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Rimango a meditare profondamente sul brano. Non avete idea di quante cose si scoprono quando – dopo aver letto – ci meditate sopra.
Ad esempio, da questo chiarimento finale del Gesù della Valtorta si comprende che Maria e Giuseppe compresero benissimo, contrariamente a quanto dice Luca, tanto che Maria non se lo sarebbe più dimenticato per tutta la vita.
Leggere una cosa è un poco come dare un’occhiata rapida, circolare, ad un panorama: ne apprezzate la bellezza, ma poi – se qualcuno vi chiede cosa avete esattamente visto – rimanete imbarazzati perché avete visto che era un qualcosa di bello ma che in realtà non avevate messo a fuoco.
Se meditate significa invece che vi soffermate ad analizzare anche i particolari, li inquadrate in una nuova luce, ne scoprite le sfumature  e poi non ve li dimenticate, come quel passo…:

Loro: ‘Come ti chiami’?
Lui: ‘Gesù di Nazareth’!

La benevolenza si smorza nel gruppo di Sciammai…

Questo cosa vi fa capire? Due cose:
- primo, che i galilei, anzi ancor più i nazareni, non godevano di buona fama presso i Giudei
- secondo: che Sciammai & Soci erano dei faziosi, prevenuti, superbi, razzisti…
A vostro avviso, che Messia si sarebbero voluti augurare, dei tipi così? Un Messia d’amore che li liberasse dal Peccato o un Messia di Guerra che li liberasse dai Nemici?
La discussione teologica verte sull’epoca in cui il Messia avrebbe dovuto apparire sulla faccia della terra.
Il profeta Isaia (9,1-6) – circa otto secoli prima di Cristo - aveva profetizzato che in mezzo alle tenebre sarebbe rifulsa una luce, che sarebbe nato un pargolo, che si sarebbe chiamato Dio potente, e Principe della Pace, che avrebbe aumentato i suoi dominii ed assicurato una pace senza fine al trono di Davide ed al suo regno, garantendo diritto e giustizia….
E’ proprio a questo Principe della Pace, che non è altri che l’atteso Messia, che si riferisce qui Gamaliele quando aggiunge che secondo certi calcoli avrebbe dovuto essere nato ormai da una decina d’anni.
Ma come fa Gamaliele a sapere quando avrebbe dovuto essere il tempo del Messia se Isaia non lo aveva detto?
Semplice! Lo aveva detto, o meglio, lo aveva predetto circa cinquecento anni prima l’Arcangelo Gabriele al Profeta Daniele con la celebre profezia delle settanta settimane.
Il popolo di Israele era stato a quel tempo deportato a Babilonia.
Come al solito era stata la conseguenza di una punizione che sembra essere una costante della storia ebraica la quale scorre in una altalena di allontanamenti del popolo da Dio seguiti da punizioni divine e da atti di misericordia quando Dio giudica che il popolo colpevole abbia espiato abbastanza.
Nel caso specifico, il profeta Daniele – anch’egli deportato giovanetto con il suo popolo a Babilonia ma poi cresciuto in sapienza e nelle grazie del re Nabucodonosor e dei suoi successori – aveva sperato ardentemente che i 70 anni di punizione e deportazione a Babilonia profetati precedentemente da Geremia, stessero veramente per finire e non venissero invece prolungati a causa del persistere del cattivo comportamento del popolo.
E mentre Daniele è lì in ardente preghiera che invoca pietà dal suo Dio per il popolo di Israele, ecco che gli appare in visione un Angelo.
Si tratta anzi di un Arcangelo, Gabriele, quello dell’Annunciazione a Maria, che sarebbe poi apparso in sogno anche a Giuseppe per dire che quello di Maria era figlio di Dio e convincerlo a non ripudiarla e che infine – nell’opera Valtortiana - sarebbe apparso nel Getsemani anche a Gesù, per consolarlo nella sua umanità facendogli capire che il suo sacrificio per quella umanità ingrata non sarebbe stato inutile, e gli avrebbe fatto scorrere davanti allo sguardo angosciato i nomi di tutte le schiere, i miliardi di futuri salvati, dandogli la forza di continuare la Passione.
Dio – tornando a Daniele – si commuove per la sua preghiera appassionata a favore del suo popolo e lo consola facendogli sapere non solo che il popolo verrà liberato puntualmente  dopo i settantanni già profetati ma anche che – trascorse settanta settimane dall’editto che avrebbe decretato il ritorno in patria e la ricostruzione della città di Gerusalemme – sarebbe giunto il tempo del Messia, cioè di un Unto che – pur senza colpa – sarebbe stato ‘tolto di vita’.
Il ‘senza colpa’ va non solo inteso nel senso del Cristo, vittima innocente dell’odio dei suoi uccisori, ma in quello di Figlio di Dio, nato senza Colpa di Origine da una donna che – dovendo dare alla luce il Verbo figlio di Dio incarnato in lei - avrebbe dovuto anch’essa nascere senza Macchia.
Vittorio Messori, nel suo libro Ipotesi su Gesù, affronta questo tema della profezia di Daniele e osserva come questo sia l’unico caso in cui il profetismo ebraico sia giunto ad indicare persino la data del compimento di quanto annuncia.
Gli esperti sono d’accordo nel considerare le settanta settimane come  settanta settimane non di giorni ma di anni per cui esse equivarrebbero a  490 anni.
Il problema semmai è quello di stabilire da quale momento bisognerebbe partire per computare il decorrere del tempo.
Vi è – dice sempre Messori - chi ritiene che si debba partire dal decreto di Ciro (Esdra 1, 1-4) emanato nel 538 a.C. dopo la liberazione di Israele dall’esilio babilonese, ma in tal caso la data ‘messianica’ – calcolando i 490 anni - sarebbe caduta troppo presto, cioè nel 48 a.C..
Vi è invece chi ritiene si debba partire dal decreto di Artaserse (Neemia 2, 1-8)  intorno al 458-457, nel qual caso la profezia dei 490 anni cadrebbe nel 32-33 d.C. coincidendo in maniera impressionante con la data presunta della crocifissione di Gesù.
In ogni caso sia tenendo buona una data come l’altra, Messori osserva come sia straordinario che il profetismo ebraico nella sua storia millenaria abbia azzardato una volta sola una data e che questa – sia pur con una oscillazione di alcune decine d’anni a seconda di come si consideri la decorrenza della profezia – si sia rivelata coincidente con l’inizio dell’era messianica, almeno per i cristiani, anche perché – come detto nella profezia – effettivamente nel 70 d.C. Gerusalemme venne distrutta insieme al suo Tempio dai romani ed il popolo di Israele venne disperso.

