(M.V.: ‘I Quaderni del  1943’ – Dettato 29.11.43 – Centro Ed. Valtortiano)
          
          
          7. E non era tanto sacro al Signore il  luogo corrotto dove viveva schiavo il Profeta Daniele, sacro per la santità del  suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e  dell’Anticristo, 
            chiave dei tempi d’ora e dei tempi ultimi?
          
            7.1 Sta dunque attento  alla parola e procura di intendere la visione…
          Mi dico e mi ripeto più volte che l’opera  valtortiana nasconde nei suoi forzieri una serie inestimabile di grandi e  piccole gemme.
            Prendiamo ad esempio quelle poche parole pronunciate da Gesù in merito al Profeta Daniele nella descrizione che  la nostra mistica fa di quella visione del settimo discorso della montagna.
            Avevamo detto che il giorno del sesto  discorso stava volgendo al termine perché si stava avvicinando il tramonto che  segnava appunto – nel calendario ebraico – l’inizio del sabato.
            Gesù – dopo il miracolo del lebbroso e  vista ormai l’impossibilità di raggiungere i paesi più vicini in tempo utile -  decide di fare accampare la moltitudine sul posto per trascorrervi lì il giorno  di festa.
            Il mattino dopo Egli  si rivolge alla folla ed inizia a parlare  osservando che l’essersi fermati in quel luogo è stata volontà di Dio perché l’andare oltre  violando i precetti della ‘Legge’ sarebbe  stato ‘scandalo’, almeno fino al giorno in cui quei precetti non fossero stati  superati dal Nuovo Patto di alleanza  fra Dio e gli uomini che sarebbe stato successivamente scritto.
            Quanto poi al non poter essere in una  sinagoga per la preghiera, Gesù aggiunge che in realtà tutto il  Creato – e quindi anche le falde del monte  -  può essere ‘luogo di preghiera’, come  lo furono  l’arca di Noè mentre andava alla deriva in mezzo ai flutti, come lo  fu il ventre della balena in cui era  finito Giona o come lo fu la stessa pagana Babilonia dove il luogo in cui viveva il profeta giovinetto Daniele era stato a tal punto santificato dalle sue preghiere ‘da meritare le alte profezie del Cristo e dell’Anticristo’,  chiave dei tempi d’ora e dei tempi  ultimi’.
            Quest’ultima breve frase è piuttosto  ermetica, né Gesù spiega qui nient’altro al proposito perché Egli inizia subito  dopo quel suo discorso sulla necessità, appunto, di ‘fare la volontà divina’,  discorso indirizzato principalmente ad apostoli e discepoli, figure dei  successivi vescovi e sacerdoti.
            Quale era dunque stata l’alta profezia che Daniele aveva  ricevuto? 
            Procediamo con ordine.1 
            Cinque secoli circa prima di Cristo,  mentre il giovanetto Daniele era schiavo alla corte del Re Nabucodonosor a  Babilonia dove vi era stato deportato da Gerusalemme insieme a tanti altri suoi  connazionali, egli  pregava il Signore (Dn 9, 1-27) affinché il  suo Popolo, cioè il ‘popolo di Dio’, venisse liberato dalla schiavitù dei  babilonesi e potesse ritornare in patria.
            Dio – commosso dalla sua stupenda  accorata preghiera – decide di fare di più e gli manda l’arcangelo Gabriele che  non solo gli conferma la prossima liberazione del popolo e la ricostruzione di  Gerusalemme ma pure gli profetizza  l’epoca in cui vi sarebbe stata in Israele la manifestazione del Messia di  cui tanto avevano parlato altri profeti.
            L’arcangelo dice infatti a Daniele che il  Messia promesso dal Cielo sarebbe arrivato ‘settanta  settimane’ dopo il decreto del Re con cui sarebbe stata data agli ebrei  l’autorizzazione a ritornare  a  Gerusalemme.
            Dovete sapere che questo tipo di  profezia, che riguarda il futuro dell’uomo e del mondo, è solitamente  ‘velato’.
            Non è infatti prudente che l’Umanità  conosca con troppa precisione il  proprio futuro e anzi una sua conoscenza esatta potrebbe per tante ragioni  risultare addirittura dannosa.
