(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia  - Cap. 12, 1-11 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 586 – Centro Ed. Valtortiano)

3. Ma Gesù, nel cuore di Giuda, sapeva leggere bene

 

Gv 12, 1-11:

Sei giorni prima di Pasqua Gesù andò a Betania, dov’era Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti.
Lì gli offrirono una cena: Marta serviva a tavola e Lazzaro era uno dei commensali.
Maria, presa una libbra di profumo di nardo puro, molto prezioso, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli, e la casa fu ripiena del profumo dell’unguento.
Giuda Iscariote, uno dei suoi discepoli, quello che stava per tradirlo, borbottò: «Perché non s’è venduto tale unguento per trecento denari che si potevano dare ai poveri?».
Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, tenendo la borsa, portava via quello che si metteva dentro.
Rispose Gesù:«Lasciala, che conservi questo unguento per il giorno della mia sepoltura. I poveri li avrete sempre con voi, me invece non mi avrete sempre».
Molta gente dei Giudei venne a sapere che Egli era là e vi andarono, non per Gesù soltanto, ma anche per vedere Lazzaro che Egli aveva risuscitato dai morti.
Allora i gran Sacerdoti deliberarono di far morire anche Lazzaro, perché molti, a causa di lui, abbandonavano i Giudei e credevano in Gesù.

3.1 La cena era a casa di Lazzaro o di Simone il lebbroso?

Nel capitolo precedente avevamo lasciato Gesù in Samaria, presso Efrem, dove Egli – avendo saputo che il Sinedrio aveva deliberato di ucciderlo - si era rifugiato.