Ecco comunque cosa scrive Daniele (Dn 9,20-27) nel suo ‘Libro’ di visioni e profezie:

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Io parlavo ancora, pregavo, confessavo il mio peccato e le colpe del mio popolo Israele e umiliavo la mia supplica davanti al Signore Dio mio, per il santo monte del mio Dio, ancora avevo sulle labbra le parole e la preghiera, quando  Gabriele, quell’essere che avevo veduto prima nella visione, volando rapidamente s’avvicinò a me, verso il tempo dell’oblazione pomeridiana.
E così mi parlò: «Daniele, ecco, io sono uscito ora per darti piena conoscenza. All’inizio della tua preghiera, una parola fu pronunziata ed io sono venuto a riferirtela; poiché tu sei l’uomo delle predilezioni di Dio. Sta dunque attento alla parola e procura di intendere la visione.

« Settanta settimane sono fissate, per il tuo popolo e la tua santa città, per mettere fine alla prevaricazione, porre i sigilli al peccato, espiare l’iniquità, instaurare un’eterna giustizia, far avverare visione e profezia, ungere il Santo dei Santi.
Sappi ancora e intendi bene: dal momento in cui fu detta questa parola: ‘Si ritorni e sia ricostruita Gerusalemme’, fino a che sorga un Principe Unto, vi sono sette settimane.
E durante sessantadue settimane essa risorgerà e sarà riedificata, con piazze e mura di cinta, nell’angoscia dei tempi.
E dopo sessantadue settimane sarà tolto di vita un Unto, in cui non v’è colpa.
La città e il santuario saranno distrutti da un principe che verrà.
La sua fine sarà in un cataclisma e fino al termine vi saranno guerra e devastazioni decretate.
E stringerà una forte alleanza con molti durante una settimana.
E nel mezzo della settimana farà cessare  il sacrificio e l’oblazione.
E sopra l’ala del Tempio vi sarà l’abominazione della desolazione, finchè la rovina decretata ricada sul devastatore.