            Dio inoltre non vuole mettere l’Umanità  di fronte a delle rivelazioni schiaccianti che la opprimerebbero e inficerebbero  quella libertà di azione che l’uomo, per dono divino, possiede al massimo  grado.
            Cionondimeno Dio, che oltre ad essere Re  di Giustizia è anche Padre, talvolta la vuole avvisare per rimetterla sulla  buona strada, vuole fare sapere all’uomo che, continuando egli in certi  comportamenti, arriverà poi anche la punizione della Giustizia divina per  indurlo ad un ravvedimento e possibilmente salvarlo.
            Tale punizione, a ben pensarci, equivale  al comportamento pedagogico di un buon padre che - prima - cerca più volte di  correggere un figlio scapestrato ma poi – se quello proprio non vuol capire –  gli allenta qualche sonora sberla per indurlo a più miti consigli, per suo  bene.
            Nessuno dotato di buon senso si  sognerebbe di dire che quello è un padre snaturato.
            Queste profezie sul futuro, oltre che velate, possono anche essere  ripetitive  perché – come in una logica di corsi e  ricorsi storici – esse si possono  riavverare quando ricorrano situazioni storiche analoghe a quelle che hanno determinato la loro prima  concretizzazione. 
            Sono rivelazioni – come quelle  dell’Apocalisse – che sono destinate magari a realizzarsi tanti secoli dopo e  vengono date non solo per mettere sull’avviso ed invitare alla prudenza nei  comportamenti ma anche perché i posteri – quando queste profezie si saranno  avverate – possano a quel punto dire ‘Ma  Dio ce l’aveva detto….’ ed imparino a rispettare il valore delle profezie.
            Le modalità esatte ed i tempi precisi di  avveramento vengono dunque celati attraverso un linguaggio che risulta in  definitiva polivalente ed oscuro anche agli ‘esperti’.
            Gli stessi profeti che le danno possono  giudicare queste rivelazioni incomprensibili, oppure possono esserne illuminati  al momento della rivelazione ma esserne subito dopo smemorati,  o infine ricordarne il significato ma essere  invitati da Dio a porvi il sigillo fino al momento in cui Dio stesso – forse secoli e secoli dopo, quando i tempi  saranno maturi per una piena rivelazione e magari servendosi di altri profeti –  non deciderà di fare conoscere l’esatto valore e significato della rivelazione  a suo tempo data.
            E’ come se Dio ci dicesse: ‘Io ti avviso. Se tu hai buona volontà ti  tieni pronto con le lampade accese ben fornite d’olio, perché non sai quando  verrà esattamente il Signore, che potrebbe presentarsi all’improvviso in casa  tua come un ladro mentre dormi…’.
            La profezia magari si avvera dopo duemila  anni, ma Dio vuole che tutte le  generazioni si tengano spiritualmente pronte perché è dalla loro vigilanza che  dipenderà poi la loro salvezza  spirituale. 
  Ma  con Daniele – proprio per via di quella sua appassionata  preghiera a favore del popolo di Israele che stava espiando in esilio per il  proprio precedente allontanamento da Dio - Dio  fa una eccezione, e gli dà, come avevo letto una volta in un libro di  Vittorio Messori, l’unica profezia  cristiana con tanto di data di avveramento, e per giunta gliela dà  con un anticipo di ben cinquecento anni.
  Ernest  Renan, l’ex seminarista diventato teologo  anticristiano, scriveva a proposito di Daniele che ‘l’attesa messianica era un’attesa frutto di frustrazioni e di sogni’ e  cheGesù ‘si era imbevuto di letture profetiche, in particolare Daniele,  credendosi alla fine il Figlio dell’Uomo, il Messia, con relativa gloria e  corollario di terrori apocalittici’.
            Ecco comunque – indipendentemente dalle  illazioni di Renan - come Daniele (Dn 9,20-27) descrive le  circostanze e il contenuto della visione e delle profezia:
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          Io parlavo ancora,  pregavo, confessavo il mio peccato e le colpe del mio popolo Israele e umiliavo  la mia supplica davanti al Signore Dio mio, per il santo monte del mio Dio,  ancora avevo sulle labbra le parole e la preghiera, quando  Gabriele,  quell’essere che avevo veduto prima nella visione, volando rapidamente  s’avvicinò a me, verso il tempo dell’oblazione pomeridiana.
