(Il Vangelo secondo San Giovanni – La Sacra Bibbia – Cap. 6, 22-77 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V. : ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Capp. 353-354 – Centro Ed. Valtortiano)
(M.V. ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato del 17.9.43 – Centro Ed. Valtortiano)

13. La seconda moltiplicazione dei pani e la moltiplicazione della Parola.

Gv 6, 22-77:

Il giorno dopo, la gente rimasta di là del mare osservò che non c’era che una barca, e Gesù non era entrato in essa con i suoi discepoli, ma che i discepoli soli erano partiti.
Giunsero intanto altre barche da Tiberiade, presso il luogo dove avevano mangiato quel pane, dopo che il Signore ebbe reso le grazie.
La gente, adunque, visto che lì non c’era né Gesù né i suoi discepoli, salì anch’essa nelle barche e andò a Cafarnao in cerca di Gesù.
Trovatolo di là del mare, gli domandarono: ‘Maestro, quando sei venuto qua?’
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: voi cercate me, non per i miracoli che avete veduto, ma perché avete mangiato di quei pani e ve ne siete saziati. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma il cibo che dura per la vita eterna, quello che il Figlio dell’Uomo vi darà; perché è lui che il Padre, Dio,  ha segnato con il suo sigillo’.
Gli dissero: ‘Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?’
Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato’.
Gli domandarono: ‘Che miracolo fai tu, affinché lo vediamo e crediamo in te? Che opera fai? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, così come sta scritto: ‘Diede loro da mangiare pane venuto dal cielo’.
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: non Mosè vi diede il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane del cielo, poiché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo’.
Gli dissero allora: ‘Signore, dacci sempre di questo pane’.
Gesù dichiarò loro: ‘Io sono il pane di vita: chi viene a me non avrà più fame; e chi crede in me non avrà più sete. Ma io ve l’ho detto: voi mi vedete, ma non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: e chi viene a Me, Io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato. Or la volontà di Colui che mi ha mandato è questa: che io non perda niente di quanto egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Poiché la volontà del Padre mio è che chiunque conosce il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna: ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno’.
I giudei mormoravano di lui perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo’, e dicevano: Non è costui Gesù, figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre?’ Come mai ora dice: ‘Sono disceso dal cielo’?
Gesù rispose loro: ‘Non mormorate fra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: ‘Saranno tutti istruiti da Dio’. Chiunque, pertanto, ha udito il Padre e accoglie il suo insegnamento, viene a me. Non già che qualcuno abbia visto il Padre, eccetto che colui che viene da Dio: questi ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. ‘.
‘Io sono il Pane di vita. I padri vostri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono Io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo’.
Discutevano perciò fra di loro i Giudei dicendo: ‘Come può darci da mangiare la sua carne’?.
Gesù disse loro: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà anch’egli per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno’
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Cafarnao.

Molti dei suoi discepoli, udito che l’ebbero, esclamarono: ‘Questo linguaggio è duro. Chi lo può ammettere?’.
Gesù, conoscendo in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: ‘Ciò vi scandalizza? Che sarà, dunque, se vedrete il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima? E’ lo spirito  che vivifica, la carne non giova a nulla: le parole che io vi dico sono spirito e vita. Ma ci sono fra voi alcuni che non credono’.
Gesù, infatti, sin da principio sapeva chi erano i non credenti e chi l’avrebbe tradito.
Poi aggiunse: ‘Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre’.
Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andavano più con lui.
Allora Gesù disse ai Dodici: ‘Volete andarvene anche voi?’
Simon Pietro rispose: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio’.
Gesù rispose loro: ‘Non ho eletto Io voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo’.
Egli alludeva a Giuda, figlio di Simone Iscariote, poiché costui, uno dei Dodici, lo avrebbe tradito.


13.1 Siete mica un poco ‘invidiosetti’ perché anch’io ho una vigna e  sono un ‘operaio’ dell’ultima ora?

Dunque, fatto il miracolo del pane, fattasi sera, soccorsi nella notte gli apostoli in barca, il giorno dopo – continua il racconto Giovanni - la gente s’accorge che non c’è più nessuno: sparito Gesù con tutti gli apostoli, e lo va a cercare a Cafarnao.
Ma il ‘giorno dopo’ di Giovanni – non per niente lui era un pescatore e andava per mare, sia pure Mar di Galilea – era un ‘giorno dopo’ da marinai: quelli che ti fan le promesse e non li vedi più.
Infatti, fra l’episodio di quella moltiplicazione dei pani con successiva passeggiata sul Lago e il ‘giorno dopo’ a Cafarnao, passò parecchio tempo.
Ci avete fatto caso che la Valtorta – dopo la visione della ‘sua’ moltiplicazione’  e  del successivo episodio sul lago - non fa alcun riferimento ad un discorso del Pane del Cielo?
La ragione è che quel discorso Gesù non lo tenne in quella circostanza ma dopo la seconda moltiplicazione dei pani.
Giovanni ne racconta solo una, di ‘moltiplicazione’, ma gli altri evangelisti ne descrivono due, ben diverse e circostanziate l’una dall’altra.
Raccontato il primo miracolo, deve infatti esser sembrato logico a Giovanni – per associazione di idee – saltare subito a raccontare il discorso del Pane del Cielo, perché il miracolo della moltiplicazione del pane era una evidente allegoria del miracolo Eucaristico che Gesù avrebbe istituito nell’ultima Cena, e a Giovanni – ormai lo sappiamo bene – interessava affrontare subito i grandi temi dottrinari.
Così come Dio – essendo ‘creatore’ - può moltiplicare all’infinito i pani ed i pesci, bastando un atto del suo pensiero e della sua volontà per ‘materializzarli’, così Dio non ha alcuna difficoltà a ‘moltiplicare’ se stesso, transustanziandosi nell’Eucarestia, fino alla fine dei tempi per sfamare spiritualmente l’Umanità e darle il Pane di Vita eterna.
Comunque dopo aver narrato il miracolo della (prima) moltiplicazione dei pani (cinque pani d’orzo, due pesci, per cinquemila persone, 12 canestri di avanzi) e dopo aver descritto il miracolo immediatamente successivo di Gesù che cammina sulle acque – e ciò serviva a dimostrare che Gesù, fuor di ogni dubbio, poteva non solo moltiplicare il pane ma governare a suo piacimento anche gli elementi della natura –  Giovanni ritiene  che il ‘terreno’ sia psicologicamente pronto – per il lettore del suo vangelo - per affrontare la questione fondamentale della presenza e della ‘moltiplicazione’ di Gesù nell’Ostia Eucaristica.
E si accinge ad introdurre il discorso del Pane del Cielo.

Ma, come abbiamo dunque già detto, fra la prima e seconda moltiplicazione dei pani è passato del tempo e gli altri tre evangelisti narrano molti episodi e miracoli legati proprio a questo periodo.
Vi è l’episodio ( Lc 12, 13-40) in cui Gesù narra la parabola sull’avarizia e sul ricco stolto il quale – non pago di ciò che già aveva – si preoccupava, se ben ricordo, di costruire e riempire sempre più granai con riserve per molti anni senza preoccuparsi della sua anima e senza pensare che un giorno, molto prima che le riserve finissero, sarebbe morto avendo salvato i granai per gli eredi ma non l’anima sua per sé. Parabola questa che Gesù prende come riferimento a vari insegnamenti sulla necessità di non preoccuparsi mai troppo delle esigenze materiali , perché la vita eterna vale più di qualsiasi altra cosa,  e a vigilare sempre perché non sappiamo quando arriverà, anche di sorpresa, la nostra ora.
Vi è quello (Mt 18, 23-35) sul servo spietato che aveva chiesto e ottenuto dal suo Re l’abbuono di tutti i propri ‘debiti’ nei suoi confronti ma poi fa gettare in galera quell’altro poveraccio che ne aveva uno con lui, provocando l’ira del Re che lo fa sbattere dentro a sua volta ad espiare per i suoi debiti: parabola che vuole insegnare non a perdonare i debiti ma i peccati degli altri nei nostri confronti così come Dio-Padre sa perdonarli a noi.
Vi è ancora la decisione di dare mandato di apostolato ed inviare per la prima volta i settantadue discepoli in giro per la predicazione (Lc, 10, 1-12) con il loro ritorno entusiasta perché dicevano che eran riusciti persino a scacciare i demoni.
Quindi vi è un'altra scappata a Gerusalemme dove Gesù racconta (Lc 19,11-27) la parabola dei ‘talenti’ che Dio ci dà e che non dobbiamo sprecare e quella del buon samaritano (Lc 10, 25-37). 
Per inciso, i samaritani ( vi ricordate la donna del pozzo di Sichar?) eran considerati dai giudei un popolo di reprobi perchè avevano una religione sbagliata. E un samaritano si era dunque imbattuto in un ferito, lasciato a terra dai ladroni. Si ferma a guardarlo, ne ha pietà, scende da cavallo, lo soccorre, ne fascia le ferite e poi lo lascia in una locanda pagandone la degenza e dando al locandiere l’incarico di curarlo del tutto sino al suo ritorno quando gli avrebbe rimborsato quanto il locandiere avesse eventualmente dovuto spendere in più.
Visto come curano i ‘samaritani’? Meglio delle nostre Unità Sanitarie Locali. E molto meglio anche di quei due religiosi del Vangelo: il sacerdote e il levita che dopo aver visto il ferito avevan tirato dritto perché – pur avendo l’abito e la religione giusta – non avevano l’amore nel cuore.
Il vero cristiano è dunque il ‘samaritano’. Chissà quanti  veri ‘cristiani’ ci sono nelle altre religioni!

