Prefazione al secondo volume


Nel primo volume di questo nostro lavoro abbiamo commentato il Vangelo del ‘grande’ Giovanni alla luce, o meglio, sovrapposto in controluce a quello del ‘piccolo Giovanni’, e cioè Maria Valtorta, questa nostra grande mistica contemporanea, anima-vittima e brillante scrittrice che, grazie a doni mistici di particolarissimo rilievo (‘dettati’ ricevuti da Gesù e visioni della vita evangelica poi compendiate in dieci volumi ed altre opere) ci ha lasciato un capolavoro letterario e teologico, oltre che storico, che è importantissimo per una migliore comprensione dei vangeli.
Quello di ‘piccolo Giovanni’, come pure quell’altro di ‘violetta’, era un appellativo affettuoso con il quale il Gesù delle visioni e dei dettati soleva chiamare questa sua anima diletta, la Valtorta, che aveva accettato il ruolo di ‘vittima’ per essere in qualche modo ‘corredentrice’ con Gesù per i peccati che l’Umanità, nonostante il Sacrificio di un Dio per la sua Redenzione, ha continuato, continua e continuerà a compiere.
Ho sempre fatto una certa ‘fatica’ a capire ed accettare questo concetto, perché il dolore mi fa paura, ma essere ’corredentori’ significa accettare la sofferenza, fisica o morale o spirituale, e qualche volta tutte e tre insieme, come fece appunto Gesù, per concorrere a riscattare almeno in parte – attraverso questo dolore voluto e offerto - le offese dell’Umanità a Dio al fine di consolarlo con questa sublime dimostrazione di amore ed impetrarne perdono ed aiuti di conversione per la salvezza degli altri uomini che – nell’anima – ci sono tutti fratelli.
Mi è anche sempre stato difficile accettare il concetto che un altro uomo mi possa essere ‘fratello’, sia pur nell’anima.
Il fatto è che noi, degli altri uomini, cioè del prossimo, conosciamo generalmente l’aspetto peggiore, quello dell’io, o meglio dell’ego, fatto di egoismo, protervia, prevaricazione e aggressività.
Lo stesso vale per gli altri uomini nei nostri confronti.
Ma la nostra anima, altro non è che il nostro ‘complesso psichico fatto di conscio e subconscio, e non è costituita quindi solo dal nostro ‘io’.
L’io ne rappresenta semmai l’aspetto ‘cosciente’ deputato alle ‘relazioni’ con il mondo esterno.
 L’anima – nelle spiegazioni del Gesù della Valtorta - comunicava infatti con Dio con la parte più profonda e migliore di se stessa, quella che potremmo chiamare ‘lo spirito dello spirito’ o l’anima dell’anima, che era quella che governava l’intero complesso psichico dando ordine alle tendenze altrimenti disordinate dell’io.
Con il peccato originale si ruppe l’equilibrio, lo stato di ‘grazia’, insomma lo stato di ‘amicizia’ con Dio, vennero meno i suoi ‘doni’, e l’io prese il sopravvento, lo ‘spirito dello spirito’ venne sottomesso, entrò il disordine nella psiche ma anche nel corpo il quale  – a causa della profonda simbiosi ed interazione psico-somatica -  ne risentì e ne fu sconvolto nel metabolismo, nel sistema endocrino, nel Dna, dando origine alle malattie, all’invecchiamento, alla morte, al dolore fisico, al quale si sarebbe presto aggiunto – come vedremo quando Caino ucciderà Abele a causa delle tare ‘spirituali’ acquisite, come la superbia, l’invidia, l’egoismo, l’odio – anche il dolore morale.