            E  così mi parlò: «Daniele, ecco, io sono  uscito ora per darti piena conoscenza. All’inizio della tua preghiera, una  parola fu pronunziata ed io sono venuto a riferirtela; poiché tu sei l’uomo  delle predilezioni di Dio. Sta dunque attento alla parola e procura di intendere la visione:
          « Settanta settimane sono fissate, per il tuo popolo e la tua santa  città, per mettere fine alla prevaricazione,  porre i sigilli al peccato, espiare  l’iniquità, instaurare un’eterna giustizia,  far avverare visione e profezia, ungere il Santo dei Santi.
              Sappi ancora e intendi bene: dal momento in cui fu  detta questa parola: ‘Si ritorni e sia ricostruita Gerusalemme’, fino a che  sorga un Principe Unto, vi sono sette  settimane. 
              E durante sessantadue settimane essa risorgerà e  sarà riedificata, con piazze e mura di cinta, nell’angoscia dei tempi.
              E dopo sessantadue settimane sarà tolto di vita un Unto, in cui non v’è  colpa.
              La  città e il santuario saranno distrutti da un principe che verrà.
              La sua fine  sarà in un cataclisma e fino al termine  vi saranno guerra e devastazioni decretate.
              E stringerà  una forte alleanza con molti durante una  settimana.
              E nel mezzo della settimana farà cessare  il  sacrificio e l’oblazione.
              E sopra l’ala del Tempio vi sarà l’abominazione della desolazione,  finché la rovina decretata ricada sul devastatore.
          
            7.2 La profezia ‘ripetitiva’ di Daniele,  la ‘nuova Gerusalemme’ e il ‘nuovo Tempio’
          Converrete con me che si tratta  decisamente di una profezia ‘velata’, non facile da interpretare se non con il  ‘senno di poi’.
            Sospetto anzi fortemente che l’Arcangelo  Gabriele fosse dotato di un certo senso dell’umorismo e sorridesse nel dare a  Daniele una profezia del genere ma nello stesso tempo ‘pretendere’ che egli  stesse attento a ‘intendere bene’ la parola.
            Ma perché l’angelo lo aveva ammonito ad  intendere bene? 
            Perché evidentemente, sotto al  significato relativamente palese della pur velata profezia,  doveva essercene sottinteso anche un altro, ancora più profondo che sarebbe sfuggito ad una lettura di superficie.
            In merito alla natura delle  settimane,  passate le prime settanta  settimane di giorni, e poi le altre settanta di mesi senza che il Messia si  fosse manifestato, fu finalmente chiaro agli ebrei di allora che i tempi di  avveramento della profezia dovessero riferirsi a settimane di anni.
            Essi avrebbero dovuto dunque attendere  490 anni, insomma cinque secoli.
            Israele – con l’avvicinarsi dei tempi di  scadenza della profezia - cominciò tuttavia a vivere quell’attesa molto  intensamente.
            La misteriosa profezia veniva scrutata e  riscrutata in tutte le sue pieghe dai Rabbi, anche perché – di dominazione  straniera in dominazione straniera – i Capi politici ed i Grandi Sacerdoti  di Israele avevano finito per augurarsi non certo un Liberatore da Satana e dal  Peccato, ma un Messia di Guerra, un Condottiero, un Re terreno che li liberasse una volta per sempre da tutti i  nemici del circondario.
            L’immagine di un Dio di Amore che si  incarna in un uomo per parlare un linguaggio ‘umano’ ed insegnargli la via per  la sua liberazione dal Peccato era infatti troppo diversa e deludente rispetto all’attesa e all’idea del Messia che essi si  erano fatti da secoli.
            Questa fu una delle ragioni per cui, al  momento dell’avveramento, gli ebrei non seppero e non vollero riconoscere nel  ‘falegname’ Gesù quel Messia – di lignaggio anche regale – che essi invece  attendevano.
            Ma ritornando alla frase sibillina del  Gesù valtortiano, cosa significava quella allusione al fatto che la profezia di  Daniele si riferiva non solo al Cristo ma anche all’Anticristo ed era chiave dei ‘tempi d’ora’ e dei ‘tempi ultimi’?
