(La Sacra Bibbia – I Vangeli secondo Luca ,Marco, Matteo - Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 167 – Centro Ed. Valtortiano)

4. E perché l’uomo avesse diletto, come splendidi balocchi, al suo prediletto, Dio gli elargì i fiori, gli astri,
e per ultimo gli donò la gioia di procreare non ciò che muore,
ma ciò che sopravvive alla morte per il dono di Dio che è l’anima…


Lc 6, 12-19:
In quei giorni Gesù si recò sul monte a pregare e trascorse tutta la notte in orazione a Dio.
Quando fu giorno, chiamò i suoi discepoli e ne scelse Dodici, ai quali dette il nome di Apostoli: Simone, che chiamò Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo e Tommaso, Giacomo figlio di Alfeo e Simone, detto lo Zelatore, Giuda fratello di Giacomo, e Giuda Iscariote, che divenne traditore.
Poi, sceso con loro, si fermò su di un ripiano dov’era gran folla dei suoi discepoli e una moltitudine di popolo, venuta da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dalle contrade marittime di Tiro e di Sidone per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro infermità.
Coloro infatti che erano tormentati dagli spiriti impuri, venivano liberati, e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una virtù che guariva tutti.

Mc 3, 7-12:
Allora Gesù si ritirò con i discepoli verso il mare e una grande moltitudine lo seguì; dalla Galilea, dalla Giudea, da Gerusalemme, e anche dall’Idumea, d’oltre il Giordano e dalle vicinanze di Tiro e di Sidone una gran folla andò a lui, sentendo tutto quello che faceva.
Allora egli disse ai suoi discepoli di  tenergli continuamente a disposizione una piccola barca, per non essere oppresso dalla folla, perché aveva guarito molti, e tutti quelli che avevano malattie si gettavano sopra di lui per toccarlo.
E gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio! ». Ma egli proibiva loro con energiche minacce di farlo conoscere.

 

4.1 Dio decise che solo incarnandosi – cioè assumendo la natura di uomo - avrebbe potuto portare la Parola perché, aprendo le porte chiuse dell’ottusità del pensiero, avrebbe consentito la liberazione dell’anima che avrebbe potuto tornare a Dio…

