi dare ‘a quelli là’ un segno della tua potenza e divinità, fallo piuttosto con un ultimo miracolo: quello di incenerire i tuoi nemici!’.
Potente, Pietro! Ma Gesù, sdegnato, lo redarguisce davanti a tutti severamente, accusandolo di essere un ‘Satana’ tentatore che lo vuole spingere a salvare la propria vita ma a rinunciare così alla sua missione di Redentore.
Non bisogna temere – dice Gesù – di perdere la propria vita quando si deve fare la volontà di Dio. Chiunque voglia seguire Cristo deve anzi accettare la propria ‘croce’, perché la cosa più importante non è salvare questa penosa vita terrena, breve nel tempo, ma conseguire la vita eterna, vita di felicità.
Dio, nel giorno del Giudizio, saprà ricompensare gli uomini per le loro buone opere e comunque fra i presenti vi sono persone che non morranno, cioè vedranno, prima di morire, il Figlio dell’Uomo venire nel suo Regno.
Frase misteriosa, anche quest’ultima, che si è prestata a molte interpretazioni – anche fantasiose – ma che trova nell’Opera valtortiana una sua semplice spiegazione: alcuni dei presenti, ad esempio gli apostoli e molti discepoli, sarebbero stati vivi quando il Figlio dell’uomo sarebbe venuto nel suo Regno.
Il Regno di Dio – nel cuore degli uomini – verrà instaurato e verrà fondato infatti il Venerdì Santo con la Morte e Redenzione di Gesù e si affermerà poi gradualmente – nel cuore degli uomini - sempre più con la Chiesa costituita, anche se non tutti dei presenti avrebbero visto questa graduale affermazione nel successivo corso della storia.
Se volete sapere come è finita con Pietro, vi dirò che poco dopo – grazie ad una perorazione di suo fratello Andrea presso Gesù – viene perdonato e smette di piangere, visto che era scoppiato in lacrime.
Poco tempo dopo il gruppo apostolico giunge a Betsaida, la città  natale di Pietro sul lago di Genezaret detto anche di Tiberiade dove lui aveva casa con sua moglie Porfirea.
Quindi Gesù e gli apostoli proseguono per Nazaret che è ad una sessantina di chilometri da Betsaida, verso l’interno rispetto al lago.
In Israele è solo marzo, ma a quella latitudine è già primavera e si sentono i  primi caldi.
Se il clima meteorologico volge al bello la situazione a Gerusalemme gira a burrasca.
Dell’odio montante di scribi, farisei e sadducei nonché dei sacerdoti del Tempio, ben rappresentati nel Sinedrio, abbiamo già parlato.
Ma ora le cose si complicano anche a livello politico, cioè degli ‘erodiani’ che non avevano alcuna voglia di farsi soppiantare nel potere da un ‘Messia’ che essi vedevano – come ho già avuto occasione di spiegare – come un personaggio politico, uno che si sarebbe fatto ‘re’ spodestando la gerarchia al potere.
Il più preoccupato era ovviamente il Re Erode Antipa.
Dopo la famosa danza sensuale a corte, Egli, aveva accondisceso alla richiesta di Salomé, sobillata da Erodiade, di fare decapitare Giovanni Battista, che egli sapeva bene essere un profeta, ma ora era perseguitato dal rimorso e da un timore superstizioso di Dio.
Egli sentiva tuttavia anche parlare sempre più spesso di questo ‘Messia-Gesù’ il cui nome veniva non di rado associato a quello di Giovanni Battista.
E’ l’evangelista Luca che, nei pochi versetti citati all’inizio di questo capitolo, lascia intuire questa situazione.
Erode ed Erodiade sanno di averla combinata grossa con quell’assassinio di Giovanni Battista, e temono che prima o poi si possa scatenare una sollevazione del popolo, specie se un ‘Messia’ si mette alla sua guida.
Gesù comincia dunque ad apparire loro come un detronizzatore, anzi come un Vendicatore della loro malefatta su Giovanni.
Erode non conosceva ancora Gesù di persona ma – anche per curiosità, avendo sentito di tanti suoi miracoli – non gli sarebbe spiaciuto vederne uno se avesse avuto l’opportunità di trovarsi Gesù davanti a sé a corte.
I pareri sul Figlio dell’uomo e sulla figura del Messia di cui avevano parlato i profeti erano i più disparati, come abbiamo già visto.
A chi però diceva ad Erode che il Gesù-Messia era una reincarnazione dei profeti passati, egli rispondeva che il Messia era stato eliminato infante una trentina d’anni prima da suo padre nella famosa strage degli innocenti a Betlemme.
A chi gli diceva – poiché non c’è limite alla fantasia - che in realtà Gesù era  lo stesso Giovanni Battista creduto morto ma che in realtà si era salvato ed operava ora sotto le mentite spoglie ed il nome di Gesù, Erode rispondeva che il Battista più morto di così non poteva essere visto che la sua testa decapitata era ancora custodita gelosamente da Erodiade in un suo nascondiglio segreto.
Gesù non si cura però di queste notizie. Egli doveva portare a termine in quel terzo anno la sua missione di Redenzione, e sapeva comunque come sarebbe finita la storia, anzi come avrebbe dovuto finire la storia, perché era proprio il patibolo l’atto finale della sua missione: la morte, senza la quale non vi sarebbe stata la sofferenza dell’Uomo-Dio e quindi nemmeno la Redenzione degli uomini.