L(La Sacra Bibbia– Il Vangelo secondo Matteo – Edizioni Paoline, 1968)
 (M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 175 – Centro Editoriale Valtortiano)


6. L’importanza di fare la volontà di Dio: « Voi mi chiamate ‘Messia’ e ‘Signore’. Voi dite di amarmi e mi osannate. Voi mi seguite e ciò pare amore. Ma in verità vi dico che non tutti fra voi entreranno meco nel Regno dei Cieli…’

Mt 8, 1-4:
Quando Gesù scese dal monte, una gran folla lo seguì. Ed ecco un lebbroso, accostatosi, gli si prostrò dinanzi dicendo « Signore, se vuoi, tu puoi mondarmi ».
E Gesù, stesa la mano, lo toccò e disse: « Lo voglio; sii mondato ».
E subito fu mondato dalla sua lebbra.
Gesù gli disse: « Guàrdati dal dirlo ad alcuno; ma va’, mostrati al sacerdote e fa l’offerta che Mosè prescrisse, affinché questo serva per loro di testimonianza ».

Mt 7,21-23:
« Non chiunque mi dice: ‘Signore! Signore! entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli ».
Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Signore! Non abbiamo noi profetato in tuo nome? Non abbiamo cacciato demoni in nome tuo? E non abbiamo nel tuo nome fatto molti prodigi? Ma allora dirò ad essi apertamente: ‘Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da Me, voi che avete commesso l’iniquità’ ».

 