E intanto Gesù – come racconta anche Luca - continuava ad andare nei villaggi (Lc 8, 1-3):

‘In seguito se ne andava egli di città in città e di villaggio in villaggio, predicando ed annunziando la buona novella del regno di Dio, mentre i Dodici erano con lui, come pure alcune donne che erano state liberate da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, procuratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni’.

E’ sempre di questo periodo la parabola degli operai nella vigna ( Mt, 20, 1-16), per cui anche chi si pente nell’ultima ora viene accolto dal Padre (scontando magari un po’ più di Purgatorio) mentre chi si era pentito da prima non deve essere invidioso nei suoi confronti, e poi ancora l’episodio (raccontato da Matteo, Marco e Luca, ma non vi sto a dire qui come lo racconta in visione la Valtorta) della Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor, davanti a Mosè ed Elia che – trasfigurati anch’essi nella gloria -lasciano attoniti e ‘trasfigurati’ anche Giacomo, Giovanni e Pietro il quale, estasiato, vorrebbe piantar radici - anzi delle tende – e non muoversi più da lì…

E, finalmente, ecco l’episodio della seconda moltiplicazione dei pani (Mt 15, 29-39 e Mc 8, 1-10) dopo la quale – nella sinagoga di Cafarnao – Gesù terrà di fronte a numerosi discepoli il discorso sul ‘Pane del cielo’. E’ un discorso importantissimo, questo, raccontato solo da Giovanni che evidentemente era più attento degli altri tre evangelisti alle cose del cielo e così si ‘riabilita’ e si fa perdonare di aver fatto finta che Gesù lo avesse fatto – il discorso – dopo il primo miracolo anziché dopo il secondo.

Ma procediamo con ordine, prima io vi faccio vedere il miracolo e dopo vi faccio sentire il discorso…
‘Miracolo’? Io…? Beh, non ‘io’,  cioè…, ve lo fa ‘vedere’ lei, la Valtorta!

13.2 La moltiplicazione della Parola è più ‘miracolosa’ della moltiplicazione dei pani

 

353.  La seconda moltiplicazione dei pani e il miracolo della moltiplicazione della Parola.

28 maggio 1944, ore 2 ant.ne della Pentecoste.
Una serena visione.  Vedo un posto che non è certo pianura.  Non è neppure montagna.  Dei monti sono ad oriente ma lontani alquanto.  Poi c'è una valletta e altre elevazioni più basse e piatte.  Dei pianori erbosi.  Sembra che siano le prime pendici di un gruppo collinoso.  Il terreno è piuttosto arsiccio e nudo d'alberi.  Vi è della corta e rada erba sparsa fra un terreno ciottoloso. Qua e là qualche ciuffetto molto basso di cespugli spinosi.  Ad occidente l'orizzonte si allarga ampio e luminoso.  Non vedo altro, come natura. E’ ancora giorno, ma direi che comincia la sera, perché l'occidente è rosso per il tramonto mentre i monti a oriente sono già violacei nella luce che diviene crepuscolare.
Un principio di crepuscolo che fa più nere le spaccature profonde e appena violette le parti più elevate.
Gesù è ritto su un grosso pietrone e parla a molta, ma molta folla sparsa sul pianoro.  I discepoli lo circondano.  Egli, ancor più alto perché il suo rustico piedestallo lo eleva, domina la folla di tutte le età e condizioni sociali che gli sta intorno.
Deve aver compito dei miracoli, perché sento che dice: «Non a Me ma a Chi mi ha mandato dovete offrire lode e riconoscenza. E la lode non è quella che esce come suono di vento da labbra distratte.  Ma è quella che sale dal cuore ed è il sentimento vero del vostro cuore.  Questa è gradita a Dio.  I guariti amino il Signore di un amore di fedeltà.  E lo amino i parenti dei guariti.  Del dono della salute riconquistata non fatene cattivo uso.  Più che delle malattie del corpo, abbiate paura di quelle del cuore.  E non vogliate peccare.  Perché ogni peccato è una malattia.  E ve ne sono tali che possono dare la morte.  Ora dunque, o voi tutti che ora giubilate, non distruggete la benedizione di Dio col peccato.  Cesserebbe il giubilo vostro perché le maleazioni levano la pace, e dove non è pace non è giubilo.  Ma siate santi.  Siate perfetti come il Padre vostro vuole.  Lo vuole perché vi ama, e a coloro che ama vuol dare un Regno.  Ma nel suo Regno santo non entrano che coloro che la fedeltà alla Legge rende perfetti.  La pace di Dio sia con voi».
E Gesù tace.  Incrocia le braccia sul petto e con le braccia così conserte osserva la turba che gli sta intorno.  Poi guarda in giro.  Alza gli occhi al cielo sereno e che si fa sempre più scuro per la luce che decresce.  Pensa.  Scende dal suo masso.  Parla ai discepoli. «Ho pietà di questa gente.  Mi segue da tre giorni.  Non ha più provviste seco.  Siamo lontani da ogni paese.  Temo che i più deboli soffrano troppo se Io li rimando senza nutrirli».
«E come vuoi fare, Maestro?  Tu lo dici: siamo lontani da ogni paese.  In questo luogo deserto dove trovare pane?  E chi ci darebbe tanto denaro da comperarlo per tutti?».
«Non avete nulla con voi?».
«Abbiamo pochi pesci e qualche pezzo di pane.  L'avanzo del nostro cibo.  Ma non basta a nessuno.  Se Tu lo dai ai vicini succede una sommossa.  Privi noi e non fai del bene a nessuno». E’ Pietro che parla.
«Portatemi quanto avete».
Portano una cestella con dentro sette tozzi di pane.  Non sono neppure pani intieri.  Paiono grosse fette tagliate da grandi pagnotte. I pesciolini, poi, sono una manciata di povere bestioline abbruciacchiate dalla fiamma.
«Fate sedere questa folla a cerchi di cinquanta e che stia ferma e zitta se vuol mangiare».
I discepoli, parte salendo su delle pietre e parte circolando fra la gente, si dànno un gran da fare per mettere l'ordine chiesto da Gesù.  Dài e dài, ci riescono.  Qualche bambino piagnucola perché ha fame e sonno, qualche altro frigna perché, per farlo ubbidire, la mamma, o qualche altro parente, gli ha amministrato uno schiaffo.
Gesù prende i pani, non tutti, naturalmente: due, uno per mano, e li offre, e poi li posa e benedice.  Prende i pesciolini, sono così pochi che stanno quasi tutti nel cavo delle sue lunghe mani.  Offre essi pure e poi li posa e benedice essi pure.
«E ora prendete, girate fra la folla e date ad ognuno, con abbondanza».
I discepoli ubbidiscono.
Gesù, ritto in piedi, bianca figura dominante questo popolo di seduti in larghi circoli che coprono tutto il pianoro, osserva e sorride.
I discepoli vanno e vanno, sempre più lontano.  Dànno e dànno. E sempre la cesta è piena di cibo.  La gente mangia mentre la sera cala, e vi è un grande silenzio e una grande pace.

Dice Gesù:
«Ecco un'altra cosa che darà noia ai dottori difficili.  L'applicazione che Io faccio a questa visione evangelica.  Non ti faccio meditare sulla mia potenza e bontà.  Non sulla fede e ubbidienza dei discepoli.  Nulla di questo.  Ti voglio far vedere l'analogia dell'episodio con l'opera dello Spirito Santo.
Vedi: Io do la mia parola.  Do tutto quanto potete capire e perciò assimilare per farne cibo all'anima.  Ma voi siete tanto resi tardi dalla fatica e dall'inedia che non potete assimilare tutto il nutrimento che è nella mia parola.  Ve ne occorrerebbe molta, molta, molta.  Ma non sapete riceverne molta.  Siete tanto poveri di forze spirituali!  Vi fa peso senza darvi sangue e forza. Ed ecco che allora lo Spirito opera il miracolo per voi.  Il miracolo spirituale della moltiplicazione della ParolaVe ne illumina, e perciò la moltiplica, tutti i più riposti significati, di modo che voi, senza gravarvi di un peso che vi schiaccerebbe senza corroborarvi, ve ne nutrite e non cadete più affranti lungo il deserto della vita.
Sette pani e pochi pesci!
Ho predicato tre anni e, come dice il mio diletto Giovanni, ‘se si dovessero scrivere tutte le parole ed i miracoli che ho detto e compiuto per dare a voi un cibo abbondante, capace di portarvi senza debolezze sino al Regno, non basterebbe la Terra a contenere i volumi’.  Ma se anche ciò fosse stato fatto, non avreste potuto leggere tale mole di libri.  Non leggete neppure, come dovreste, il poco che di Me è stato scritto.  L'unica cosa che dovreste conoscere, come conoscete le parole più necessarie sin dalla più tenera età.
E allora l'Amore viene e moltiplica.  Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha "pietà di voi che morite di fame" e, con un miracolo che si ripete da secoli, raddoppia, decuplica, centuplica i significati, le luci, il nutrimento di ogni mia parola.  Ecco così un tesoro senza fondo di celeste cibo.  Esso vi è offerto dalla Carità.  Attingetene senza paura.  Più il vostro amore attingerà in esso e più esso, frutto dell'Amore, aumenterà la sua onda.
Dio non conosce limiti nelle sue ricchezze e nelle sue possibilità.  Voi siete relativi.  Egli no. E’ infinito.  In tutte le sue opere. Anche in questa di potervi dare in ogni ora, in ogni evento, quelle luci che vi abbisognano in quel dato istanteE come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete, consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola.
Oh! che realmente se lo Spirito vi illustra: "Va' in pace e non voler peccare ", questa frase è premio per chi non ha peccato, incoraggiamento all'ancora debole che non vuole peccare, perdono al colpevole che si pente, rimprovero temperato di misericordia a colui che non ha che una larva di pentimento.  E non è che una frase.  Delle più semplici.  Ma quante non sono nel mio Vangelo!  Quante che, come bocci di fiore che dopo un'acquata e un sole d'aprile si aprono fitti sul ramo dove prima ve ne era sol uno fiorito e lo coprono tutto, con gioia di chi li mira, si schiudono in noi col loro spirituale profumo per attirarci al Cielo.
  Riposa, ora.  La pace dell'Amore sia con te».