Dopo il precedente episodio dei discepoli del Battista, Gesù – ritiratosi con i suoi dodici su un monte in preghiera - li investirà ufficialmente del ruolo di apostoli e, poiché li considera ormai ‘formati’, li invierà per la prima volta in  missione da soli.
Trascorsa infatti una settimana di ritiro spirituale, di meditazione e di unione con Dio, completamente trasformati persino nei volti che hanno assunto una fisionomia più grave ed ascetica, Gesù spiegherà loro nell’inviarli che d’ora innanzi essi non saranno più i ‘discepoli’ prediletti ma gli ‘apostoli’, i capi cioè della sua Chiesa dai quali poi, nei secoli, sarebbero derivate tutte le gerarchie.
Il loro lavoro sarà immenso e quindi ad essi egli affiancherà dei discepoli e un giorno essi non opereranno più solo in Israele ma si diffonderanno in tutto il mondo.
E’ insomma la missione – per capirci – dei futuri vescovi e sacerdoti del cristianesimo, due figure che – anche se agli occhi della gente avranno rilievo gerarchico diverso – assolveranno secondo Gesù allo stesso compito: praticare il culto, abbattere le idolatrie, purificare i cuori e i luoghi, predicare il Signore e la sua Parola, il compito più alto e più santo della terra.
Gesù ed i dodici – come si evince dalla visione della mistica - scendono quindi verso valle. Essi incontrano però a mezza costa, su di un pianoro – come dice l’evangelista Luca – un numeroso gruppo di discepoli ed una gran folla che li attendeva da tempo.
Sono persone desiderose di ascolto della Parola e di guarigione, fisica e spirituale.
Gesù benedice, guarisce… e poi con il gruppo apostolico continua il suo cammino verso valle, e cioè verso il Mare di Galilea, detto anche Lago di Genezareth o di Tiberiade.
Giunti in fondo Gesù si separa dagli apostoli, che prendono una strada diversa per adempiere alla loro missione, e prosegue verso il lago dove – come scrive l’evangelista Marco - sale su una barca che lo attendeva, una specie di ‘taxi’ di quei tempi.
A quell’epoca la barca era un mezzo abituale di collegamento fra le località rivierasche del lago e – nella visione della Valtorta – Gesù prende il largo alla volta del porticciolo dell’omonima cittadina di  Tiberiade, dove approda al molo privato della villa di Giovanna (moglie dell’erodiano Cusa).
Giovanna la troveremo nominata nei vangeli (Lc, 8, 1-3 e Lc 24, 2-12) fra le donne al seguito di Gesù e fra quelle presenti al sepolcro dopo la sua resurrezione.
Di Tiberiade avevo già parlato nel precedente volume quando avevo descritto quel primo incontro sul lago, con rischio di collisione, fra la barca a vela degli apostoli e quella sulla quale viaggiava con dei bellimbusti greci e romani  la bellissima e impudica Maria di Magdala, alias Maddalena, quella discepola non meglio identificata che i vangeli dicono fosse stata posseduta da sette demoni e che in realtà - con Marta – era la famosa sorella di Lazzaro di Betania che ebbe il privilegio di assistere per prima alla apparizione di Gesù risorto.1
Gesù odiava il peccato ma amava i peccatori ed in particolare la Maddalena, rappresentante di tutti i peccatori che si convertono. La giovane donna – di temperamento ardente e di forte carattere – si era convertita dopo un doloroso combattimento interiore e aveva saputo poi ‘innamorarsi’ spiritualmente del suo Dio con lo stesso temperamento con cui prima era stata carnalmente innamorata degli uomini.
Tiberiade, prossima a Magdala, era una ridente cittadina di recente costruzione, località di villeggiatura lacustre, con bellissime ville, ben frequentata da ricchi commercianti giudei, greci e romani, da alti funzionari del Re Erode e da ufficiali dell’esercito romano.
Là – nella villa di Giovanna di Cusa – stanno attendendo Gesù un gruppo di donne romane, tutte amiche anche di quella Claudia Procula, la moglie di Pilato, che aveva ascoltato tempo prima Gesù su  quel molo di Cesarea e che doveva aver fatto anche lei ‘correre la voce’ su quell’uomo straordinariamente sapiente che egli era.
Cusa – anch’egli nominato nei vangeli ufficiali – era Intendente del Re  Erode Antipa e certo sua moglie Giovanna, ebrea, e le altre donne romane che ne frequentavano la Corte, si conoscevano bene fra di loro.
Giovanna di Cusa – lo abbiamo appreso dall’opera valtortiana - era stata in precedenza miracolata da Gesù avendone avuta salva la vita, il che spiega la sua successiva conversione.
Insomma la curiosità per Gesù di queste romane doveva essere veramente al massimo.
E anche ad esse Gesù farà – come ai galeotti ed ai romani su quel molo di Cesarea – un altro discorso sull’anima, calibrato in termini e modi semplici atti a far comprendere questo concetto – che per gli ebrei era famigliare – anche ai pagani.
Nei miei scritti affronto tutte le volte che me se ne presenta l’occasione il tema dell’anima, magari avendo cura di farlo con ‘tagli’ diversi come ho fatto ad esempio nel volume precedente2 ricorrendo all’immagine del software che viene installato in un computer, in particolare spiegando come faccia la nostra anima di semplici ed incolpevoli discendenti di Adamo ed Eva – anima creata pura e immacolata da Dio - a contrarre il ‘peccato’ originale - o meglio, le sue conseguenze - una volta che essa si sia ‘incarnata’ nell’embrione umano.
Se infatti quello dell’anima era un argomento fondamentale – anzi il punto di partenza,  per la predicazione ai pagani che ignoravano questa nozione - non lo è da meno oggi quando, a seguito delle ideologie materialiste, la nozione di anima viene negata, anzi calpestata.
Negando per pregiudizio l’anima e la sua sopravvivenza al corpo, come si potrà concepire poi una vita spirituale eterna?
Oggi, proprio a causa del materialismo, Dio viene negato, ma a quei tempi credere in Dio era relativamente facile perché il Razionalismo non era stato ancora inventato, la Dea Ragione della Rivoluzione francese non era stata ancora ‘insediata’ a Parigi, non vi era la pretesa di voler tutto capire né di negare quel che non poteva essere capito dalla Ragione, il Creato era sotto gli occhi di tutti, e Dio – per dei popoli senza prevenzioni ideologiche - era dunque l’Evidenza, anche se poi ogni popolo per le ragioni che ho già spiegato se lo immaginava nella propria religione in maniera diversa dagli altri.
I pagani ammettevano Dio, anzi gli dei,  perché – senza elucubrazioni filosofiche o artefici intellettuali ma con il semplice buon senso - essi si rendevano semplicemente conto che Qualcuno doveva pur aver creato la Natura che ci circonda.
I pagani ‘arretrati’ di allora non potevano nemmeno concepire che con le ‘vette’ intellettuali del Razionalismo antireligioso ottocentesco ed odierno si sarebbe potuti arrivare a sostenere venti secoli dopo delle assurdità quali quella che l’Universo si è autogenerato, che la Natura che ci circonda si è creata da sé e che l’uomo è infine il prodotto della evoluzione di una cellula - pure creatasi da sola - non senza esser prima passato attraverso lo stadio intermedio di una scimmia!
Ma per i pagani il possesso da parte dell’uomo di un’anima spirituale non aveva l’evidenza di un Dio creatore dell’Universo e della natura materiale che ci circonda e che colpisce i nostri sensi.
Senza una chiara nozione di anima e di sopravvivenza dell’anima era difficile per essi poter credere ad una vita spirituale eterna che valesse la pena di essere conquistata.
E’ la consapevolezza dell’anima la chiave che apre le porte alla ‘comprensione’ del nostro destino eterno, nella buona come nella cattiva sorte.
Dio – il più grande dei pedagoghi perché ci ha creato e conosce bene i limiti della nostra mente e della nostra psicologia che ha bisogno di progredire per passi successivi - spiega allora i suoi segreti all’Umanità poco alla volta, come fanno a scuola i maestri con i loro scolari, adeguandosi passo-passo alla loro progressiva evoluzione intellettuale e culturale.
Il concetto di anima, anche se non messo a fuoco sul piano della razionalizzazione concettuale e spirituale, è sempre stato tuttavia in qualche modo intuito da tutte le popolazioni antiche, anche quelle tribali primitive e addirittura dai cosiddetti ‘uomini delle caverne’ nelle quali sono stati trovati graffiti rivelatori .
Nella successiva cultura ellenica – già qualche secolo prima di Cristo – il tema dell’anima era stato impostato più razionalmente su di un piano filosofico grazie alle intuizioni intellettuali – sia pur imperfette - di personaggi di grande elevatezza morale come Socrate e Platone che ce ne hanno lasciato traccia in qualcuna delle loro opere letterarie.
Gesù – nella pienezza dei tempi della sua Venuta, vale a dire nel tempo previsto nella Mente di Dio per dare attuazione della promessa di Redenzione data ai Primi due al momento della cacciata dal Paradiso terrestre - viene dunque a portare all’Umanità la pienezza della conoscenza dell’anima e della vita eterna alla quale l’anima è collegata.
L’anima, essenza spirituale creata da Dio solo per l’Uomo è come se fosse una ‘particella’ di Dio.
Non ‘particella di Dio’ perché ‘parte’ di Dio, sia chiaro, ma di Dio perché ‘nata da Dio’, o meglio infusa, soffiata da Dio, un qualcosa che rende capaci di accogliere Dio e di comunicare con Dio.
L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio ma gli uomini, anche credenti, hanno una ignoranza diffusissima, che deriva da idee errate, sulla ‘immagine’ con Dio, che non è certo fisica: perché Dio è spirito, e quindi non ha statura, né volto, né struttura.
Dio dette all’uomo un’anima di natura spirituale, e l’immagine con Dio sta appunto in questa natura3, e cioè in questo spirito, eterno, incorporeo, soprannaturale, puro, che – avendo già avuto, come già spiegato, la conoscenza della visione di Cielo nell’attimo della sua creazione - anela sempre più a ricongiungersi a Dio.
Ma la colpa mortale priva l’anima dell’uomo della sua somiglianza con Dio, poiché nell’uomo in peccato lo spirito è morto e l’uomo con lo spirito morto – visto dal Cielo – è un demone.
E’ la Grazia - cioè lo stato di amicizia con Dio che abbiamo perduto con il peccato - quella che può renderci tanto più somiglianti con Dio quanto più essa è viva, e con il vivere ‘santamente’ essa si accresce.
Noi uomini dobbiamo dunque  sforzarci al massimo di accrescerla e di cercare di raggiungere la perfezione della ‘somiglianza’, cosa quest’ultima che però non sarà possibile perché la creatura non può essere identica al Creatore.
Ricordo che quella che io chiamo sempre scherzosamente la ‘Luce del mio Subconscio creativo’, a proposito dell’anima e della sua salvezza, una volta mi spiegò:4