E ciò non perché  volesse salvarsi la vita, chè anzi era sceso in terra per perderla, ma – credo - per via di tutti quei simbolismi della Pasqua ebraica e di quella…cristiana che vi ho spiegato nel capitolo precedente.
Insomma i tempi, allora, non erano ‘maturi’ perché la Pasqua non era ancora prossima.
Ora, invece, siamo nel mese ebraico di nisan (grosso modo un periodo a cavallo fra il nostro mese di marzo e quello di aprile), alcuni giorni prima della Pasqua ebraica, quando Gesù – provenendo da Gerico come dicono gli altri evangelisti – arriva a Betania.
Già da qualche giorno – in previsione del suo imminente ritorno a Gerusalemme – Gesù aveva cominciato a preparare gli apostoli alla sua morte e crocifissione.
Non ce lo dice Giovanni, ma gli altri evangelisti ed in particolare   Matteo (Mt 20, 17-19): ‘Poi Gesù, stando per salire a Gerusalemme, presi in disparte i dodici discepoli, disse loro: «Ecco, saliamo a Gerusalemme, e il Figlio dell’Uomo sarà dato nelle mani dei gran Sacerdoti e degli Scribi. Essi lo condanneranno a morte, e lo consegneranno ai Gentili, perché lo scherniscano, flagellino e crocifiggano; ma il terzo giorno risorgerà».
Ma, annota Luca, ‘quelli nulla compresero di tutte quelle cose, ed il senso di esse era loro nascosto e non afferravano quanto veniva loro detto…’.
Veramente…, non riesco neanch’io a comprendere come essi non potessero comprendere quel che Gesù andava dicendo loro, anche perché Gesù – lo avete visto nelle visioni della Valtorta – parlava chiaro.
A meno che il mio non sia quel famoso ‘senno del poi’ ed il loro non fosse stato quel processo che la psicanalisi chiama ‘rimozione’, per cui - inconsciamente  - ti rifiuti di capire anche l’evidenza, se è una verità che ti fa male.
Quindi non è che non capissero, è che non volevano capire, perché non ci volevano credere.
Tutti, tranne uno: Giuda!
Giuda aveva capito tutto!
E ora aspettava solo il momento buono per ‘venderlo’ e guadagnarsi così un ‘salvacondotto’ per la propria pelle.
Che delusione, per Giuda, quelle anticipazioni di Gesù sulla propria sorte.
Un Dio che si lascia crocifiggere?
Ma quello non poteva essere Dio. Doveva essere un illuso, un folle.
E chi potrebbe uccidere un Dio, poi?
E quale Dio si lascerebbe ‘uccidere’, da degli ‘uomini’, poi?
Se il concetto di ‘redenzione’ dell’Umanità dai peccati e dal Peccato originale grazie al Sacrificio d’amore di un Dio non era ancora ben entrato nelle teste degli apostoli, figuriamoci in quella di Giuda che – se dopo tre anni di vita apostolica è arrivato a tradire e vendere Gesù sapendo che sarebbe stato ucciso -  oltre che ladro doveva esser scettico, cinico e tutto il resto.
E la personalità di Giuda – a leggere bene fra le righe – si intuisce anche da questo episodio in cui Giovanni narra della cena a Betania.
La primavera – in quel mese ed in Israele -  doveva essere in piena fioritura e chissà che feste avranno riservato a Gesù ed agli apostoli gli abitanti del villaggio di Betania, ancora estasiati da quel miracolo del loro Lazzaro – praticamente il padrone del paese oltre che di mezza Gerusalemme – ma che soprattutto oltre che esser un ‘padrone’ era anche un ‘giusto’ ed era quindi molto amato e rispettato.
Si era in clima ‘pasquale’, come quando dalle nostre parti si è sotto le feste di Natale, e Gerusalemme si preparava con il solito entusiasmo e allegria alle imminenti celebrazioni della liberazione d’Egitto.
La città si stava riempiendo e la notizia del miracolo di Lazzaro aveva fatto il giro di tutte le bocche, specie dei pellegrini in arrivo da ogni dove, provocando degli ‘Oh…!’ di stupore   e accendendo gli animi dei curiosi della voglia di andare a Betania a vedere non tanto e non solo Gesù quanto quella mirabilia che doveva essere quel redivivo di Lazzaro.
Non saremmo stati anche noi curiosi di vedere un morto risuscitato? Non è una cosa che ci capiti tutti i giorni. Anzi, non ci è mai capitata.
E la cena in quella casa di Lazzaro a Betania, poi? Chissà che eleganza di apparato…
Vi era tutto il collegio apostolico.