E poiché l’uomo attuale è il frutto – per riproduzione fisiologica – del primo uomo degenerato, è ora difficile riuscire a vedere nell’io del nostro prossimo un ‘fratello’: noi non ci riconosciamo in lui, come lui non si riconosce in noi.
In effetti nel nostro reciproco ‘io’ non ci sentiamo affatto fratelli, quantunque fratelli e ‘figli’ – in quanto creati da Dio a sua immagine spirituale e somiglianza - lo siamo invece nella parte più profonda dell’anima, l’anima dell’anima che, pur sommersa dall’io, continua ad anelare a Dio e ci parla e ci richiama con la voce della coscienza, che è poi anche la voce di Dio.
E’ per la salvezza di queste anime e per amore di Dio (che ci vorrebbe tutti salvi) che le anime-vittima come la Valtorta hanno accettato di soffrire.

A proposito di anime-vittima. Io le ho sempre guardate con timore reverenziale ma anche con una punta di sospetto. Mi sono ad esempio sempre chiesto se almeno in qualcuna di esse non vi fosse una qualche ‘punta’ di masochismo sublimato, insomma un ‘masochismo a sfondo religioso’, dove la sofferenza procura piacere: nel caso specifico un ‘piacere’ a carattere spirituale, magari finalizzato alla salvezza degli altri uomini.
L’avevano pensato anche taluni illustri psicoanalisti, atei e materialisti, che – estranei alla spiritualità, negando l’anima e scettici nei confronti del Dio d’amore cristiano - non sapevano capacitarsi che per amore si potesse voler soffrire: se dunque un impulso di questo secondo genere v’era, non poteva che essere un impulso ‘deviato’: e cioè masochismo!
Questo della sofferenza accettata per amore è invece proprio l’insegnamento che ha cercato di impartirci con il suo esempio Gesù, anima-vittima per eccellenza: la massima espressione d’amore è l’essere capaci di soffrire per amore!
La sofferenza, naturalmente, ha una gamma vastissima di sfumature.
Lo stesso combattimento quotidiano contro il proprio ‘io’, contro i propri istinti disordinati, è ‘sofferenza’, e gli insegnamenti impartiti nei vangeli da Gesù – in un modo o nell’altro – vanno tutti nella direzione di una spiritualizzazione che – in quanto battaglia contro gli istinti (peggiori) più naturali – è uno stillicidio di piccole ‘sofferenze’.
Non ha senso leggere un Vangelo come una sequenza di episodi, di miracoli, di insegnamenti se poi non se ne comprende la ‘trama’ che ne sostiene il tessuto dottrinario e che è appunto quella del dolore e dell’amore.

E a proposito di amore e dolore, e specialmente di dolore, in particolare quello voluto e offerto dalle anime-vittima come Maria Valtorta, mi viene ora in mente (Quaderni del 1943, Centro Editoriale Valtortiano, dettato del 23.9.43) una spiegazione che Gesù le aveva dato:

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23 settembre.
Dice Gesù:
« Torno ad una delle note dominanti del mio parlare.  Due sono le note dominanti, Maria.  Necessità dell'amore: la prima.  Necessità della penitenza: la seconda.
Veramente il Dio Uno e Trino - che vi ha creati dandovi un regno in cui tutti vi erano sudditi e da dove il dolore era bandito, e morte non ci sarebbe stata a troncare fra spaventi dei morenti e gemiti dei superstiti le vite dei più cari, ma solo una dormizione, come quella di Maria, per valicare, fra le placide nebbie d'un sonno innocente, le porte  che erano così facili ad aprirsi sul paradiso terrestre per inondarlo della luce del più alto Paradiso e della voce paterna del Signore, che trovava la gioia a star coi figli - veramente il vostro Iddio aveva messo per voi una necessità sola: quella dell'amore.  Amore di figli al Padre, amore di sudditi al Re, amore di creati al Creatore Iddio.
E, se non aveste corroso con l'acido della colpa le radici dell'amore, esso sarebbe cresciuto potente in voi, senza richiedervi nessuna fatica.  Non fatica, ma gioia per voi, ma bisogno che dà sollievo quando lo si esplica, così come il respiro lo è per voi.  Ed infatti l'amore era destinato che fosse il respiro del vostro spirito, il sangue del vostro spirito.
Poi è venuta la colpa.  Oh! la rovina della colpa!
Voi che inorridite per le rovine dei vostri palazzi, dei vostri templi, dei vostri ponti, delle vostre città, e maledite gli esplosivi che frangono, polverizzano, lesionano tutto, non pensate quale rovina ha fatto la colpa nell'uomo?  Nell'uomo, l'opera più perfetta della creazione, perché non fatto da mano umana, ma dall'Intelligenza eterna che, dirò così, vi ha colati, metallo senza scorie, nella forma sua stessa e ve ne ha tratto fatti a sua immagine e somiglianza, così belli e puri che l'occhio di Dio giubilò davanti alla sua opera e trasalirono i cieli di ammirazione e la Terra cantò con voce altissima, in mezzo all'armonia delle sfere, per la gloria d'esser il pianeta che, nelle origini dell'Universo, diveniva immensa reggia del re-uomo, figlio di Dio.
La colpa, più nefasta d'ogni dinamite, ha sconvolto alle radici dell'uomo.  E sai dove esse erano?  Nel pensiero di Dio, che aveva fatto l'uomo.
La colpa ha sconvolto, alle radici dell'uomo, quel complesso perfetto di carne e spirito, di carne non dissimile, in moti di sentimento, dallo spirito di cui era solo più pesante ma non contraria e tanto meno nemica; di spirito non prigioniero, e prigioniero vessato nella carcere della carne, ma di spirito giubilante nella docile carne che esso guidava a Dio poiché, molecola dello spirito di Dio, era attratto a Dio, come da calamita divina, mediante i rapporti d'amore fra il Creatore: il Tutto, e lo spirito: la parte.
La colpa ha sconvolto quell'armonico contorno che Dio aveva messo intorno al suo figlio perché fosse re, e re felice.
Caduto l'amore dell'uomo verso Dio, cadde l'amore della Terra verso l'uomo.  La ferocia si scatenò sulla Terra fra gli inferiori, fra gli inferiori e l'uomo, e, orrore degli orrori, fra l'uomo e l'uomo.  Quel sangue, che doveva esser caldo solo d'amore di Dio, si fece caldo d'odio e ribollì e gocciò, contaminando l'altare della Terra su cui Dio aveva messo i suoi primi perché lo amassero amandosi, e insegnassero l'amore ai futuri: unico rito che Dio voleva da voi.