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Il Gesù della Valtorta, commentando nei Quaderni del 1943 (Centro Editoriale Valtortiano) questo brano di Daniele, così dice fra l’altro:

A Daniele che ancora pregava – e la preghiera di lui potreste dirla anche ora – il mio angelo parlò.
Il Consolatore, che è anche l’Annunziatore, non è mai disgiunto da ciò che mi riguarda. Messaggero di Dio, messaggero ubbidiente e amoroso, fece sempre suo gaudio portare i voleri di Dio agli uomini e consolare coloro che soffrono. Non lasciò rapido il Cielo unicamente per l’annunzio beato, per consolare Giuseppe, per confortare la mia tremenda agonia. Già ai profeti era andato a portare la parola e a disvelare il futuro che mi concerne come Messia. Spirito infiammato d’amore, ai desiderosi di Dio aleggia da presso e porta i sospiri degli amanti a Dio e le luci di Dio ai suoi amanti.
Uno solo poteva levare prevaricazione, peccato e ingiustizia sulla Terra, che era meritevole di un nuovo diluvio e che fu unicamente sommersa e mondata da un Sangue divino e innocente. Io, Dio vero fatto carne per voi. Corruzione, peccato, ingiustizia e guerra fra l’uomo  e Dio, avrebbero avuto termine quando non di regale unzione ma di unzione funebre sarebbe stato unto il Santo dei Santi, l’Innocente ucciso per amore degli uomini.
Sospiro dei Patriarchi e di tutto il popolo di Dio, il Messia doveva sorgere per creare la Gerusalemme nuova che non muore in eterno. La Chiesa che vive e vivrà fino alla fine dei secoli e che continuerà a vivere nei suoi santi oltre il giorno di questa Terra. E a Daniele viene dato a conoscere il numero dei giorni che separavano i viventi del tempo del Signore e le conseguenze della nequizia del popolo che al prodigio di Dio risponde con una condanna.
La condanna del Cristo segna la condanna del popolo.
Sempre un delitto attira una punizione. E dato che nessun delitto è più grande di quello di infierire sugli innocenti e calunniare gli incolpevoli, quale punizione poteva essere serbata a chi aveva ucciso l’Innocente, che non fosse distruzione totale del luogo dove l’abominio s’era istallato?
Inutili ormai i sacrifici quando la misura è sorpassata. Dio è longanime, ma non è ingiusto. E perdonare la pertinacia nel peccare dopo aver dato tutti i mezzi  per conoscere l’errore ed uscirne, e per tornare a Dio, sarebbe stato da parte di Dio ingiustizia verso i giusti e verso coloro che i malvagi hanno torturato…

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Questo dettato di Gesù spiega dunque meglio il senso della profezia di Daniele, non dimenticando noi tuttavia una peculiarità di molte profezie che parlano dei tempi ultimi, e cioè la loro ripetitività.
Esse sono infatti passibili di ripetersi nella storia in cerchi sempre più ampli quando si rideterminano condizioni analoghe a quelle che avevano provocato l’avveramento della precedente profezia, tanto che nulla vieta che la stessa profezia di Daniele possa un giorno riferirsi – magari fra migliaia di secoli -  alla distruzione dell’Umanità divenuta sempre più empia, come viene previsto ad un certo punto nell’Apocalisse.
Sarà il momento in cui Gesù, stanco di immolarsi ogni volta nell’Eucarestia per un popolo che – nonostante la sua prima venuta e redenzione – continua ad uccidere Gesù nel suo cuore, dichiarerà inutile questo Sacrificio, Oblazione ed Offerta, e dichiarerà chiusa l’avventura umana essendo ormai completo il numero dei ‘santi’ del suo Paradiso.