            Ragioniamo. 
            Gesù stava parlando duemila anni fa: se i  ‘tempi di ora’ si riferivano dunque ai tempi della sua vita terrena di allora, quali sarebbero stati i  ‘tempi ultimi’? Forse quelli della fine del mondo, come potrebbe sembrare a  prima vista?
            La profezia, poi, non fa nomi e parla genericamente di un ‘santo dei santi’ e  di un ‘unto senza colpa’ tolto di vita.
  L’unzione di cui in essa si parla era, di norma, un simbolo di regalità, quella che si riservava alla incoronazione dei re.
            E con questa ‘unzione’ si sarebbe posto fine alla  prevaricazione, al peccato, all’iniquità instaurando un’eterna giustizia.
            I teologi cristiani – così spesso in  discussione fra di loro quando si tratta di interpretare la Bibbia – hanno  tuttavia sempre considerato unanimemente tale profezia come ‘messianica’, cioè  come riferita alla incarnazione di Gesù Cristo, anche perché – appunto con il  ‘senno di poi’ - i tempi delle settanta settimane di anni e le circostanze di  avveramento come la distruzione di Gerusalemme hanno coinciso in modo  impressionante con l’epoca di Gesù.
            Ma ecco come il Gesù di Maria Valtorta -  commentando questo brano di Daniele - spiega Egli stesso alla mistica alcuni aspetti di quella profezia2:
          ^^^^
            Dice Gesù:
….
          …A Daniele che ancora pregava – e la preghiera di lui  potreste dirla anche ora – il mio  angelo parlò.
            Il Consolatore,  che è anche l’Annunziatore, non è  mai disgiunto da ciò che mi riguarda. Messaggero di Dio, messaggero ubbidiente  e amoroso, fece sempre suo gaudio portare i voleri di Dio agli uomini e  consolare coloro che soffrono. Non lasciò rapido il Cielo unicamente per  l’annunzio beato, per consolare Giuseppe, per confortare la mia tremenda  agonia. Già ai profeti era andato a portare la parola e a disvelare il futuro  che mi concerne come Messia. Spirito infiammato d’amore, ai desiderosi di Dio  aleggia da presso e porta i sospiri degli amanti a Dio e le luci di Dio ai suoi  amanti.
            Uno solo poteva levare prevaricazione,  peccato e ingiustizia sulla Terra, che era meritevole di un nuovo diluvio e  che fu unicamente sommersa e mondata da un Sangue divino e innocente. Io, Dio  vero fatto carne per voi. 
  Corruzione,  peccato, ingiustizia e guerra fra l’uomo  e Dio, avrebbero avuto  termine quando non di regale unzione ma  di unzione funebre sarebbe stato unto il Santo dei Santi, l’Innocente  ucciso per amore degli uomini.
            Sospiro dei Patriarchi e di tutto il popolo di Dio, il  Messia doveva sorgere per creare la Gerusalemme  nuova che non muore in eterno. La Chiesa che vive e vivrà fino alla fine dei secoli e che continuerà a vivere nei  suoi santi oltre il giorno di questa Terra. 
            E a Daniele viene dato a conoscere il numero dei giorni che  separavano i viventi del tempo del Signore e le conseguenze della  nequizia del popolo che al prodigio di Dio risponde con una condanna.
  La condanna  del Cristo segna la condanna del popolo.
            Sempre un delitto attira una punizione. E dato che nessun  delitto è più grande di quello di infierire sugli innocenti e calunniare gli  incolpevoli, quale punizione poteva essere serbata a chi aveva ucciso  l’Innocente, che non fosse distruzione  totale del luogo dove l’abominio s’era  istallato?
            Inutili ormai i  sacrifici quando la misura è sorpassata. Dio è longanime, ma non è  ingiusto. 
  E perdonare la  pertinacia nel peccare dopo aver  dato tutti i mezzi  per conoscere  l’errore ed uscirne, e per tornare a Dio, sarebbe  stato da parte di Dio ingiustizia verso i giusti e verso coloro che i malvagi  hanno torturato…
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          Riflettendoci però ancora sopra, cosa significa -  nella profezia di Daniele - quel riferimento alla rovina finale che si abbatte sul ‘devastatore’?