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Luce:
Dio, che è puro Spirito, ha creato l'uomo infondendogli dentro un'anima, di natura spirituale, che è, che potete considerare come la vostra 'Psiche', quella dell'Io conscio e dell'Inconscio, la quale - dopo la morte del corpo - è destinata, se l'uomo si è ben comportato nella vita rispettando i principi della propria coscienza, a salire al Cielo per unirsi a Dio-Padre: Spirito Creatore dell’Universo.
Ma poiché l'uomo creato, ed i suoi discendenti, non si sono comportati bene, hanno dimenticato la loro origine spirituale e hanno smesso di ascoltare la voce della loro coscienza, ecco che Dio-Padre ha detto a suo Figlio, anch'Egli puro Spirito:

'Grazie all'Amore che unisce Te e Me, grazie all'Amore che è Energia Intelligente e che traduce la Potenza del Pensiero del Padre in 'Azione', cioè in fatti concreti, così come è successo nella Creazione dell'Universo, grazie all'Amore che ci unisce, per l'Amore che ci unisce, per l'Amore che ci unisce alle anime degli uomini che non si comportano bene, abbandona l'Alto dei Cieli, scendi sulla Terra, incarna il tuo Spirito nel corpo di un uomo ed insegna a tutti gli uomini la nostra Dottrina affinché essi, riscoprendo di essere tutti figli spirituali di uno stesso Dio, che è loro Padre, seguano la Dottrina che li aiuta a riscoprire la voce della loro coscienza e possano così più facilmente salvarsi, dopo la morte, ritornando fra le braccia del Padre che li ha creati, del Padre che è Amore e con il quale vivranno - da spiriti che amano e che quindi sono felici - per tutta l'Eternità...'

Dio voleva che l'uomo procreasse non ciò che muore, cioè la 'carne' priva di Grazia come lo fu dopo il Peccato originale, ma l'anima - dono di Dio - in 'grazia', che sopravvive 'viva' alla morte della Carne. Era questa la 'riproduzione' voluta da Dio, non quella concupiscente di una carne con spirito morto.
Dio decise che solo 'incarnandosi', cioè assumendo la natura di 'uomo', facendo cioè questo grande sacrificio prima ancora del sacrificio finale, avrebbe potuto portare la Parola facendo capire - attraverso la Dottrina - la Verità, e quindi insegnando la Strada che porta alla Vita eterna.
Perché, aprendo le porte chiuse sull'ottusità del pensiero, avrebbe consentito la liberazione dell'anima che - in virtù della Grazia, recuperata per il Sacrificio - avrebbe potuto tornare a Dio.

 

4.2 Roma non crede alle fole e vuole giudicare con scienza e coscienza prima di condannare e di esaltare. Il tuo popolo ti esalta e ti calunnia con eguale misura. Le tue opere porterebbero a farti esaltare. Le parole di molti ebrei a crederti poco meno di un delinquente. Le tue parole sono solenni e sagge come quelle di un filosofo…

Ma i pagani di allora – contrariamente al popolo ebraico che aveva una tradizione di vari secoli - erano completamente digiuni di nozioni spirituali,  come pure del concetto di un Dio ‘purissimo spirito’ e di quello di ‘vita eterna’.
Ed ecco che allora – nel giardino di Giovanna di Cusa a Tiberiade – Gesù comincia ad introdurre tali concetti parlando di Dio e dell’anima in maniera molto semplice, così come potrebbe fare ai pagani di oggi, prendendo lo spunto da … un mazzo di rose.
Lascio a voi l’apprezzare la bellezza della visione, la capacità descrittiva di Maria Valtorta e l’elevatezza elegante – oltre che la semplicità – delle spiegazioni di Gesù.