Ritorniamo comunque alla visione della Valtorta di Gesù dodicenne.
Sciammai aveva contestato la previsione di Gamaliele sul momento dell’avvento del Principe della Pace facendo presente che di questa pace – in Israele - non se ne vedeva l’ombra come neppure si prevedeva la fine della schiavitù, visto che i legionari di Roma si erano installati sinanche alle porte del Tempio.
Ed è qui che era intervenuto Gesù, dando invece ragione a Gamaliele e chiarendo che l’epoca di pace del compimento delle settanta settimane andava intesa come concretasi all’epoca dell’Editto di censimento dell’Imperatore di Roma (ndr.: E quindi alla nascita del Messia a Betlemme dove Giuseppe e Maria si erano appunto recati per registrarsi al censimento) e che per liberazione dalla schiavitù si doveva intendere dalla ben più tremenda schiavitù del Peccato.

E Gesù – dopo aver implicitamente confermato l’obbiezione di Sciammai che precisava che dopo l’uccisione del Cristo la profezia prevedeva la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme ad opera di un popolo e di un condottiero che sarebbero venuti - aggiunge 

‘Israele per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto il Re di dolore di cui parla Isaia’

e poi ancora continua profetizzando a Sciammai:

‘…Ma quando più alto di questo Tempio, più alto del Tabernacolo chiuso nel Santo dei santi, più alto della Gloria sostenuta dai Cherubini, il Redentore sarà sul suo trono e sul suo altare, maledizione ai deicidi e vita ai gentili fluiranno dalle sue mille e mille ferite, perché Egli, o maestro che non sai, non è, lo ripeto, Re di un regno umano, ma di un Regno spirituale, e suoi sudditi saranno unicamente coloro che per suo amore sapranno rigenerarsi nello spirito e, come Giona, dopo esser già nati, rinascere, su altri lidi: " quelli di Dio ", attraverso la spirituale generazione che avverrà per Cristo, il quale darà all'umanità la Vita vera » .

 

10.3  Israele: una sorta di fato tragico e misterioso

Ora meditiamo.
Il Gesù della Valtorta – non so se l’avrete notato - poco sopra dice testualmente: ‘Ma quando…il Redentore sarà sul suo trono…maledizione ai deicidi e vita ai gentili…fluiranno dalle sue mille e mille ferite…’.
In altre parole: Dio, respinto e ucciso Gesù dal suo popolo eletto, abbandonerà il popolo di Israele che l’ha rinnegato e concederà i benefici della sua grazia a dei popoli pagani che invece lo riconosceranno come Figlio di Dio e come tale lo onoreranno e ameranno, guadagnandosi così la salvezza.
Ora, di questi tempi e in tempi di ‘ecumenismo’ dare l’epiteto di  ‘deicida’ agli ebrei non è una cosa ‘politically correct’.
E in effetti è bene chiarire che gli ebrei - in quanto popolo - non furono deicidi, ma lo furono invece i loro capi che però provocarono sul popolo da essi governato le conseguenze della loro colpa.
La ‘maledizione’ di Dio – secondo la mia sommessa opinione – non consistette in fulmini e saette sulla testa della totalità del popolo in quanto personalmente e direttamente colpevole.
Essa si tradusse invece in un allontanamento di Dio dai Capi politici della Nazione.
Israele, abbandonato a se stesso in quanto ‘Nazione’, si sarebbe creato con le proprie mani i presupposti storico-politici per la sua successiva distruzione e dispersione con  impossibilità di ricostituzione dell’unità nazionale se non in questo nostro secolo, duemila anni dopo.
Fatto sta che – si voglia credere o meno alla ‘maledizione di Dio’ sui deicidi - la storia farebbe pensare che è come se Israele la ‘maledizione’ se la fosse presa sul serio.
Sempre a mio sommesso avviso – nessuno me ne voglia – i cosiddetti cristiani non si sono sempre comportati da ‘cristiani’ nei confronti del popolo ebraico.
Essi, probabilmente, per un umano spirito di ‘vendetta’ che con il cristianesimo non aveva niente a che fare quanto piuttosto con l’interno del loro cuore, sono stati in qualche modo strumento di ‘giustizia’.
Significativo comunque, in occasione del Giubileo del 2000, il pellegrinaggio con richiesta di perdono al Muro del Pianto di Gerusalemme da parte del Papa Giovanni Paolo II.
Dunque il popolo di Israele – in quanto ‘popolo’ in senso generale - non fu deicida.
Volete sapere a questo proposito quale fu l’insegnamento che una volta mi dette la ‘mia’ Luce – mentre scrivevo e meditavo in un altro libro su tutto questo discorso del deicidio e della  ‘maledizione’, per non parlare poi della conversione di Israele, per non parlare infine degli ‘ultimi tempi’, a parte la fine del mondo?
Ascoltate, allora.