6.1 L’ultimo discorso della montagna ed un’altra ‘discordanza’: l’episodio del lebbroso guarito.

Nello studio dei vangeli non bisogna dare troppa importanza ai titoli che sono apposti dentro ai vari capitoli.
Non si sa bene chi ve li abbia messi, forse qualche amanuense nei secoli successivi per facilitare la lettura e la individuazione dei temi.
Se analizziamo ad esempio con un poco di attenzione il Vangelo di Matteo e più precisamente la sua sistemazione in capitoli e titoli, vediamo ad esempio che nella edizione ufficiale della CEI (Ed. San Paolo, 1985) il titolo di ‘Discorso della montagna’ viene attribuito solo ai primi 20 versetti del Cap.5, come se il discorso della montagna terminasse lì.
Ma in realtà il discorso, chiaramente, continua non solo fino alla fine del capitolo ma anche nei successivi capitoli 6 ed 7.
E’ solo all’inizio del Cap. 8 che Matteo ‘chiude’ infatti il Discorso scrivendo che Gesù scende dal monte, incontra un lebbroso e lo guarisce.
Anche la Valtorta include questi temi dei Capp. 5, 6 e 7 nel Discorso della montagna che vede pronunciare da Gesù, tranne la preghiera del ‘Padre Nostro’ che la mistica vede insegnare da Gesù in una circostanza successiva, a Gerusalemme, dove il gruppo apostolico è giunto per la celebrazione della Pasqua, e più precisamente sul monte degli ulivi.
E’ una serata placida e lunare. Gesù e gli apostoli sono tutti seduti, parlano in intimità, finché Gesù – al quale essi avevano tante volte chiesto che insegnasse loro a pregare – decide di far loro il regalo…di Pasqua. Egli si alza e – gli occhi rivolti al Cielo – li invita a dire con lui la preghiera testuale che tutti conosciamo…
Come mai questa ulteriore discordanza con Matteo che la ‘infila’ invece nel Discorso della Montagna?
Si tratta della stessa motivazione che vi avevo già spiegato: a Matteo, ma anche agli altri evangelisti, non interessava fare una ricostruzione ‘storica’ degli avvenimenti, ma utilizzare frasi ed episodi di Gesù per la catechesi, ed a tal fine gli è sembrato opportuno – probabilmente da un punto di vista ‘sistematico’ - metterla fra gli ‘insegnamenti’ del Discorso.
Anche Luca (Lc 11, 1-13) pone questa preghiera in un altro contesto, ma non ne precisa le circostanze ambientali e temporali, limitandosi a dire che in quel momento Gesù ‘si trovava in un luogo a pregare’: cioè il Monte degli ulivi di cui parla Maria Valtorta.
C’è però ancora una obiezione.
Mentre in Matteo il discorso della montagna sembra chiudersi con la discesa dal monte, dopodiché avverrebbe il successivo miracolo del lebbroso, perché mai - nell’Opera della mistica - il settimo ed ultimo discorso della montagna viene presentato non prima ma dopo il miracolo del lebbroso?
Un’altra discordanza, questa volta fra l’evangelista e la mistica che ha ‘visto’ male?
Niente di tutto questo, dall’Opera valtortiana si comprende che il discorso della montagna era in effetti ormai finito quando Gesù cominciò a discendere dal monte.
Il settimo discorso – quello che nel vangelo di Matteo (sempre nel Discorso della montagna) è racchiuso nelle parole citate all’inizio di questo nostro capitolo: « Non chiunque mi dice:‘Signore! Signore!’ entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli …» - scaturirà da una situazione imprevedibile ed improvvisa conseguente appunto all’incontro con il lebbroso.
Questa di Gesù, dopo la fine del discorso del sesto giorno, diventerà la catechesi del…settimo giorno.
Gesù era disceso dal monte perché il discorso che si era proposto – uno al giorno per sei giorni - era ormai terminato.