***

Me ne rimango un poco perplesso a meditare su quel discorso della ‘moltiplicazione della Parola’. L’avete capita, voi? A me pare che il discorso che fa Gesù sia questo: voi uomini siete tanto spiritualmente tardi che non sareste neanche in condizione di saper valutare il significato profondo di quanto Io-Gesù vi spiego con la mia Parola, e allora lo Spirito Santo – anziché imbottirvi la testa con i cento significati che quella parola, che è Parola di Dio, avrebbe nella sua pienezza – ve ne illumina di volta in volta le sfumature di significato che per voi, in quel ‘particolare momento’ della giornata o della vostra vita, è quello necessario. Chiaro, ora?

E adesso vi dico allora un segreto: quando sono in imbarazzo perché non so che decisione prendere o che valutazione fare di una certa cosa (mi riferisco a questioni di carattere spirituale e non alla schedina del Totocalcio), prendo un Vangelo, faccio una preghiera allo Spirito e lo apro a caso: beh, non ci crederete, ma mi cade sempre l’occhio sulla frase giusta che mi dà la risposta al mio problema.
Mi sono detto più di una volta che avrebbe potuto esser la suggestione (io sono un piccolo ‘patito’ per la psicologia dell’inconscio), per cui – qualsiasi brano di vangelo avessi aperto e letto – io lo avrei inconsciamente ‘interpretato’ di volta in volta secondo quel che mi sarei inconsciamente aspettato in quel momento: per cui non mi trovavo di fronte ad una ‘risposta’ ai miei problemi spirituali da parte dello Spirito, ma da parte del mio Subconscio ‘creativo’, creativo perché di volta in volta, a seconda delle circostanze, quelle stesse parole me le faceva interpretare in maniera diversa, oppure – certe parole di brani diversi - me le ‘illuminava’ secondo le mie aspettative inconsce di quel particolare momento.
Certo, la mia ipotesi dell’inconscio non avrei mai potuto dimostrarla, rimaneva pertanto solo una teoria, ma ora mi sono accorto che la ‘teoria’ del Gesù della Valtorta è molto più convincente: non era il Subconscio creativo, era lo Spirito Santo che moltiplicava la Parola. Parola di Gesù!

Nei secoli passati – rifletto – non si contano le persone, in genere teologi, che hanno scritto migliaia di libri sulla interpretazione dei vangeli, secondo ‘luci’ sempre nuove e allora mi dico: questa dev’essere la Moltiplicazione della Parola!
Ora siamo invece nei tempi moderni e anche adesso non si contano i libri di certi ‘teologi modernisti’ che – quando addirittura non lo contestano - interpretano il vangelo in chiave sociologica, politica, filosofica, morale, etc., contraddicendo non di rado le interpretazioni dei Padri della Chiesa per dare la loro interpretazione ‘moderna’: anche questa é ‘moltiplicazione della parola’…in minuscolo!
Ma visto che parliamo di chiacchere…, allora il mio ‘commento’, che non è di un teologo antico, e neanche di un teologo ‘moderno’ ma solo di un ‘catecumeno-uomo della strada’ – che ‘moltiplicazione’ è, allora?

Non sono mai stato forte in aritmetica, io!


13.3 Ora vi faccio un ‘test’…

Ricordo – a proposito di quanto detto da Gesù sulla moltiplicazione della Parola - che Egli, prima di lasciare definitivamente gli apostoli, aveva detto loro in più di una occasione che dopo di lui sarebbe venuto il Consolatore, cioè lo Spirito Santo, Spirito di verità,  che li avrebbe ‘consolati’ facendo loro ‘ricordare’ le sue parole, illuminandoli sul loro significato profondo.
Se si dovesse fare una ipotetica ‘scala’ fra gli apostoli, bisognerebbe a mio avviso dire che Giovanni, oltre ad essere quello più giovane morto più vecchio, dovrebbe essere il più santo, e questo perché Giovanni era un puro di cuore, convertito a Gesù prima ancora di essersi corrotto in vita, e perché lui era ‘amore’ e l’Amore dovette comunicarsi a lui con particolare predilezione.
Non per niente Giovanni fu anche lo scrittore dell’Apocalisse, cioè della Rivelazione profetica più importante del Nuovo Testamento che racconta la storia dell’Umanità, cioè della ‘Chiesa’ in senso largo, fino alla fine del mondo.
E non per niente lo Spirito ispira il ricordo ed illumina a Giovanni gli aspetti più profondi della Rivelazione.
Il lungo discorso sul Pane del Cielo è un discorso di fondamentale importanza per comprendere la missione di Gesù, la portata reale della sua dottrina e, soprattutto, il valore della Eucarestia.
I discepoli presenti nella sinagoga di Cafarnao lo capiscono a questo punto tanto bene, di che severa dottrina si tratti, che – tranne gli apostoli e pochi altri - molti di loro…lo piantano in asso.

Analizziamolo dunque meglio questo discorso, che da Giovanni viene riferito nei suoi concetti essenziali, per capire cosa avesse detto Gesù di tanto ‘scandaloso’.

Intanto la giornata ‘comincia male’, diremmo noi oggi, perché Gesù - a quelli che lo attendevano e che, vedendolo venire, gli chiedono ansiosi quando era arrivato - gli spara a bruciapelo che quello che li ha spinti a cercarlo non era certo il bisogno di spiritualità ma il desiderio molto più profano di veder miracoli strepitosi e riempirsi la pancia con quel pane che lui creava dal nulla.
Lo abbiamo visto – già dall’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio e poi dal discorso di Gesù nella sinagoga di Nazareth (quando aveva detto secco-secco ai nazareni malevoli che loro non volevano credere a niente e dunque non si meritavano niente) – che Gesù non era molto diplomatico, quando, finita la pazienza o, meglio, la misericordia, reputava  necessario fare chiarezza.
Ora comincia una fase più difficile e complessa della vita pubblica e della predicazione evangelica di Gesù.
Sono necessari uomini convinti e temprati a tutto, gente che veramente creda, perché poi – nella evangelizzazione degli anni successivi – bisognerà continuare l’opera di Gesù e cominciare a costruire  – sulle fondamenta da lui gettate – le ‘mura’ della Chiesa, anche a prezzo della propria vita, vita che per tutti gli apostoli – tranne per Giovanni che riuscirà a sopravvivere - si concluderà infatti in martirio.
Ed ecco che allora Gesù affronta un tema di ‘spessore’, quello che metterà tutti i presenti di fronte ad una scelta: dentro o fuori.
I presenti non erano solo apostoli ma erano soprattutto discepoli e fedeli, e non avevano ancora ricevuto gli insegnamenti a fondo che avevano avuto gli apostoli, scelti personalmente da Gesù e che gli erano stati vicini in tutto quel suo peregrinare e far miracoli.
E Gesù chiarisce agli astanti che non è il cibo materiale (che perisce) quello che è importante, ma il ‘cibo’ che dà la vita eterna, quello che il Figlio dell’Uomo darà loro.
Questa è già una anticipazione del futuro miracolo eucaristico ma ovviamente i presenti non possono capire il significato allegorico e cominciano a mostrar segni di incomprensione.
E alla domanda che alcuni fanno per sapere come ci si debba comportare per essere conformi alla volontà del Padre, Gesù risponde che essi devono semplicemente ‘credere’ in Colui che Dio Padre ha mandato in terra mettendo in pratica i suoi insegnamenti.
Dio Padre, al Giordano, si era già manifestato pubblicamente – attraverso lo Spirito Santo apparso in forma di colomba su Gesù - in modo che Giovanni Battista lo potesse additare a tutti come il Messia.
Seguire le parole di Gesù, seguire cioè la sua dottrina, cioè metterla in pratica, era dunque fare la volontà del Padre perché Egli, Gesù, era Figlio del Padre.
Molti presenti, già maldisposti per proprio conto e ora ancor più maldisposti perché Gesù aveva messo poco prima allo scoperto la materialità delle loro intenzioni, gettano la maschera e lo rimbeccano con arroganza chiedendogli infine – come se il (secondo) miracolo del pani già non fosse stato sufficiente – quali miracoli potesse mai addurre affinchè essi potessero credere a lui, quale figlio di Dio.

Ora però vi faccio un ‘test’: se voi aveste seguito un poco la predicazione di Gesù, se lo aveste visto camminare sulle acque e moltiplicare pani e pesci   e se poi quei pani e pesci – come fecero quei discepoli – ve li foste messi sotto i denti, avreste creduto - con tutti quei discorsi che poi faceva solo Lui – che Gesù  era Figlio di Dio?

Si? Assolti! Siamo sulla strada della salvezza, se non ci perderemo nell’ultima ora, mentre, se sulla strada non ci siamo ancora, sappiamo che avremo ancora tempo – come gli operai di quella parabola della vigna -  fino alla fine, cioè fino ad un momento prima della fine. Possiamo comunque  sempre regolarci, sapendo qual è il momento, no?