(G.Landolina.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 92 – Edizioni Segno, 1997)

92. Il peccato e la condanna di Israele.

Sì, mi dico ripensando alle ultime spiegazioni. Ora tutto è chiaro.
Dio è 'Dio' di tutti, non solo dei cristiani, ed è 'buono' con tutti, anche con i non cristiani, anzi sopratutto con i ‘non cristiani’ che saranno giudicati con molta più misericordia che non quei cristiani che non abbiano saputo far tesoro  del fatto di essere nati nella religione 'giusta'.
Anzi, se penso a me stesso e mi guardo intorno, cioè se guardo intorno i 'cristiani' come me, mi dico che c'è poco da stare allegri...
Faccio però una riflessione. Quello cristiano è sopratutto il mondo  di cultura europea od occidentale, e questo  mondo  ha sviluppato e diffuso - da circa duecento anni - una cultura positivista e razionalista che ha conculcato i valori dello spirito ed ha prodotto materialismo, edonismo  e ateismo.
Noi però, siamo oggi un poco delle 'vittime' di questa cultura della quale siamo imbevuti ma nella quale siamo nati e siamo stati allevati.
Finisce così che noi, figli di questa cultura, indottrinati in questa cultura fin dall'infanzia, ne pagheremo maggiormente le conseguenze, proprio perchè 'cristiani'.
E' un poco come Israele, anzi il popolo ebraico, che pagò e paga ancora oggi le conseguenze di quello che han fatto i suoi 'padri'. Questo veramente non mi sembra 'giusto'...