167. L'incontro con le romane nel giardino di Giovanna di Cusa. 5

19 maggio 1945.
Gesù, con l'aiuto di un barcaiolo che lo ha accolto nella sua barchetta, sbarca sul pontile del giardino di Cusa. Già lo ha visto un giardiniere ed accorre ad aprirgli il cancello che intercetta agli estranei l'entrata nella proprietà dalla parte del lago, un alto e forte cancello che però si nasconde in una siepe foltissima e alta dì lauri e bossi dalla parte esterna, ver­so il lago, e di rose di ogni colore dalla parte interna, verso la casa. Gli splendidi rosai infiorano le fronde bronzee dei lauri e dei bossi, si insinuano fra le ramaglie, fanno capolino dal­l'altro lato, oppure sormontano del tutto la verde barriera e fanno cadere le loro chiome fiorite al di là. Solo ad un punto, all'altezza di un viale, il cancello si mostra nudo, ed è lì che si apre per dare passaggio a chi viene dal lago e a chi va al lago.
« La pace a questa casa e a te, Joanna. Dove è la tua padro­na? ».
« Là con le sue amiche. Ora la chiamo. Ti attendono da tre giorni per paura di giungere in ritardo ».
Gesù sorride. Il servo va di corsa a chiamare Giovanna. In­tanto Gesù cammina lentamente verso il luogo accennato dal servo, ammirando lo splendido giardino, si potrebbe dire lo splendido roseto, che Cusa ha fatto costruire per la moglie. Rose di tuttì i colori, grandezze e forme, in questo seno riparato di lago, ridono già, precoci e splendide. Vi sono anche altre pian­te da fiore. Ma sono ancora senza fioritura e la loro presenza è minima di fronte alla quantità dei roseti.
Accorre Giovanna. Non ha neppure posato un cestello pìeno a metà di rose, né le forbici che aveva per coglierle, e corre così, a braccia tese, snella e gentìle nella ricca veste di sottile lana dì un rosa tenuissimo, le cui increspature sono tenute in sesto da borchie e fibbie di filigrana d'ar­gento su cui splendono pallide granate. Sui capelli neri e ondulati, un diadema a foggia di mitra, pure in argento e granate, trattìene un velo di bisso leggerissimo, tinto pure in rosa, che ricade all'indie­tro, lasciando scoperte le piccole orecchie appesantite da orec­chini simili al diadema e il volto ridente, il collo sottile sulla cui radice brilla una collana uguale nel lavoro al resto degli ornamenti preziosi.
Lascia cadere il suo cesto davanti ai piedi di Gesù e si ingi­nocchia a baciargli la veste, fra le rose sparse.
« Pace a te, Giovanna. Sono venuto ».
« Ed io sono felice. Esse pure sono venute. Oh! ora mi pare di avere fatto male a fare questo! Come farete ad intendervi? Sono affatto pagane! ».
Giovanna è un poco agitata.
Gesù sorride, le pone la mano sul capo: « Non avere paura. Ci intenderemo benissimo. E tu hai fatto benissimo a "fare questo". L'incontro sarà fiorito di bene come il tuo giardino di rose. Raccogli ora queste povere rose che hai lasciato cade­re e andiamo dalle tue amiche ».
« Oh! di rose ce ne sono tante! Lo facevo per passare il tem­po, e poi le amiche sono così... così... voluttuose... Amano i fio­ri come fossero... non so... ».
« Ma li amo Io pure! Vedi che abbiamo già trovato un argo­mento per intenderci fra Me e loro? Su! Raccogliamo queste splendide rose... » e Gesù si china per dare l'esempio.
« Non Tu! Non Tu, Signore! Se proprio vuoi, ecco... è fatto » .
Camminano fino ad un chiosco che è fatto di un intreccio multicolore di rose. Dalla soglia occhieggiano tre romane: Plau­tina, Valeria e Lidia.
La prima e l'ultima stanno in sospeso, ma Valeria corre fuori e si inchina dicendo: « Salve, Salvatore della mia piccola Fausta! ».
« Pace e luce a te e alle tue amiche ».
Le amiche si inchinano senza parlare.
Plautina la conosciamo di già. Alta, imponente, dagli splen­didi occhi neri, un poco imperiosi, sotto la fronte liscia e bian­chissima, naso diritto, perfetto, bocca un poco tumida ma ben fatta, mento rotondetto e marcato, mi ricorda certe bellissime statue di imperatrici romane. Pesanti anelli splendono sulle bellissime mani e larghi bracciali d'oro fasciano le braccia, ve­ramente statuarie, al polso e oltre il gomito, che appare di un bianco rosato, liscio e perfetto, fuori dalla corta manica drap­peggiata.
Lidia invece è bionda, più sottile e più giovane. La sua non è la bellezza imponente di Plautina, ma ha tutta la grazia di una gioventù femminea ancora un poco acerba.  
E posto che siamo in tema pagano potrei dire che, se Plautina pare la statua di una imperatrice, Lidia potrebbe essere una Diana o una Ninfa di gentile e pudico aspetto.
Valeria, ora che non è nella disperazione di quando la vedemmo a Cesarea, appare nella sua bellezza di giovane ma­dre, dalle forme piene ma ancora molto giovanili, dall'occhio quieto della madre felice di nutrire e vedere crescere del suo latte il suo nato. Rosea e castana, ha un sorriso pacato ma tanto dolce.
Ho l'impressione che siano dame di grado inferiore a Plau­tina, che anche con lo sguardo esse venerano come una regina.
« Vi occupavate di fiori? Continuate, continuate. Potremo parlare anche mentre cogliete queste splendide opere del Crea­tore che sono i fiori e mentre le disponete con l'abilità di cui Roma è maestra in queste coppe preziose, per allungarne la vita, ahimè! troppo breve...
Se noi ammiriamo questo boccio, che appena apre il riso dei suoi petali giallo rosa, come non possiamo rimpiangere di vederlo morire? Ma, oh! come sareb­bero stupiti gli ebrei di sentirmi dire questa cosa! Ma è per­ché anche nella creatura fioreale noi sentiamo un che, che ha vita. E di vederne la fine ci duole. Però la pianta è più saggia di noi. Sa che su ogni ferita di stelo tagliato nasce un nuovo virgulto che sarà la nuova rosa.