13.4 E’ per quelli che ‘non volevano’ credere che Gesù aveva detto: «Nessuno può venire a Me se non gli è concesso dal Padre…»

Quelli che avevamo lasciato nella sinagoga di Cafarnao – intanto – aggrottano naso e sopracciglia e, ripensando al miracolo del pane del giorno prima, lo minimizzano ricordando (ma qui lo Spirito Santo che li illumina non c’entra) che Mosè aveva fatto ben di più perché per quarant’anni aveva fatto mangiare ai loro padri manna che pioveva dal cielo, e quella sì che si poteva dire fosse veramente Pane venuto dal Cielo.
La battuta del Pane venuto dal cielo, la manna, offre a Gesù lo spunto per chiarire ai presenti che quando uno (cioè Mosè) fa miracolo non è lui che lo fa ma è Dio che lo accontenta, quello stesso Dio che, dopo aver a suo tempo sostentato nel deserto gli ebrei per farli sopravvivere in attesa di lasciarli entrare nella terra promessa, ora  ha inviato agli uomini un ben più autentico Pane del Cielo, Gesù Cristo stesso, per dare vita spirituale ad una Umanità che muore nel peccato e creare – grazie al Sacrificio di un Dio – le condizioni che indurranno il Padre a non rifiutare il perdono, riaprendo le porte del cielo a chi avesse voluto incamminarsi sulla strada indicata da Gesù.
Quindi, Cristo, era il Verbo che si era incarnato per farsi uomo, scendendo dal Cielo in terra, per insegnare la sua dottrina, dottrina di Dio, che ha il compito di ricordarci che non siamo animali discesi da una scimmia, ma spiriti in carne umana discesi da Dio, e che dobbiamo imparare a comportarci di conseguenza, spiritualizzandoci, cosa nella quale il Pane del Cielo, cioè l’Eucarestia, sarà di grande aiuto.
Gli astanti continuano a non capire il significato allegorico di Gesù-Pane del Cielo oppure comprendono ma fanno finta di non capire e, banalizzando, ironizzano : ‘Allora dacci sempre di quel pane, così non morremo più…’.
Roba da schiaffi, ma Gesù doveva avere una pazienza a prova di bomba!

E’ un po’ una battuta analoga a quella della samaritana presso il pozzo di Giacobbe, quando Gesù parlava dell’acqua viva della Grazia. Solo che quella era buona nel cuore e si era convertita, mentre questi…
Ma Gesù, pazientemente, risponde e ribadisce loro : ‘Io sono il Pane di Vita: chi viene a me non avrà più fame; chi crede in me non avrà più sete’.

L’uomo, di qualsiasi razza o religione, ha dentro di sé degli ‘istinti’ naturali di buon comportamento: quelli che chiamiamo ‘legge naturale’, primo fra tutti quello del rispetto di una Entità chiamata ‘Dio'.
L’uomo ne ha anche di altri - di istinti - sia ben chiaro, ma l’uomo che vuole esser ‘giusto’ li governa, li sottomette, per quanto possibile e per quanto faticoso.
E l’uomo spiritualmente evoluto cerca poi non solo di rispettare la legge naturale ma anche di affinarsi sempre di più perché dentro di sé desidera dare concretezza a quella aspirazione inconscia: Dio!
Chi seguirà la Parola, la Dottrina di Cristo, potrà appunto dare più facilmente un senso concreto  a quella aspirazione confusa.
Con molta più sicurezza saprà condursi verso un cammino spirituale (che comporta un combattimento quotidiano contro le tendenze disordinate del proprio Io, contro le spinte che provengono dai ‘valori’ del ‘mondo’, per non dimenticare quelle che provengono da Satana) per assicurarsi un ingresso più rapido nel Cielo dove entra solo ciò che è ‘puro’ o che è stato ‘purificato’ dalla sofferenza, specie se accettata e offerta, o da una vita di ascesi come quella autenticamente cristiana, che è però sempre una forma di ‘sofferenza’.
Gli astanti, quelli che rimbeccano, rimangono comunque increduli e sardonici a rimuginare quel che aveva ribadito Gesù e allora Gesù – che era paziente, ma poi le sue stoccate non le lesinava – conclude (ve lo ‘traduco’ io più liberamente ampliandone il significato ‘profondo’): ‘Ma io ve l’ho detto: voi mi avete sentito parlare e visto operare, ma vi guardate bene dal volermi credere. Ed io vi dico che in effetti  voi non potete credere, perché viene a me quello che il Padre mi dà, e quel che il Padre mi manda. Egli non vuole che io lo perda, ed io sono venuto per fare la volontà del Padre il quale manda a me quelli che sono volenterosi di conoscere la Parola di Dio e quindi meritevoli della vita eterna’.
Molti dei presenti – che, in coscienza, si rendono conto a questo punto di non rientrare nella categoria dei ‘volenterosi’ - cominciano ad agitarsi, mormorano, e si avverte un brusìo che si alza sempre più alto nella sinagoga, e Gesù rincara allora la dose e ribadisce il concetto: ‘Non mormorate fra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno…’.

Rifletto su questi concetti ed in  particolare sulla frase del Vangelo di Giovanni: ‘Ma io ve l’ho detto: voi mi vedete ma non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a Me…’.che, così come scritta da Giovanni, può sembrare un poco più ‘ermetica’ di quanto io stesso non ve l’abbia già ampliata.
Ed in effetti è una Parola ermetica e possiede un significato molto profondo che richiede ora quella ‘moltiplicazione della Parola’ che Gesù ci aveva spiegato.
Ora ve la spiego, naturalmente da ‘uomo della strada’, sapendo che voi mi capirete.
Dio Padre aveva creato perfetti i progenitori, ma gli uomini successivi (per colpa dei primi due che - con la riproduzione della specie – hanno trasmesso ai figli i propri ‘geni’ o cromosomi deteriorati dal Peccato Originale) sono ormai discendenti di una razza umana decaduta: infatti peccano di proprio, anzi, di gusto.
Gli uomini peccano, ed il peccato – che in due parole si puo’ esemplificare in una generica mancanza d’amore verso Dio e verso il prossimo - procura sofferenza che l’uomo dà agli altri ma che poi anche riceve dagli altri, sofferenza che i secondi restituiscono ai primi e che diventa a sua volta espiazione per i primi.
Ma gli uomini (ecco qui la Provvidenza di Dio!) hanno avuto incisi dentro alla loro anima – si dice dentro al cuore, ma è dentro all’anima, nella loro Psiche conscia e inconscia -  i dettami della ‘legge dei dieci comandi’: cioè, sempre in due parole, amare Dio e non far male al prossimo.
In più, in quel ‘computer’ che è l’anima (perché il nostro è un Dio più che ‘computerizzato’) c’è dentro anche la ‘voce della coscienza’ che, come succede con i computer che hanno dentro il ‘programma’ per il controllo degli errori ortografici, ti avvisa quando fai un errore ‘spirituale’, cioè un peccato, come a dire che se sei ‘distratto’ e ‘non ti accorgi’ che hai peccato, c’è sempre il ‘programma’ che te lo ricorda o meglio c’è ‘lei’: la voce della coscienza che è come se fosse la Voce di Dio.
Ci siamo fin qua?
Ma l’uomo, nel suo ‘computer’, ha anche il libero arbitrio e in virtù di esso egli ha la facoltà di assecondare liberamente la Voce di Dio, cioè la Coscienza, che gli fa capire cosa è bene e cosa è male.
Ma attenti: la libertà è un grande dono e – lo abbiamo già detto – è anche ‘Prova’, perché è sulla base delle libere scelte che l’uomo liberamente farà che Dio capirà se quell’uomo aspira di più al Bene o preferisce decisamente il Male, non meritando così la vita eterna in Paradiso.
La ‘condanna’ non è una ‘punizione’ vendicativa, perché l’uomo che liberamente vuole il male lo fa in libertà e coscienza perché in realtà non vuole Dio.
E allora neppur Dio vuole con sé un uomo che in cuor suo ha già scelto come ‘padre’ Satana, e – nella vita di ogni giorno -  ne segue le ‘sue’ leggi, tutte basate sull’egoismo, che è disamore e che è il contrario dell’altruismo, il quale è invece amore.
E così Dio – che legge fin nel più profondo del cuore dell’uomo – manda Gesù: il Verbo affinchè spieghi con la sua parola queste cose agli uomini, affinchè essi si rendano meglio conto di tutta questa storia e ne abbiano un aiuto a salvarsi, tanto più che Dio – grazie al Sacrificio di Gesù in croce che chiederà in riscatto l’Umanità – ha deciso di riaprire agli uomini le porte del Paradiso per lasciarvi entrare le anime che non si sono dannate e che fino ad allora – da qualche parte, nel Limbo o in Purgatorio non ho capito bene – ne sono rimaste o, in futuro, ne sarebbero rimaste fuori.
Dio – sia ben chiaro – aiuta tutti (anche quelli che rifiutano il suo aiuto) ma é a questi, concludo finalmente il mio ragionamento, cioè a questi che – di loro  moto interiore - vorrebbero,  magari non del tutto consciamente, entrare nel regno dei cieli, è a questi che Dio Padre offre un aiuto particolare: l’illuminazione dello Spirito Santo che li aiuta a ‘capire’ con il cuore, cioè a ‘credere’ alle ‘parole’ che danno la Vita. E ciò perché il Padre, preso atto della loro buona volontà, anche se imperfetta, vuole dar loro la ‘chance’ di salvarsi praticamente con certezza.
Sono solo un ‘catecumeno’ e quindi mi dovete scusare se ho sbagliato in qualcosa o se non sono stato chiaro in tutto.
Coloro invece che in cuor loro – anche senza esserne ben coscienti perché non vogliono guardare dentro se stessi e fare autocritica - preferiscono rinnegare Dio e la sua ‘legge’, non meritano quell’aiuto perché, dice Gesù: ‘La volontà del Padre mio è che chiunque ‘conosca’ il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna: ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno’.
‘Chiunque conosca’, qui (moltiplicazione della Parola!) vuol dire: ‘Chiunque voglia conoscere il Figlio e voglia credere in lui, mettendo in pratica…’
Infatti ‘credere’ non è solo un fatto ‘intellettuale’, cioè esser d’accordo concettualmente su una data cosa, ma - nel significato che Gesù attribuisce a questo termine –  crede solamente chi ‘fa’, e cioè chi accetta di passare dalla teoria alla…pratica.
Il cristianesimo infatti è pratica, concretezza e coerenza.