Dalla narrazione valtortiana si comprende che con il discorso del sesto giorno si era arrivati alla giornata finale, la vigilia del sabato, e che il settimo discorso fu tenuto in giorno di sabato.
Dovremmo allora dire che, se il settimo discorso venne terminato di sabato, il primo discorso sul monte dovette essere tenuto - ragionando in termini di giorni ebraici di allora – il giorno dopo il sabato festivo precedente, cioè nel primo giorno ‘lavorativo’ della settimana ebraica.
Nel primo giorno feriale il tema fu dunque quello del ‘sale della terra e della luce del mondo’ di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente.
Nel secondo giorno – sempre seguendo l’ordine cronologico valtortiano – si parlò delle beatitudini, nel terzo dei consigli evangelici che perfezionano la legge, nel quarto del giuramento, della preghiera e del digiuno, nel quinto dell’uso delle ricchezze, dell’elemosina e della fiducia in Dio, nel sesto della scelta fra il Bene e il Male, dell’adulterio e del divorzio e di una serie di altri consigli e precetti.
Il discorso della montagna avrebbe dovuto dunque finire qui perché bisognava consentire alla folla di rientrare per tempo nei villaggi circostanti dove le persone avrebbero dovuto trovare casa o alloggio prima del tramonto di quel giorno, momento in cui sarebbe iniziato il sabato ebraico durante il quale non avrebbero più potuto spostarsi.
A quei tempi i giorni ebraici andavano da un tramonto all’altro e non da una mezzanotte all’altra, come ora, e la Legge non consentiva – una volta iniziato il sabato -  di allontanarsi che poche centinaia di metri dal luogo in cui si veniva ‘sorpresi’ dall’inizio della festività.
Ma giunti tutti alle pendici del monte, ecco l’imprevisto: un lebbroso, che aspettava acquattato fra i cespugli, si para all’improvviso di fronte a Gesù ed alla folla che lo segue da presso.
E’ uno spettacolo orrendo, tutti si bloccano e la folla arretra con un grido di angoscia.
Nel racconto della nostra mistica l’episodio è toccante e avvincente, drammatico e pittoresco insieme.
Gesù guarda quella larva d’uomo, invita la gente a non aver paura e ad avere pietà,  avanza verso di lui che prostrato implora guarigione, lo tocca con le dita della mano su un lembo di pelle rimasto intatto sulla fronte e…lo guarisce.
E’ una guarigione del tipo ‘istantaneo’, come a volte succede anche a Lourdes ai giorni nostri. In pochi secondi nuova carne e pelle vanno a riempire e ricoprire i buchi corrosi. I tratti deturpati del volto riacquistano fisionomia umana e colorito. La folla grida di stupore ed ammirazione.
Entusiasmo ed esaltazione!
Il lebbroso prostrato sente, intuisce, alza la testa, si guarda, si tocca, comprende, si accascia piangente.
Ma intanto fra una cosa e l’altra il sole si avvicina al tramonto e la folla non potrà più raggiungere in tempo i paesi ancora lontani.
Gesù decide allora di fissare un accampamento sul posto per trascorrervi il sabato fino al tramonto successivo.
E’ primavera, una giornata calda in Israele. A sera – cioè a giorno di sabato già iniziato - si accendono i fuochi dei bivacchi mentre la gente, consumando gli avanzi delle colazioni al sacco, si stringe attorno ai bracieri commentando il miracolo appena visto ed il sesto discorso ascoltato in giornata.
Anche Gesù si ritira più in alto in meditazione, per la sua usuale preghiera, mentre sotto un cielo blu trapunto di stelle egli vede che piano-piano i discorsi si attenuano e la gente, stanca, sdraiata sui prati avvolta nei propri mantelli, poco alla volta si acquieta e si addormenta.
Il mattino dopo,  gli apostoli vedono Gesù scendere dall’alto, gli vanno incontro e gli chiedono come mai aveva voluto passare la  notte lassù...
Scrive infatti Maria Valtorta:


176. Nella sosta del sabato l'ultimo discorso della Montagna: amare la volontà di Dio.1

1 giugno 1945.
Gesù nella notte si è alquanto dilungato risalendo il monte, di modo che l'aurora lo mostra ritto su uno scrimolo. Pietro, che lo vede, lo accenna ai compagni ed essi salgono verso di Lui.
« Maestro, perché non sei venuto con noi? » chiedono in diversi.
« Avevo bisogno di pregare ».
« Ma hai anche tanto bisogno di riposare ».
« Amici, nella notte una voce è venuta dai Cieli chiedendo preghiera per i buoni e per i malvagi, ed anche per Me stesso».
« Perché? Che ne hai bisogno Tu? »
«Come gli altri. La mia forza si nutre di preghiera e la mia gioia di fare ciò che vuole il Padre mio. Il Padre mi ha detto due nomi di persone, e un dolore per Me. Queste tre cose dette hanno tanto bisogno di preghiera ».
Gesù è molto triste e guarda i suoi con occhio che pare supplichi chiedendo qualcosa, o che interroghi. Si posa su questo e su quello e in ultimo si posa su Giuda Iscariota fermandovisi.
L'apostolo lo nota e chiede: « Perché mi guardi così? ».
« Non vedevo te. Il mio occhio contemplava un'altra cosa... ».
« Ed è? ».
« Ed è la natura del discepolo. Tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare, può fare per il suo maestro. Pensavo ai discepoli dei Profeti e a quelli di Giovanni. E pensavo ai miei propri. E pregavo per Giovanni, per i discepoli e per Me... ».
« Sei triste e stanco questa mattina, Maestro. Di' a chi ti ama il tuo affanno » invita Giacomo di Zebedeo.
« Sì, dillo, e se c'è cosa che si possa fare per sollevarlo noi lo faremo » dice il cugino Giuda.
Pietro parla con Bartolomeo e Filippo, ma non capisco ciò che dicono.
Gesù risponde: « Essere buoni, sforzatevi ad essere buoni e fedeli. Ecco il sollievo. Non ce ne è nessun altro, Pietro. Hai inteso? Deponi il sospetto.
Vogliatemi e vogliatevi bene, non vi fate sedurre da chi mi odia, vogliate soprattutto bene alla volontà di Dio ».
« Eh! ma se tutto viene da quella, anche i nostri errori verranno da quella! » esclama Tommaso con aria di filosofo.
« Lo credi? Non è così. Ma molta gente si è destata e guarda qui. Scendiamo. E santifichiamo il giorno santo con la parola di Dio ».
Scendono mentre i dormenti si destano in numero sempre più numeroso. I bambini, allegri come passerotti, già cinguettano correndo e saltando fra i prati, bagnandosi ben bene di rugiada tanto che qualche scappellotto vola, con relativo pianto. Ma poi i bambini corrono verso Gesù che li carezza ritrovando il suo sorriso, quasi rispecchiasse in Sé quelle gaiezze innocenti.
 Una bambina gli vuole mettere alla cintura il mazzetto di fiori colto nei prati «perché la veste è più bella così » dice, e Gesù la lascia fare nonostante che gli apostoli brontolino, anzi Gesù dice: « Ma siate contenti che essi mi amino! La rugiada leva la polvere dai fiori. L'amore dei bambini leva le tristezze dal mio cuore».
Arrivano contemporaneamente, in mezzo ai pellegrini, Gesù venendo dal monte e lo scriba Giovanni venendo dalla sua casa con molti servi carichi di ceste di pane e altri con ulive, formaggelle e un agnellino, o caprettino che sia, arrostito per il Maestro.
Tutto viene deposto ai piedi dello Stesso, che ne cura la distribuzione, dando ad ognuno un pane e una fetta di formaggio con un pugno di ulive; ma ad una madre, che ha ancora al petto un grasso puttino che ride coi suoi dentini novelli, dà col pane un pezzo di agnello arrostito, e così fa con altri due o tre che gli paiono bisognosi di particolare ristoro.
« Ma è per Te, Maestro » dice lo scriba.
« Ne gusterò, non dubitare. Ma vedi... se lo so che la tua bontà è per molti mi si aumenta il sapore ».
La distribuzione finisce e la gente sbocconcella il suo pane, riserbandosene il resto per le altre ore. Anche Gesù beve un poco di latte, che lo scriba gli vuole versare in un tazza preziosa da una fiaschetta che porta un servo (pare un orciolo).
« Però mi devi accontentare dandomi la gioia di udirti» dice Giovanni lo scriba, che è stato salutato da Erma con uguale rispetto e con un rispetto ancora maggiore da Stefano.
« Non te lo nego. Vieni qui contro » e Gesù si addossa al monte e inizia a parlare.
« La volontà di Dio ci ha trattenuti in questo luogo perché andare oltre, dopo il già fatto cammino, sarebbe stato ledere i precetti e dare scandalo. E ciò mai non sia finché il nuovo Patto non sarà scritto.
E’ giusto santificare le feste e lodare il Signore nei luoghi della preghiera. Ma tutto il creato può essere luogo di preghiera se la creatura sa farlo tale con la sua elevazione al Padre. Fu luogo di preghiera l'arca di Noè alla deriva sui flutti, e luogo di preghiera il ventre della balena di Giona. Fu luogo di preghiera la casa del Faraone quando Giuseppe vi visse e la tenda di Oloferne per la casta Giuditta.
E non era tanto sacro al Signore il luogo corrotto dove viveva schiavo il profeta Daniele, sacro per la santità del suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e dell'Anticristo, chiave dei tempi d'ora e dei tempi ultimi?
Con più ragione santo è questo luogo che coi colori, coi profumi, con la purezza dell'aria, la ricchezza dei grani, le perle delle rugiade, parla di Dio Padre e Creatore, e dice: "Credo. E voi vogliate credere perché noi testimoniamo Iddio". Sia dunque la sinagoga di questo sabato, e leggiamovi le pagine eterne sopra le corolle e le spighe, avendo a lampada sacra il sole.