E poiché siamo a circa una settimana dal famoso venerdi di Parasceve, cioè il venerdì di Passione - dove le ‘donne’ di Gesù sul Calvario le vedremo tutte - vi dovevano essere anche Maria, la mamma di Gesù, e le altre discepole che venivano dalla Galilea, come Maria d’Alfeo, zia di Gesù e madre degli apostoli-cugini Giuda e Giacomo, e poi Salome, moglie di Zebedeo e madre  degli altri due apostoli Giovanni (cioè il nostro ‘grande’ Giovanni) e Giacomo. E poi ci sarà stata Susanna, la sposina del miracolo di Cana che - dopo quell’altro secondo miracolo della ‘sessualità’ di cui vi avevo parlato nel Cap. 7 del volume precedente – aveva deciso, d’accordo con il marito, di seguire Gesù come discepola ogniqualvolta Gesù lo avesse consentito.
Quale occasione migliore della celebrazione della Pasqua, quando tutti  gli israeliti facevano l’impossibile per recarsi in pellegrinaggio al Tempio, per ritrovarsi tutti insieme e far festa?
Saranno dunque stati, lì a Betania, in almeno una ventina.
Tutti in casa di Lazzaro?
No, non era un albergo, non sarebbe stato neanche ‘bene’, insediarsi tutti lì da lui.
A questo proposito, apparentemente i vangeli farebbero emergere una ‘discrepanza’: è solo un particolare, d’accordo, ma è una discrepanza e a me – che sono, anzi che ho il limite di essere in certe cose ‘pignolo’ – le ‘discrepanze’, specie se le incontro nei vangeli, mi lasciano a disagio.
Anche perché io interpreto la ‘Parola di Dio’ alla ‘tedesca’: se una cosa è quella deve essere quella, mentre invece so bene che non mi dovrei fermare alla lettera delle cose – come gli scribi e i farisei, mi capite? – e dovrei approfondirne invece lo ‘spirito’.
Comunque Giovanni dice qui che la cena si è tenuta in casa di Lazzaro a Betania, mentre gli altri evangelisti Matteo, Marco e Luca dicono che in quel periodo Gesù si trovava a Betania in casa di Simone il lebbroso
Gesù in casa di un lebbroso? Qualche miracolo da fare? No, era un miracolo già fatto, perché Simone il lebbroso altri non era che Simone detto lo Zelote, guarito all’inizio della vita apostolica da Gesù e diventato subito dopo suo apostolo.
Simone lo Zelote era stato – questo l’ho saputo leggendo un passo di quei dieci volumi della Valtorta – un amico di giovinezza, un amico fraterno di Lazzaro con il quale condivideva anche una notevole cultura ellenistica.
E adesso mi viene in mente – ma questo è il ricordo un po’ più confuso di un breve brano che non saprei dove andare a ripescare nell’opera valtortiana - che Simone aveva anche una sua casa proprio vicino a quella di Lazzaro.
Quando si era trovato in ristrettezze economiche e di movimento a causa del bando conseguente alla lebbra che egli aveva contratto, egli – che era relegato in una qualche cava insieme ad altri lebbrosi - aveva chiesto a Lazzaro, che cercava di soccorrerlo,  di vendergli la casa.
Lazzaro – da vero amico – aveva fatto finta di venderla ad un terzo ad un prezzo molto buono, e quindi ne aveva dato l’abbondante ‘ricavato’ a Simone perché questi potesse far meglio fronte alle proprie necessità.
Successivamente – quando le continue visite del Gruppo apostolico a Gerusalemme lo avevano richiesto – Lazzaro, sempre se ben ricordo, aveva reso nuovamente la casa al suo originale proprietario, cioè al suo amico Simone.
L’aveva resa ‘gratis’, intendo dire, affinchè gli apostoli potessero agevolmente soggiornarvi quando venivano in visita a Gerusalemme e a Betania, che era a due passi da Gerusalemme.
Ciò spiegherebbe allora l’apparente contraddizione fra i Vangeli di Matteo e Marco da un lato e quello di Giovanni dall’altro, contraddizione che io – se voi non avete una supposizione migliore - spieggherei così: quella casa era stata effettivamente di proprietà di Lazzaro, pur essendo stata precedentemente e poi anche successivamente di Simone, per cui si sarebbe potuto dire che era di entrambi, oppure che Gesù, e il Gruppo apostolico erano ospiti in casa di Simone, ma per la cena si erano spostati nella casa attigua di Lazzaro, che certo per ampiezza di sale di convito, servitù e ricchezza di ‘apparato’ era più adatta dell’altra.
Maria, cioè la mamma di Gesù, non partecipa alla cena, come nemmeno le altre donne: tutte rimaste in casa di Simone con Maria, evidentemente.
Maria SS. non doveva aver voglia di partecipare a cene, perché – anche se gli apostoli non avevano voluto capire quell’ultima predizione di Gesù sulla propria imminente sorte, sulla strada da Gerico a Betania – lei conosceva benissimo le profezie sulla triste sorte del Messia e presentiva pure, per il dono della precognizione, come si sarebbe conclusa tragicamente la storia di lì a pochi giorni.