13.5 Ma allora, siamo già ‘predestinati’?

Senza concretezza di comportamenti cristiani non vi è cristianesimo, non si è cristiani.
La conclusione  che si ricava dal discorso, comunque, è che è Dio che ci salva.
Questo è un punto molto importante, ma non significa – come avevano invece creduto di poter concludere certi eretici del passato – che è inutile sforzarsi perché tanto siamo ‘predestinati’, perché ‘ab aeterno’ Dio Padre sa già chi si salva e chi no, anzi, è Lui che decide ‘chi’ salvare.
Il nostro non è un ‘destino fatale’ contro il quale è inutile combattere. Ma è un ‘destino’ che ci costruiamo liberamente noi stessi giorno per giorno, un destino nel quale Dio – che, ripeto, aiuterebbe tutti se i suoi lumi non venissero respinti - si inserisce illuminandoci ed aiutandoci ancor più se vede che – in potenza – le nostre attitudini volontarie, o anche le nostre volontà embrionali perché magari le nostre forze sono inizialmente deboli, sono quelle di adeguarci in qualche modo alla legge dell’amore, che è quella che purifica più della legge del dolore e che consentirà al nostro spirito di essere ‘assorbito’ – si fa per dire – da quello di Dio.

Non siete sicuri di aver capito bene? Non vi fidate di quel che vi dico io?    Allora – siccome non vorrei passar da eretico neanch’io – ve lo faccio spiegare meglio da Padre Enrico Zoffoli, quel padre passionista che ha scritto una montagna di opere e che, nel suo ‘Dizionario del Cristianesimo’, alla voce ‘Predestinazione’ scrive:

‘Se Dio vuole sinceramente la salvezza di tutti e a nessuno perciò fa mancare la grazia necessaria a tal fine, secondo il Magistero la predestinazione resta una disposizione della Provvidenza che necessariamente implica l’iniziativa della creatura libera nel senso che, come la salvezza suppone il merito dei buoni, così la perdizione è condizionata alla colpa degli ostinati nel male…Una salvezza non meritata non si concilia con la libertà e l’autonomia della persona umana; e una perdizione inflitta prescindendo da ogni colpa è incompatibile con la giustizia divina, che a ciascuno dà soltanto il ‘suo’.
Concludendo: se non si può dubitare della predestinazione quale atto della Provvidenza, non è meno certo che essa non è assoluta, ossia non prescinde dai meriti e dalle colpe: per cui se gli eletti hanno realmente meritato il premio, i riprovati hanno veramente meritato la pena che non possono non attribuire a se stessi.
Ma l’oscurità del mistero spiega come poi i teologi abbiano potuto dividersi in due opposte correnti: i Bannesiani (accusati di calvinismo) propendono per l’iniziativa di Dio,; mentre i Molinisti (accusati di pelagianesimo) inclinano a sostenere la libertà umana.
La Chiesa, invece di pronunciarsi a favore dell’una o dell’altra tesi, non ha fatto che ribadire la consolante verità che il disegno della salvezza abbraccia tutti, compresi gli ebrei e i mussulmani: «Dio non è neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nei fantasmi e negli idoli, poiché Egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa, e come salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino. Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio e con l’aiuto della Grazia si sforzano di compiere anche con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna…» (LG 16. Cf.D-S 3869-72).

Avete capito ora? Non è Dio che predestina al paradiso o all’inferno prescindendo da meriti o colpe (come dicevano Calvino e Giansenio) ma - ve lo ha detto Padre Zoffoli, chiaro, alla fine - si salvano tutti quelli che con l’aiuto della Grazia, che poi non è altro che l’aiuto di Dio, si sforzano di compiere concretamente con le opere la volontà di Dio…: solo che Dio lo sa in anticipo che loro si sforzeranno, ed è per questo che li ‘aiuta’.
Non è quello che avevo detto io in quattro parole da uomo della strada prima?

Cerco di spiegarmi ancora meglio, così nessuno dirà più di essere ‘predestinato’ e che ogni sforzo è inutile.
Noi viviamo nel Tempo che – come aveva detto Einstein con la sua famosa teoria - è una cosa ‘relativa’, ma Dio – che invece è Assoluto - vive fuori del Tempo.
E dal di fuori Egli sa in anticipo (perché il futuro esiste solo per noi, mentre Dio vive in un eterno Presente) se noi avremo voglia – magari anche pochina – di salvarci
Allora, dal di fuori, non fa mancare, a noi che siamo nel Tempo, quell’aiuto in più che si chiama Grazia, cioè lo stato di amicizia con Dio, e che si concretizza nell’aiuto - sotto forma di illuminazione – dello Spirito Santo.
Dite un po’, non è ‘umano’ un Dio così buono?
Qualche materialista-positivista-illuminista particolarmente ‘illuminato’ potrebbe dire che questo è antropomorfismo, cioè questo attribuire a Dio un modo di ragionare umano: vale a dire immaginare – come uomini-bambini, cioè infantili – un Dio fatto a dimensione ‘umana’.
Ma se invece fosse il contrario? Se invece  cioè fosse stato Dio, nel creare la nostra anima: cioè la nostra ‘Psiche’, fatta a sua immagine e somiglianza, ad averci dato un modo di ragionare (con le debite differenze fra creato e Increato e con le differenze dovute ormai ad una natura decaduta a causa del Peccato originale) per qualche aspetto ‘simile’ al suo?
A voi non verrebbe istintivo – anche senza essere ‘buoni’ come Dio – cercare di aiutare uno che vedete che si ‘sforza’?
Se noi aiutiamo i nostri figli che non si sforzano, e figuriamoci poi se si sforzano, perché Dio – che è molto più buono di noi - non dovrebbe allora aiutare i suoi ‘figli’, cioè quelli che si sforzano di ‘spiritualizzarsi’?

Dunque è Dio che ci salva se vede che le nostre ‘volontà’ sono quelle di ‘adeguarci’ in qualche modo alla legge dell’amore.
E se Dio - che è fuori del tempo - sa, se ci salveremo, da prima che noi fossimo, cioè ab-aeterno, noi - che invece siamo nel tempo e il futuro non lo conosciamo - non lo sappiamo, e allora nel dubbio è meglio che ci diamo da fare.
Ma se non ci salveremo non potremo accusare Dio di non averci aiutato, specie ora che certe cose le sappiamo. E il fatto di saperle, se siete arrivati fin qui nella lettura, è già la prova che vi sta aiutando, no? Perché ha già visto la vostra buona volontà. E se l’uomo si sforza, anche poco perché all’inizio è debole e non ce la fa, ecco che Dio – che è lì attento e proteso verso di noi (come nella pecorella smarrita) a cogliere anche il nostro minimo tentativo - ci tende la mano e, se noi la afferriamo, lui ci tira fuori, dolcemente: perché non vuole violentare la nostra libertà e ci vuole lasciare anche liberi di cambiare idea, se preferiamo riaffondare, e comincia quindi a ‘nutrirci’ progressivamente, affinché il nostro fisico riacquisti forze, affinché la nostra mente non si spaventi troppo del cambiamento in meglio, finché poi saremo in grado di camminare con le nostre forze perché avremo ormai fatto le scelte giuste.


13.6 Dolore? Roba da scappare!

Vi è per caso rimasto qualche dubbio su questo concetto, fondamentale, del nostro ‘destino’?
E allora, a questo punto, a mali estremi estremi rimedi: ve lo faccio spiegare direttamente dal Gesù della Valtorta, il quale – nel lontano 1943 – dettava in uno dei suoi ‘Quaderni’ alla mistica perché lei potesse scriverlo per noi:

17 settembre.
Dice Gesù:
« Quanto ha detto la Sapienza nel cap. 60 v. 1-10 è già stato spiegato da Me più di una volta da quando ti sono Maestro in maniera più vasta di quanto non lo sia per molti tuoi fratelli.  Non fermiamoci perciò a considerare quelle parole.  La Sapienza vera te le ha spiegate molto avanti che il Libro si aprisse per te a quella pagina.
E non stupire se più volte troverai nel Libro sentimenti e parole uguali a quelle che hai udite direttamente da Me.  Io sono la Parola del Padre.  E la Parola è una.  Perciò è la stessa ora come lo era al tempo dei patriarchi e profeti.  Naturale, quindi, che leggendo le antiche parole tu le abbia a trovare uguali alle nuovissime che odi da Me.  Sono Io che ti parlo come ero Io che parlavo ai lontani.  E se i tempi vostri e i vostri pensieri sono tanto mutati, e se tu, mio piccolo Giovanni, sei tanto diversa dai solenni patriarchi e dai veementi profeti, Io sono sempre quello, uguale, immutabile nella parola, nella dottrina.
Non muta Iddio.  Si adegua ai vostri mutamenti, alla vostra chiamiamola pure: evoluzione, nei contorni del suo lavoro, ma il nucleo di esso, ma il contenuto vero del suo insegnamento in quello che non è cosa della vita che passa, ma cosa dell'anima che non muore, resta e resterà sempre quello, anche se la Terra rimanesse Terra per mille e diecimila anni ancora e l'uomo raggiungesse una evoluzione materiale - nota bene - tale da permettergli di abolire le leggi dello spazio, della gravitazione, della velocità, e divenisse quasi onnipresente mediante strumenti che aboliscono le separazioni, e ai quali è incamminato, e che voi chiamate con nomi scientifici di televisione, telefoto e simili, o, mediante altri strumenti, abolisse l'impossibilità di agire a distanza, creando i radiocomandi che scateneranno sulla terra la vendetta demoniaca delle defiagrazioni a distanza, dei raggi mortali e simili creazioni dal marchio satanico.
Non potrò mai Io dirvi, anche se riuscite a divenire assalitori d'altri pianeti e creatori di raggi potenti come il raggio del mio sole e captatori di onde che aboliscono, per l'udito e per l'occhio, le più sconfinate distanze, che vi è lecito abolire la Legge della Carità, della Continenza, della Sincerità, dell'Onestà, dell'Umiltà.  No, non ve lo potrò mai, mai dire.  Ma anzi ora e sempre vi dico e vi dirò: " Siate benedetti se usate l'intelletto a scoperte di bene comune.  Siate maledetti se prostituite la vostra intelligenza con un illecito commercio col Male per partorire opere di malvagità e distruzione ".
E basta su ciò'.  Ti parlo invece per quello che ti può essere conforto e guida.
E' detto nell'Ecclesiastico cap. 33 v. 11-15 che diversi sono i destini dell'uomo.
Chi segna il vostro destino?  Questo è un grande punto da stabilirsi per non cadere in errore.  Errore che può essere cagione di pensiero blasfemo e anche di morte dell'anima.  L'uomo dice delle volte: " Posto che il destino lo fa Iddio, Dio fu ingiusto e malvagio con costui perché lo ha colpito da sventure ".
No, figlia.  Dio non è mai malvagio e non è mai ingiusto.  Voi siete dei miopi e non vedete che molto malamente e solo le cose che sono vicine alla vostra pupilla.  Come potete voi allora sapere il perché - scritto nel Libro del Signore - del destino vostro?  Come potete voi, dalla Terra, granello di polvere turbínante nello spazio, comprendere ciò che è la verità vera delle cose e che è scritta in Cielo?  Come dare un nome giusto ad una cosa che vi accade?
Il bambino al quale la madre porge una medicina piange, chiama brutta e cattiva la madre, cerca respingere quel farmaco che a lui appare inutile e ripugnante.  Ma la madre sa che essa fa ciò non per cattiveria, ma per bontà, sa che nella autorità che dispiega in quel momento per farsi ubbidire essa non è brutta, ma anzi si riveste di una maestà che l'abbellisce, essa sa che quella medicina è utile alla sua creatura e con carezze o con voce severa la obbliga a prenderla.  Se la madre potesse prenderla lei per guarire il suo piccino malato, quanta ne prenderebbe!
Anche voi siete dei bambini rispetto al Padre buono che avete nei cieli.  Egli vede le vostre malattie e non vuole che rimaniate ammalati.  Vi vuole sani e forti, il vostro Padre d'amore.  E vi dà i farmachi per rendere robuste le vostre anime, per raddrizzarle, guarirle, per renderle non solo sane ma anche belle.
Se Egli potesse farne a meno, di farvi piangere, credete che lo farebbe, Egli il cui Cuore tutto amore è rigato dalle lacrime dei suoi figli?  Ma a ognuno il suo tempo.  Egli ha fatto tutto per voi, per portarvi alla salute eterna.  Si è persino esiliato dai Cieli, ha persino spremuto il suo Sangue fino all'ultima goccia per darvelo, farmaco santissimo che sana ogni piaga, vince ogni malattia, rinforza ogni debolezza.
Ora è il vostro tempo.  Poiché, nonostante la Parola scesa dai Cieli a darvi la guida della Vita e nonostante il Sangue profuso per redimervi, voi non avete saputo staccarvi dal peccato e in esso sempre ricadete, Egli, l'Eterno che vi ama, vi dà un castigo di dolore, più o meno grande a seconda dell'altezza a cui vuole portarvi o del punto fino al quale vuole farvi espiare quaggiù il vostro debito di figli disertori.
Vi sono, è vero, creature che hanno il dolore per divenire splendenti di doppia luce nell'altra vita.  Ma vi sono altre creature che devono avere il dolore per detergere la loro stola macchiata e raggiungere la luce.  Sono la grande maggioranza.  Ma - è un controsenso ma è vero - ma sono proprio costoro che più si ribellano al dolore e dicono ingiusto Iddio e cattivo perché li abbevera di dolore.  Sono i più malati e si credono i più sani.

Quanto più uno è nella Luce e tanto più accetta, ama, desidera il dolore.
     A c c e t t a  quando è una volta nella Luce.
     A m a  quando è nella Luce due volte.
     D e s i d e r a  e chiede il dolore quando è tre volte nella Luce, immerso in essa e vivente di essa.

Mentre invece, quanto più uno è nelle tenebre e più fugge, odia, si ribella al dolore.
Fugge: le anime deboli che non hanno forza di compiere il gran male e il bene ma vivacchiano una povera vita spirituale avvolta nelle caligini della tiepidezza e delle colpe veniali, hanno una paura incoercibile per ogni pena, di qualunque natura sia.  Sono spiriti senza scheletro, senza forza.
Odia: i viziosi ai quali il dolore è ostacolo a seguire i vizi d'ogni natura, odiano questo grande maestro di vita spirituale.
Si ribella: il grande peccatore, venduto totalmente a Satana, accumula delitto a delitto spirituale attingendo le vette della ribellione che sono bestemmia e suicidio o omicidio, pur di vendicarsi (almeno egli lo crede) della sofferenza.  Su questo, l'opera paterna di Dio si tramuta in fermentazione di male, perché esso gran peccatore è impastato col Male come farina impastata col lievito.  E il Male, come lievito sotto la lavorazione del dolore, gonfia in essi e li rende pane per l'inferno.
A quale hai appartenuto di queste tre categorie?  A quale appartieni ora?  In quale vuoi restare?  Non occorre la risposta.  La soE' per questo che ti parlo e sono con te.
Altre volte l'uomo dice: " Se ognuno ha un destino segnato è inutile arrabbattarsi e lottare.  Lasciamoci andare, tanto tutto è segnato".
Altro pernicioso errore.  Il destino è conosciuto da Dio, sì.  Ma voi lo conoscete?  No. Non lo conoscete ora per ora.
Ti porto un esempio.  Pietro mi rinnegò.  Nel suo destino era segnato che egli conoscesse questo errore.  Ma egli si pentì di avermi rinnegato e Dio lo perdonò e lo fece suo Pontefice.  Se egli avesse persistito nel suo errore, avrebbe potuto divenire il mio Vicario?
Non dire: era destinato.  Non dimenticare mai che Dio conosce i vostri destini, ma il destino lo fate voi.  Egli non violenta la vostra libertà d'azioneVi dà i mezzi e i consigli, vi dà gli avvertimenti per rimettervi sulla via buona, ma se voi non ci volete stare su quella via, Egli non vi ci forza a restare.
Siete liberi.  Vi ha creati maggiorenni
Gioia di Dio è se voi rimanete nella casa del Padre, ma se dite: " Voglio andarmene " Egli non vi trattiene.  Piange su voi e si accora sul vostro destino.  E di più non vuole fare, ché facendo di più vi leverebbe quella libertà che vi ha dato. 
Gioia di Dio quando, comprendendo, sotto il morso della carestia, che solo nella casa del Padre è gioia, voi tornate a Lui. 
Gioia e riconoscenza di Dio a coloro che col loro sacrificio e le loro preghiere, soprattutto queste due cose, e poi con le loro parole, riescono a rendermi un figlio.  Ma di più no.
Però sappi che coloro che nella mia mano sono come molle argilla nella mano del vasaio, sono i prediletti del Cuore mio.  La mia mano è su loro dolce come una carezza.  Le mie carezze li modellano dando ad essi la mia impronta e somiglianza di mitezza, umiltà, carità, purezza, e la più bella di tutte le somiglianze: la mia di Redentore.
Perché sono queste le anime che continuano la mia missione di Redentore ed alle quali lo dico un continuo " grazie " che è la più protettrice delle benedizioni.  E se il velo della Veronica è sacro perché porta la mia effigie, che saranno queste anime che sono la mia vera effigie?
Animo, Maria!  La mia Pace è con te.  Io sono con te.  Non temere. »

Animo, ragazzi. Gesù parlava così ma parlava alla Valtorta, che aveva deciso di diventare anima-vittima per essere appunto corredentrice con Lui. Non pretende che anche noi diventiamo anime-vittima. Di noi magari si accontenta che ci salviamo!

Rifletto però sulla spiegazione del dolore e del ‘destino’ che Gesù dà alla Valtorta: è un tema, quello del significato e del valore spirituale del ‘dolore’, al quale un anno fa ho praticamente dedicato un libro intero: roba da piangere se non avessi trovato il modo fra un capitolo e l’altro, di far anche un po’ ridere.
Ma – se non volete comprarlo – il libro, ve lo dico in sintesi: non è Dio che ce lo manda, il dolore, ma – quando non è dovuto al caso o alle malattie fisiche o alla morte, imputabili alla perfezione perduta a seguito del Peccato originale - deriva dall’uomo stesso che non perde occasione per somministrane robuste razioni al suo prossimo sotto forma di guerre, persecuzioni e via dicendo.
Dio però, se non ce lo manda, lo sa ‘utilizzare’, perché ‘aspetta’ che l’uomo, vittima del dolore, riacquisti il senso della propria debolezza ed umiltà.
E allora lo ‘salva’, cioè lo aiuta con la sua illuminazione perché egli -   dopo la sbornia di egoismo e prepotenza, non parliamo dell’orgoglio – ritrovi la strada del Paradiso perduto.
Ed infatti il titolo, era ‘Alla scoperta del Paradiso  perduto’, in due volumi.
Tutti e due sul dolore? Ma no, il secondo era sull’Apocalisse!