Ed ecco allora che la nostra mente deve cogliere l'insegnamento e farsi, dell'amore un po­co sensuale per il fiore, uno sprone a pensiero più alto ».
« Quale, Maestro? » interroga Plautina, che ascolta atten­ta e sedotta dal pensiero elegante del Maestro ebreo.
« Questo. Che come la pianta non muore finché la sua ra­dice è nutrita dal suolo, non muore per morire di steli, così l'u­manità non muore per chiudersi al vivere terreno di un esse­re. Ma sempre nuovi fiori rampolla. E ‑ pensiero ancor più alto, atto a farci benedire il Creatore ‑ e mentre il fiore, mor­to che sia, più non rivive, e ciò è tristezza, l'uomo, addormen­tato che sia nel sonno ultimo, non è morto, ma vivo di una più fulgida vita, traendo con la sua parte migliore eterna vita e splendore dal Creatore che lo ha formato.
Per questo, Valeria, se la tua bambina fosse morta tu non avresti perduto la sua carezza. Sulla tua anima sarebbe sempre venuto il bacio della tua creatura, separata ma non dimentica del tuo amore. Vedi come è dolce avere una fede nella vita eterna? Dove è ora la tua piccina? ».
« In quella cuna coperta. Non me ne ero mai separata avan­ti, perché l'amore per il marito e per la figlia erano i due scopi della mia vita. Ma ora che so cosa è vederla morire, non la la­scio neppure per un attimo ».
Gesù si dirige ad un sedile su cui è posata una specie di cunella di legno, tutta coperta da una ricca coltre. La scopre e guarda la piccina dormiente che l'aria più viva sveglia dol­cemente. I suoi occhietti si aprono stupiti e un sorriso d'ange­lo schiude la bocchina mentre le manine, prima chiuse a pugnello, si aprono avide di afferrare gli ondeggianti capelli di Gesù, mentre un cinguettio di passerotto segna il procedere di un discorso nel suo pensiero. Infine trilla la grande, universale parola: « Mamma! ».
« Prendila, prendila » dice Gesù, che si scosta per lasciare che Valeria si curvi sulla cuna.
« Ma ti darà noia!... Ora chiamerò una schiava e la farò por­tare per il giardino».
« Noia? Oh! no! Mai noia i bambini. Sono sempre miei ami­ci ».
« Hai figli o nipoti, Maestro? » chiede Plautina, che osser­va con che sorrisi Gesù stuzzica la piccola per farla ridere.
« Non ho né figli né nipoti. Ma amo i bambini come amo i fiori. Perché sono puri e senza malizia. Anzi, dammi, o don­na, la tua piccina. Stringermi al cuore un piccolo angelo mi è tanto dolce ». E si siede con la piccolina, che l'osserva e che gli spettina la barba e poi trova da fare meglio con le frange del mantello e il cordone della veste, ai quali dedica un lungo e misterioso discorso.
Plautína dice: « La nostra amica buona e saggia, una del­le poche che non si sdegni di noi e non si corrompa con noi, ti avrà detto che abbiamo avuto desiderio di vederti ed udirti per giudicarti per quello che sei. Perché Roma non crede alle fole... Perché sorridi, Maestro? ».
« Dopo te lo dirò. Prosegui ».
« Perché Roma non crede alle fole e vuole giudicare con scienza e coscienza prima di condannare e di esaltare. Il tuo popolo ti esalta e ti calunnia con uguale misura. Le tue opere porterebbero a farti esaltare. Le parole di molti ebrei a cre­derti poco meno di un delinquente. Le tue parole sono solenni e sagge come quelle di un filosofo. Roma ha molto amore alle dottrine filosofiche e... devo dirlo, i nostri filosofi attuali non hanno una dottrina che soddisfi, anche perché non corrispon­de ad essa la loro forma di vita ».
« Non possono avere una forma di vita corrispondente alla loro dottrina».
« Perché sono pagani, non è vero? ».
« No. Perché sono atei ».
« Atei? Hanno i loro dèi ».
« Non hanno più neppure quelli, donna. lo ti ricordo gli an­tichi filosofi, i più grandi. Erano pagani essi pure, ma ciono­nostante guarda che elevatezza di vita fu la loro! Mescolata all'errore, perché l'uomo è portato ad errare. Ma quando furo­no davanti ai misteri più grandi: la vita e la morte; ma quan­do furono messi davanti al dilemma dell'onestà o della disonestà, della virtù o del vizio, della eroicità o della vigliacche­ria, e pensarono che dal loro volgere al male sarebbe venuto male alla patria e ai cittadini, ecco allora che con volontà gi­gante gettarono lungi da loro le branche dei mali polipi, e li­beri e santi seppero volere il Bene, a qualunque costo. Questo Bene che altri non è che Dio ».
« Tu sei Dio, si dice. E’ vero? ».                                               
« lo sono il Figlio del Dio vero, fatto Carne restando Dio ».
« Ma che è Dio? Il più grande dei maestri, se guardiamo Te».
« Dio è ben più di un maestro. Non avvilite l'idea sublime della Divinità ad una limitazione di sapienza ».
« La sapienza è una deità. Noi abbiamo Minerva. E’ la dea del sapere ».
« Avete anche Venere, dea del piacere. Potete ammettere che un dio, ossia uno superiore ai mortali, abbia, portata alla perfezione, tutto quanto è bruttura nei mortali? Potete pensa­re che uno che è eterno abbia in eterno le piccole, meschine, avvilenti delizie di chi ha un'ora di tempo? E che ne faccia scopo del suo vivere? Non pensate che lurido Cielo è quello che voi chiamate Olimpo e dove fermentano i più acri succhi dell'u­manità? Se guardate il vostro Cielo, che vedete? Lussurie, de­litti, odi, guerre, furti, crapule, tranelli, vendette. Se volete celebrare le feste dei vostri dèi, che fate? Orgie. Che culto da­te ad essi? Dove è la vera castità delle sacrate a Vesta? Su quale divino codice si appoggiano per giudicare i vostri pontefici? Quali parole possono leggere nel volo degli uccelli o dal rom­bo d'un tuono i vostri àuguri? E le sanguinanti viscere degli animali sacrificati che risposte possono dare ai vostri arùspi­ci? Hai detto: " Roma non crede alle fole ". E allora perché crede che dodici poveri uomini, col far fare il giro dei campi ad un porco, una pecora e un toro, e coll'averli immolati, pos­sano propiziarsi Cerere, se avete infinite deità, in odio l'una verso l'altre, e di cui credete alle vendette? No. Ben altra cosa è Dio. Esso è eterno, unico e spirituale».