              Chi era in  realtà il ‘devastatore’? 
            Erano forse i  sacerdoti deicidi del Tempio che avevano preteso da Pilato la condanna a  morte di Gesù, preferendo poi – di fronte ad una prospettiva di concessione di  grazia da parte di Pilato – quella a favore del delinquente Barabba?
            Perché rovina finale su di loro?
            Lo storico giudeo Giuseppe Flavio – ufficiale delle truppe ebraiche  catturato dai romani - racconta che lo  scontro fra i romani assedianti ed i giudei barricati nella città fu di  inaudita ferocia.
            Di un milione  originario di ebrei – convenuti da ogni dove nella città per trascorrervi  le feste pasquali e rimastivi intrappolati dall’assedio improvviso – i romani  fecero solo 97.000 prigionieri. 
            Molti ebrei superstiti preferirono suicidarsi in  massa piuttosto che farsi catturare. Quelli che non perirono in combattimento,  morirono per fame e malattie. Vi furono persino casi di cannibalismo. Il Tempio  – capolavoro artistico che i romani avrebbero voluto salvare - andò a fuoco per  un insieme di fatalità.
            Il generale Tito – durante gli anni di assedio –  aveva chiesto invano ai Capi politici ed ai Capi dei sacerdoti di negoziare una  resa per evitare ulteriori perdite umane, ma essi avevano rifiutato.
            E quando poi i sacerdoti catturati dopo la presa  del Tempio chiesero pietà, Tito li fece mettere a morte rinfacciando loro che  per essi era ormai passato il tempo del perdono, che l’unica cosa decente per  cui avrebbe avuto senso il salvarli era la bellezza di quel capolavoro  artistico che era il Tempio, ma poiché esso in quel momento se ne stava andando  in cenere, che vi perissero pure loro  insieme.
            Ma se il ‘devastatore’ di 2000 anni fa fu la classe sacerdotale ebraica – che era  anche la classe dirigente  e che trascinò  con sé nella rovina tutto il popolo - e se dovessimo dare un valore ripetitivo a questa profezia, chi sarebbe allora il ‘devastatore’ del  futuro e di quale città e santuario si tratterà?
            Inoltre, cosa ci fa pensare che la profezia possa  essere ripetitiva ed essere ancora applicabile ad un futuro da realizzare?
            Ce lo fa pensare – oltre al Gesù valtortiano –  anche il Gesù che parla nel Vangelo di Matteo.
            Il Gesù di  Matteo - in occasione dell’ultima Pasqua che Egli trascorre con i discepoli  a Gerusalemme, nell’imminenza della sua cattura - lascia il Tempio e si avvia  con i discepoli fuori mura verso il Monte degli ulivi.
            All’uscita dal Tempio (Mt 24, 1-3) Gesù  – pensando alla sua prossima cattura e crocifissione da parte dei giudei –  parla loro della distruzione del Tempio,  di una futura grande tribolazione e  di una sua futura ‘venuta’. 
            Giunti sul Monte degli ulivi, i discepoli vorrebbero capire meglio e  approfondire l’importante argomento e gli fanno infatti una triplice domanda: ‘Spiegaci quando avverranno queste cose  e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo’.
            E il Gesù di Matteo (Mt 24, 4-35) – spingendo  il proprio sguardo nel futuro - risponde con un discorso chiaro ma nello stesso  tempo velato.
            La sua è una profezia escatologica come  quella di Daniele, profezia dunque di  non facile interpretazione ma che molti esegeti sono propensi a  interpretare di norma – per quanto attiene alla tribolazione - come riferita  alla distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. e, per quanto riguarda la futura  venuta, a quella della fine del mondo.
            Essi dicono infatti che in questo  discorso ‘escatologico’ velato viene messo assieme l’annuncio della distruzione  di Gerusalemme con la distruzione della fine del mondo di cui la prima sarebbe  ‘figura’.
            Questa ipotesi non è da escludere, anzi  direi che è perfettamente possibile, ma  non basta a spiegare questo brano del Vangelo di Matteo, perché – limitata  a ciò – essa crea più interrogativi di  quanti non ne risolva.