Luce:
Il  peccato e la condanna di Israele. Ti capiterà più volte di parlare del peccato di Israele e della sua condanna, a molti non parendo giusta quella dei discendenti.
Ma, come ingiusta pare quella dei discendenti di Adamo ma 'giusta' fu (perchè pur incolpevoli essi ne portarono le conseguenze, per cui non colpa d'origine fu ma piuttosto conseguenza della Colpa, conseguenza provocata dai 'Primi' : come le malattie ereditarie dei figli sono conseguenza della trasmissione dei 'geni' da parte dei genitori) così fu per Israele.
La Nazione, politicamente, paga le conseguenze morali, rispetto al resto dell'Umanità, provocate dalla colpa dei padri politici: responsabili di deicidio.
Infatti i 'padri', che padri non furono, non vollero riconoscere il Cristo.
Essi, i capi (chè sacerdoti, farisei, scribi erano i 'capi' politici di una nazione organizzata su base religiosa) si erano per primi allontanati - nei secoli - dalla Legge di Dio, ed il popolo li aveva seguiti, non praticando la legge mosaica che - per una nazione del genere, preparata per secoli e secoli al ruolo di popolo 'eletto' da Dio - era molto più di una 'legge' : era la Legge di Dio.
Non praticandola essi sapevano di respingere non legge d' uomo ma Legge di Dio.
Essi ne praticavano solo l' esteriorità, cioè quel tanto che bastava ad apparire santi per mantenersi degni del 'Potere'.
Orgoglio, superbia ed avarizia spirituale, dalla quale ultima deriva quella naturale, furono dunque non solo la 'causa' del deicidio ma, prima ancora, la conseguenza e causa nello stesso tempo del loro progressivo precedente allontanamento da Dio.
E allora, quando venne il Cristo, non poterono riconoscerlo, nonostante conoscessero le Scritture, perchè non più illuminati dallo Spirito che non era più in loro.
Orgoglio e superbia postulavano per loro senso del potere, innanzitutto politico, e quindi avevano finito per aspettarsi un Messia di guerra, un Messia d'odio, l' odio che avevano nei cuori per tutti i popoli che li avevano sottomessi.
E quando sentirono di un Messia, e poi lo videro, che parlava non d' odio, non di 'potere' ma di amore, essi lo ripudiarono perchè professava una dottrina che era estranea al loro cuore e che essi quindi ripudiavano, l' Amore predicato essendo anche l' antitesi della avarizia spirituale che, come quella materiale, è mancanza di 'carità', cioè sempre di Amore.
E il popolo, come sempre, il 'gregge' subì le conseguenze delle colpe dei suoi 'pastori', come i figli spesso subiscono le colpe dei padri.
Ed Israele-popolo fu trascinato nella maledizione che avevano invocato i deicidi, i 'pastori', chiedendo che il Sangue del Cristo ricadesse pure sui loro figli: vera provocazione, bestemmia satanica contro Dio.
Ed il Sangue ricadde, perchè i peccati contro lo Spirito Santo - e quello fu un gravissimo peccato contro l' Amore, il Deicidio - non vengono perdonati.
Ma il popolo, non il popolo inteso come 'nazione'  ma il popolo dei 'giusti', quello non pagò se non per espiare le 'proprie' colpe individuali e guadagnarsi ancor più merito in Cielo.
Perchè sempre, sempre, sempre ti devi sforzare di valutare quanto succede sulla terra nella prospettiva del Cielo perchè altrimenti la mia Dottrina non ha senso soprannaturale ma solo 'morale'.
La mia non è dottrina morale di legge morale: è dottrina soprannaturale di Legge di Dio.
Dunque i 'giusti' di Israele verranno premiati indipendentemente dalle colpe dei 'padri'. Ma la 'Nazione', da tutti per opposte ragioni e convenienze combattuta, verrà perdonata - in quanto 'nazione'- quando - in quanto 'nazione' - sarà pentita e mi riconoscerà.
E sarà allora, dopo di allora, che Io potrò mettere la parola 'Fine' alla storia dell' Umanità, perchè anche l' ultima mia 'pecora', quella del mio popolo eletto che era stata anche la prima, sarà ritornata all' ovile come il figliol prodigo alla casa.
Allora sì che potrò veramente bandire anche per lei feste, suoni e canti, chiudere le porte dell' Inferno, aprire per tutti i 'giusti' del Mondo quelle del Paradiso perchè la felicità in tutti sia eterna: in Dio.

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Cosa vorreste obbiettare ad una Luce che vi parla così?
Nulla, da parte mia, se non lo sperare egoisticamente (scusatemi la battuta che però - per loro – non è certo offensiva) che a convertirsi al cristianesimo - gli ebrei - ci pensino ancora un po’, se non vogliamo che arrivi troppo presto la fine del mondo.
Anche se – a ben leggere fra le righe, attenzione – la Luce non dice che il mondo finirà quando Israele si convertirà, bensì dopo di allora….
Dopo di allora, avete capito?