« Ma Tu dici essere Dio e sei carne ».
« Vi è un altare senza dio nella patria degli dèi. La saggez­za umana lo ha dedicato al Dio ignoto. Perché i saggi, i veri filosofi hanno intuito esservi qualcosa oltre lo scenario istoriato creato per quegli eterni bambini che sono gli uomini da­gli spiriti avvolti nelle bende dell'errore. Se ora questi saggi ‑ che hanno intuito esservi qualcosa oltre lo scenario bugiar­do, qualcosa di veramente sublime e divino che ha fatto quanto è, e dal quale viene quanto di buono vi è nel mondo ‑ han­no voluto un altare al Dio ignoto, che essi sentivano il vero Iddio, come potete voi dare nome di déi a ciò che dio non è, e dire di sapere ciò che in realtà non sapete? Sappiate dunque cosa è Dio per poterlo conoscere ed onorare. Dio è Quello che dal suo pensiero ha fatto dal Nulla il Tutto. Vi può persuade­re e soddisfare la favola dei sassi che si mutano in uomini? In verità vi sono uomini più duri e malvagi del sasso, e sassi vi sono che sono più utili dell'uomo. Ma non ti è più dolce, Va­leria, guardando questa tua piccolina, pensare: " E’ una viven­te volontà di Dio, da Lui creata e formata, da Lui dotata di una seconda vita che non muore, di modo che io l'avrò anco­ra, la mia piccola Fausta, e per l'eternità, se credo nel Dio ve­ro "; anziché dire: " Queste carni di rosa, questi capelli più sottili di filo di ragno, queste pupille serene vengono da un sasso "? Oppure dire: " Io sono in tutto simile alla lupa o alla cavalla e brutalmente mi accoppio, brutalmente genero, bru­talmente allevo, e questa figlia è frutto del mio istinto bruto, è un bruto pari a me, e domani, morta lei, morta io, saremo due carogne che si disciolgono in fetore e che mai più si rive­dranno "? Dimmi! Il tuo cuore di madre che vorrebbe delle due ragioni? ».
« La seconda no certo, Signore! Se avessi saputo che Fau­sta non era cosa che per sempre poteva essere dissolta, il mio dolore, nella sua agonia, sarebbe stato meno spietato. Perché avrei detto: "Ho smarrito una perla. Ma essa vi è ancora. Ed io la ritroverò " ».
« Lo hai detto. Quando Io sono venuto verso di voi la vo­stra amica mi disse che si stupiva della vostra passione per i fiori. E temeva che ciò mi potesse urtare. Ma Io l'ho rassicu­rata dicendo: " Io pure li amo, e perciò ci intenderemo vera­mente bene ". Ma voglio portarvi ad amare i fiori così come porto Valeria ad amare la sua creatura di cui, sono certo, avrà più grande cura ora che sa che ha l'anima, che è particella di Dio chiusa nella carne fattale da lei, mamma: una particella che non muore, e che la mamma ritroverà nel Cielo, se crederà nel Dio vero.
Così voi. Guardate questa splendida rosa. La porpora che orna la veste imperiale è meno splendida di questo petalo, che non solo è gioia degli occhi per il colore ma è gioia del tatto per la sua morbidezza e dell'olfatto per il suo profumo. E guar­date questa ancora, e questa, e questa. La prima è sangue sgorgato da un cuore, la seconda è neve testé caduta, la terza è pallido oro, l'ultima sembra fatta con questa dolce faccia infantile che mi sorride in grembo. Ancora: la prima è rigida su un grosso stelo quasi senza spine, rossastro nel fogliame come fosse spruzzato di sangue, la seconda ha rari uncini di spine e opache e pallide foglie lungo lo stelo, la terza è flessuosa come giunco ed ha un fogliame piccolo e lucido come una verde cera, l'ultima pare precluda la via ad ogni assalto alla rosea corolla tanto si è cosparsa di spine. Sembra una lima dalle acutissime punte.
Ora pensate. Chi ha fatto questo? Come? Quando? Dove? Che era questo luogo nella notte dei tempi? Nulla era. Era informe agitarsi di elementi.
Uno, Dio, disse: "Voglio” e gli elementi si separarono  riunendosi per famiglie.
E un altro " voglio " tuonò, e si ordinarono l'uno nell'altro: l'acqua fra le terre; l'uno sull'altro: l'aria e la luce sul pianeta composto.
Ancora un " voglio " e furono le piante.
E poi furono le stelle, e poi gli animali, e poi l'uomo.
E perché l'uomo avesse diletto, come splendidi balocchi al suo prediletto, Dio elargì i fiori, gli astri, e per ultimo gli donò la gioia di procreare non ciò che muore, ma ciò che sopravvive alla morte per il dono di Dio che è l’anima.
Queste rose sono altrettante volontà del Padre. L’infinita sua potenza si esplica in infinità di bellezze.
Mi è inceppato il dire perché urta contro il bronzo serrato della vostra credenza. Ma spero che, per essere il primo incontro, ci si sia già un poco intesi.
L'anima vostra lavori su quanto ho detto. Avete domande da fare? Fatele.
Sono qui per chiarirle. Non è vergogna l'ignoranza. E’ vergogna il persistere nell'ignoranza quando c'è chi è pronto a chiarire i dubbi ».
E Gesù, come fosse il più esperto dei papà, esce dal chiosco sorreggendo la piccolina che fa i primi passetti e che vuole andare verso uno zampillo che ondeggia al sole.
Le dame restano dove sono parlottando fra loro. E Giovanna, combattuta fra due desideri, sta sulla soglia del  chiosco...
Infine Lidia si decide, e dietro lei le altre, e va da Gesù che ride perché la piccola vuole afferrare lo spettro solare dell'acqua e non stringe che luce e insiste, insiste con tutto un pigolio di pulcino sulle labbruzze di rosa.