Però ora mi viene un dubbio…, non sarà mica che il Gesù della Valtorta, con tutta quella storia della ‘moltiplicazione’ della Parola…, abbia voluto parlare del dolore e del ‘destino’ anche a noi che scriviamo e leggiamo ora? Mah!
Dio, dunque, è ‘Dio di Libertà’ sino in fondo, e il dolore lo permette perché del dolore conosce il valore purificatorio.
Vi domandate perché mai il dolore ‘purifichi’ e perché – ad esempio -non sarebbe meglio farsi magari purificare dal ‘piacere’?
Ma se voi combinaste un guaio, o tanti piccoli guai che sommati per una vita diventano l’equivalente di un grosso guaio, vi sembrerebbe logico che uno vi ‘purificasse’ con un …premio?

Lui, per di più, dice anche che siamo liberi e…maggiorenni. E non ci trattiene, se proprio non vogliamo.
Me ne rimango pensieroso a riflettere sulle due categorie di quelli che hanno un atteggiamento positivo o negativo rispetto al dolore per vedere in quale mi potrei collocare io.
Della triplice categoria di quelli che lo ‘accettano o amano, oppure desiderano’, mi escluderei tanto per cominciare da quelli che lo amano, figuriamoci quelli che lo desiderano!
Ma non mi sento di classificarmi nemmeno fra quelli che lo ‘accettano’, nel senso che potrei anche dire che accettarlo va bene ma questa non è una cosa che si può affermare teoricamente, ma si può vedere solo nella pratica.
Voglio dire che se uno è capace di ‘accettare’ lo si potrà vedere solo a posteriori, come solo sul campo di battaglia, fra i fischi dei proiettili e lo scoppio delle bombe, si vede se uno ha veramente coraggio o meno.
Parimenti, analizzando l’altra triplice categoria che si rapporta negativamente al dolore, se non credo di essere fra quelli che lo odiano – per non dire che credo di non essere neanche fra quelli che si ribellano - mi  verrebbe semmai il sospetto, per deduzione, di appartenere a quelli che il dolore lo fuggono, le persone che Gesù definisce: ‘le anime deboli che non  hanno forza di compiere il gran male ma vivacchiano una povera vita spirituale avvolta nelle caligini della tiepidezza e delle colpe veniali, hanno una paura incoercibile per ogni pena, di qualunque natura sia. Sono spiriti senza scheletro, senza forza…’.

Ecco, io non avrei fatto di me questa fotografia, ma – sulla base del ‘metro’ del dolore me l’ha scattata Gesù di sorpresa, questa ‘istantanea’.
A meno che poi, per salvarmi in corner poiché abbiamo ormai capito che il ‘destino’ siamo noi che ce lo facciamo con le nostre mani, non decida di passare nella categoria di quelli che ‘accettano’…
Da verificare a posteriori, naturalmente, sul campo di battaglia.

Ecco perché – rifletto - ai miei amici io raccomando sempre l’Opera principale della Valtorta, cioè L’Evangelo che stiamo leggendo insieme, ma raramente i Quaderni, perché è il Gesù che parla in questi quello che mi mette maggiormente in crisi, come ora.

Andiamo avanti, allora. Visto però quante cose si imparano da questo brano di San Giovanni sul Pane del Cielo?

Ma – continuando - Gesù (quello del Vangelo di San Giovanni) non ha finito il suo discorso nella sinagoga di Cafarnao e anche Lui continua: ‘Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo…’.
Eccola qui, l’anticipazione del Miracolo Eucaristico.
Un ‘pane’ sotto il quale – per un miracolo strepitoso che però non è meno miracolo di quanto non sia già la natura che ci circonda e l’intero universo – si nasconde Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità.
In ‘corpo e sangue?’ ‘Chi l’ha detto?’ L’ha detto Gesù, no?
‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui…’

Cosa significa questo ‘rimanere’ reciproco?

Significa che chi si accosta all’Eucarestia, cioè a Dio, deve già per questo fatto sforzarsi di essere più puro’ possibile e – a parte le inevitabili cadute – deve cercare di ‘rimanere’ in Gesù.
E Gesù – di conseguenza – ‘rimarrà’ in lui.
L’Eucarestia – attraverso un processo di ‘assimilazione’ reciproca – diventa così, se fatta frequentemente, il modo più ‘sicuro’ per cercare di conquistarsi il Regno dei Cieli. Semplice, no?

A questo punto però, per il pubblico della sinagoga è ‘scandalo’.
La gente non si limita più a ‘mormorare’, ma ‘rumoreggia’: Pane? Carne? Sangue? Dottrina? Amore? Dolore? Misticismo? Ascesi?
Gesù parlava da Dio, e spiegava una Dottrina spirituale da Dio - il quale  è Spirito purissimo - per gli uomini che sono spiriti anche se non lo sanno, ma credo che, se in quella sinagoga di Cafarnao molti non fossero già stati dei ‘discepoli,’ magari  qualcuno di loro sarebbe stato colto dal ‘raptus’ satanico di ripetere l’episodio di Nazareth, quando i compaesani avevano cercato di buttar giù Gesù da una rupe.
Qui invece – il discorso di Gesù è ormai praticamente finito – la gente ‘sfolla’, anzi lo molla lì perché questo processo di spiritualizzazione, questa prospettiva di vita cristiana – che ai pagani di allora doveva parere non meno difficile che ai ‘pagani’ di oggi – pare proprio una cosa da pazzi…, se non c’è un poco di buona volontà.
E infatti è per questi – per quelli che volevano credere -  che nel Vangelo di Giovanni Gesù aggiunge: ‘Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre!’.

Vi confesso una cosa, e non per scoraggiarvi: più credo di comprendere la dottrina cristiana in profondità più mi rendo conto della abissale superficialità con cui noi la viviamo.
La dottrina del ‘dolore’ – ad esempio -  è l’argomento che più mi mette in crisi, più che quella sulla ‘sessualità’, alla quale ad una certa età si puo’ anche far a meno, o quasi…
Ad esempio di quest’ultima intuisco la ‘logica’ spirituale, credo anzi di capirla ora perfettamente, ma mi riesce difficile ‘accettarla’ perché mi sembra ‘disumana’, cioè troppo contraria alle nostre pulsioni naturali, il che mi dà la dimensione del baratro in cui l’uomo è precipitato dopo il Peccato Originale, al punto di farci sembrare umano quello che è bestiale e disumano (nel senso di ‘bestiale’) quello che in realtà è spirituale!
Siamo di fronte ad un completo sovvertimento dei valori: ecco perché dovremmo rinascere ‘nuovi’, alla ‘Nicodemo’.
A volte mi prende lo scoraggiamento, ma quella che me ne tira poi fuori è una personale considerazione che mi faccio per conto mio: Gesù, che è ‘Dio perfetto’, non può che indicarci la ‘perfezione’, perché ci vorrebbe perfetti e perché – amandoci - vorrebbe per noi il massimo della ‘gloria’ nell’altra Vita.
Poi però – se non riusciamo ad essere perfetti - si accontenta di quello che, con la nostra buona volontà, riusciamo a dargli, perché oltretutto - per amore di persone come la Valtorta che…soffrono ed espiano per noi – ci darà magari anche quello che non ci meritiamo.
Roba da far venire i brividi, mi riferisco a quelli come la Valtorta!


13.7 Ma se la Fede è un dono di Dio che ci aiuta a credere, perché non ce la dà a tutti?

Ma se ora, tanto per dare un colpo d’ala e risollevarci il morale, vedessimo anche noi quel che vede in visione, e sente, il ‘piccolo Giovanni’?

354.  Il discorso sul Pane del Cielo nella sinagoga di Cafarnao.

 