Ma a proposito di questo argomento, e cioè la ‘condanna’ di Israele,  mentre  pensavo a come vi avrei potuto commentare la profezia delle settanta settimane di Daniele e della distruzione di Gerusalemme, con le sue implicazioni escatologiche che riguardavano il futuro storico-politico e la conversione di Israele, proprio stamane - mentre a caso avevo aperto uno dei miei tanti libri di Vittorio Messori: ‘Patì sotto Ponzio Pilato?’ -  mi è caduto l’occhio sul titolo di un capitolo: ‘Grideranno le pietre’ nel quale Messori parla anche della distruzione delle ‘pietre’ di Gerusalemme e delle mura del Tempio nel 70 d.C. ad opera dei romani, e poi ancora di tutto il resto: deicidio, escatologia, Daniele, settanta settimane, insomma tutto, tutto come l’avessi scritto io, anzi meglio, per cui, gratis, il Messori ora ve lo racconto, a condizione però che mi promettiate che poi il suo libro ve lo compriate e ve lo leggiate tutto, perché ‘merita’.
Messori commenta quel brano del Vangelo di Luca (Lc 19, 42-44) in cui Gesù – avvicinandosi a Gerusalemme e guardandola - pianse dicendo: ‘Oh, se in questo giorno comprendessi il messaggio di pace! Ma purtroppo è nascosto ai tuoi occhi! Verranno sopra di te giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte. Distruggeranno te e i tuoi figli in mezzo a te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata’.
Messori riflette quindi sulla tragedia toccata a Gerusalemme nella Guerra giudaica, raccontata dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, che si concluse con lo sterminio di oltre un milione di ebrei  che, convenuti a Gerusalemme per le feste pasquali, erano rimasti intrappolati nella città senza poterne più uscire a causa dell’assedio romano.
Giuseppe Flavio racconta pure che gli avversari si scontrarono con inaudita ferocia tanto che in tutta la guerra i romani fecero solo 97.000 prigionieri e gli ebrei superstiti preferirono suicidarsi in massa piuttosto che farsi catturare. Quelli che non morirono in combattimento, perirono per fame e malattie.
Il Tempio – capolavoro artistico che i romani in realtà avrebbero voluto salvare – andò a fuoco per una serie di ‘fatalità’ che hanno dell’incredibile.
Gli stessi sacerdoti – che avevano chiesto pietà al generale Tito che durante l’assedio aveva precedentemente chiesto invano ai Capi di  Gerusalemme di volersi arrendere – vennero da Tito messi spietatamente a morte con la motivazione che per essi era ormai passato il tempo del perdono, che l’unica cosa decente per cui avrebbe avuto senso il salvarli era la bellezza di quel capolavoro artistico che era il Tempio, che però se ne stava ormai andando in cenere, e che quindi anche loro vi perissero pure insieme.
Vittorio Messori cita una frase del Cavalleri: «il colpo durissimo subito dall'ebraísmo con la distruzione del tempio e la catastrofe di Israele indusse i dottori della legge sopravvissuti a modificare le spiegazioni delle profezie messianíche e perfino a rifiutare come non ispirati libri (o parti di essi) che già erano stati accettati e usati come tali.  Risulta, del resto, che molti scritti ebraici (catechetici ed esegetici) che parlavano della venuta del Messia sono stati distrutti intenzionalmente o celati dai maestri di Israele, a partire dalla riorganizzazione dopo il 70.  Ne abbiamo una prova anche nella famosa disputa di Tortosa, del 1413, tra un giudeo convertito e i rabbini più saggi del regno di Aragona: disputa che evidenzia in modo inequivocabile questo fatto».

Dopo la caduta di Gerusalemme – per scongiurare il rischio che saltassero fuori altri ‘Messia di Guerra’ di stirpe regale – l’imperatore Vespasiano ordinò di cercare e uccidere tutti i discendenti della tribù di Davide.
La storia ebraica, fino a tempi recenti di cui abbiamo tutti memoria, è dunque storia di olocausti.
Tutto questo non può che indurre il cristiano alla meditazione.
Giuseppe Flavio – riferendosi evidentemente alla profezia di Daniele – scrive infine : ‘ciò che incitò maggiormente i giudei alla guerra fu una ambigua profezia, ritrovata nelle Sacre Scritture, secondo cui in quel tempo Uno, proveniente dal loro paese, sarebbe diventato il dominatore del mondo. Questi essi l’intesero come se alludesse ad un loro connazionale, e molti sapienti si sbagliarono nella interpretazione, mentre in realtà la profezia si riferiva al dominio di Vespasiano, acclamato imperatore di Giudea…’.

E quest’ultimo è il ‘tocco’ che ci concilia con la politica.
Giuseppe Flavio, ex-comandante militare israelita, poi catturato dai romani e adeguatosi cortigianamente, non aveva trovato di meglio che ingraziarsi il suo nuovo Protettore che l’aveva accolto, dicendogli che l’atteso Re dei re era nientemeno che lui.

Bravo Giuseppe Flavio!