Ed ecco allora che una pianta è nata dal seme della colpa; e fu una pianta di amaro frutto e di pungenti rami: il dolore.
Prima il dolore sofferto come l'uomo lo poteva soffrire nella sua embrionale spiritualità contaminata: un dolore animale fatto dei primi dolori della donna e delle prime ferite inferte alla carne fraterna, un dolore feroce di ululi e maledizioni, seme di sempre nuove vendette.  Poi, raffinandosi nella ferocia ma non nel merito, anche il dolore si evolse divenendo più vasto e complicato.
Io sono venuto a santificare il dolore, soffrendo il Dolore per voi e fondendo i vostri dolori relativi al Mio infinito.  Dando così merito al dolore.
Io sono venuto a confermare con la mia Vita e la mia Morte il monito dato più e più volte dai Profeti: non è la materiale circoncisione ciò che richiede Dio per perdonare e benedire i suoi figli, sempre più, sempre più colpevoli, ma è la circoncisione dei cuori, dei sentimenti vostri, dei vostri stimoli che il germe del primo peccato rende sempre stimoli di carne e sangue o della più alta lussuria: quella della mente.
E' lì, o figli, che dovete lavorare di ferro e di fuoco per segnare nella vostra anima il segno che salva: quello di Dio.  E' lì, non col ferro e il fuoco delle vostre leggi feroci e delle vostre guerre maledette.  E' lì: nel posto dove leggi e guerre dell'uomo trovano formazione, perché è inutile dire il contrario.  Se viveste nel segno del Signore, circoncisi spiritualmente per levare ciò che porta impurità di ogni specie, non sareste quelli che siete: degli  insensati, per non dire delle belve.  E, notalo, belve e insensati di poco differiscono, poiché in tutti e due non v'è la ragione, ossia quello che Dio ha messo nell'uomo per farlo re su tutti gli esseri della terra.
Due sono le necessità dell'uomo: l'amore e il dolore.  L'amore che vi impedisce di commettere il male.  Il dolore che ripara il male.
Questa è la scienza da apprendere: sapere amare e sapere soffrire.  Ma voi non sapete amare e non sapete soffrire: sapete far soffrire, ma ciò non è amore, è, anzi, odio.
Perché siete sapienti nel male e tanto ignoranti nel bene?  Perché?  Non divenite mai sazi di odio e ferocia?  E volete che Dio vi perdoni?
Tornate all'amore, figli, e sappiate sopportare il dolore.  Ché se non siete tanto miei figli da saper v o l e r e il dolore per espiare l'altrui peccare, come Io seppi e volli, siate almeno figli al punto da non maledirmi per il dolore che voi avete generato e di cui mi fate accusa.
Giù la vostra stolta superbia!  Imparate dal pubblicano a riconoscere come siete indegni, come vi siete resi indegni di vivere sotto lo Sguardo che è protezione.  Gettate lungi da voi le vane seti della terra e accostatevi alla Fonte di Vita che da venti secoli fluisce per voi.  Inoculatevi la Vita nei cuori che muoiono incancreniti nel peccato o intisichiti nell'indifferenza.
Chiamatemi ai vostri sepolcri.  Sono il Cristo, il Risuscitatore.
Non chiedo che di essere chiamato per accorrere e dire: " Vieni fuori".  Fuori dalla morte.  Fuori dal male.  Fuori dall'egoismo, fuori dalla lussuria, fuori dall'odio maledetto che vi consuma senza darvi gioia.  Fuori da ciò che è orrore per entrare in Me, per entrare con Me nella Luce, per rinascere nell'Amore, per conoscere la vera Scienza, per conseguire la Pace e la Vita, che essendo mie hanno di Me l'eternità.»