3.2 Ma Giuda guasta la festa a tutti…

Perché quella cena? Perché quella era la prima volta che si rivedevano  dopo la risurrezione di Lazzaro e la successiva fuga precipitosa del Gruppo dopo che si erano sapute le sinistre intenzioni del Sinedrio su Gesù.
E poi eran vicine le feste di Pasqua – che duravano vari giorni -  e quella risurrezione andava ben festeggiata in qualche modo, no?
A pensarci bene, quando era appena uscito dalla tomba - Lazzaro  - non doveva essere ancora in vena, e neanche le sorelle, dopo tutti quei pianti…
Dunque, ora, son tutti a tavola e in casa di Lazzaro: Gesù, Lazzaro, i dodici apostoli compreso Giuda, nonché Maria e Marta.
Ecco perché – anche - la cena deve essersi svolta in casa di Lazzaro: c’erano Maria e Marta, le padrone di casa che facevano gli ‘onori’ e dirigevano la servitù, servendo all’occorrenza esse stesse, come dice lo stesso Giovanni di Marta la quale – questo ormai lo sappiamo, perché ne abbiamo già parlato un’altra volta – delle due era la più ‘pratica’ mentre l’altra era la più ‘contemplativa’.
Non è che a Marta piacesse che Maria ‘contemplasse’, ma Gesù una volta aveva garbatamente ‘rimproverato’ Marta dicendole grosso modo che il contemplare, e l’amare, era più importante del ‘fare’, sia pure con fine buono.
E se Maria Maddalena era – oltre che donna – anche una ‘contemplativa’ doveva aver intuito che le profezie ultime di Gesù sulla propria imminente cattura ed uccisione si sarebbero fra poco avverate.
Per la madre di Gesù si trattava di una preveggenza, frutto dei doni dello Spirito Santo, per Maria Maddalena era invece una ‘premonizione’ umana che la faceva soffrire tremendamente perché lei – gran peccatrice redenta da Gesù – si era completamente spiritualizzata e, con dei rimorsi fortissimi per la sua vita passata, avrebbe voluto espiare i suoi peccati – che lei sapeva avevano ‘crocifisso’ il Verbo prima ancora che Egli si facesse Carne – restituendogli in amore quanto di amore essa gli aveva precedentemente tolto e quanto Egli – con l’incarnazione e la redenzione – le aveva dato.
Nel primo volume di questa nostra trilogia – grazie a quelle splendide visioni della Valtorta - avevamo ben inquadrato (a parte la sua avvenente bellezza che colpisce sempre un uomo che legge) il suo carattere forte, come pure la sua ‘passionalità sensuale’ di donna di facili amori.
Una ‘capacità’ che poi - grazie ad una conversione sofferta e bruciante - si era trasformata in ‘passionalità spirituale’, cioè quella capacità di uno spirito – già ardente e passionale per proprio temperamento – in cui questa sua capacità, prima rivolta al sensuale, si trasforma in amore spirituale. Certi ‘psicologi’ la chiamano ‘sublimazione’ dell’amore carnale represso, e credo che non capiscano neanche loro di cosa parlano.
La cena credo dovesse ormai essere sul finire.
Non riesco infatti ad immaginarmi la scena della Maddalena che arriva lì col vaso e fa l’unzione nel bel mezzo fra un primo piatto ed un secondo.
I discorsi stavano magari stemperandosi nel ‘generale’, quando lei – la Maddalena -  si avvicina col vaso.
Saran stati seduti intorno ad uno di quei tavoli classici ad ‘U’, come si usava quando si era in tanti e come si usa ancora adesso, con Gesù a capotavola e Lazzaro, che era il ‘padron di casa’, alla destra di Gesù.
Non dovevan aver sedie, ma quei caratteristici sedili-letto alla moda romana: insomma mangiavano mezzo sdraiati.
Roba da bloccare la digestione, ma loro dovevan esserci abituati.
Maria Maddalena (detta ‘Maddalena’ perché lei aveva anche una ‘casa vacanze’ nel paese di Magdala, in realtà una villa principesca: vedi Valtorta) si avvicina a Gesù, vaso in mano, toglie il tappo, sarà un mezzo litro, cioè una libbra, ne fa scendere il liquido oleoso su una mano.
Ma non esce bene.
Solo così mi spiego che lei possa rompere il ‘collo’ ad un vaso di alabastro …, rompere il collo – dico io – e non rompere il vaso - come dice Marco.