            Gesù dice testualmente in Matteo che, subito  dopo una grande tribolazione,  Egli tornerà sulla terra e che tale tribolazione sarà ‘tanto grande quanto mai ve  ne è stata dall’inizio del mondo né mai ve ne sarà una eguale fino alla fine’.
            Diventa  pertanto importante – anche al fine di valutare quando ci si possa aspettare  questo ‘ritorno’ di Gesù – stabilire di quale ‘tribolazione’  si parli.
            Riflettiamo ora con grande attenzione sui  vari passaggi del seguente ragionamento.
            .  La tribolazione non può essere identificata con quella della distruzione della  Gerusalemme di duemila anni fa.
            Infatti, da un lato, dobbiamo constatare  che il ‘ritorno’ di Gesù (Mt 24,  29-30) - di cui la tribolazione della distruzione di  Gerusalemme  avrebbe dovuto essere un  ‘segno’ precursore – non è affatto  avvenuto, dall’altro dobbiamo rilevare che, mentre il Gesù di Matteo (Mt  24,21) sottolinea che una tal tribolazione non ci sarà mai più nella Storia, la Storia, al contrario, ha dimostrato che nel xx secolo l’Umanità ha avuto cento milioni di morti frutto della  prima e della seconda guerra mondiale, oltre che di una serie interminabile di  altre terribili guerre locali, morti dei quali ben cinque milioni appartengono agli ebrei eliminati nelle camere a gas  dei campi di sterminio nazisti. 
            .  Tale tribolazione non può però nemmeno essere intesa come riferentesi alla fine  del mondo.
            In primo luogo perché non si capirebbe  altrimenti come mai il Gesù di Matteo descriva il contesto successivo di una  Umanità che continua a vivere precisando anzi che quei giorni di tribolazione verranno abbreviati da Dio perché  altrimenti nessuno si salverebbe (Mt 24, 22). Se  i giorni vengono ‘abbreviati’ significa  infatti che la Storia continua, e lo  stesso dicasi del fatto che la gente si  salva, segno che il mondo non  finisce.
            In secondo luogo perché - se Gesù dice  che ‘di tribolazioni come questa non ve ne saranno mai più fino alla fine’ – segno è che quella tribolazione, con  la successiva ‘venuta’ di Gesù - non sarà quella che caratterizzerà la fine  del mondo
            Quello della fine del mondo e della  venuta finale di Gesù sarà invece un argomento che – sempre nel Vangelo di  Matteo – sarà trattato solo alla conclusione del successivo Cap. 25.
            In tale capitolo, dopo un ampio ‘stacco’  ( Mt 25, 1-30)  rispetto al discorso del precedente Cap. 24 sulla grande tribolazione, stacco  in cui si illustra il Regno dei Cieli, Gesù parlerà infatti qui chiaramente della sua venuta effettiva  così come è comunemente intesa, cioè la venuta in occasione di quello che è il  Giudizio universale (Mt 25, 31-46)  dove Egli darà alle anime di ogni uomo, resuscitate e rivestite con il proprio  corpo, la destinazione ultima: ‘pecore’ alla sua destra e ‘capri’ alla  sinistra.
            .  Si può invece sostenere che la profezia di  Daniele sia ‘ripetitiva’.
            Non lo dice – lo ribadisco – solo il Gesù valtortiano quando nella visione  del settimo discorso spiega che detta profezia era ‘chiave’ di interpretazione  delle profezie del Cristo e dell’Anticristo,  nonché dei tempi di allora e dei tempi  ultimi - ma anche lo stesso Gesù di  Matteo (Mt, 24,15) quando precisa che, avvenuta l’abominazione della desolazione nel luogo santo di cui aveva parlato Daniele, subito dopo (Mt 24, 29-30)  apparirà nel cielo il segno del  Figlio dell’Uomo il quale ritornerà manifestandosi all’Umanità con grande  potenza e splendore.
            Se la profezia di Daniele di cinquecento  anni prima è da considerare ‘messianica’, come la maggior parte degli esegeti  ritengono, e cioè riferita alla venuta di Gesù, allora l’abominio della desolazione (con distruzione e tribolazione  conseguente) del tempo dell’incarnazione di cui la profezia parlava era certo  da riferire al deicidio.