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E mentre - scrivendo un capitolo del mio ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ stavo appunto meditando dubbioso su questo dettato, cercando di raccapezzarmi su tutto questo discorso del dolore che non mi convinceva troppo e farne una ‘sintesi’ - la ‘mia’ Luce aveva aggiunto…

Luce:
Saper amare e saper soffrire, bisogna. Amando non si commette il male che fa soffrire, soffrendo si espia il male che per mancanza di amore è stato fatto: è questo l'equilibrio perfetto della mia dottrina. Capisci? Amore e dolore. Amore e dolore. Amore e dolore. Questo è il ritornello splendido che deve risuonare come musica al vostro orecchio spirituale. Amore e dolore. Amore per amare, dolore per riparare. Medita profondamente su quanto hai letto. Amore e dolore sono la chiave dell'equilibrio. Con l’amore l’Umanità sarebbe perennemente in pace, ma non lo è per la sua mancanza. Con il dolore l’Umanità espia la mancanza di amore e si guadagna però la pace nell’unica vita che conta: quella soprannaturale.

Bene, dicevo dunque all’inizio che, nel primo volume di questo mio lavoro che state leggendo ora, avevamo commentato il Vangelo di Giovanni, o meglio i primi sei capitoli più l’inizio del settimo (Gv 7,1-8), dove Gesù aveva risposto negativamente alla sollecitazione dei parenti che lo invitavano ad andare a Gerusalemme alla Festa dei  Tabernacoli perché si facesse meglio conoscere dalla gente che ‘contava’ sul piano politico.
I parenti in realtà non credevano in Gesù ‘figlio di Dio’, lo stesso evangelista (Gv 7,5) ce lo dice chiaramente. Anzi a loro sembrava stravaganza, se non pazzia.
Certo, per come parlava, doveva essere anche ‘profeta’, ma per loro egli era soprattutto un ‘giusto’ figlio di un altro ‘giusto’: Giuseppe, né essi, della rivelazione messianica dell’arcangelo Gabriele a Maria, dovevano aver mai  saputo nulla, ammesso che vi avessero creduto.
D’altra parte – e lo si è visto con la strage degli innocenti voluta da Erode il Grande nel tentativo di ‘spegnere’ il futuro Messia, considerato come un antagonista politico – il ‘segreto’ di Gesù doveva essere umanamente ‘protetto’, ed egli doveva nascere e crescere in ‘nascondimento’ senza rivelare la sua natura divina fino al momento in cui come uomo fosse stato pronto ad iniziare la sua missione ‘pubblica’, cosa che avvenne con la manifestazione dello Spirito Santo sotto forma di colomba durante il battesimo al Giordano e, poco dopo, con il miracolo dell’acqua tramutata in vino a Cana.
Anzi, inizialmente i parenti osteggiavano la predicazione di Gesù temendo che l’affermare una sua origine divina avrebbe suonato a ‘bestemmia’, passibile di morte, e avrebbe finito per attirare i ‘fulmini’ del Tempio su tutta la loro famiglia.
Ma quando i parenti avevano iniziato a rendersi conto del grande seguito che  Gesù, per la sua sapienza ed i suoi miracoli strepitosi, in particolare quello della moltiplicazione dei pani di fronte a parecchie migliaia di persone, stava conquistando presso le masse e anche presso importanti personaggi (al punto che – come narra l’evangelista Giovanni (Gv 7, 14-15) e come abbiamo ben spiegato alla fine del volume precedente – egli dovette fuggire sottraendosi a quelli che, credendolo veramente il Messia promesso, ma re terreno di regni terreni, volevano segretamente incoronarlo Re affinchè assumesse il potere in Israele) anche essi cominciano – Messia o no - a vagheggiare i vantaggi terreni che  avrebbero potuto loro derivare da una sua scalata al potere politico e sociale.

Può sembrar strano che - dei ventuno capitoli di cui si compone il  Vangelo di Giovanni – lo ‘spazio’ dedicato ai primi due anni di predicazione di Gesù sia racchiuso in soli sei capitoli.
Ma nel primo volume di questo libro abbiamo spiegato come Giovanni non si fosse proposto lo scopo di raccontare nei particolari tutti i fatti della vita di Gesù, di cui molti già ben documentati dagli altri tre evangelisti prima che egli scrivesse il suo vangelo, bensì di soffermarsi su quegli episodi che avevano offerto lo spunto  a Gesù per importanti affermazioni o discorsi di carattere teologico-dottrinario.
Ed è in questa logica  - poiché l’apice della predicazione e degli avvenimenti straordinariamente cruciali della vita ‘attiva’ di Gesù si sarebbero condensati nel terzo anno - che Giovanni dedica lo spazio coperto dai restanti 15 capitoli a quest’ultimo periodo.
Analogamente avrebbe fatto, duemila anni dopo, il Gesù dei dettati e delle visioni della Valtorta nella cui monumentale opera in dieci volumi (L’Evangelo come mi è stato rivelato – Centro Editoriale Valtortiano) dei 590 capitoli totali, 290 verranno dedicati ai primi due anni e ben 300 al terzo.
 Come, molto più modestamente, ho proceduto io – limitandomi a seguire  il ‘grande’ Giovanni  ed il ‘piccolo’ Giovanni – che ho dedicato un solo volume ai primi due anni ma ne dedicherò due (a cominciare da quello che state leggendo ora) al terzo anno.