Vi ho nominato Daniele. Vi ho detto: " Sia questo luogo la nostra sinagoga ".
Ciò richiama il gioioso " benedicite " dei tre santi fanciulli fra le fiamme della fornace: " Cieli ed acque, rugiade e brine, ghiacci e nevi, fuochi e colori, luci e tenebre, folgori e nuvole, monti e colline, tutte le cose germinate, uccelli, pesci e bestie, lodate e benedite il Signore, insieme agli uomini di umile e santo cuore ".
Questo il riassunto del cantico santo che tanto insegna agli umili e santi. Possiamo pregare e possiamo meritare il Cielo in ogni luogo. Lo meritiamo quando facciamo la volontà del Padre.
Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli errori degli uomini sono voluti da quella.
Questo è errore, e errore molto diffuso.
Può mai un padre volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può. Eppure noi vediamo anche nelle famiglie che alcuni figli si rendono riprovevoli, pur avendo un padre giusto che prospetta loro il bene da farsi e il male da sfuggire. E nessun che sia retto accusa il padre di avere spronato il figlio al male.
Dio è il Padre, gli uomini i figli. Dio indica il bene e dice: “Ecco, lo ti metto in questa contingenza per tuo bene “, oppure anche, quando il Maligno e gli uomini suoi servi procurano            sventure agli uomini, Dio dice  “Ecco in quest’ora penosa tu agisci così; e così facendo, servirà questo male ad un eterno bene”.
Vi consiglia. Ma non vi forza.
E allora se uno, pur sapendo ciò che sarebbe la volontà di Dio, preferisce fare tutto l'opposto, si può dire che questo opposto sia volontà di Dio? Non si può.
Amate la volontà di Dio. Amatela più della vostra e seguitela contro le seduzioni e le potenze delle forze del mondo, della carne e del demonio.
Anche queste cose hanno la loro volontà. Ma in verità vi dico che è ben infelice chi ad esse si piega. Voi mi chiamate " Messia " e " Signore ". Voi dite di amarmi e mi osannate. Voi mi seguite e ciò pare amore. Ma in verità vi dico che non tutti fra voi entreranno meco nel Regno dei Cieli.
Anche fra i miei più antichi e prossimi discepoli vi saranno di quelli che non vi entreranno, perché molti faranno la loro volontà o la volontà della carne, del mondo e del demonio, ma non quella del Padre mio.
Non chi mi dice: " Signore! Signore! " entrerà nel Regno dei Cieli, ma coloro che fanno la volontà del Padre mio. Questi soli entreranno nel Regno di Dio.
Verrà un giorno in cui lo che vi parlo, dopo essere stato Pastore, sarò Giudice. Non vi lusinghi l'aspetto attuale. Ora il mio vincastro aduna tutte le anime disperse ed è dolce per invitarvi a venire ai pascoli della Verità. Allora il vincastro sarà sostituito dallo scettro del Giudice Re e ben altra sarà la mia potenza.
Non con dolcezza ma con giustizia inesorabile lo allora separerò le pecore pasciute di Verità da quelle che mescolarono Verità ed Errore o si nutrirono solo di Errore.
Una prima volta e poi una ancora lo farò questo.
E guai a coloro che fra la prima e la seconda apparizione davanti al Giudice non si saranno purgati, non potranno purgarsi dai veleni.
 La terza categoria non si purgherà. Nessuna pena potrebbe purgarla. Ha voluto solo l'Errore e nell'Errore stia.
Eppure allora fra questi vi sarà chi gemerà: "Ma come, Signore? Non abbiamo noi profetato in tuo nome, e in tuo nome cacciato i demoni, e fatto in tuo nome molti prodigi? ". Ed Io allora molto chiaramente dirò ad essi: " Sì. Avete osato rivestirvi del mio Nome per apparire quali non siete. Il vostro satanismo lo avete voluto far passare per vita in Gesù. Ma il frutto delle vostre opere vi accusa. Dove sono i vostri salvati? Le vostre profezie dove si sono compiute? I vostri esorcismi a che hanno concluso? I vostri prodigi che compare ebbero? Oh! ben egli è potente il Nemico mio! Ma non è da più di Me. Vi ha aiutati ma per fare maggior preda, e per opera vostra il cerchio dei travolti nell'eresia si è allargato. Sì, avete fatto prodigi. Ancor più apparentemente grandi di quelli dei veri servi di Dio, i quali non sono istrioni che sbalordiscono le folle, ma umiltà e ubbidienze che sbalordiscono gli angeli. Essi, i miei servi veri, con le loro immolazioni non creano i fantasmi, ma li debellano dai cuori; essi, i miei servi veri, non si impongono agli uomini, ma agli animi degli uomini mostrano Iddio.
Essi non fanno che fare la volontà del Padre e portano altri a farla, così come l'onda sospinge e attira l'onda che la precede e quella che la segue, senza mettersi su un trono per dire: ' Guardate'.
Essi, i miei servi veri, fanno ciò che Io dico, senza pensare che a fare, e le loro opere hanno il mio segno di pace inconfondibile, di mitezza, di ordine. Perciò posso dirvi: questi sono i miei servi; voi non vi conosco. Andatevene lungi da Me voi tutti, operatori di iniquità ".
Questo dirò lo allora. E sarà tremenda parola. Badate di non meritarvela e venite per la via sicura, benché penosa, del     l'ubbidienza verso la gloria del Regno dei Cieli.
Ora godetevi il vostro riposo del sabato lodando Dio con tutti voi stessi. La pace sia con tutti voi ».
E Gesù benedice la folla prima che questa si sparga in cerca di ombra, parlando fra gruppo e gruppo, commentando le parole udite.
Presso Gesù restano gli apostoli e lo scriba Giovanni, che non parla ma medita profondamente, studiando Gesù in ogni suo atto.
E il ciclo del Monte è finito.