7 dicembre 1945.
La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni.  E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o almeno un discepolo.  E vanno chiedendo...
Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro?  Apostoli?  No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono tornati.  Ma torneranno perché ci sono dei discepoli.  Ho parlato adesso con uno di loro.  Deve essere un grande discepolo.  Parla come Giairo! E’ andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».
L'uomo che ha interrogato fa correre la voce, e tutti si precipitano verso il luogo indicato.  Ma, fatto un duecento metri sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente.  Li salutano e chiedono:  
«Il Maestro dove è?».
I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare.  Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».
«Ah! ecco!  Noi lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c'era!  Però... potevano dircelo i pescatori di Magdala!».
«Non lo avranno saputo.  Sarà forse andato sui monti d'Arbela in preghiera.  Ci fu già un'altra volta, lo scorso anno avanti la Pasqua.  Io l'ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo» dice Stefano.
«Ma non torna qui?».
«Certamente tornerà.  Ci deve dare il commiato e gli ordini.  Ma che volete?».
«Sentirlo ancora.  Seguirlo.  Farci suoi».
«Adesso va a Gerusalemme.  Lo ritroverete là.  E là, nella Casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile il seguirlo.  'Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce.  Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi - che poco male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre - ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi novello.  Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere.  Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione.  E poi venite, se credete.  E voglia l'Altissimo, che ha guidato Israele nel "passaggio", guidare voi, in questo "pèsac", a venire sulla scia dell'Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio» dice Stefano, parlando per tutti i compagni.
«No, no!  Subito!  Subito!  Nessuno fa ciò che Egli fa.  Lo vogliamo seguire» dice la folla in tumulto.
Stefano ha un sorriso di molte espressioni.  Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire?  Credete che vi dia in futuro solo questo?  Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio.  Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i "cristi".  E così dico senza essere bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll'olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e "unti" noi saremo per essere le vittime sull'altare e i re nel Cielo».
«Ebbene?  Ne sei geloso forse?  Ci sei tu?  Ci vogliamo essere noi pure.  Il Maestro è di tutti».
«Sta bene.  Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere "discepoli", onde non essere poi dei disertori.  Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa.  Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato.  Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».
E vanno verso la città, parlando.  E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele. Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».
I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo di Israele».
«Oh! più grande di Mosè?» dicono quasi scandalizzati.
«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo.  Ma non è che il servo del Cristo».
«Allora per Gamaliele questo è il Cristo?  Dice così?  Se così dice rabbi Gamaliel, la cosa è decisa.  Egli è il Cristo!».
«Non dice ciò.  Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura.  Ma dice che il Cristo è sulla terra perché egli gli ha parlato molti anni fa.  Egli e il saggio Illele.  E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo» dice Erma.
«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo?  Che faceva quello?  Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa.  Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».
«Lo vide unto della Sapienza di Dio.  Egli dice così» risponde ancora Erma.
«E allora cosa è per Gamaliele questo?».
«Il più grande uomo, maestro e precursore di Israele.  Quando potesse dire: "E’ il Cristo", sarebbe salva l'anima sapiente e giusta del mio primo maestro» dice Stefano, e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo».
«E se non lo crede il Cristo, perché vi ci ha mandati?».
«Noi volevamo venirci.  Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».
«Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio ... » dice insinuando uno.
«Uomo, come parli?  Gamaliele è un onesto.  Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!» scatta Stefano, e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.
«Gli sarà spiaciuto perdervi, però» dice un altro.
«Sì e no.  Come uomo che ci voleva bene, sì.  Come spirito molto retto, no.  Perché ha detto: ‘Egli è da più di me e di me più giovane.  Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del 'Maestro dei maestri’».
«E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».
«Oh! non ha che parole elette per lui!».
«Non ne è invidioso?».
«Dio non invidia» dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».
«Ma per voi allora è Dio?  Ne siete certi?».
E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento».  E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per possedere la vera Vita».

Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa.  Sulla soglia è Gesù che carezza dei bambini.
Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».
«Da pochi momenti». 
Il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato.
«Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo.
«Sì.  Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza.
«Dal tuo volto d'angelo.  Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».
«Anche il tuo è limpido.  Tu sei uno di quelli che fanciulli restano ... ».
«E che c'è sul mio viso, Signore?».
«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro. «Carità, fede, purezza, generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai.  Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d'oro puro, e con una grande gemma che splende sulla fronte.  Sull'oro e sulla gemma sono incise due parole: "Predestinazione" e "Primizia".  Sii degno della tua sorte, Stefano.  Va' in pace con la mia benedizione».  E gli posa nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.
Tornano dagli altri.
«Questa gente è venuta per sentirti ... » dice Filippo.
«Qui non si può parlare.  Andiamo alla sinagoga.  Giairo ne sarà contento».
Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.
Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme.  E inizia a parlare.
«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa.  I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra.  Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l'intelligenza di un ottuso di mente.  E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato.  La sensualità che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è "malattia", abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene.  Il sentimento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere ancora integri e virili.  La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà di Dio.
I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario.  Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: "Dio me li darà".  E detto: ‘Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte’, ossia il pane guadagnato col lavoro.  Ché se Colui che è Misericordia ha detto: "Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città", e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo.  Per molto di più di un po' di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito.  Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre l'anima.  Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare.  Ma anime siete!  Questo siete!  La carne è la veste, l'essere è l'anima.  E lei che è duratura.  La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.
Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto.  Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna.  Questo, il Figlio dell'uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate.  Perché il Figlio dell'uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi.  E se voi avrete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».
« Che dobbiamo fare per fare le opere di Dio?  Noi osserviamo la Legge ed i Profeti.  Perciò già siamo nutriti di Dio e facciamo opere di Dio».
« E’ vero.  Voi osservate la Legge.  Meglio ancora: voi "conoscete" la Legge.  Ma conoscere non è praticare.  Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito.  Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole. La Legge che voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio.  Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt'uno con voi, così come è l'aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue.  Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l'esistenza.  Mentre... oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni... e vedrete che non potete vivere.  Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell'asfissia della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt'uno con voi.  Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l'aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia.  Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli.  Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti.  Venire dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere.  Ma questo dovere presuppone una fede in voi.  Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: "Dàmmi il vero pane".  E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle.  Perciò per essere nutriti di Dio e per fare opere di Dio è necessario che voi facciate l'opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato».
«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come un Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio?  Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti?  Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant'anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri.  Così è scritto: che i nostri padri per quarant'anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».
«Siete in errore.  Non Mosè ma il Signore poté fare questo.  E nell'Esodo si legge: "Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo.  Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge.  E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il sabato".  E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella "cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele".  Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna.  Dio che tutto può.  Tutto.  Punire e benedire.  Privare e concedere.  Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.
Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè - detto dall'Ecclesiastico "caro a Dio e agli uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell'Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza" - Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal cielo gli donò un pane bell'e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.  E - ricordate bene ciò che dice la Sapienza - e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all'adulto, dall'appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente.  E anche, per testimoniare che non era opera d'uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco – è sempre la Sapienza che parla - dimenticò la propria natura per rispetto all'opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.
Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l'eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio.  Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall'inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l'Eterno, dalla prima ora del mattino.
Questo insegnò la manna agli ebrei.  Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli.  Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o della vita.  Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.
Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l'eterna gioia».
«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».
«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia.  Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità.  Per questo ho insegnato a dire: "Dàcci il pane quotidiano".  Ma coloro che se ne nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l'ordine avuto.  E quel Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna.  Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni.  Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».
«Ma dove è questo Pane?  Come lo si trova?  Che nome ha?».
«Io sono il Pane di Vita.  In Me lo si trova.  Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore.  Io ve l'ho detto, ormai.  Voi mi avete conosciuto, ormai.  Eppure non credete.  Non potete credere che tutto quanto è in Me.  Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio.  E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere.  Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me.  Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato.  E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all'ultimo giornoOra la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eterna e Io lo possa risuscitare nell'Ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».
Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro.  E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei.  Riprende a parlare.
«Perché mormorate fra voi?  Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide.  Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiuolo regale, e a Maria, vergine erede della stirpe regale.  Ciò vi fa dire: "Come può costui dirsi disceso dal Cielo?", e il dubbio sorge in voi.
Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull'Incarnazione del Verbo.  E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta.  Il Purissimo, l'Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell'uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.
Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell'arca d'oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo.  E col pane era la Parola di Dio.  E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Ss. Parola.  Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo?  Un'arca più inviolata e preziosa dell'arca d'oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.
E allora?  Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo?  Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.
Ma questo è fede.  E la fede viene data da Dio a chi ha l'animo di buona volontàPerciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. 
E’ scritto nei Profeti: "Saranno tutti ammaestrati da Dio".
Ecco. E’ dettoDio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio.
Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».
«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo.  E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».
«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre.  E questo Io sono.
Ed ora udite il "credo" della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.
In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.
I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono.  Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo.  Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere. E’ non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l'incorruttibilità, l'immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza.  Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli.  Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiano la Vita che non muore.
Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali.  Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno.  Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».
«Ma come puoi darci da mangiare la tua carne?  Per chi ci hai presi?  Per belve sanguinarie?  Per selvaggi?  Per omicidi?  A noi ripugna il sangue e il delitto».
«In verità, in verità vi dico che molte volte l'uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l'orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto.  E anche in futuro l'uomo tale sarà, perché Satana, il senso e l'orgoglio lo fanno belluino.  E perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l'uomo sanare se stesso dai germi terribili con l'infusione del Santo.  In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita.  Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò all'Ultimo Giorno.  Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda.  Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui.  Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch'egli per Me e anderà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell'Eterno».
«Ma costui è folle!  Chi può vivere in tal modo?  Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima.  Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia.  Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro!  Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.
La gente sfolla commentando.  E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli.  Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no se si arriva a cento.  Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.
Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arbela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome.  Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.
«E vi scandalizzate di ciò che ho detto?  E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell'uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre?  E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora?  E con che avete udito e assimilato?  Solo con l'umanità? E’ lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente.  Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita.  Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede.  Molti di voi non credono con verità.  E inutilmente stanno presso a Me.  Non ne avranno Vita, ma Morte.  Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni.  Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana.  Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio.  Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare "pazzo e duro".  Andate.  Meglio lontani che qui per nuocere».
E molti altri si ritraggono di fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci.  I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.
Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli...
     Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?».  Lo dice senza acredine e senza mestizia.  Ma con molta serietà.
Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada?  Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore.  Tu solo hai parole di Vita eterna.  Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio.  Se vuoi, cacciaci.  Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure... neppure se Tu non ci amassi più ... », e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni...
Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l'emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.
«Perché vi dovrei cacciare?  Non sono stato Io che ho eletto voi dodici? ... ».
Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli.  Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».
La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade... e nessuno osa dire nulla.  Ma si guardano l'un l'altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso...
Nessuno si muove per qualche tempo.  E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso.  Lo alza infine e dice: «Venite.  Non sono già un lebbroso! O mi credete tale? ... ».
Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore.  Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda ... »; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta!  Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».
Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli... Solo l'Iscariota osa baciarlo sul viso.
Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa.  Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».

Me ne rimango a riflettere sulla ‘Fede’.
Quante volte, parlando con amici, mi son sentito dire, come un piccolo atto d’accusa a Dio: ‘Ma se la Fede è un ‘dono’ di Dio che aiuta, e io non ce l’ho, ed è per questo che non credo,  che colpa ne abbiamo se non ci comportiamo da cristiani?’
Ecco, ci sarebbe voluto lì Gesù a dargli la risposta giusta con quelle sue parole del discorso nella sinagoga: «La Fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce!».

Insomma la fede non è un fatto di ‘predestinazione’, ma… di buona volontà!