« Maestro, io non ho capito perché Tu hai detto che i nostri maestri non possono avere forme di vita buona essendo atei. Credono ad un Olimpo. Ma credono... ».
«  Non hanno più che l'esteriorità del credere. Finché han­no veramente creduto, come i veri saggi credettero a quell'l­ gnoto di cui ti ho detto, a quel Dio che soddisfaceva la loro ani­        ma anche se senza nome, anche inavvertitamente dal volere, finché hanno volto il loro pensiero a questo Ente, ben superiore, ben superiore ai poveri déi pieni di umanità, e bassa uma­ nità, che il paganesimo si è dati, hanno, necessariamente spec­          chiato un poco di Dio. L'anima è uno specchio che riflette e un'eco che riporta ».
« Cosa, Maestro? ».
« Dio ».
« E’ grande parola! ».
« E’ grande verità ».                                                                                                        Valeria, che è sedotta dal pensiero della immortalità, chiede: «Maestro, spiegami dove è l'anima della mia bambina. Bacerò quel posto come un sacrario e l'adorerò, poiché è parte di Dio ».                                      L’anima! E’ come questa luce che la tua Faustina vuole stringere e non può perché è incorporea. Ma c'è. lo, tu, le tue  amiche la vediamo.
Ugualmente l’anima è visibile in tutto quanto differenzia l'uomo dal bruto.
Quando la tua piccina ti dirà i primi suoi pensieri, pensa che quell'intelligenza è la sua            anima che si disvela. Quando ti amerà non con l'istinto ma con la ragione, pensa che quell'amore è la sua anima. Quando ti crescerà al fianco bella, non tanto di corpo ma di virtù, pen­ sa che quella bellezza è la sua anima. E non adorare l'anima,   ma Dio Creatore della stessa, Dio che di ogni anima buona si vuole fare un trono ».
« Ma dove è questa cosa incorporea e sublime: nel cuore? nel cervello?».
« E’ nel tutto che è l'uomo. Vi contiene ed è in voi contenu­ ta. Quando vi lascia siete cadaveri. Quando viene uccisa, da un delitto di uomo a se stesso, siete dannati, separati per sem­pre da Dio ».
« Tu dunque ammetti che il filosofo che ci disse  ‘immortali’ aveva ragione benché pagano? » chiede Plautina.
« Non lo ammetto. Faccio di più. Dico che ciò è articolo di fede. L'immortalità dell'anima, ossia l'immortalità della par­     te superiore dell'uomo è il mistero più certo e più consolante del credere. E’ quello che ci assicura di dove veniamo, di dove andiamo, di chi siamo, e ci leva l'amaro di ogni separazione ».
Plautina pensa profondamente. Gesù l'osserva e tace. In­fine chiede: « E Tu l'hai l'anima? ».
Gesù risponde: « Sicuramente ».
« Ma sei o non sei Dio? ».
« Sono Dio. Te l'ho detto. Ma ora ho preso natura di Uomo. E sai per quale motivo? Perché solo con questo mio sacrificio lo potevo risolvere i punti insuperabili alla vostra ragione, e dopo aver abbattuto l'errore, liberando il pensiero, potevo li­berare anche l'anima da una schiavitù che per ora non ti pos­so spiegare.
Perciò ho chiuso la Sapienza in un corpo, la San­tità in un corpo. La Sapienza la spargo come seme sul terreno e polline ai venti, la Santità come da preziosa anfora infranta fluirà sul mondo nell'ora della Grazia e santificherà gli uomi­ni. Allora il Dio ignoto sarà noto ».
« Ma Tu sei già noto. Chi pone in dubbio la tua potenza e la tua sapienza è malvagio o mentitore ».
« Noto sono. Ma questa non è che un'alba. Il meriggio sarà pieno della cognizione di Me ».
« Quale sarà il tuo meriggio? Un trionfo? Lo vedrò io? ».
« In verità sarà un trionfo. E tu vi sarai. Perché in te è nau­sea di ciò che sai e appetito di ciò che ignori. La tua anima ha fame ».
« E’ vero! Ho fame di verità.».
« lo sono la Verità ».
« Concediti allora all'affamata ».
« Non hai che venire alla mia mensa. La mia parola è pane di verità ».
« Ma che diranno i nostri dèi se li abbandoniamo? Non si vendicheranno su noi? » chiede Lidia, paurosa.
« Donna, hai mai visto un mattino nebbioso? I prati si per­dono sotto un vapore che li nasconde. Viene il sole e il vapore si dissolve, i prati splendono più belli. Così i vostri déi, nebbia di povero pensiero umano che, ignorando Dio e avendo biso­gno di credere, perché la fede è lo stato permanente e necessario dell'’uomo, si è creato questo Olimpo, vera fola insussistente. Così i vostri déi al sorgere del Sole, Iddio vero, nei vostri cuori, si dissolveranno senza poter nuocere. Perché essi non sono ».
 « Bisognerà ascoltarti ancora... molto... Siamo assolutamen­te davanti all'ignoto. Tutto quanto Tu dici è nuovo ».
« Ma ti ripugna? Non lo puoi accettare? ».
Plautina risponde sicura: « No. Mi sento più orgogliosa di quel minimo che ora so, e che Cesare non sa, che del mio no­me ».
« E allora persevera. Io vi lascio con la mia pace ».
« Ma come? Non resti, mio Signore?». Giovanna è desolata.
« Non resto. Ho molto da fare... ».
« Oh! che ti volevo dire la mia pena! ».
Gesù, che si incammina, dopo l'ossequio delle romane, si volge e dice: «Vieni sino alla barca. Mi dirai il tuo affanno ».
E Giovanna va. E dice: « Cusa mi vuole mandare per qual­che tempo a Gerusalemme, e io ne ho dolore. Lo fa perché non vuole che io sia più relegata, ora che sono sana... ».
« Anche tu ti crei nebbie inutili! ». Gesù ha già un piede sulla barca.
« Se pensassi che così potrai ospitarmi o seguirmi con più facilità, saresti contenta e diresti: " La Bontà ci ha pensato " ».
« Oh!... è vero, mio Signore! Non avevo riflettuto ».
« Vedi dunque! Ubbidisci, da brava moglie. L'ubbidienza ti darà il premio di avermi per la prossima Pasqua e l'onore di aiutarmi ad evangelizzare le tue amiche. La pace sia sem­pre con te! ».
La barca si stacca e tutto ha fine.