            Ma poiché, meditando e ragionando,  abbiamo appena compreso dal vangelo di Matteo che la grande tribolazione sarà  un segno precursore della venuta di  Gesù, e poiché abbiamo pure compreso che tale tribolazione non poteva  riferirsi, o non poteva solo riferirsi,  alla Gerusalemme di allora, ecco che il riferimento del Gesù di Matteo alla futura tribolazione e abominio della desolazione nel luogo santo già predetta da Daniele doveva velatamente riferirsi anche ad avvenimenti successivi alla sua vita di allora in  Israele, avvenimenti molto più in là nel tempo che però, per le ragioni già  spiegate, non sono neppure quelli della  fine del mondo.
          Riepilogando, se dunque - per tante  ragioni - la tribolazione di cui parla Gesù e che precederebbe il suo ritorno  non è quella, o non è solo quella, della Gerusalemme del 70 d.C. e neppure  quella della fine del mondo, non rimane che concludere che si tratti di una ‘tribolazione intermedia’, durante il  corso della storia, dopo la quale Gesù  si manifesterà all’Umanità in quella che – forse con termine improprio -  viene chiamata da molti profeti moderni ‘seconda venuta’, venuta da non  confondere con quella effettiva del Giudizio Universale, ma da interpretare  piuttosto come una ‘manifestazione’ gloriosa, nella potenza dello Spirito Santo, quando tutti vedremo in cielo il  ‘segno’ del Figlio dell’Uomo (Mt  24, 29-30).
            Vi sarà forse venuto il mal di testa nel  cercare di seguire queste circonvoluzioni e riflessioni ma questa è del resto  la situazione che si evince dalla sequenza degli avvenimenti che emergono da  una attenta e meditata  analisi del  Vangelo di Matteo.
            Sequenza che invece appare ancora più  chiara dal testo dell’Apocalisse di San Giovanni, scritta un mezzo secolo dopo  il Vangelo di Matteo.
            Nel testo letterale dell’Apocalisse – che riguarda gli avvenimenti futuri  -  si legge infatti che, ad un certo  punto del corso della Storia, l’Umanità - sempre più perversa e lontana da Dio  – incorrerà in una grande tribolazione e  purificazione, vi sarà una manifestazione dell’Anticristo che si porrà alla  guida degli uomini, e quindi la ‘venuta’ gloriosa di Gesù che lo sconfiggerà  per instaurare finalmente fra gli uomini, percossi e pentiti, il suo Regno in  terra: quello cioè che invochiamo nella preghiera del Padre nostro.
   Sarà un Regno della durata di ‘mille anni’ (da  interpretare forse simbolicamente come un lunghissimo tempo),  durante i quali Satana verrà ‘incatenato’  nell’Abisso, cioè messo nell’impossibilità di nuocere agli uomini. 
            Trascorso questo lungo periodo Satana  sarà nuovamente libero di agire e - non più per l’interposta persona  dell’Anticristo ormai all’inferno dai ‘mille anni precedenti’ ma questa volta  direttamente - si metterà alla testa di molti uomini  che, dimentichi delle brutte esperienze e  della grande tribolazione dell’epoca passata,   ricominceranno a peccare e a fare guerra ai cristiani e alla Chiesa.
            Sarà allora che Gesù dirà il suo definitivo  ‘Basta!’, ritornerà questa volta sulla terra come Giudice - con il suo corpo  glorificato come apparso nella Resurrezione -   per dichiarare finita la storia dell’Umanità, per chiudere per  l’eternità Satana all’inferno insieme alle anime degli uomini cattivi suoi  seguaci e per fare entrare i suoi ‘santi’ in Paradiso, con i loro corpi risorti  anch’essi ‘glorificati’ come quello  di Gesù.
            Ne parleremo ancora nel prossimo  capitolo.
          
          
            
              1 Sulla profezia di Daniele, sull’Anticristo e  sulla venuta ‘intermedia’ del Messia, vedere la trattazione più ampia  dell’autore in “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” –  Vol. I - Capp. 10 e 11 – Ed. Segno, 2001
             
            
              2 M.V.: ‘I Quaderni del 1943 – Dettato del  29.11.43 – Centro editoriale Valtortiano