Dico il ‘collo’ perché non avrebbe certo avuto senso spaccare tutto il vaso. Dove sarebbe andato a finire l’unguento?
Giuda invece non se lo spiega, allibisce e vorrebbe rompere il collo a lei, di fronte a tutto quello spreco, di vaso e di unguento preziosi.
Parsimonioso? No, ladro! Anzi, lussurioso!
Vi stupisce?
Giuda, ormai lo abbiamo capito, non era un ‘santo’.
Uno che rubava dalle casse – come dice Giovanni – e che stava tradendo definitivamente uno come Gesù doveva essere oltre che ladro anche lussurioso, appunto, il che per un apostolo…
Non è che io ce l’abbia con i lussuriosi, capitemi.
Ma questa è l’idea che mi son fatto di Giuda, leggendo la Valtorta.
Probabilmente non lo era all’inizio, ma lo deve essere diventato col tempo, quando – da apostolo – aveva cominciato a scivolare sempre più in basso.
Con quale occhio Giuda dovette vedere quella scena di quella donna bellissima, già gran peccatrice e già liberata da Gesù, la quale - come aveva scritto un evangelista – era stata posseduta da ben sette demoni - e che quindi, secondo Giuda, come donna doveva ben sapere il fatto suo, mentre con quelle sue belle mani ungeva Gesù e lo asciugava con i suoi capelli, piedi compresi?
Come l’avrebbe vista secondo voi un ‘lussurioso’?
Più o meno così, no?
Gesù invece – Uomo e Dio, privo di Peccato Originale e quindi privo di ‘fomiti’ se non impulsi d’amore quali si provano verso un fratello, una sorella o un genitore – non poteva certo attribuire alcuna malizia a quanto quella donna andava facendo.
Provando a leggere io nel cuore di Giuda, credo che egli stesse invece per scoppiare: un misto di odio per Gesù che stava per tradire, perché il suo senso di colpa si scaricava in aggressività facendogli odiare quel che diventava causa del suo senso di colpa, e anche perché Satana agiva in lui e lo faceva sentire ‘defraudato’ delle sue ambizioni di potere, perché Gesù non era più il Re dei Re, il Messia terreno che egli si era illuso che fosse. E poi invidia per quella bellissima donna che lui avrebbe voluto, e infine rabbia – trecento denari d’unguento che avrebbe potuto mettersi in tasca –  per quello sperpero che vedeva fare ma che non era neanche tanto importante di per sè se non per il fatto che gli forniva il ‘pretesto’ di sfogare, rendendolo appariscente, il suo malumore interiore.
In realtà  l’opinione sullo ‘spreco’ – ma solo quella – dovevano averla segretamente un pò condivisa anche gli altri apostoli alcuni dei quali – come rivelano Matteo e Marco – si ‘indignano’ per lo ‘scialacquo d’unguento’.
Maria sarà scoppiata a piangere e certamente si sarà creato imbarazzo - a tavola  - per quell’uscita di Giuda, ospite di Lazzaro, in casa di Lazzaro.
Una cosa da gran maleducati, insomma, anche perché l’unguento non era di Giuda.
Credo che Lazzaro – molto protettivo nei confronti delle sorelle -    avrebbe ‘spedito’ Giuda di corsa a casa di Simone, se non fosse stato  ‘padron di casa’ e, signore come era, non avesse voluto sollevare questioni per delicatezza verso quell’ospite di grande riguardo che era Gesù.
E allora Gesù sdrammatizza tutto, dando agli altri la spiegazione ‘spirituale’ di quell’atto della Maddalena che essi avevano visto con occhio ‘materiale’: Lasciatela fare, lei ha capito tutto, sa della mia prossima morte, questo è un atto di amore doloroso e di omaggio, per la mia prossima sepoltura’.
Queste ultime parole – dette lì proprio a tavola nel bel mezzo di quella festa che era già stata mezzo rovinata dalle parole sferzanti di Giuda – la festa la rovinano del tutto, e credo che poco dopo i commensali – con qualche scusa - si saranno alzati da tavola, per togliersi dall’imbarazzo e per togliersi Giuda dalla vista.

Povero Gesù, perfino quella festa che avrebbe dovuto dargli l’ultimo umano conforto prima della crocifissione successiva, perfino quella festa  - Giuda - gli ha rovinato…
Anche perché gli altri avran pensato solo allo ‘scialacquo d’unguento’ ma Gesù, nel cuore di Giuda, sapeva leggere bene!