4.3 Quale insegnamento possiamo trarre da questo brano?

Quali insegnamenti possiamo dunque trarre da questo brano?
In primo luogo che Loisy aveva torto quando - per presentare Gesù come un astuto  opportunista che abusava della credulità altrui – nel suo libro ‘Le origini del Cristianesimo’ scriveva: “Gesù non aveva mai frequentato la grande città di Tiberiade, perché l’ambiente profano non gli conveniva e perché preferiva invece ‘gente semplice e credulona’…”.
I rabbi di Gerusalemme erano tutt’altro che ‘semplici e creduloni’ e anzi si meravigliavano della sua Sapienza, ancorché non volessero riconoscerlo come Messia.
Tiberiade era vicinissima a Cafarnao dove operava principalmente Gesù quando era in Galilea, difficile affermare con sicumera - come fa Loisy - che Egli non l’avesse frequentata.
Quanto poi all’ambiente profano e alla gente credulona, buona parte della predicazione di Gesù si era svolta a Gerusalemme, nel Tempio, sotto gli occhi attenti e indagatori dei Sacerdoti, di scribi e di farisei, dove insegnavano personaggi del calibro di Hillele e Gamaliele, tutto fuorchè persone semplici e credulone che anzi rimanevano stupefatte che Gesù, notoriamente figlio di un modesto falegname galileo, potesse possedere tanta scienza e sapienza.

In secondo luogo che Gesù, contrariamente a quel che pensavano quegli eretici che ne negavano l’umanità per accettarne solo la divinità, é anche un vero uomo, cioè – come egli afferma in questa visione - dotato di anima a tutti gli effetti, anche se priva della macchia del Peccato originale.
In terzo luogo che il Verbo-Dio, purissimo spirito, si era ‘incarnato’ in una natura umana perché – come spiega Gesù sempre nella visione - ‘solo con il suo sacrificio avrebbe potuto risolvere i punti insuperabili alla nostra ragione e dopo aver abbattuto l’errore, liberando il pensiero, avrebbe potuto liberare anche l’anima dalla schiavitù di Satana’.
In quarto luogo che hanno torto quei critici dei vangeli che negano la realtà storica di Gesù, sostenendo trattarsi di un personaggio totalmente inventato dalle prime comunità cristiane, oppure di un uomo al quale il mito aveva incollato sopra l’immagine del ‘dio’.
Il Gesù che emerge da questa visione valtortiana – ancorché si tratti appunto di una visione - è infatti ben credibile anche come uomo, oltre che come Dio incarnato che parla a misura d’uomo e stempera la sua Sapienza  per rendersi intellettualmente accessibile all’uomo.
In quinto luogo – se avete un cuore – non potete, seguendo i discorsi di Gesù, non aver sentito dentro di voi che quello che Egli stava dicendo sull’anima e su Dio è vero e che Colui che stava parlando a quelle pagane in maniera così semplice e serena era veramente l’Uomo-Dio.
In sesto luogo che gli uomini di tutte le razze, bene o male, credono in ‘qualcosa’ di ‘divino’ perché – grazie a quella conoscenza infinitesimale di Dio che l’anima ha avuto nell’attimo fulminante della sua creazione prima dell’inserimento nell’embrione umano – ‘la fede è lo stato permanente e necessario dell’uomo’.
Infine checome dice quel ‘maschilista’ ante-litteram di Gesù a Giovanna di Cusa, la quale non intendeva farsi rimandare dal marito a Gerusalemme –  le mogli sono ‘brave’ se ubbidiscono ai mariti…! O.K.?


q Nota: per un approfondimento sulla interessante personalità di  Maria di Magdala vedi – dello stesso autore – il Cap. 4, Vol. II de “I vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Ed. Segno, 2002

2 G.L.: “ I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo Giovanni’ ” - Vol. II,  Cap. 5: ‘L’evoluzione discendente e…l’uomo delinquente di Cesare Lombroso’ – Ed. Segno, 2002

3 Nota: per una trattazione più completa sull’anima vedi anche, dell’autore,  ‘Alla ricerca del Paradiso 
  Perduto’ – Capp. dal 37 al 50 -  Edizioni Segno, 1997 od il suo sito internet www.ilcatecumeno.net

4 G.L. ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 37 – Ed. Segno, 1997

5 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 167 – Centro Editoriale Valtortiano