6.2 Due nomi di persona…e un dolore per Me.

Ora proviamo a meditare su questa visione.
Agli apostoli che chiedono a Gesù come mai si fosse isolato da tutti, Egli risponde che lo aveva fatto perché il Padre, nella notte, gli aveva chiesto preghiera per i buoni, per i malvagi e per se stesso.
A quelli che gli obbiettano che lui – come Figlio di Dio – non avrebbe dovuto aver bisogno di preghiere per se stesso Gesù replica che Lui – il bisogno -  ce l’ha come tutti, perché è dalla preghiera – cioè dall’unione con Dio – che Egli riceve forza.
Per farvi meglio comprendere questo concetto vi dirò che se il Verbo divino che era in Gesù era sempre unito al Padre, l’anima dell’Uomo che era in lui aveva pure bisogno di unirsi a Dio nella preghiera.
In Gesù convivevano due Nature, e cioè quella divina con il Verbo e quella umana con l’anima, solo che la Divinità che era in Gesù si manifestava – rispetto all’umanità – quando Essa lo riteneva utile alla missione.
Gesù si comportava insomma come una persona ‘normale’, salvo manifestarsi come Dio in potenza e onniscenza quando il Verbo che era in lui riteneva opportuno il farlo.
Il Padre – lo si capisce in vari punti dell’Opera – oppure il Verbo che era in Gesù e che era Parola del Padre, centellinava e dosava a volte certe rivelazioni  al Gesù-Uomo, perché doveva tenere conto della debolezza psicologica legata alla sua natura umana, sia pur natura di un uomo perfetto perché privo della Macchia del Peccato originale.
Ma quella notte, nell’unione della preghiera, Gesù dice agli apostoli che il Padre gli aveva rivelato qualcosa di nuovo che richiedeva preghiera: due nomi di persone ed un dolore per lui.
Ed è questo il motivo della tristezza di Gesù che gli apostoli non tardano a scorgere nei suoi occhi.
Due nomi e un dolore, dunque.
Almeno un nome lo intuiamo dalla stessa visione valtortiana, quando vediamo Gesù posare il suo sguardo addolorato su Giuda iscariote, sul cui volto Egli si sofferma.
Il Padre aveva certo fatto sapere all’uomo-Gesù del tradimento futuro di Giuda, tradimento che - in quanto tradimento d’amico - gli procurava un grande dolore.
L’occhio di Gesù si posa istintivamente su Giuda, il quale si sente a disagio.
Gli altri apostoli si insospettiscono.
Gesù cerca di distogliere i loro pensieri dicendo che il suo occhio stava solo contemplando la ‘natura’ dei discepoli: quelli dei Profeti, quelli di Giovanni Battista, e persino i suoi discepoli stessi.
Egli aveva quindi pregato per essi e …per se stesso.
Pietro - che aveva colto lo sguardo di Gesù su Giuda, e che nei confronti di quest’ultimo provava una vera e propria ‘avversione’ istintiva -  sospetta subito che ci sia sotto qualcosa e si sbriga a confabulare con Bartolomeo e Filippo, compagni anziani.
Gesù – per carità nei confronti di Giuda, apostolo-amico che egli non avrebbe mai smesso di cercare di salvare fino al termine dell’Ultima Cena – stronca i sospetti di Pietro, lo richiama all’ordine e invita tutti a fare sempre la volontà di Dio.
E quando Tommaso - improvvisandosi ‘filosofo’ – osserva che se tutto viene dalla volontà di Dio anche i loro errori sarebbero stati  consentiti perché anche questi sarebbero dipesi da una sua volontà, Gesù prenderà al volo questo spunto per correggere Tommaso ed improvvisare una catechesi - soprattutto diretta a discepoli e apostoli - su cosa si debba intendere per ‘libero arbitrio e fare la volontà di Dio’, facendo così il suo settimo discorso della montagna, nel giorno del sabato.
Come aveva già fatto nel suo primo discorso ‘a porte chiuse’, sarà dunque ancora a certi discepoli dei tempi futuri, da Lui tutti visti onniscientemente in quel momento nella persona e nella natura dell’apostolo Giuda, che Gesù rivolgerà, a conclusione dei sei discorsi precedenti, quell’ulteriore monito citato nel vangelo di Matteo: « Non chiunque mi dice: ‘Signore! Signore!’ entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli ».


1 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 176 – Centro Editoriale Valtortiano